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La psicologia delle emozioni e l’intelligenza emotiva, di Daniele Trevisani

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Il modello dei 4 livelli di Empatia, di Daniele Trevisani

https://youtu.be/dUJv0IfG_Yk

Speciale Stili Comunicativi della Leadership (anzi… “quasi Leadership…”)

https://youtu.be/m7WRR48AzdE

Perchè anche quando si trattano temi seri, ridere, a volte anche di se stessi, fa bene!

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Un cordiale saluto di buona lettura e buona visione, sicuramente ricca di stimoli, sia molto seri che molto divertenti, in quel mix che è tanto simile alla vita vera, da sentire pulsare ogni giorno.

Daniele Trevisani

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Articoli Recenti

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https://youtu.be/pnjy1KVAyYs

In questo articolo e video, ispirato al tema Psicologia della Libertà e libro omonimo, esaminiamo il tema della paura, paura di sbagliare, paura di parlare in pubblico, paura del futuro, paura di fare un esame universitario o scolastico, “paura dell’esame”, ed esaminiamo una semplice strategia: allenarsi, piccolo passo dopo piccolo passo, ad affrontare le paure

La paure sono ancorate ad emozioni negative, come nel caso del parlare in pubblico, la persona associa l’evento ad una prova d’esame da cui dipende tutta la sua vita e la paura di sbagliare non è solo “paura di non parlare bene” ma “paura di essere rifiutato come persona”, viene quindi amplificata.

Possiamo imparare invece ad allenarci a divertirci nel parlare in pubblico, nel caso, un allenamento teatrale o psicodrammatico può essere una formazione decisiva per portare il parlare in pubblico dallo stato di paura allo stato di divertimento e gioia.

Ed inoltre, allenandosi fisicamente per potenziare il corpo, sapendo bene che l’effetto è quello di un cambiamento forte nell’immagine di sì (self image). Le ArtI Marziali e gli sport di combattimento sono un’altra via molto interessante, perchè offrono la possibilità di allenarsi al confronto con la paura, in modo persino quotidiano, sinchè il fatto di guardare la paura diventa talmente conosciuto che si tratta quasi di rivedere una vecchia amica, darle una pacca sulla spalla, e saltare sul ring per divertirsi.

Allenarsi allena un meta-fattore, il fatto di mettersi in gioco, di imparare che è possibile mettersi in gioco, è possibile sbagliare senza che questo diventi dramma.

Nella vita i colpi si danno, i colpi si prendono, e si procede, sempre, verso la propria meta.

Un cambiamento dell’immagine di sè in positivo è un trascinatore naturale che aiuta le persone a uscire dalle zone di paura e di comfort, e spingersi verso quello che prima non osava pensare.

Quando le paure sono veramente bloccanti e patologiche, vanno affrontate da uno psicoterapeuta.

Quando le paure sono invece timori ricorrenti ma non patologici, e piuttosto consolidati da uno stile di vita statico, cambiando lo stile di vita ed immettendo energie positive, allenandosi, poco alla volta tutto il sistema personale ne trae beneficio.

L’unico consiglio valido per tutti: non accettare il fatto che una paura non si possa superare con l’aiuto professionale giusto, che si tratti di psicoterapia, coaching, counseling, allenamento, ogni paura che faccia da zavorra al tuo avanzare, può essere lavorata e sciolta sino ad osservarla per quello che è, un semplice pensiero, del quale si può anche imparare a distanziarsi e scollegarsi.

La paura può trasformarsi in gioia, come il buio può trasformarsi in luce, se solo si trova la forma di energia giusta. E cercarla è l’unico modo per trovarla, cercarla sempre, cercarla e farla salire in noi, cercarla in modo naturale, chiedendo, senza paura, chiedendo consigli, provando, sperimentandosi. Mettendosi in gioco.

Si tratta, dopo tutto, null’altro che di un apprendimento. Apprendere la gioia, in ciò che prima ci faceva paura, la dove per noi è importante. E formandosi, si può fare.

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Copyright Dott. Daniele Trevisani www.studiotrevisani.it dal testo Psicologia della Libertà Mediterranee editore, Roma

“The Call”: La chiamata, viaggio verso la luce

Articolo Copyright. Dal libro Psicologia della libertà. Liberare le potenzialità delle persone di Daniele Trevisani, edizioni Mediterranee, Roma

https://youtu.be/ev8TXCo9Xiw

Ispirato al modello HPM di Sviluppo del Potenziale Umano, dal testo Il potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance, Franco Angeli editore, Milano

La notte oscura dell’anima è un viaggio verso la luce, un percorso dall’oscurità verso la forza e le risorse nascoste dell’anima. Attraversare la notte oscura richiede dialogo interiore, contemplazione, preghiera, tempo trascorso in silenzio, e condivisione con chi comprende la natura profonda della trasformazione interiore…. è un viaggio per imparare a vedere il mondo da mistici attraverso una lente senza tempo che percepisce al di la della ragione.

Carolin Myss.

Tante volte sentiamo una “chiamata” che ci dice “fai qualcosa per te”, prenditi tempo per te stesso, dedicati uno spazio speciale, trasformati e lavora sulle tue energie, cerca il meglio di te dovunque sia “nascosto”.

Il problema è che la risposta a questa “chiamata” viene soffocata dal vivere quotidiano, dallo stress, o dal non trovare “compagni di viaggio” e veri Maestri per affrontare un percorso di trasformazione in un clima piacevole e sereno, o dal non sapere letteralmente come farlo e dove farlo.

Altre volte, ancora peggio, l’orgoglio e la rabbia chiudono questa voce e la soffocano. La voglia di vedere che cosa può esserci oltre il muro, oltre a ciò che facciamo, rimane soffocata, ma pulsa, ed esige ascolto per non diventare malattia.

Quando siamo arrivati in fondo, o ci sentiamo in un momento di svolta e vogliamo cambiare pagina, vogliamo un percorso di cambiamento totale, un percorso che ci metta in grado di conoscere noi stessi e il nostro potenziale,  che sino ad ora abbiamo messo a disposizioni di altri, di tutti tranne che per noi stessi.

Quando avremo deciso di non essere più disposti a vivere a pieno sentiremo la chiamata, e capiremo che non siamo più disposti a vivere un altro giorno senza “me stesso” al centro della mia vita, nella bellezza, nella gioia e nell’armonia.

The Call™ è un percorso formativo che ho sviluppato per chi vuole iniziare un percorso di conoscenza e di profondo cambiamento e, con l’aiuto di seri professionisti, fare passi avanti.

The Call si basa su un metodo scientifico bioenergetico e di neuroscienze, e non richiede di “crederci” o di “non divulgare ciò che si fa” ma anzi al contrario si invitano tutti a leggere, studiare, capire ciò che si fa e perché lo si fa, e divulgarlo. Questa è la differenza tra una “Scuola del Potenziale Umano” e una setta.

Il metodo del potenziale umano alla base del lavoro è supportato da un’enorme letteratura e ai partecipanti vengono fornite letture, ma le sole letture e concetti, senza esperienza applicativa, sono nulla.

