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©Copyright. Articolo estratto con il permesso dell’autore dal libro di Daniele Trevisani: “Psicologia di Marketing e Comunicazione” Franco Angeli Editore, Milano

L’aggregazione di proprietà del prodotto riguarda non solo le cinque tipologie inserite nella scala di Maslow, ma anche – come evidenziato in precedenza – le virtù di risoluzione temporale (potere risolutivo, omeostatico e di anticipazione).

Tramite un processo combinatorio, è possibile identificare 15 leve persuasive, che risultano dall’incrocio tra le tre leve persuasive temporali (leva risolutiva, leva omeostatica, leva anticipatoria) e le cinque categorie di bisogno della scala modificata di Maslow (sopravvivenza, sicurezza, ambiente, sociale e Self).

Illustriamo di seguito due disposizioni combinatorie di riferimento.

La prima modalità di visione (visione 1) rappresenta la necessità di partire dai diversi bisogni umani e realizzare su ciascuno un’analisi di tipo anticipatorio, omeostatico e risolutivo.

Ad esempio, in riferimento al fattore immagine sociale, l’analisi si concentrerà sulle diverse modalità (anticipatorie, omeostatiche, risolutive) con cui un prodotto possa contribuire creazione di immagine per l’individuo.

Facciamo un esempio su un capo di abbigliamento. Un abito può possedere leva omeostatica sociale se aiuta a mantenere elevata un’immagine pubblica. Questo accade se l’abito esalta le forme più aggressive ed esteticamente attraenti della persona, o comunica uno stile di vita e sociale del possessore. Ma ancora, un abito può possedere leva anticipatoria sociale, soprattutto un abito da cerimonia, quando è stata posta elevata cura sulla tenuta delle cuciture e bottoni che ne impediscano la rottura in pubblico evitando gaffe (leva anticipatoria sociale).

Oppure, un abito può possedere leva risolutiva sociale se aiuta a nascondere e migliorare i tratti fisici che la persona non gradisce di se stessa, quando si presenta in pubblico.

In generale, ogni tipo di prodotto può essere analizzato, alla ricerca di motivazioni anticipatorie, omeostatiche o risolutive. E questo vale per ogni gradino della scala modificata di Maslow.

Si producono quindi per combinazione 15 classi di valore del prodotto, che possono costituire altrettante leve di vendita.

La seconda visione (visione 2) parte invece dalle funzioni temporali.

Si realizza applicando alle 5 leve di Maslow prima l’analisi anticipatoria, quindi l’analisi omeostatica e in ultimo l’analisi risolutiva.

Entrambe le visioni (1 e 2) trattano comunque lo stesso problema, ma da punti di vista grafici diversi.

Esponiamo brevemente i contenuti di ciascuna leva.

LR1: Leva risolutiva di sopravvivenza

Elimina i problemi di sopravvivenza. Promuove la proprietà del prodotto/servizio di rimuovere stati critici per la sopravvivenza dell’individuo o dell’organizzazione (es: pane per l’affamato).

LO1: Leva omeostatica di sopravvivenza

Mantiene condizioni di sopravvivenza. Promuove la proprietà del prodotto/servizio di conservazione delle condizioni attuali che stanno garantendo la sopravvivenza dell’individuo o dell’organizzazione. Es: per una persona, una scorta di pane per l’insorgenza della fame; per un’impresa, un minimo di materia prima necessaria alla produzione, o un tasso di innovazione che consenta almeno di stare sul mercato (realizziamo questo esempio in quanto nell’approccio ALM, il tasso di innovazione non è considerato un lusso da “fascia alta” della scala di Maslow, ma un vero e proprio fabbisogno legato alla sopravvivenza dell’azienda, al pari delle scorte minime di magazzino o della corrente elettrica per i macchinari).

LA1: Leva anticipatoria di sopravvivenza

Anticipa i problemi di sopravvivenza. Promuove la proprietà del prodotto/servizio di prevenire l’insorgere di condizioni che possono minare l’integrità fisica dell’individuo o dell’organizzazione (es: un deposito di alimenti, o per un cartello di imprese il supporto ad un atto legislativo che impedisca la creazione di nuovi concorrenti pericolosi nel mercato in cui essi operano). Per l’impresa: un tasso di innovazione in grado di anticipare i problemi futuri.

LR2: Leva risolutiva di sicurezza

Elimina i problemi di sicurezza. È costituita da prodotti/servizi/prestazioni in grado di rimuovere o attenuare problemi attualmente esistenti per la sicurezza dell’individuo o dell’organizzazione Es.: sostituire una porta a vetri con una porta blindata, in seguito ad un furto in appartamento.

LO2: Leva omeostatica di sicurezza

Preserva condizioni ottimali di sicurezza. È costituita da prodotti/servizi/prestazioni finalizzate al mantenimento delle condizioni attuali di sicurezza dell’individuo o dell’organizzazione. Es: una protezione contro i sovraccarichi di tensione che potrebbero far saltare i macchinari.

LA2: Leva anticipatoria di sicurezza

Anticipa problemi di sicurezza. È costituita da prodotti/servizi/prestazioni che impediscono l’insorgere di condizioni negative, in grado di minare la sicurezza dell’individuo o dell’organizzazione, o ne riducono fortemente la probabilità di accadimento. Ad esempio: un estintore in auto in caso accada un incendio. Oppure ancora, per quanto riguarda l’impresa: un piano di anticipazione dei rischi di scenario che possono colpire l’azienda; un progetto di benchmarking[1] in grado di evidenziare quali sono le performance dell’azienda da migliorare, prima che esse degenerino in cadute di fatturato.


[1] Valutazione comparativa di prestazioni con particolare attenzione alle prestazioni dei più diretti concorrenti e delle aziende leader.

LR3: Leva risolutiva ambientale

Elimina il degrado ambientale (fisico o sociale). È costituita da prodotti/servizi/prestazioni finalizzati alla cancellazione di situazioni che rendono sgradevole, inadatto, l’ambiente fisico e sociale in cui il soggetto si trova. Es: una nuova casa per vivere in un quartiere migliore; eliminare fonti di rumore negli uffici (stampanti, copiatrici) e schermare i rumori stradali fastidiosi. Per l’impresa: un piano di miglioramento dei climi organizzativi e l’introduzione della direzione per obiettivi come metodo per “vivere meglio” in azienda.

LO3: Leva omeostatica ambientale

Mantiene un ambiente positivo (fisicamente o relazionalmente). È costituita da prodotti/servizi/prestazioni che forniscono elementi utili alla permanenza di condizioni di piacevolezza e gradevolezza degli ambienti fisici e sociali. Es. un atto di dono necessario per mantenere una buona relazione.

LA3: Leva anticipatoria ambientale

Previene l’insorgenza di elementi di degrado ambientale (fisico e sociale). È costituita da prodotti/servizi/prestazioni che impediscono l’insorgere di minacce alla qualità degli ambienti (fisici e sociali). Si basa soprattutto sulla  creazione di meccanismi di protezione del sistema dall’ingresso di elementi nocivi. Es: una legge che proibisca l’insediamento di industrie ambientalmente nocive in un territorio; una nuova procedura di selezione del personale che impedisca l’ingresso in azienda in futuro di soggetti demotivati, disturbatori, inefficienti, prevenendo la creazione di climi interni non produttivi e le cadute di competitività.