In particolare, l’interno Modello di Potenziale Umano HPM è esposto nel volume  “Il Potenziale Umano” di Daniele Trevisani.

metodo-hpm-daniele-trevisani

Ciascuna di queste “celle” o stati viene esplorata e potenziata con azioni allenanti specifiche.

Gli ingredienti per un’esperienza trasformativa, così ben esposti da Myss, sono oggetto di questo approccio esperienziale.

Articolo Copyright. Dal libro Psicologia della libertà. Liberare le potenzialità delle persone di Daniele Trevisani, edizioni Mediterranee, Roma

https://youtu.be/yJ-hcFgKyAE

 

Sondaggio: è possibile cliccale le categorie esistenti o inserirne di nuove. Dopo aver messo le proprie preferenze (è possibile anche inserirne di nuove) con “view results” potrai vedere le % delle risposte complessive finora avute.

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In qualsiasi situazione siamo, dobbiamo riconoscere in che zona mentale stiamo operando. Ogni zona ha le proprie peculiarità, vantaggi e svantaggi, rischi e opportunità. Ma la consapevolezza del “dove siamo” e del “dove stiamo andando” è obbligatoria, necessaria per chiunque voglia lavorare seriamente sul proprio potenziale personale.

© Dal testo

Il potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance

Franco Angeli, Milano.

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Ognuno vuole evolvere, ma vi sono diversi modi per farlo. In generale, i tipi di percorso evolutivo principali sono:

  • la progressione naturale: un dono di pochi eletti, in quanto consiste nel la­sciare che la forza naturale dell’auto-evoluzione faccia il proprio corso. Pur­troppo i fattori ambientali sono spesso talmente forti da impedire che questo accada. All’interno di una experience engineering, tuttavia, possia­mo fare in modo che la persona diventi più abile nel trasformare eventi quotidiani in esperienze di crescita, più capace di elaborare e apprendere dal proprio flusso di esperienze quotidiane (fattore meta-formativo: imparare ad apprendere dagli eventi);
  • esperienze sintetiche di sensibilizzazione: brevi momenti di inquadramento, “apertura di canali di riflessione”, di un’ora, una giornata, o poco più, lettura di materiali stimolo come papers, libri, materiali audiovisivi, col­loqui stimolo, sessioni maieutiche, incontri di coaching, e altri formati es­perienziali brevi; questi momenti sono utili soprattutto alla sensibilizzazione ma non sono equiparabili alla costruzione di un percorso serio e continuativo; all’interno di una experience engineering hanno lo scopo im­por­tante di (1) gettare semi concettuali, affinché l’individuo possa prosegui­re una elaborazione interiore e (2) offrire punti di partenza o link (colle­ga­menti) per poter continuare, da quel link, ad esplorare in autonomia nuovi contenuti;
  • esperienze di sviluppo di lungo periodo: progetti e percorsi di training, coaching e mentoring annuali e pluriennali, condotti attraverso una “regia” di più interventi, cadenzati in specifiche sessioni, divisi in macro-cicli e mi­cro-cicli. Spesso, questo modello utilizza un’alternanza tra sessioni di consulenza (per focalizzare gli obiettivi e fare il punto) e sessioni formative, per introdurre concetti e abilità. Gli stimoli sono basati su uno o più mo­delli di intervento, con sinergia tra diversi ambiti di azione e con più tar­get di sviluppo. Questa fase è la vera zona in cui si esplicita una compiu­ta ingegneria formativa ed esperienziale, produttiva di effetti.

In generale, ogni scuola di coaching, formazione, istruzione, o terapia (se ha solide basi scientifiche) ha sviluppato un proprio metodo di riferimento per predisporre percorsi, e si ispira ad un modello-base condiviso da chi si riconosce in quella scuola di pensiero.

Disporre di un modello di riferimento genera dei pro e dei contro. I pro sono la disponibilità di strumenti rodati e di esperienze. I contro sono la chiusura entro il modello, tale che ogni scuola di pensiero alternativa o diversa sia considerata semplicemente inferiore o peggio da screditare.

Questa deriva autocentrante (mettere la propria scuola al centro di tutto,e svilire le altre) è pericolosissima e cerchiamo di combatterla in ogni modo.

L’esigenza di disporre di un metodo ha portato i miei interventi a costruire un principio generale aperto, un metodo interdisciplinare di Regie di Cambiamento™, che comprende sotto-modelli come lo Human Performance Model (HPM), metodi sviluppato nelle nostre esperienze di ricerca e di coaching per dare struttura consistenza ai percorsi di crescita personale e/o organizzativa.

Nel progetto sulle Regie di Cambiamento sono stati inquadrati diversi tipi di stimolazione formativa, che corrispondono a spazi di azione in cui le persone si muovono:

Figura 9 – Zone stimolo e gli effetti sul potenziale personale

In questa sede vogliamo esaminare il rapporto tra le zone e l’ingegneria dell’apprendimento (Learning Experience Engineering).

Il compito delle azioni di sviluppo del potenziale è allargare la zona operativa e accedere con nuove risorse alla zona che prima era proibita. Il senso sottostante non è quello di trasformare un essere umano in un robot privo di emozioni, ma di permettergli di essere ciò che può essere rimuovendo ostacoli e barriere, e accedendo pienamente alle sue risorse non ancora coltivate e trasformate in energie disponibili.

Una larga parte degli esseri umani ha il potenziale fisico, alla nascita, di arrivare a livelli atletici olimpionici, o ricercatori eccellenti, se il potenziale viene coltivato, e lo stesso soggetto potrà invece ridursi in condizioni di quasi totale abulia in condizioni diverse e negative.

Anche sul piano intellettuale, una stragrande maggioranza degli esseri umani che vedono la luce sul pianeta ha la possibilità e le basi genetiche per avvicinarsi a livelli di pensiero ed umanistici molto elevati, ad esempio laurearsi e pluri-laurearsi, essere creativi, sviluppare pensiero strategico e problem-solving di alto livello.

Una piccola frazione di persone tuttavia vi riesce, largamente a causa del clima psicologico che incontra, favorevole o sfavorevole all’autoespressione e alla crescita. Questi blocchi diventano poi auto-convinzioni, ed il circolo si chiude a spirale in un crescendo di auto-impoverimento.

Il ruolo di un professionista del potenziale umano consiste soprattutto nel costruire il clima psicologico adeguato allo sviluppo di sé, e orchestrare azioni stimolo entro una ingegneria degli stimoli che tocchi tutte le aree della crescita personale e professionale.

La noia, non subita ma adeguatamente “ingegnerizzata”, può essere utilizzata per fasi di “scarico” o recupero, la zona di comfort è utile per consolidare competenze, la zona di sfida per “produrre adrenalina”, stimolare e aumentare l’acquisizione di nuove risorse, la zona di over-reaching è utile per fare i conti con se stessi e la realtà, capire dove sono i limiti, fare “stretching” e “incursioni guidate” su aree prima proibite, ampliare gli orizzonti.

© Dal testo

Rimuovere l’ansia nel parlare in pubblico grazie al “Frame Shift”. In cosa consiste? Consiste nello spostare completamente l’atteggiamento mentale dal “devo fare bella figura” al “cosa voglio aiutare il pubblico a capire?”

Nella modalità “devo fare bella figura”, al centro della scena ci sono io, si innesca l’ansia da prestazione, mi sento sotto i riflettori, giudicato, imbarazzato. Penso di “dover fare”, il piacere del fare sparisce sino a diventare un dovere.

Nella modalità “relazione di aiuto” mi motiva il fatto di voler far si che il pubblico capisca un certo concetto che voglio trasmettere, al di la della bella forma, al di la dei riflettori o dell’ambiente, io sarò contento quando sono riuscito ad aiutare il pubblico a capire quel concetto o riflettervi.

Si tratta di un cambiamento epocale, un “salto di paradigma” che fa praticamente sparire l’ansia di stato (l’ansia legata all’evento). Se persiste ancora ansia, quella è probabilmente un’ansia di sfondo, un’ansia “di stato”, che va trattata con il Counseling e la Psicoterapia, o con un Coaching, soprattutto attoriale e agito, per sbloccare il meccanismo sino alla massima fluidità.

Video tematico sul parlare in pubblico senza ansia concentrandosi sulla relazione d’aiuto

Perchè può persistere un senso di inadeguatezza nel parlare in pubblico anche dopo tanti corsi? Passare dal concetto di prestazione alla “relazione d’aiuto” verso l’audience, fare un cambio di paradigma (frame shift) L’ansia nel parlare in pubblico può essere superata. Come superare l’ansia nel parlare in pubblico? Cambiando l’atteggiamento di fondo, concentrarsi sul perchè voglio dire quella cosa, anzichè sul come la dirò e andare diritti al cuore delle persone con un messaggio che sentiamo dentro e vogliamo che anche gli altri sappiano

 

https://youtu.be/hP7wpfOB7kA

Un approfondimento derivato dal libro Self-power. Psicologia della motivazione e della performance, con note inedite dell’autore, Copyright © di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano.

Emozioni Alfa ed Emozioni Beta

In ogni momento in cui ci esponiamo può scattare un’emozione, un’attivazione. Questo non è male, se l’emozione è positiva, il senso vibrante di fare, di agire, di esistere, di confrontarsi. Quando si colora di nero, quando l’attivazione si associa ad emozioni negative, abbiamo invece l’ansia.

 

Emozioni Alfa ed emozioni Beta

Un approccio che centri il fronte emotivo di come una persona vive gli obiettivi, deve procedere verso due specifiche aree di analisi

le emozioni viscerali che sento verso un certo effetto o end-state: sento davvero mio un certo obiettivo? Lo sento come qualcosa che mi tocca davvero? Provo passione per un certo obiettivo o lo vivo come uno dei tanti momenti che mi tocca fare, o un momento obbligato? Lo sento importante per i miei valori?  Quanto? Voglio davvero vedere quel risultato finale raggiunto? Mi attiva emotivamente l’immagine di un certo risultato? La situazione che voglio si produca è davvero importante per me? O è un risultato più o meno burocratico, che non mi cambia la vita, che non mi attiva veramente? Denominiamo qui le emozioni verso l’obiettivo emozioni alfa.

Le emozioni che provo per le azioni necessarie (operations), le attività quotidiane, o i singoli step di un percorso. Mi annoiano le operazioni intermedie e vorrei solo vedere il risultato finale raggiunto? Provo invece piacere dell’azione, gusto del fare e dell’agire? Le operations mi annoiano o mi energizzano, le vorrei saltare o “guai a chi me le toglie”? Denominiamo qui le emozioni che accompagnano l’azione emozioni beta.

Il senso che le emozioni Alfa, quelle verso il lo scopo finale,  è ben espresso nella seguente metafora:

‎”Se vuoi costruire una nave non devi per prima cosa affaticarti a chiamare la gente a raccogliere la legna e a preparare gli attrezzi;

non distribuire i compiti, non organizzare il lavoro…

Ma invece prima risveglia negli uomini la nostalgia del mare

lontano e sconfinato.

Appena si sarà risvegliata in loro questa sete

si metteranno subito al lavoro per costruire la nave”.

(Antoine-Marie-Roger de Saint Exupéry)

Il leader o motivatore che  riesce a far visualizzare e apprezzare il risultato finale atteso, potrà generare motivazione autonoma.

Questa è una delle due strade.

Immaginiamo un vetraio di Murano, a Venezia, intendo nel produrre bicchieri artistici. Quanto è importante per lui arrivare a fine giornata ad avere prodotto X bicchieri (emozioni alfa)? Quanto sono importanti il gesto del produrre il bicchiere, del soffiare dentro alla cannuccia, del vedere il bicchiere prendere forma? Sono attività di per se gratificanti (emozioni beta)?

O ancora, esaminiamo il lavoro di un pittore. È mosso dal piacere di usare la tela e i colori, dall’idea di trovare un luogo o soggetto che lo ispira, o ogni singola attività gli è di peso e vorrebbe vedere il quadro finito prima possibile?

Ogni artista vive in modo diverso sia l’effetto da produrre (il quadro) che il modo di produrlo (le operations).

Le sfumature in questo campo sono molteplici.

Anche un pilota di aereo intento in una missione di salvataggio vive due momenti emotivi: sia voler vedere raggiunto un certo risultato strategico finale a cui contribuisce con la sua missione (salvare la persona), oppure essere ammaliato dal piacere del volare, energizzato dalle operazioni di volo, dall’adrenalina dell’azione, al di la degli effetti che l’azione avrà (essere parte di un processo).

Possiamo avere persino casi in cui non interessi assolutamente il perché della missione (emozioni alfa azzerate) ma interessi unicamente il fatto di farla bene, il piacere che si prova durante,  la totale gratificazione che accompagna il gesto (emozioni beta massimizzate).

Io non mi sono mai sentita tanto viva come dopo una battaglia dalla quale sono uscita viva e indenne. […]

È dopo aver vinto quella sfida che ti senti così vivo.

Vivo quanto non ti senti nemmeno nei momenti più ubriacanti di gioia o nei momenti più travolgenti d’amore.

Oriana Fallaci, da Accetto la morte ma la odio, 2006

Chi ha praticato boxe o arti di combattimento lo sa bene. Usciti dal ring e dopo una doccia sembra di avere un’altra occasione per vivere. Sembra che il mondo, prima ostile, sia diventato un posto migliore. Questa è una delle gratificazioni maggiori di chi fa sport estremi.