LR4: Leva risolutiva sociale

È finalizzata alla crescita dell’immagine individuale o aziendale, agendo sulla rimozione di fattori negativi e sulla instaurazione di fattori positivi. È costituita da prodotti/servizi/prestazioni che forniscono elementi utili all’eliminazione di stati di disagio sociale provenienti da un’immagine esterna esistente non gradita o insufficiente. Es: un piano di immagine coordinata per la ricostruzione di un’immagine aziendale debole o minata da eventi negativi, oppure insufficiente rispetto a nuovi target elevati da raggiungere.

LO4: Leva omeostatica sociale

Mantiene un’immagine positiva. È costituita da prodotti, servizi e prestazioni finalizzati al mantenimento di quei fattori che attualmente stanno “funzionando” dal punto di vista dell’immagine esterna. Es: un piano di pubbliche relazioni per mantenere buoni rapporti esistenti con la comunità. O ancora, un piano di fidelizzazione sul cliente attuale già soddisfatto. Questa leva, come ogni leva omeostatica, contiene anche componenti anticipatorie.

LA4: Leva anticipatoria sociale

Previene il peggioramento o la caduta dell’immagine. È costituita da prodotti/servizi/prestazioni che impediscono l’insorgere di condizioni di grave minaccia per l’immagine esterna dell’individuo o dell’organizzazione. Es: per un’impresa, un piano di crisis communication (comunicazione in stato di crisi) per l’impostazione e la predisposizione di procedure rapide ed efficaci, qualora si determinassero evenienze particolarmente negative  sul piano dell’immagine (incendi, esplosioni nella fabbrica, inquinamenti, scandali, boicottaggi di prodotto, gravi danni derivanti dal prodotto, inquisizione di dirigenti, scioperi e tumulti). Ed ancora: un piano di comunicazione interna in caso di sciopero improvviso o evento atmosferico imprevisto in un grande aeroporto (gelata della pista), che contenga forti elementi di comunicazione e servizio e prevenga il disagio del cliente; un piano di comunicazione che permetta, nel più breve tempo possibile, di arrestare il flusso di auto verso un’autostrada in cui sia avvenuto un incidente, evitando imbottigliamenti e ulteriori incidenti; un piano di soluzioni comunicative pronte in caso di caduta dei titoli azionali, tarato sulle diverse cause probabili, da inviare istantaneamente ai maggiori azionisti, prima che i “rumors” distruggano il titolo.

LR5: Leva risolutiva del self

Elimina i fattori che impediscono alla persona di autorealizzarsi o avere stima di sé. È costituita da prodotti/servizi/prestazioni che hanno la proprietà di rimuovere le condizioni o barriere negative che ostacolano il raggiungimento del Sé ideale e l’autorealizzazione.

Esempi: eliminare un grave difetto di personalità che sbarra il passo alla capacità di apprezzare il gusto della vita; imparare a comunicare pienamente; lavorare sulle inibizioni e freni che rallentano il raggiungimento del proprio potenziale; smettere di frequentare una persona o una compagnia che limita le proprie capacità autorealizzative. Per un manager, lavorare attivamente sulle proprie capacità comunicative, di ascolto attivo, e identificazione degli obiettivi, tramite formazione specialistica, per sentirsi maggiormente autorealizzati nel proprio ruolo professionale. Oppure ancora, se analizziamo il caso di un imprenditore insoddisfatto della propria azienda, un piano di vision building può assumere la funzione di risolvere il senso di impotenza, ridare fiducia e speranza nel futuro.

Altri esempi possono riguardare, a livello personale – l’acquisto di una vacanza o di un libro da cui trarre ispirazione interiore e crescita culturale –  in un momento di caduta di ideali o di scarsa motivazione.

LO5: Leva omeostatica del self

Mantiene elevato il livello di senso di autorealizzazione e stima di sé, agisce sul mantenimento degli elementi positivi che la persona ritiene di possedere già. È costituita da prodotti/servizi/prestazioni che forniscono elementi utili alla salvaguardia delle condizioni attuali di vicinanza al Sé ideale dell’individuo o dell’organizzazione. Es: una vacanza aziendale nella quale vengano mantenuti saldi i legami e la coesione del gruppo; un programma di consolidamento dell’identità aziendale (Corporate Identity Program); un programma di formazione finalizzato al rafforzamento e consolidamento della motivazione e delle competenze proprio quando le cose vanno bene e l’azienda può permetterselo. Anche in quest’ultimo caso è evidente la compresenza di una leva anticipatoria.

LA5: Leva anticipatoria del self

Previene la caduta o peggioramento della stima di sé e del senso di autorealizzazione. È costituita da prodotti/servizi/prestazioni che impediscono l’insorgere di condizioni in grado di allontanare l’immagine dell’individuo o organizzazione dal Sé ideale.

Esempi: evitare l’incontro con persone che sviliscono i risultati ottenuti e generano una caduta del morale; una vacanza per prevenire cadute di automotivazione; prodotti e servizi anti-invecchiamento (prodotti medici, sportivi, farmaceutici, alimentari, estetici, ecc.., che fanno leva sulla paura di invecchiare); diagnosi dei climi organizzativi aziendali per identificare scostamenti motivazionali, diagnosi delle competenze professionali del personale, finalizzata ad anticipare i bisogni di futuri, prevenendo cadute di autostima.

©Copyright. Articolo estratto con il permesso dell’autore dal libro di Daniele Trevisani: “Psicologia di Marketing e Comunicazione” Franco Angeli Editore, Milano

Semantica articolo. Le parole chiave di questo articolo sono:

Leve persuasive

Gerarchia dei bisogni

Analisi anticipatoria

Immagine del sé

Omeostasi

Proprietà di sopravvivenza del prodotto

Tasso di innovazione

Condizioni di sicurezza

Valutazione comparativa delle prestazioni

Ambiente positivo

Crescita dell’immagine

Immagine positiva

Autorealizzazione del sé

Persuasione

Vendite

Strategie di vendita

Influenza psicologica

Tecniche di persuasione

Psicologia del consumatore

Comportamento d’acquisto

Fidelizzazione del cliente

Neuromarketing

Bias cognitivi

Persuasione etica

Ciclo di vendita

Comunicazione persuasiva

Fidelizzazione

Customer relationship management (CRM)

Prova sociale

Urgenza

Scarsità

Reciprocità

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Una domanda importante a questo punto diviene la seguente: le proprietà dei prodotti sono da attribuire ad un’unica categoria o possono esistere prodotti con funzione multipla? La creazione di valore può seguire due percorsi: la creazione di valore diffuso o la creazione di valore localizzato, cioè concentrato in una singola categoria.

I prodotti possono soddisfare contemporaneamente diverse tipologie di bisogno inserite nella scala di Maslow.

Nel mercato dell’auto, una autovettura qualsiasi soddisfa il bisogno di spostamento di un padre di famiglia, ma un’autovettura prestigiosa potrà soddisfare anche – contemporaneamente – il bisogno di affermare uno status, così come un’autovettura a forte connotazione sportiva potrà risolvere (almeno in parte) anche la necessità di avvolgere la propria immagine di un’aura dinamica, vincente e aggressiva.

Nelle aree “alte” della piramide, si può notare come la funzione di consumo e fruizione di prodotto assuma connotazioni di “cerimonia di consumo” con funzione di ostentazione presso gli altri o anche presso sé stessi.