Ma entriamo nel mondo del lavoro, analizziamo le performance di un venditore: le emozioni alfa si attivano nel volere fortemente il risultato finale (vedere la vendita conclusa), le emozioni beta si attivano quando il venditore è emotivamente e positivamente coinvolto nella trattativa di vendita, nella strategia di preparazione, vede le trattative  in sé come attività comunicativa e persuasiva interessante, come relazione di aiuto, o come sforzo di condivisione, o come esercizio di tattica e strategia, come sfida con se stesso, o come palestra del proprio stato o condizione mentale (attivazione delle emozioni beta).

Lo stesso per uno scrittore: siamo attivati unicamente dall’idea di vedere il libro finito, o si prova piacere nello scrivere? Se nessuna delle due aree attiva la persona, non avremo mai uno scrittore compiuto. E  non avremo mai un buon libro.

Trattare di performance, di effetti da produrre, e di operazioni tattiche, tocca inevitabilmente il fronte delle emozioni soggettive.

Posso avere emozioni alfa plurime – più di una motivazione – verso la meta, ed emozioni beta plurime – più di una sensazione positiva collegata all’azione.

Per esempio, un formatore può avere emozioni alfa plurime se è interessato al compenso economico del suo lavoro, ma anche al vedere un corso terminato, e ad avere trasmesso bene i concetti che voleva lasciare. Allo stesso tempo può avere emozioni beta plurime: il piacere di avviare un contatto umano ad inizio attività, il piacere di vedere le persone all’opera durante, il gusto di un lavoro che scorre fluido e con un clima positivo.

Così come si arrabbierà quando qualcuno si comporta con maleducazione verso il formatore, verso altri studenti e verso la sacralità del momento formativo. E glielo dirà. Senza paura.

Agirò senza paura ogni volta in cui vorrò dire qualcosa in cui credo…

Daniele Trevisani

Copyright © dal libro Self-power. Psicologia della motivazione e della performance, con note inedite dell’autore, Copyright ©

Lo stato di “flow” o “flusso” nelle performance. Avviene quando si è totalmente immersi nell’azione, resistendo a qualsiasi forma di giudizio di approvazione e disapprovazione, sostenuti dalla resilienza emotiva.

https://youtu.be/Os_e78Oc0OA

Queste competenze del Potenziale Umano si apprendono solo in un coaching umanistico, che non nasconde le nostre debolezze, valorizza il nostro sapere e saper fare, le nosre potenzialità compresse, lavora in profondità sul nostro essere e sentire, indidualmente e nei gruppi

Approfondimento

© Dal testo Il potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance

Lo stato di flusso (flow) e le esperienze di flusso (flow experience)

Lo stato di flusso (flow) è caratterizzato dal procedere di una azione o serie di azioni che “scorre liscia”, in cui tutto avviene perfettamente (non necessariamente senza ostacoli, ma spesso con ostacoli anche forti che vengono superati), in cui vi è la netta sensazione di controllo sugli eventi ed un senso di euforia e potenza accompagnato da una forte felicità interiore e benessere.

La condizione che ne deriva è simile all’esperienza di qualcosa che scorre bene, un fluire (flow experience) che si deposita in memoria e al quale si può imparare ad attingere per migliorare se stessi, il proprio benessere e le prestazioni/esperienze future.

Lo stato di flusso non è una condizione puramente atletica o prestazionale, ma essenzialmente esistenziale. Può entrare in ogni condizione di vita, negli elementi e momenti più vari, quali l’esperienza di leggere un libro o di vedere un tramonto o di conversare attorno ad un tavolo, sciare, giocare a calcio, combattere, meditare, o nell’insegnamento, o nel sesso. Ogni stato esistenziale può essere vissuto in condizione di flusso.

Lo stato di flow può essere sperimentato dagli atleti durante alcuni allenamenti (non in ogni momento, e non da tutti gli atleti). Può emergere anche nella vita di relazione, in un comunicatore durante un discorso (o docente durante una lezione), nel momento in cui senta che il pensiero fluisce con energia, l’espressività si sblocca, si apre un magnetismo speciale sulla platea e il pubblico lo segue intensamente.

Ancora, può sperimentare lo stato di flusso una coppia, durante atti amorosi o momenti particolarmente romantici, o in atti sessuali vissuti come scambi di emozioni e non come prestazioni ginniche.

Ancora, può sperimentare questo stato un terapeuta che riesca a stabilire una netta empatia con il cliente e a far emergere qualcosa di buono (scoperte, insights), durante la seduta.

In campo sportivo, osserviamo un brano è utile per analizzare come lo stato di flusso sia aiutato da rituali preparatori, e capire quanta “presenza mentale” sia raggiunta dall’atleta in questo stato. Si evidenzia inoltre la grande capacità di “contatto con se stessi”, di auto-percezione:

I Quadricipiti secondo Rühl. Esercizio n. 1: Squat.

Quando sento di essere riscaldato a fondo e sono ansioso di cominciare, vado dritto alla rastrelliera per gli squat, senza pensare ad altro che alla percezione di decine di chili sulla schiena e a contrarre i quadricipiti scendendo fino al pavimento, gonfiandoli fino a farli raddoppiare di volume.

Mi assicuro sempre di controllare bene il movimento, di tenere la schiena dritta e gli addominali tesi. Non mi sbilancio mai in avanti né utilizzo la zona lombare come leva. Salendo e scendendo, spingo il carico sfruttando il perfetto asse di potenza che attraversa il centro del torace, il centro del bacino, il centro dei quadricipiti e il centro dei talloni. Nel primo set cerco di ottenere un forte bruciore muscolare, per assicurarmi di aver stimolato la zona giusta, eseguendo anche 30 ripetizioni se necessario.

Dopo aver allungato e strofinato i muscoli per eliminare in parte l’acido lattico, aggiungo un’altra piastra per lato e ricomincio daccapo, sempre in con una tecnica di esecuzione perfetta, per inondare i quadricipiti di sangue. Nel frattempo, Marc Arnold, mio amico di lunga data e training partner, continua ad urlarmi di rimanere dritto, di tenere i muscoli contratti, di pompare, di fare un’altra ripetizione. Se c’è qualcuno che riesce a darmi la spinta giusta, quello è Marc.

Ora il tempo e i numeri non esistono più. Continuo semplicemente ad aggiungere pesi e a contrarre i quadricipiti, scendendo molto, in modo da sentire la forza sempre più esplosiva nei muscoli interessati. Tra un set e l’altro, me la prendo comoda: non passo al set seguente se prima non riesco a percepire di nuovo i quadricipiti e a sentire che c’è ancora spazio per un nuovo afflusso di sangue. Seguo questo schema per almeno dieci set, spesso dodici, fino a raggiungere il cedimento dopo tre ripetizioni nell’ultimo set. A me piace allenarmi così[1].

Ora il tempo e i numeri non esistono più”, sostiene il campione mondiale Rühl, e da quel momento inizia lo stato di flusso.

Questa esperienza di perdita completa del senso del tempo e dello spazio, l’immersione totale nell’esperienza, assume tratti comuni e trasversali sia nelle attività sportive ad alto tasso di “passione e immersività” così come può prodursi in attività lavorative, o in attività creative (dipingere, suonare), sociali (stare assieme, conversare), sentimentali (sognare assieme).