Il prodotto può assumere una duplice valenza: (1) funzionale e (2) cerimoniale, al tempo stesso. Si pensi ad esempio alle modalità teatrali di fumare che alcuni mettono in atto, o al modo con cui un cocktail può essere bevuto in una discoteca, con funzioni di proiezione d’immagine.Questo livello di analisi richiede attenzione ai fenomeni di microcomportamento, analizzati in dettaglio da Goffman (1975 e 1969), ed, in Italia, da ricercatori e sociologi qualitativi tra cui Bercelli (1999 e 1999 bis).

Esistono quindi prodotti che dispongono di funzioni singole e prodotti che realizzano funzioni multiple (vedi figura successiva).

Un prodotto con funzione multipla non assume più valore automaticamente, soprattutto se “attacca” numerose categorie, ma poco in profondità. Diversamente, un prodotto che “attacchi” una sola categoria, ma molto profondamente, con alto potere risolutivo o preventivo, avrà valore elevato per l’individuo.

©Copyright. Articolo estratto con il permesso dell’autore dal libro di Daniele Trevisani: “Psicologia di Marketing e Comunicazione” Franco Angeli Editore, Milano

Semantica articolo. Le parole chiave di questo articolo sono:

Creazione di valore

Strategie di marketing

Gamma dei bisogni

Status

Autoaffermazione

Funzione di consumo

Funzione del prodotto

Marketing

Brand equity

Proposta di valore

Segmentazione

Targeting

Posizionamento

Differenziazione

Customer experience

Fedeltà del cliente

Customer journey

Innovazione

Comunicazione di marketing

Content marketing

Digital marketing

Vendite

Mercato di riferimento

Marketing mix

Sostenibilità



©Copyright. Articolo estratto con il permesso dell’autore dal libro di Daniele Trevisani: “Psicologia di Marketing e Comunicazione” Franco Angeli Editore, Milano

Le nostre ipotesi vanno alla ricerca delle pulsioni e dei moventi profondi, oltre la pura espressione verbale e consapevole. Se considerassimo sufficienti le prime spiegazioni verbali fornite dai consumatori, per capire le dinamiche reali del loro comportamento, ci accontenteremo davvero di poco. Non è facile per nessuno dare risposte a domande del tipo: “Quanto ha influito il personaggio di Superman nella costruzione del tuo modello di Sé ideale” (ad un ragazzo, ma specularmente questo vale per la Barbie in una ragazza). L’influenza può essere avvenuta, e molto forte, ma a livello inconscio, senza una chiara percezione del fenomeno.

La letteratura psicosociale è sin troppo ricca di studi che dimostrano quanta distanza esiste tra ciò che le persone dicono di fare e ciò che fanno veramente, tra l’immagine che proiettano all’esterno e la propria vera identità, tra quello che sono e quello che vorrebbero essere.

Un primo momento di analisi riguarda la distanza tra ciò che le persone proiettano, tra ciò che dichiarano, e i veri comportamenti e pensieri posseduti. In genere la collimazione tra queste sfere non è totale, ma esistono aree del Sè che non emergono (area 1), ed aree del Sè puramente proiettate (area 3).

La ricerca di marketing ha evidenziato il fenomeno del Socially Desirable Responding (SDR) che riguarda la tendenza degli individui a proiettare di se stessi, quando intervistati formalmente o nella comunicazione interpersonale, un’immagine accettabile, positiva, rispetto alle norme culturali correnti, o alle norme dei gruppi di appartenenza.

David Mick (1996)[1] ad esempio ha evidenziato le difficoltà insite nell’esplorazione del “dark side” del comportamento del consumatore, su temi quali il materialismo, l’uso di alcool e di droghe, l’acquisto compulsivo, i piccoli furti nei negozi, le scommesse, il fumo di sigaretta, e la prostituzione.

Il Socially Desirable Responding avviene sia per incapacità di focalizzare le proprie motivazioni, che per volontà precisa di nascondere fatti, comportamenti e opinioni, di consumo, culturali e politiche.


[1] Mick, D.G. (1996). Are studies of dark side variables confounded by socially desirable responding? The case of materialism. Journal of Consumer Research, 23.

©Copyright. Articolo estratto con il permesso dell’autore dal libro di Daniele Trevisani: “Psicologia di Marketing e Comunicazione” Franco Angeli Editore, Milano

Semantica articolo – le keyword pertinenti nella psicologia del marketing e comunicazione

Psicologia del marketing e della comunicazione

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Psicologia del marketing

Livelli della motivazione d’acquisto

Livelli della motivazione

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Motivazione conscia

Motivazione inconscia

Motivazione subconscia

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Comportamento del consumatore

Neuromarketing

Segmentazione di mercato

Influenza sociale

Psicologia del colore

Branding emotivo

Comunicazione persuasiva

Psicologia dei prezzi

Scelta razionale vs. emotiva

Customer journey

Effetto halo

Teoria dell’elaborazione a due vie (Elaboration Likelihood Model)

Cognitive bias

Fattori motivazionali

Creazione di desiderio

Costruzione dell’identità di marca

Psicologia delle vendite

 Fattori psicologici nell’acquisto impulsivo

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La scalata delle Competenze – verso le Supercompetenze

  • Competenze
  • Abilità
  • Capacità
  • Conoscenze
  • Skill
  • Talent
  • Expertise
  • Qualifiche
  • Competenze tecniche
  • Competenze soft
  • Competenze relazionali
  • Competenze comunicative
  • Competenze interpersonali
  • Leadership
  • Management
  • Teamwork
  • Risoluzione dei problemi
  • Pensiero critico
  • Creatività
  • Innovazione
  • Adattabilità
  • Flessibilità
  • Iniziativa
  • Orientamento al risultato
  • Auto-motivazione
  • Auto-gestione
  • Pianificazione
  • Organizzazione
  • Prioritizzazione
  • Multitasking
  • Time management
  • Gestione dello stress
  • Decision making
  • Analisi
  • Ricerca
  • Sintesi
  • Problem solving
  • Strategia
  • Visione
  • Comprendere le esigenze del cliente
  • Customer service
  • Orientamento al cliente
  • Vendite
  • Marketing
  • Negoziazione
  • Relazioni con i clienti
  • Networking
  • Presentazioni
  • Public speaking
  • Comunicazione efficace
  • Ascolto attivo
  • Scrittura
  • Lingue straniere
  • Digital literacy
  • Tecnologie dell’informazione
  • Programma
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  • Progettazione
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  • Data mining
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  • Economia
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  • Ricerca operativa
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  • Supply chain management
  • Gestione della qualità
  • Process improvement
  • Lean Six Sigma
  • Project management
  • Gestione del tempo del progetto
  • Agile
  • Scrum
  • Gestione delle risorse umane
  • Sviluppo delle risorse umane
  • Formazione
  • Coaching
  • Valutazione delle prestazioni
  • Gestione del conflitto
  • Gestione del cambiamento
  • Leadership situazionale
  • Intelligenza emotiva
  • Consapevolezza sociale
  • Autocontrollo
  • Motivazione
  • Empatia
  • Capacità decisionale
  • Orientamento strategico
  • Pensiero laterale
  • Pensiero sistematico
  • Problem framing
  • Design thinking
  • Collaborazione
  • Cooperazione
  • Diversità e inclusione
  • Etica professionale
  • Integrità
  • Responsabilità
  • Iniziativa
  • Orientamento al cliente interno
  • Orientamento alla sicurezza
  • Conformità normativa
  • Gestione del rischio
  • Compliance
  • Sicurezza sul lavoro
  • Salute e sicurezza
  • Sicurezza informatica
  • Privacy
  • Gestione delle crisi
  • Risoluzione dei conflitti
  • Diplomazia
  • Leadership etica
  • Analisi delle tendenze
  • Pensiero critico
  • Adattamento al cambiamento
  • Risoluzione dei problemi complessi
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  • Spirito imprenditoriale
  • Innovazione
  • Spirito di iniziativa
  • Apprendimento continuo
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  • Formazione continua
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  • Video editing
  • Fotografia
  • Comunicazione visiva
  • Storytelling
  • Branding
  • Customer experience
  • Gestione dell’esperienza del cliente
  • Digital strategy

© Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele Trevisani – “Psicologia di marketing e comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management”. Franco Angeli editore, Milano.

Come misurare l’immagine che generiamo negli altri? Come valutare l’immagine di un prodotto o di un marchio, per verificare se sono conformi a quanto dovrebbero? 

Le pulsioni d’acquisto nascono ogniqualvolta un profilo percepito di prodotto combacia con un’immagine ricercata. È quindi importante riuscire a misurare sia l’immagine desiderata che l’immagine percepita.

Il potere evocativo delle parole e l’immagine associata ai marchi è alla base di molti successi o fallimenti di mercato. La misurazione dei simbolismi, delle loro connotazioni semantiche e delle loro ripercussioni sulle vendite è una delle tecniche in grado di prevedere il successo di mercato. Come espone Packard in questo esempio:

…Frattanto nel corso degli anni l’esperto di pubblicità Louis Cheskin… ha controllato il potere simbolico che le parole hanno per i clienti, con interessanti risultati. Un cliente del Texas, la Plenty Products (cioè «prodotti abbondanza») stava per lanciare una nuova linea di gelati. La ditta aveva deciso che Plentifors sarebbe stato un nome molto adatto. Cheskin osservò che dava l’idea della quantità, non della qualità e pertanto non si poteva vendere il prodotto a un prezzo elevato. Egli mise il gelato in un contenitore con l’etichetta Plentifors e lo espose accanto a quattro altri contenitori con etichette diverse, invitando poi 806 consumatori a dare un giudizio sui vari prodotti. In tutti i contenitori c’era il medesimo tipo di gelato. Il contenitore con l’etichetta Splendors (nome inventato da Cheskin) ottenne voti completamente favorevoli in numero quattro volte maggiore del Plentifors. 

Oppure, come evidenzia Packard, spesso il consulente si trova nella condizione di dover confutare le idee del cliente, chiarirle, ed evitare errori di immagine o ripercussioni negative dovute alla sottovalutazione del potere evocativo delle parole:

Un altro cliente chiese a Cheskin un consiglio sulla pubblicità di una scarpa chiamata Ortho-Vent. Prendeva il nome dal nome della ditta. Le calzature non si vendevano molto bene. Cheskin disse che era un nome orribile, ma, rispose il cliente, a suo padre, fondatore della ditta, quel nome piaceva. Si confrontò la dicitura Ortho-Vent con altre quattro, per la stessa scarpa, interrogando 404 persone. Uno dei nomi inventati da Cheskin era Stuart McGuire. Egli mi spiegò: «La nostra ricerca dimostra che i nomi scozzesi danno un’immagine accaparrante della parsimonia». Un altro nome da lui inventato per fare il test era in italiano, Giovanni Martinelli. Questo, spiegò, fa pensare a distinzione e stile. Nel test tanto «Stuart McGuire» quanto «Giovanni Martinelli» ebbero la meglio su Ortho-Vent per due a uno, il primo in quanto significava un buon acquisto, il secondo come scarpa di classe.

© Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele Trevisani – “Psicologia di marketing e comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management”. Franco Angeli editore, Milano. Vietata la riproduzione senza citazione della fonte.

Altri materiali su Comunicazione, Coaching, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online:

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Temi e Keywords dell’articolo:

  • La psicologia del marketing
  • Brainstorming
  • Psicolinguistica
  • Leve psicologiche
  • Impulsi d’acquisto
  • Misurazione del simbolismo
  • Immagine percepita
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  • Communication manager
  • Marketing planning
  • Comunicazione efficace
  • Stile della comunicazione
  • Tone of the voice
  • Naming
  • Payoff
  • Slogan
  • Branding
  • Graphic designer
  • Comunicazione integrata
  • Acquisto influenzato

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategie di comunicazione e marketing. Un metodo in 12 punti per campagne di comunicazione persuasiva”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Analisi dei costi / benefici intangibili di comunicazione

La activation research qualitativa strutturata nel metodo ALM, si occupa di:

valutare quanto tempo il management dedica alle attività di comunicazione (costi manageriali) e con che risultati;

  • valutare quanto tempo il management dedica a singole iniziative di comunicazione e con che risultati, per identificare dissonanze in termini di efficienza ed efficacia gestionale;
  • scoprire aree di interesse comunicativo che non ottengono sufficiente attenzione da parte del management;
  • scoprire progetti di comunicazione che assorbono tempo manageriale e costo/tempo strutturale (il tempo e le risorse dell’azienda) superiore ai ritorni pratici.

Sono numerosi i casi in cui l’intero management o manager chiave si “innamorano” di progetti aziendali che non hanno però riscontri, e finiscono per assorbire completamente il tempo manageriale, oppure ancora ne assorbono troppo rispetto ai risultati che producono. Questa analisi permette di affrontare il fenomeno con metodo e rigore scientifico.

È limitativo ed errato misurare l’efficacia della comunicazione solo in termini di vendite generate nel brevissimo periodo. Prima che accadano comportamenti di acquisto devono prodursi – nella mente del cliente – altri avvenimenti psicologici che costituiscono il presupposto del successo comunicativo. 

Dobbiamo quindi :

  1. misurare con rigore anche il raggiungimento di questi pre-obiettivi
  2. creare le condizioni affinché gli obiettivi di vendita possano essere raggiunti.

L’investimento comunicativo è efficace quando accresce il grado di conoscenza del marchio o del prodotto (risultato importante), o quando modifica l’atteggiamento verso l’impresa (altro risultato importante), senza che nel giorno stesso si debbano produrre risultati di vendita istantanei. 

coltivare

I risultati devono certo accadere, ma non dobbiamo incorrere nell’errore di misurarli nel momento sbagliato, e tralasciare altri risultati essenziali. 

Con una metafora agreste, stiamo seminando il terreno, stiamo irrigando il raccolto, stiamo togliendo le erbacce, o stiamo raccogliendo i frutti già maturi? 

La comunicazione che ricerca i frutti già maturi (i clienti pronti all’acquisto) ma non si preoccupa di creare le condizioni (dissodare il terreno, coltivarlo, irrigarlo, ripulirlo) otterrà ben poco dal mercato. 

La cultura della comunicazione aziendale deve occuparsi di tutti i diversi livelli: dal creare le condizioni per la vendita, al coltivare le condizioni di vendita tramite comunicazione relazionale, al raccogliere i risultati tramite comunicazioni orientate alla “chiusura negoziale”. 