Può riguardare sia attività fisiche in rapido movimento che attività statiche quali l’ingresso in una meditazione profonda e ben riuscita, o attività di modesta entità fisica ma alta passionalità, quali una partita di carte.

Si può sperimentare lo stato di flusso durante la scrittura di un libro o di una lettera, o la stesura di un disegno, quando parole, segni ed idee sembrano uscire da sole senza sforzo. Al contrario, il blocco del flow viene vissuto come la “pagina bianca” (il vuoto da cui non si sa come muoversi) o una “pagina nera”, densa di ansia, di emozioni negative, in cui ogni gesto costa fatiche immense, e persino l’inizio sembra opera ciclopica.

Il flow può essere vissuto anche durante un momento di abbandono completo ad un massaggio, in cui il tempo sembra fermarsi. I pensieri estranei e le ruminazioni mentali che interferiscono con la concentrazione sull’atto, impediscono al flow di manifestarsi. Imparare a bloccarli per vivere a pieno le esperienze è difficile ma può essere appreso. E tutto questo è complicato dal fatto che non si tratta di un apprendimento che si ottiene una volta per tutte. Esso può sparire in determinate condizioni e rilasciare spazio al pensiero invasivo e alla ruminazione mentale che interferisce.

Apprendere a generarlo anche in condizioni difficili è una vera conquista e un percorso umano sacro per il quale le culture occidentali sono decisamente impreparate. È quindi anche una sfida didattica e pedagogica per un’umanità migliore.

Lo stato di flusso è un “momento magico” che rappresenta più l’ecce­zio­ne che la norma. Vi sono persone che non hanno mai sperimentato lo stato di flusso in tutta una vita, altre che non lo vivono da almeno dieci anni, immersi fino al collo in problemi, in disagi esterni e auto-creati, o da uno stile di vita o approccio culturale/cognitivo sbagliato.

Trovare lo stato di flusso spesso, idealmente all’interno di ogni giornata e prestazione fisica o comunicativa, è l’obiettivo di una pratica energetica e professionale seria che non abbia l’unico scopo di “arrivare a sera in qualche modo”.

[1] Ruhl, M. (2002), Quadricipiti bestiali, Flex, giugno, n. 44, p. 78.

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Stesso brano, estratto dal film “Il Violinista del Diavolo”, Paganini a Londra, sottotitoli in Italiano e Spagnolo

https://youtu.be/Os_e78Oc0OA

© Dal testo Il potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance

Esempio di cantante in totale immersione nel suo stato di flusso, cantando ad occhi chiusi

Per migliorare l’azione di contrasto e gestione dello stress, in chi vuole sviluppare performance e avanzare nel potenziale personale, è indispensabile localizzare alcuni tipi specifici di stress. Il modello HPM permette di far emergere alcune tipologie specifiche.

Le 6 tipologie di Stress sono ufficialmente citabili, previa citazione della fonte originale. Identificate dal dott. Daniele Trevisani in base a studi specifici su manager e atleti, sono pubblicate nel testo “Il Potenziale Umano” edito da Franco Angeli editore, Milano.

tipologie di stress - i diversi tipi di stress

Stress di tipo 1 – Stress bioenergetico (stress corporeo e fisiologico)

Riguarda la presenza di un compito o stile di vita che risulta troppo gravoso rispetto alle energie organismiche, fisiche, biologiche.

Tra questi: dormire troppo poco rispetto alle esigenze personali, alterare ripetutamente i ritmi sonno-veglia, svolgere lavori che impegnano eccessivamente alcuni apparati senza sufficiente tempo di recupero (es: apparato visivo), intasarsi di sostanze tossiche (fumo, alcool, cibi spazzatura, farmaci, smog e altro) senza valutarne le dosi e/o senza purificarsi o contrastare i “veleni” con sostanze riparanti o curative (integratori, cibo di qualità, aria sana, rigenerazione fisica).

Lo stress bioenergetico eccessivo e cronico emerge sia in casi di fatica acuta, oltre la soglia di riserva, che come forma di affaticamento cronico o fatica cronica, e va ad intaccare negativamente lo stato psicoenergetico, la volontà, la motivazione, e persino la sicurezza di sé, sino a distruggere progressivamente la salute fisica.

Stress di tipo 2 – Stress psicoenergetico (energie mentali)

Si verifica ogniqualvolta le risorse mentali necessarie sono superiori a quelle disponibili e attivabili. Tra i casi, citiamo la condizione in cui vi sia un compito da svolgere che richiede energie motivazionali superiori a quelle disponibili, ruoli che il soggetto non sente come propri, o ancora manca la linfa vitale del sostegno del gruppo, o vi sono troppe persone che drenano le energie mentali rispetto a quelle che invece apportano energie all’individuo.

Fanno parte dello stress psicoenergetico anche le crisi di ansia (timore e attivazione negativa, generalizzata o specifica per situazioni) e le crisi di senso (perdita di un riferimento o significati nel proprio orizzonte).

Ad esempio, uno studente di chirurgia che non sopporti la vista del sangue e stia studiando medicina su pressione dei genitori si sta sottoponendo a stress psicoenergetico forte. È stress andare a lavorare in un ruolo che non piace e non si sente proprio. È stress fare nel lavoro ripetutamente un’azione in cui non si crede, ad esempio, per un venditore può essere stress ascoltare il cliente, se non crede fermamente nel valore dell’empatia ai fini della vendita.

È stress psicoenergetico ogni lavoro svolto malvolentieri, ogni relazione obbligata, non voluta o desiderata, forzata, ogni situazione emotiva che non corrisponde ai desideri.

Tali situazioni sono sicuramente comuni, ma la condizione di stress si manifesta proprio nel divario tra risorse energetiche in grado di attivarsi per far fronte (almeno momentaneamente) alla situazione, e il compito stesso.

Le tecniche di training psicoenergetico possono incidere favorevolmente sulla capacità di metabolizzare gli stressor, sulla sopportazione, flessibilità, capacità di straniamento e distanziamento, capacità di contestualizzazione degli eventi, sino alla superiorità esistenziale.

Stress di tipo 3 – Micro-stress (gap di micro-competenze)

Ogni task o sfida si correla a precise micro-abilità. Quando diciamo “c’è qualcosa che mi sfugge, ma non so bene cosa” stiamo incontrando un esempio di micro-stress. Lo incontriamo anche sul piano dei gesti meccanici, quando le micro-abilità legate all’esecuzione fisica di un compito non sono sufficientemente possedute e interiorizzate. Quando succede,  l’individuo deve aumentare lo sforzo di esecuzione, consuma e assorbe più energie, a volte nemmeno questo risulta sufficiente e l’azione fallisce.

Le abilità che sono invece completamente possedute si esprimono con naturalezza, richiedono meno sforzo, e producono meno stress.

Lo stress nelle micro-competenze comprende fattori sfuggenti, micro-dettagli, imperfezioni operative, che creano un divario tra esecuzione ottimale di una performance e esecuzione reale.