L’approccio coltivativo richiede l’utilizzo di più canali, anche diversi (dal telemarketing sino alle forme antiche come la pubblicità postale o i volantini, per concludersi con la negoziazione B2B, e ogni altro canale opportuno, attuale e futuro), senza preclusioni di sorta. Un ingrediente importante del successo è la cura dei propri strumenti di coltivazione del cliente. 

coltivare

Quando l’agricoltore semina con cura, andrà a raccogliere con altrettanta cura, e quindi farà manutenzione alle macchine per la raccolta. Se il manager non fa manutenzione tramite formazione alle risorse umane (venditori e comunicatori front-line) che andranno a raccogliere i frutti della comunicazione, otterrà una raccolta estremamente inefficiente. E in più avrà sprecato le risorse precedenti.

Ecco quindi che aree diverse, dalla comunicazione alla formazione, si fondono per giungere al risultato aziendale di vendita che rappresenta l’obiettivo finale, con la consapevolezza che dobbiamo creare le condizioni per essere persuasivi ancora prima di essere giunti sul luogo di vendita.

Coltivazione comunicativa

Per spiegare meglio il concetto di coltivazione comunicativa, ricorriamo ad un modello estremamente basilare degli effetti comunicativi, il modello A.I.D.A. (Attenzione – Interesse – Desiderio – Azione). 

Il modello A.I.D.A. espone un fenomeno semplice: prima di ottenere azione (esempio, un acquisto), deve nascere un desiderio d’acquisto, una pulsione. 

Affinché nasca una pulsione, il cliente deve provare interesse verso il prodotto/servizio, deve percepirvi valore. Ma perché il cliente percepisca valore, è necessario che egli sia esposto ad uno o più messaggi da cui ricevere ed elaborare dati e informazioni. 

Senza questo passaggio minimo la catena di eventi non avrebbe luogo e nessun effetto si produrrebbe.

Questo modello semplice è utile per divulgare un concetto: 

  • se una campagna di comunicazione crea attenzione, questo è un primo risultato, 
  • se crea interesse è un ulteriore risultato, 
  • se si crea desiderio, questo è un risultato. 
  • Il comportamento, l’azione, non avvengono se prima non otteniamo le condizioni basilari e minime affinché esso si manifesti.
pulsione

Ogni passo in avanti nella sequenza persuasiva è un risultato importante, poiché la persuasione non accade “per magia” ma grazie ad una serie di azioni comunicative di qualità.

Ecco quindi che la activation research deve occuparsi anche di quanto una campagna di comunicazione accresce la conoscenza del marchio, quanto modifica o accresce la percezione di immagine aziendale o di un gruppo sociale, l’atteggiamento verso il prodotto, quanto incide inoltre sulla sensibilizzazione del cliente e sull’apertura di nuovi budget mentali, cioè di tutti i precursori dell’atto di acquisto.

La comunicazione come processo difficilmente ottiene tutti i risultati con un solo messaggio. Solo una continuità nella comunicazione, una “coltivazione del cliente”, permette di ottenere risultati certi.

È necessario analizzare:

  • la Frame-Activation: i risultati prodotti sa un singolo frame comunicativo, o singolo evento/iniziativa;
  • la Total-Activation: i risultati prodotti dall’intera catena di frames comunicativi.

Nel metodo ALM, l’Activation Research Coltivazionale (A.R.C.) si occupa di capire quali sequenze di eventi comunicativi ottimizzano il risultato finale.

È necessario divenire consapevoli che ogni media possiede peculiarità diverse, e ad un media o modalità di comunicazione non dobbiamo chiedere ciò che non sa fare. 

Non pretendiamo da una pubblicità postale che esso produca l’effetto finale (conclusione della trattativa) per un prodotto ad alto valore: non lo farà. Per ogni media esistono obiettivi specifici: non commettiamo l’errore di mandare un’email a negoziare per noi, a concludere una vendita difficile, non ne sarà in grado. Chiediamo ad ogni media ciò che il media può dare. 

Chi misura unicamente le azioni di breve periodo (risultati immediati) compie un grave errore, così come chi misura unicamente le variazioni psicologiche senza preoccuparsi dei risultati tangibili. 

Risultati intangibili della comunicazione si manifestano chiaramente quando essa riesce ad eliminare condizioni di scarsa credibilità che impedirebbero acquisti dai clienti. 

Poniamo il caso di una società di consulenza che non abbia un sito web. La sola assenza del sito produce un danno d’immagine, molti clienti potenziali la scarterebbero a priori. È quindi sbagliato chiedersi solo “quanti clienti nuovi ha generato un investimento sul web” senza chiedersi “quanti clienti mi ha permesso di non perdere”. Se la presenza del sito ha permesso di condurre una trattativa con maggiore sicurezza, questo effetto di comunicazione deve essere considerato tra i benefici produttivi di “condizioni positive di vendita”.

I mercati nel contesto competitivo odierno premiano solo chi si adopera con costanza, intelligenza, e impiega le proprie risorse investendo in un mix adeguato di formazione e comunicazione. 

Sono finiti i tempi in cui bastava lanciare un prodotto per ottenere vendite e profitti. Chi semina oggi un campo non arato, non irrigato, non concimato, sta sprecando semi. L’approccio alla coltivazione del cliente rende attuale un antico modo di essere: essere seri, essere affidabili, essere credibili. E farlo con applicazione, impegno, costanza, rigore, volontà, e soprattutto continuità.

Servono obiettivi chiari per misurare le cose giuste. Focusing e Consulenza di Processo aiutano a definirli

La activation research può misurare gli effetti dell’investimento in comunicazione, formazione e marketing, i suoi ritorni, i suoi costi, i suoi benefici pratici così come quelli intangibili. Tuttavia, poniamoci una domanda: se non abbiamo chiarito esattamente gli obiettivi a priori, cosa misuriamo?

La sindrome del misurare per misurare è alta e potente.

Ogni azienda dovrebbe invece fare almeno 2 “ritiri” all’anno di Focusing, focalizzazione degli obiettivi, e dopo, solo dopo, iniziare a misurare.

Quasi sempre, dopo un ritiro di focusing, gli obiettivi che misuriamo cambiano, le variabili che ci interessano cambiano.

cambiamento

Ad esempio, al di la delle letture di una pagina web (impressions), potrebbe interessarti di più chi si iscrive ad un tuo notiziario personalizzato.

Una scarsa precisione dell’obiettivo di comunicazione produce sempre campagne e sforzi improduttivi. 

Il primo compito del consulente di comunicazione è quello di aiutare il cliente a focalizzare l’obiettivo, adottando un approccio di consulenza di processo[1].

Il compito del cliente è quello di partecipare attivamente alla definizione di obiettivi misurabili, assumendosi una quota di responsabilità e di impegno. 

Il manager o amministratore può delegare l’esecuzione di un obiettivo, ma è indispensabile che egli partecipare alla sua definizione.

Partecipare alla comunicazione, formazione e marketing significa realizzare un primo e importantissimo step di consulenza per chiarificare: 

  • cosa stiamo cercando
  • quali sono le variabili sulle quali vogliamo intervenire tramite la comunicazione, la formazione o il marketing
  • in quali tempi intervenire
  • in quali luoghi intervenire
  • su quali clienti o soggetti intervenire
  • con quale gamma di metodologie intervenire – mix di metodologie
  • come misureremo il risultato.

Una definizione così precisa degli obiettivi richiede tempo manageriale elevato e competenze specialistiche in marketing e comunicazione. 

L’importanza del ruolo consulenziale è qui determinante. Qualora il cliente dei servizi di comunicazione sia in grado di strutturare gli obiettivi chiaramente, i progetti sono in buona parte avviati verso la soluzione. Tuttavia, senza confronto raramente si giunge alla chiarificazione precisa del quadro.

In molti casi è opportuno ricorrere ad una apposita consulenza di processo atta ad identificare i goals (focusing e goal setting) e il mix di strumenti di intervento da attivare. 

Eliminare questo passaggio cardine è improduttivo sia per il cliente che per il fornitore di servizi comunicazionali, formativi e di marketing.

Chi pratica comunicazione deve sapere su quali variabili sta lavorando. Comunicare per creare immagine professionale nel lungo periodo è qualcosa di molto diverso dal realizzare una promozione speciale in un periodo di calo di vendita. 

Una promozione di prezzo (sconti e abbuoni) può aumentare le vendite del momento e deprimerle per un lungo periodo successivo, e questo non è un risultato positivo di marketing.

Nel caso di interventi formativi, dobbiamo chiarire quale mix di tecniche formative utilizzare: è più produttivo utilizzare sessioni seminariali, coaching, role-playing, affiancamenti sul campo, o un mix di diversi metodi? Dobbiamo lavorare solo sul “sapere”, o anche sul “saper essere” e sul “saper fare”? Sulla parte cognitiva o anche sul corpo? 

Che tipo di cambiamento vogliamo produrre?

Il budget di comunicazione (o budget di progetto, per interventi di formazione e marketing) va quindi concentrato su obiettivi chiari e produttivi.

Se il cliente disperde un budget ristretto su troppi target e troppi prospects (clienti potenziali, o fruitori di progetto) egli rischierà di ottenere solo i primi risultati (attenzione, o al massimo un vago interesse), ma di non arrivare mai al punto (vendite, cambiamento, risultati tangibili).


[1] Schein, E. H. (1999). La consulenza di processo: come costruire le relazioni d’aiuto e promuovere lo sviluppo organizzativo. Milano, Cortina. Tit. orig. Process Consultation Revisited: Building the Helping Relationship, 1999, Addison Wesley.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Copyright. Articolo tratto dal testo: Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse. Milano, Franco Angeli editore.

Vendere in ambienti complessi è possibile solo dopo aver capito dove si situano i gap, le dissonanze, le vulnerabilità, il “non detto”, le molle psicologiche che possono far scattare un acquisto, nella intricata rete di decisori e influenzatori. Ed è un compito che richiede formazione.

Diventano essenziali quindi non soltanto i training per l’espressività (farsi capire, saper presentare con efficacia), ma soprattutto training che coltivano le doti di ascolto attivo, analisi tattica ed empatia strategica.

Tutto questo fa parte della sfera di competenza della psicologia strategica.

La psicologia strategica è la scienza che si occupa di come generare risultati attraverso azioni comunicative e tattiche (e non, come nel caso della psicologia clinica, curare disturbi psicologici).

La psicologia positiva è una branca delle scienze psicologiche che si occupa di come generare un atteggiamento positivo in sé stessi e nel gruppo, motivazione, voglia di vivere, capacità di analisi e costruzione attiva dei fattori che possono portare una persona a raggiungere risultati, stato di benessere interiore, e resilienza (capacità di apprendere dagli errori e rialzarsi dopo un insuccesso).

La vendita consulenziale non è un insieme di procedure, è un modo di essere analisti e strateghi che attinge a piene mani alla psicologia positiva e alla psicologia strategica.

Il metodo cui stiamo lavorando unisce le tecniche della psicologia strategica e della psicologica positiva.

Lo scopo è sviluppare una mente da analista e un modo di essere “stratega positivo”: una persona che utilizza la strategia, compie analisi, apprende dagli errori, considera la sua attività come un grande laboratorio di ricerca, riesce ad immettere energie positive nel suo lavoro, ricavando gratificazione dal modo con cui lavora più che dalle aspettative altrui.

Questo modo di essere si nutre della volontà di capire, di analizzare, di comprendere, anche e persino mentalità diverse, antitetiche, o distorte, strane mappe di potere, personalità razionali e personalità contorte, irrazionali, confusionarie, entrare in sistemi decisionali noti o invece immergersi in sistemi-cliente strambi, inusuali, dissonanti, senza farsi spaventare da questi, ma anzi accettandoli come “oggetto di ricerca” e sfida professionale.

Mettersi il “camice bianco” dell’analista è fondamentale per capire i sistemi-cliente e i varchi che si possono aprire per generare una vendita non solo sporadica, ma continuativa.

La vendita consulenziale è un approccio psicodinamico alle tecniche di vendita, centrato sul concetto di empatia strategica e di counseling d’acquisto (consulenza verso i bisogni, analisi dei bisogni espressi ed inespressi).

Secondo il modello della scuola consulenziale di vendita, l’obiettivo di una vendita è di attivare una forte relazione empatica con il cliente, essere di aiuto verso i bisogni espressi, far emergere il lato inespresso, e far precedere alla vendita vera e propria un’importante fase di analisi, di ascolto attivo, di comprensione, attivando una “percezione aumentata” (Extended Cognition).

Queste capacità provengono dalla psicologia clinica, in particolare dalle tecniche del colloquio clinico, dell’intervista in profondità, dalla “terapia centrata sul cliente” di Carl Rogers, che utilizza gli strumenti fondamentali della riformulazione verbale ed emotiva, senza la quale non potremmo mai sapere se siamo “connessi” o distanti dal vissuto del cliente[1].

Nella vendita consulenziale Business to Business non può esistere conclusione di vendita senza analisi dei processi aziendali o psicologici che rendono  un certo prodotto – o soluzione –  importante.

Perché qualcosa diventa importante? Perché ora? Perché non ieri? E come ha risolto il problema sinora il cliente? Quanto è soddisfatto? Che differenza esiste tra ciò che dice e ciò che sappiamo? O tra ciò che dice a voce e ciò che traspare dal suo volto o dall’osservazione della sua azienda? Tra quanto si è detto in riunione e quanto si sente dire nei corridoi?

Possiamo entrare in un livello di relazione tale da far “aprire” il cliente e tirar fuori i veri bisogni, anche quelli non detti?

Per farlo servono vere e proprie metodologie e tecnologie di analisi psicologica. Ad esempio, la Consulenza di Processo (Edgar Schein)[2] offre numerosi spunti, ma nessuna scuola in sé è sufficiente. Per affrontare il mondo delle vendite complesse dobbiamo entrare in un territorio di sperimentazione.

La vendita consulenziale non ha alcuna regola prefissata e rigida, non esistono concetti rapidi o giochi ipnotici, o altre scorciatoie comportamentali: esistono solo tante competenze da apprendere, provare sul campo, per poi ritornare ad apprendere, in una palestra professionale che è anche e soprattutto palestra di vita.

Dovremo sempre tenere alto il fronte della Psicologia Positiva, come nuova scienza che può aiutarci a trovare nuove vie della crescita individuale.

La psicologia positiva ambisce alla coltivazione di uno stile di vita e di pensiero positivo, lo sviluppo delle energie mentali, la crescita dell’ottimismo e dell’ottimismo appreso[3], per costruire gli atteggiamenti che ci servono ad affrontare un mestiere duro ma ricco di enormi soddisfazioni.