È spesso il risultato di azioni formative che si fermano troppo presto rispetto alla reale esigenza.

Stress di tipo 4 – Macro-stress (stress di ruolo, stress esistenziale)

Consiste in disallineamenti nei profili professionali e di competenze, scostamenti tra proprio portfolio di competenze, ruolo atteso e ruolo ricoperto.

In azienda, si manifesta come crescente difficoltà nel dare una contribuzione reale, nella difficoltà a sviluppare risultati e generare valore.

Possiamo avere un macro-stress di competenze quando il ruolo viene cambiato senza adeguata formazione, o quando lo scenario evolve con una rapidità tale da rendere vecchio il patrimonio di conoscenza acquisito sinora.

Si verifica quindi un’obsolescenza delle competenze quando i nostri saperi diventano pressoché inutili rispetto alle esigenze nuove, attuali, mutate. Questo produce entropia delle competenze, uno stato di disordine o caos nei profili professionali.

Di forte interesse per il coaching è soprattutto individuare e intervenire sulla dinamica di entropia delle competenze, termine da noi fissato per identificare l’erosione di valore e applicabilità del proprio bagaglio professionale, quando non viene svolta “manutenzione professionale” e formazione adeguata. Se gli scenari cambiano e si rimane fermi, questo equivale ad arretrare.

In condizione di entropia, un’organizzazione perde contatto con i fattori che generano il suo valore. Ad esempio, un centro di formazione che non sa fare didattica attiva, uno studio legale che non si aggiorna sulle legislazioni, un medico che non conosce nuove forme di terapia e nuovi farmaci, un’impresa familiare che resiste all’ingresso di un modello di gestione più manageriale anche quando il modello familiare non regge più, una squadra sportiva che non fa preparazione atletica.

Stress di tipo 5 – Stress progettuale (stress legato ai goal)

Deriva dal possesso di obiettivi e goal inadeguati, e comprende sia aspetti di ipo-stimolazione che di iper-stimolazione. Gli obiettivi possono essere troppi o troppo pochi, oppure mal definiti e imprecisi. Distinguiamo:

  • stress da iper-stimolazione: deriva da goal eccessivi rispetto alle risorse individuali, goal praticamente irraggiungibili (es.: tre, quattro progetti significativi contemporanei). È spesso il frutto di un coaching poco etico che ripete alla persona messaggi del tipo “puoi dare di più, devi fare di più, tu sei un leader, risveglia il leader che è in te”, e simili, ma non si prende il tempo necessario per formare veramente la persona;
  • stress da ipostimolazione: deriva da goal assenti, insufficienti come numero o grado di sfida, obiettivi di portata non sufficiente per attivare curiosità, interesse o motivazione, o superare la noia;
  • stress da eccesso di varianze temporali nei goal: avviene quando i goal variano troppo rapidamente, “cambiano le carte in tavola”, non consentendo al soggetto di attuare quanto previsto; troppi progetti si aprono e nessuno si chiude, ci si perde, si attivano energie su progetti che poi vengono dimenticati o dispersi nel caos organizzativo;
  • stress da molteplicità nelle definizioni e attese dei referenti: accade quando più persone si attendono goal diversi dalla persona; troppe persone creano attese e pongono richieste, e il soggetto non è in grado di rispondere simultaneamente ai diversi goal, o il rispondere ad un goal crea automaticamente soddisfazione in un referente e contrasto con un altro referente;
  • stress da offuscamento dei confini dei goal: avviene quando un soggetto non ha più chiaro cosa la sua struttura o organizzazione si attenda da lui/lei, cosa costituisca un goal e cosa non lo sia, cosa verrà apprezzato e cosa non sarà apprezzato;
  • stress da mancanza di riconoscenza: deriva dalla mancata gratificazione psicologica verso chi raggiunge il goal, o attua impegno consistenze: la mancanza di riconoscimento demotiva il soggetto sia nel presente che verso l’impegno futuro;
  • stress da difficoltà di canalizzazione: difficoltà a tradurre un ideale (sogno, visione) in una sequenza di azioni concrete, goal pratici, tale che il soggetto continua per lungo tempo ad essere attivato (volontà elevata) ma non riesce a tradurre l’energia in progettualità e azione;
  • stress da dissonanza tra aspettative interne concorrenti: è uno stress psicologico molto forte in cui ci si trova nella condizione di dover rispondere a più input interni ma in modo dissonante, tale che il perseguimento di uno porti al decadimento dell’altro. Si crea una forma di concorrenza nelle aspettative interne quando l’individuo non riesce a risolvere le tensioni psicologiche sottostanti e queste continuano a macerarlo o “torturarlo”. Ad esempio, per un padre di famiglia, il caso in cui le aspettative su di lui siano duplici e contrastanti: dover portare a casa più soldi e contemporaneamente essere più presente in famiglia; per una madre di famiglia: sentire pressioni per essere produttiva e di successo e contemporaneamente più presente come moglie e madre. Per un’azienda, classicamente, dover scegliere tra investimenti e taglio di costi.

Stress di tipo 6 – Stress legato alla vision e ai valori

Distinguiamo anche in questo campo:

  • stress da hyper-visioning non canalizzato: deriva dalla costruzione di obiettivi di lungo periodo eccessivi rispetto alle risorse individuali, praticamente irraggiungibili. Lo hyper-visioning (sognare e progettare in un orizzonte temporale molto lungo, o su sfide estremamente ambiziose) è una pratica positiva quando attuata entro confini personali e manageriali adeguati, e rappresenta invece una fonte di disagio se si trasforma in “ru­minazione mentale permanente” o insoddisfazione permanente. Sognare lontano e guardare lontano è positivo. Farlo e pretendere che tutto si avveri immediatamente no. La vision parla di sogni e ambizioni, e questo è positivo, ma se non vengono fatti i conti con la realtà essi rischiano di far male. La presenza nella vision di elementi decisamente eccessivi per le risorse individuali, vissuti come castrazione permanente, riduce la motivazione anziché aumentarla; ambizioni irraggiungibili che diventano non più motivatori in back­ground (positivi) ma ossessioni o afflizioni; deve essere chiarito se un tratto di vision si considera sostanzialmente riportabile all’area dei goal (vision raggiungibile) o invece come visione puramente ispirativa;
  • stress da hypo-visioning: un vissuto permeato da una mancanza di “senso delle cose”, o “senso del perché”, mancano desideri e traguardi nobili o significativi per il sistema di valori dell’individuo. La visione del futuro è imprecisa, manca un senso del “tendere a…”, gli obiettivi personali o aziendali sono confusi, o variano continuamente, manca un “faro” nella vita, un ideale cui tendere, viene meno una linea di tendenza e si perde il senso del percorso non capendo più per chi o per cosa affaticarsi, verso cosa tendere, per cosa darsi da fare;
  • stress da incoerenza tra valori individuali e valori dell’organizzazione: il soggetto non sente di poter aderire ai valori che percepisce nella realtà aziendale o del team di cui fa parte. Ed ancora: il soggetto percepisce uno scontro o un divario tra valori iniziali a cui ha aderito nell’entrare in azienda o nell’organizzazione, e i comportamenti reali che osserva in seguito e quotidianamente;
  • stress derivante dal conflitto tra scuole di pensiero, stress da diversità delle scuole metodologiche: spesso le scuole di provenienza portano con se precise visioni dell’uomo e valori di riferimento ben consolidati, cui le persone aderiscono. In ogni organizzazione si creano confronti (positivi) o scontri (conflittuali) tra scuole di provenienza delle varie persone. Si creano anche cordate aziendali, gang, bande interne, tribù, clan, e altre dinamiche di antropologia tribale dell’organizzazione. Lo stress deriva in questo caso dal dover operare entro modelli di valori e visioni che non si sentono propri. Es.: in una clinica, quando i diversi professionisti appartengono a scuole diverse e queste non trovano convergenze, collidono sul da farsi pratico sul paziente, e il medico o terapeuta può trovarsi a dover lavorare con metodi e prassi in cui non crede. Questo accade frequentemente anche nei sistemi educativi, scuola, università, aziende, e in ogni organizzazione.