[1] Per alcuni riferimenti bibliografici su Carl Rogers, vedi bibliografia a termine volume.

Rogers, C. R. (1977), Carl Rogers On Personal Power, Delacorte Press, New York. Trad. it: Potere Personale. La forza interiore e il suo effetto rivoluzionario, Roma, Astrolabio, 1978.

Rogers, C. R. (1951), Client-Centered Therapy: Its Current Practice, Implications, and Theory, Houghton Mifflin, Boston

Rogers, C. R. (1961), On becoming a Person, Houghton Mifflin, Boston.

 

[2] La metodologia della Consulenza di Processo è strettamente derivata dagli studi di Psicologia Umanistica di Carl Rogers, ed è in grado di inquadrare i processi evolutivi che il cliente vive, e le sue dinamiche aziendali da un punto di vista evoluzionistico.

Tuttavia, si tratta di un metodo destinato originariamente alla consulenza di Direzione Aziendale. La sua applicazione alla vendita consulenziale va creata (ed è il nostro compito), va appresa, va studiata, e serve una formazione forte, professionale.

[3] Citiamo le opere di Myers, D. G. (1993), The pursuit of happiness: Discovering the pathway to fulfillment, well-being, and enduring personal joy, Avon, New York.

Seligman, M. E. P. (1998), Learned optimism: How to change your mind and your life (2 nd ed.), Pocket Books, New York.

Seligman, M. E. P., & Csikszentmihalyi, M. (2000), Positive psychology: An introduction. In: American Psychologist, 55, 5-14.

Anolli, Luigi (2005), L’ottimismo, Il Mulino, Bologna.

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Copyright. Articolo tratto dal testo: Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse. Milano, Franco Angeli editore.

 

Coaching di Vendita Business to Business Solution Selling è un formato di Coaching sviluppato dal dott. Daniele Trevisani per potenziare le capacità di ascolto del cliente, di empatia, di identificare soluzioni efficaci e utili a risolvere i problemi del cliente, e avviare un rapporto di vendita veramente solido e consulenziale.

corso di vendita Strategic selling coaching di vendita business to business

Articolo sul Coaching di Vendita Business to Business “Solution Selling”: Il vero significato della formazione e del coaching di vendita per  far emergere il massimo potenziale della persona

“Il principio è che le domande dovrebbero seguire l’interesse e il flusso dei pensieri del cliente, non del coach.”
JOHN WHITMORE

Fare formazione vendite e insegnare tecniche di vendita o fare coaching di vendita significa agire sul fattore umano per alimentare i talenti e far emergere i tratti straordinari delle persone, e non mortificare tutto in una “pianura di competenze” immersa nella nebbia del “tutti uguali”.

Coaching Vendita Business to Business basato sul modello di vendita consulenziale. Il modello fondamentale della formazione, del coaching e dell’educazione in ogni sua forma è ancora quello dello “skills gap”: basato sulla domanda latente “che lacune hai rispetto alla media?” Pochi formatori e coach si pongono veramente il problema di quali tratti ancora inespressi la persona abbia, di quali performance potrebbe ancora raggiungere se solo aumentasse il suo grado di energia, di motivazione e di competenze.

Far rientrare una persona nella media non è il mio obiettivo. Portare le persone ad essere il massimo di ciò che possono essere, lo è. Alla grande!

Per farlo, bisogna passare da una formazione “ascoltata”, una formazione “ad una via” dove abbiamo un docente che parla e allievi che ascoltano, ad una formazione attiva, esperienziale, dove gli allievi “fanno” e sperimentano in prima persona le variabili critiche e i contenuti che stiamo trattando.

Coaching vendita Business to Business basato su tecniche di formazione attiva ed esperienziale. Esistono centinaia di tecniche di formazione attiva e il vero ruolo di un insegnante o di un coach consiste nello saper scegliere quali tra queste tecniche attive alimentano di più un vero apprendimento interiore e non solo le conoscenze esteriori. Quando si apprende un atteggiamento, questo può rimanere per tutta la vita. Quando si apprende una conoscenza intesa come “sapere” o dato, questo dato può scomparire dalla memoria in poche ore.

Nella formazione vendite e nel coaching vendita Business to Business questo significa lavorare prevalentemente sulla capacità di ascolto, di empatia, e di seguito sulla capacità di costruire soluzioni (Solution Selling) realmente centrate sull’evoluzione positiva del cliente.

Nella formazione vendite e nel coaching vendita Business to Business significa uscire dal modello di lezione standard e passare al coaching esperienziale. Su una lezione standard, su cento concetti trasmessi quanti ne rimangono il giorno dopo? pochi, persino zero a volte. Se invece riusciamo a trasmettere un atteggiamento e una capacità concreta di ascolto attivo, o un valore come l’empatia sincera, questo può insediarsi nella mente della persona e nel repertorio di competenze per sempre. Un esempio concreto è proprio l’ascolto attivo, per il quale nemmeno decine di ore sono sufficienti a far si che la persona diventi veramente empatico e buon ascoltatore, mentre in un paio d’ore di esercizi di ascolto attivo pratici, esperienziali, questo diventa più possibile e soprattutto permanente.

Lo stesso concetto di fondo vale per uno sports coaching in cui la domanda latente sia “quanto sei diverso dalla media?” affinché con un programma io ti ci possa riportare. Grave errore, che fa dimenticare quali punti di forza e di diversità la persona abbia e che proprio con il coaching possono essere valorizzati.

Se ragioniamo solo di lacune, se le colmiamo, sembra andare tutto bene, ma così rientri nel gregge. Niente a che fare con il modello del “Talent leveraging” (letteralmente, fare leva sul talento), che si chiederebbe “cosa di eccezionale sa, sa fare, o ha nel cassetto, cosa può avere questa persona di splendido da offrire, e come impiegare queste sue doti e talenti, valorizzarle, trasformarle in espressività concreta?”

Il nodo centrale del Coaching Vendita Business to Business è quindi se puntare ad un appiattimento di competenze, o ad un equilibrio sano sul quale possano svettare alcuni picchi di abilità che rendono la persona unica o straordinariamente utile, efficace, felice, e in grado soprattutto di gestire bene i clienti Business, applicando tecniche di vendita centrate sull’ascolto, l’empatia e la ricerca di soluzioni.

Modificare e potenziare gli assetti ed equilibri della persona è arte difficile. Aumentare e rivedere le competenze, le energie e motivazioni delle persone è uno dei compiti più delicati. Questo risultato richiede metodi decisamente diversi dallo svolgere lezioni accademiche o fare prediche e ramanzine.

Le tecniche principali da utilizzare ricadono nel repertorio della formazione attiva (active training), del deep Coaching o coaching trasformazionale, opposto ad un coaching solamente incrementale, che punta solo ad aggiungere o sovra-stratificare.

Si arriva fino all’Experiential learning, l’apprendimento intenzionale derivante da esperienze pratiche, sensoriali, che puntano tutto sul “far sentire”, sul “far vivere” un brano di esperienza come un colloquio di vendita nella formazione e nel coaching, e non solo a raccontarlo.