Copyright, articolo di: Dott. Daniele Trevisani dal testo “Il Potenziale Umano” edito da Franco Angeli editore, Milano.

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Per approfondire, due video di supporto

Nel primo video, un breve commento su uno dei più grandi nemici dello stress: le competenze. Le competenze, professionali, relazionali, emotive, sono un enorme antidoto allo stress, e nel modello HPM si distinguono 2 diversi tipi di competenze, micro e macro competenze. Qui il video

https://www.youtube.com/watch?v=Xsa_iWMeR2A&t=18s

Un secondo grande antidoto allo stress è chiarire la propria “vision”, i propri ancoraggi nei valori, da cui far discendere azioni concrete, progetti reali che ci tengano impegnati nel “fare positivo”.

Qui il video con alcune tracce su questi argomenti, dal metodo HPM

https://www.youtube.com/watch?v=AWkTDqZfFK4

Con il corpo si fanno i conti solo quando va male, si ammala, o una parte di esso smette di funzionare bene. Cambiare la cultura del corpo per manager è fondamentale, per lavorare meglio, per vivere meglio, per essere migliori

La cultura dell’abitare in un corpo cui dai “attenzione” è stata persa man mano che il lavoro si è spostato sul piano intellettuale. Si crede, erroneamente, che un compito come essere manager sia un compito della mente, dimenticando che è un compito ampiamente dipendente dalle energie corporee a disposizione. Provate a dirigere con attenzione una riunione avendo mal di testa, e capirete immediatamente quanto questo sia vero. Vi è poi un altro capitolo, quello dell’effetto che ha un corpo forte e sano sull’auto-immagine. L’assertività e la pacatezza di un corpo sano e forte sono un connubio assoluto. La malattia o un corpo debole portano sempre con sè anche disturbi dell’umore, sino a vere e proprie distorsioni della personalità

Un approfondimento dal testo “Psicologia della Libertà“, edito da Mediterranee, Roma (Copyright)

Libertà del corpo (attenzione alla proria “bioenergetica”)

La libertà del corpo è qualcosa che si conquista. Persino imparare a camminare, o a mangiare da soli, è una conquista e deve essere letteralmente “imparata”.

Se poi vogliamo essere liberi di correre o fare sport impegnativi, allora è davvero il caso che per ottenere questa libertà, mettiamo il corpo, il nostro corpo, al centro di un serio piano di allenamento, alimentazione, recupero, e lo trattiamo come macchina delicata, evitando di romperlo.

Qui diventa fondamentale distinguere tra stimoli allenanti (un buon allenamento, anche duro, e progressivamente impegnativo, fa bene) e stress inutili (intasarsi di smog, di stress relazionale, di climi tossici, non fa bene, mai).

La libertà corporea è condizionata dalle nostre credenze e abitudini sul funzionamento del corpo e del rapporto corpo-mente. Questo sfondo di conoscenze è spesso viziato da enormità di errori e informazioni dissonanti assorbite dalle fonti più disparate, riviste, media, amici, parenti.

Rispetto al corpo, esiste ogni tipo di atteggiamento e il suo contrario, per cui andiamo dai vegani che rifiutano ogni fonte di cibo legata agli animali (definendo il latte “sangue bianco”), ai fan delle proteine ad ogni pasto (mangio ogni cosa che abbia due occhi e un naso), dai fautori dello yoga del respiro ai praticanti di Mixed Martial Arts e dell’allenamento estremo. E non sto giudicando queste discipline, ne pratico parecchie. Ma è bene essere coscienti di cosa si fa con il proprio corpo e di quali effetti ne verranno.

Per cui, spendiamo tempo a curare la nostra macchina corporea, alleniamola, curiamola, diamogli attenzione. Ci ripagherà!

Mai dare per scontato niente. Un buon coach, deve verificare eventuali squilibri sul piano corporeo e biologico che impediscono all’individuo di avere un corpo libero, flessibile, sano, e uno stile di vita in cui il corpo va usato, gli va fatta manutenzione, va curato, e non solo abusato.

La libertà è anche alzarsi sulle proprie gambe e avere un corpo che ti porti dove vuoi e non ti faccia da ostacolo o palla al piede. E per quanto la vecchiaia, gli handicap, le malattie, non aiutino, l’attenzione al corpo e il lavoro allenante ha sempre una sua dignità, in qualsiasi condizione si sia.

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Di seguito, 2 video dal mio canale youtube (cui suggerisco di iscriversi) dove approfondisco alcuni punti chiave, ricordando che questo è solo un accenno ad un metodo di Coaching da me sviluppato (HPM – Human Potential Modeling), di cui trovate trattazione completa nel testo “Il potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance” edito da Franco Angeli, Milano), pioniere tra le metodologie di coaching olistico comprendente sia dinamiche mentali e sviluppo professionale, ma anche una forte attenzione alle dinamiche corporee.

https://youtu.be/iMYLCOSewwo

 

https://youtu.be/POAPOIU3BJw

Metodo HPM e Attenzione alla macchina corporea, stile alimentare, recupero, sonno, centralità del corpo
Qualche consiglio per rimanere in contatto bene e trovare risorse utili connesse a questo progetto:
1. al blog https://studiotrevisani.it/ metto anticipazioni, estratti e novità, derivate dai libri che scrivo ma anche ad anticipazioni su temi di ricerca che anticipano di parecchio quello che uscirà sul mercato tra anni. Per iscriversi basta entrare e cliccare “segui il blog.”
2. Su Linkedin (ottimo e da me preferito) Indirizzo Linkedin: http://it.linkedin.com/in/danieletrevisani e il gruppo speciale Formazione, Coaching e Training, Comunicazione, Potenziale Umano, Risorse Umane, Management https://www.linkedin.com/groups/6501418
3. Qui vedi tutti i libri che ho scritto https://www.ibs.it/libri/autori/Daniele%20Trevisani – scrivere è una grande passione
4. Ti posso mandare la rivista di formazione, online, gratuita, di cui vedi un esempio qui https://studiotrevisani.it/2018/05/12/rivista-di-formazione-e-sviluppo-personale-e-dei-team-maggio-2018/
5. Se ti fa piacere ti invito alla presentazione del prossimo libro – qui c’è un modulo e a chi si iscrive posso mandare inviti riservati http://eepurl.com/b727Pv
6. Video sul canale youtube http://www.youtube.com/c/dottDanieleTrevisani – se ti vorrai iscrivere, ottimo
(ps. se cerchi Daniele Trevisani su google, vedrai tanti altri contenuti)
Un caro saluto Daniele.

Emancipazione e Sviluppo Professionale. Una questione di “memetica”

Copyright, estratto dal libro Psicologia della Libertà, Edizioni Mediterranee, Roma

Il Life Coaching è una grande forma di emancipazione di sè in cui la persona cerca di ri-tarare, con un supporto professionale, la direzione della propria vita, il suo approccio al corpo (da oggetto quasi inutile, a risorsa preziosissima) e gli stili di pensiero che usa, sino a dettagli fondamentali. Tra questi, allargare e selezionare la gamma delle fonti informative e comunicative che usiamo, facendo pulizia netta da stili mentali disfunzionali e cercando attivamente stili di pensiero utili, decisivi, che portino una capacità assertiva di attacco ai problemi, o capacità di rilassamento, meditazione e unione con valori universali.

Viviamo per riprodurre non solo DNA ma anche “memi”, tracce mentali, e di questo processo vogliamo essere non gli spettatori ma i protagonisti. Il meme, a sua volta ricavato dal greco mímēma ‘imitazione’, tende a replicarsi, e noi siamo sia vittime di questi virus (riceventi) che agenti virali (emittenti).

Assorbiamo idee e poi le emettiamo. Vogliamo finalmente imparare a filtrare le idee in ingresso e stare allerta sul fatto che quelle che esprimiamo siano davvero nostre, e non ci limitiamo a fare da grancassa ad idee altrui?

La “memetica” o scienza delle idee, ci ricorda che noi siamo anche responsabili di andare a caccia attivamente di “memi” buoni (concetti, pensieri, idee), in qualsiasi campo dell’espressione umana e della natura: un giornale, un libro, un programma televisivo, un sito web, un canale digitale, un tipo di musica, un paesaggio – e stare alla larga e anzi depurarci da “memi tossici”.

È ovvio che la memetica per il suo potere rivoluzionario sia non solo poco studiata ma anche ostacolata dalle accademie e potentati politici.

Questo comporta per noi una responsabilità etica, di incidere su cosa leggi e cosa guardi, come ti informi, a cosa presti attenzione, e anche un grande intervento di Coaching sul “Comunicare”.

Sappiamo di esistere e vogliamo – istintivamente – metterci in contatto con altre creature viventi. E’ nel nostro DNA, scritto nei geni.

Questa parte della vita è chiamata “comunicazione interpersonale”.

Ma presto scopriamo che le nostre idee non vengono capite immediatamente, l’altra “persona” sembra non capire o non capire fino in fondo, o non gli interessa assolutamente niente di noi, come se tra di noi ci fosse una barriera, e quella barriera esiste.

Si chiama “incomunicabilità”, e qualche livello, chi più chi meno, tocca tutti i rapporti.

Per cui anziché maledirla, scopriamo che lavorare su di sè, sulla propria mente, sul proprio corpo, sulla propria efficacia nella comunicazione, è importante.

E allora, serve la grande dote coltivabile del continuare a crederci.

 

    Non la forza, ma la costanza di un alto sentimento

fa gli uomini superiori.

Friedrich Wilhelm Nietzsche

 

E se da bambini pensavamo che fare l’astronauta tutto sommato non fosse difficile, crescendo la vita inizia a sbatterci porte in faccia e le porte in faccia fanno male. Che si tratti di lavorare in azienda, di farsi assumere, di avere una propria attività e vendere i propri servizi, di portare le persone a fare una vacanza dove vorremmo noi, di uscire con una persona che ci piace, di far passare un nostro progetto. Scopriamo che la vita è dura.

Di fronte a questa scoperta, alcuni si ritirano, fanno marcia indietro, si racchiudono in una vita stereotipata dove non ci sia tanto da spiegare a nessuno né qualcosa di speciale da fare. Si rintanano in un loculo sempre più stretto. Quando vince il ciclo “produci – consuma – muori – taci” sei finito.

Altri non ci stanno, iniziano a studiare, a lavorare sulla propria mente, sul corpo, su come arrivare al cervello altrui e capire meglio le idee altrui. E a far capire le proprie idee, e flessibilizzare le proprie. Ad avere un rapporto diverso con il proprio corpo, a praticare discipline olistiche e vedere quanta libertà riescono a rubare ad un sistema che invece ti vorrebbe ingabbiato. A questi eroi è dedicato questo lavoro.

Viviamo in una finestra di spazio-tempo grande come un granello di sabbia nell’immensità del tempo. Siamo piccoli, molto piccoli. Ma le nostre idee possono essere grandi, immense. E la vita è li a sfidarci: Vuoi ritirarti nella tua nicchia o vuoi uscire e combattere?

E se decidiamo di uscire, possiamo fruire di questa opportunità in una finestra di spazio-tempo molto stretta, la nostra vita terrena. L’epoca in cui nasciamo, la nazione e la zona in cui siamo venuti alla luce, non le abbiamo scelte, ma lì si gioca questa battaglia tra buio e luce, tra oppressione e libertà di vivere a pieno.

Il coaching vuole dare il massimo del senso possibile a questa “finestra temporale” riaprendo il mondo delle scelte possibili e allargando i nostri orizzonti di vita, aiutando le persone a inquadrare obiettivi, mentre il counseling si occupa di potenziare le potenzialità di relazione umana e – se serve – rimuovere alcune “incrostazioni” (psicologiche, relazionali, modelli mentali e comportamentali) che possono rendere difficoltosa l’apertura delle nostre finestre di vita e l’ingresso di luce e aria nella nostra esistenza (ma non di lavorare su patologie mentali clinich).

La psicologia, come scienza, fa da sfondo a cui attingere così come una cava ricca di metalli preziosi da cui si ricavano gioielli, ma non è il gioiello. E’ lo strumento, uno degli strumenti, in alcuni case la fonte, in altri un ingrediente. Sta al lavoro di un coach, di un Counselor, di un consulente, di uno psicologo o terapeuta, di un fitness trainer, di un consulente, la capacità di creare la magia, prendere questi metalli grezzi e trasformarli nel gioiello che vada bene per te e porti la tua vita a risplendere nella gioia, e la tua anima ad avere il sorriso.

Copyright, estratto dal libro Psicologia della Libertà, Edizioni Mediterranee, Roma

Dr. Daniele Trevisani - Formazione Aziendale, Ricerca, Coaching