Fare active training sul Coaching Vendita Business to Business significa letteralmente realizzare formazione attiva, apprendimento basato sull’azione. Questo significa rivoluzionare la modalità di trasmissione di concetti e insegnamenti dal piano del “racconto” (dire, parlare, insegnare a voce) al piano del far accadere qualcosa (training events, instructional events, training experiences, o altri input esperienziali).

Mentre nella formazione classica è essenziale il testo scritto (lettura) o produzione orale del docente (ascolto di una lezione, in qualsiasi formato sia), nella formazione attiva il fulcro diventa il tipo e modalità di esperienza pratica che riesco a generare con una “regia di formazione” e una “regia di coaching”, e la fase di successiva assimilazione interiore, e non solo esterna, che riusciremo a produrre nel partecipante.

Fare Coaching di Vendita Business to Business con il metodo esperienziale, una rivoluzione didattica

La rivoluzione comportamentale del formare attivamente le persone nel Coaching Vendita Business to Business consiste nel “parlare” il meno possibile e nel creare il più possibile azione, svolta da chi deve apprendere o essere formato.

Toccare con mano ha decisamente più effetto che “sentir dire”. Far “inciampare” un partecipante su un errore per poi rifletterci sopra, ha più effetto che raccontare l’ipotetica possibilità che esso si verifichi.

Riuscire a valorizzare un talento non è fortuna, non è caso, è scienza applicata alle potenzialità umane. Una nuova scienza dell’espressività della persona, dell’emersione dei suoi lati più affascinanti, unici, ricchi di valore per sè, per gli altri, per le aziende, persino per la razza umana nel suo complesso.

Il Coaching, Coaching Vendita Business to Business se fa emergere davvero le potenzialità, è sacro e prezioso. E si può partire dal piccolo, dal molto piccolo, da ogni singola sessione di coaching, di personal training, o di formazione attiva.

Se qualcuno (o il bisogno economico) avesse costretto Leonardo da Vinci a fare lo Chef, magari avremmo avuto un ottimo Chef, ma tante invenzioni irripetibili perse.

E se Einstein non avesse avuto qualcuno con cui discutere delle sue teorie, senza che lo considerassero “quello strano impiegato dell’Ufficio Brevetti di Berna che si crede un Fisico”[1], probabilmente saremmo ancora in un medioevo della fisica e astrofisica.

Facilitare l’emergere del potenziale è la vera ragione dell’esistenza dell’insegnamento e della formazione nel Coaching Vendita Business to Business. L’insegnamento diventa un atto di dono profondo, ispirato e immenso, una formazione attiva e impegnata. Quando riusciamo a creare queste condizioni, qualsiasi vero intervento educativo a livello umano diventa un modo molto saggio di investire energia e tempo.

Insegno con questi pensieri nella mia testa e preparo qualsiasi lezione o sessione di coaching con questo approccio, anche quando fare allenamento attivo è più difficile che semplicemente “parlare”.

Ogni volta che siamo in grado di aumentare il potenziale umano di qualcuno, lui/lei diventa un’arma in più che la Razza Umana ha contro l’ignoranza, la povertà, la miseria e un faro in più per un’umanità illuminata, uno strumento potente per la libertà materiale e spirituale di tutti noi. Fare Coaching Vendita Business to Business significa anche questo.

[1] È noto che Albert Einstein, prima di ricevere onori accademici e incarichi universitari, abbia elaborato le sue principali teorie sulla fisica quando era un semplice impiegato presso l’Ufficio Brevetti di Berna, in Svizzera.

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© Articolo Copyright dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Formazione e Consulenza

Copyright Daniele Trevisani, dal libro “Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse

Conoscere se stessi, conoscere l’altro, capire la relazione in corso

Conoscere se stessi, conoscere l’altro, capire la relazione in corso. Esamineremo ora il primo aspetto: conoscere se stessi.

A quali aspetti della conoscenza di sè dobbiamo prestare attenzione?

Le scienze umane e la psicologia hanno evidenziato da tempo che aumentando la conoscenza dei propri meccanismi interiori si incrementano anche le abilità relazionali. Di certo che questo tocca anche le attività di vendita e negoziazione.

La vendita consulenziale è una scuola di vendita, ma soprattutto un grande laboratorio di ricerca applicativa e scientifica sulla comunicazione, sulla crescita personale, sui rapporti umani. Tocca inoltre fortemente i temi dello sviluppo (personale e organizzativo) e dell’antropologia (scienza del comportamento umano).

Ogni cultura stabilisce precisi margini di manovra per i comportamenti umani e definisce schemi comportamentali (frames culturali) che possono considerarsi accettabili da quella cultura stessa, o invece devianti.

Una prima scoperta da fare è quella della propria cultura latente, gli schemi che ciascuno di noi porta con sè, le regole e le credenze che guidano le nostre azioni e le nostre scelte, in modo anche subconscio.

Questo consente di esplorare alcuni limiti e blocchi che tutti noi portiamo con noi stessi nelle nostre attività professionali e soprattutto di interazione con gli altri.

Una seconda scoperta riguarda la cultura della propria organizzazione, i suoi punti di forza e di debolezza.

Una terza scoperta riguarda l’analisi dei giochi di interazione che accadono durante un incontro, cioè cosa accade sullo scacchiere negoziale, le mosse di una negoziazione complessa.

I giochi che accadono durante una vendita sono frutto di meccanismi psicologici che avvengono nell’individuo e nel gruppo.

Dobbiamo quindi saper distinguere i meccanismi dell’individuo da quelli del gruppo, e le loro reciproche interazioni.

Affrontare la vendita e la negoziazione con consapevolezza di sè significa intraprendere un percorso:

  • affrontare la scoperta di sè, la propria personalità, e i suoi limiti, un passo che l’individuo deve per forza compiere se desidera rimuovere blocchi e barriere che ne impediscono il pieno sviluppo professionale;
  • creare “consapevolezza aumentata” dell’organizzazione per cui si lavora, e dei suoi potenziali.

1.2.              Chi e cosa rappresento

Chiunque entra in scena in una vendita ha un ruolo che viene alimentato dall’istituzione che rappresenta.

Rappresentare una istituzione, o anche solo se stessi, significa mettere in scena la propria identità, la propria storia, la propria cultura e i propri valori.

Durante una vendita può accadere che l’individuo non sia sufficientemente abile nel trasferire il proprio “essere”, il proprio “io”, la propria identità, e quella aziendale, e quindi venga confuso con “qualcos’altro”.

Ad esempio, un costruttore di parti meccaniche su misura, una PMI che possiede anche un reparto di progettazione tecnica, può essere confuso con un semplice contoterzista che vende solo manodopera qualificata (e non progettualità).

Se questo accade possono nascere errori e incomprensioni (essere visti come dei saldatori invece che degli artigiani-ingegneri). Ancora, un militare in missione di pace può essere visto e percepito come un invasore e non come un pacificatore. Un consulente in comunicazione strategica può essere percepito erroneamente come un pubblicitario. Un educatore può essere confuso con un animatore, e via così.

In questi e in molti altri casi è essenziale chiarire la propria identità.

1.3.              I nostri confini. Confini operativi, confini della mission, cosa facciamo, cosa non facciamo, e perché

La missione aziendale o organizzativa definisce il motivo di essere dell’organizzazione stessa. La missione va interpretata come “relazione di aiuto”. Capire verso chi, e per cosa, noi siamo in grado di generare aiuto, è il tema stesso della scoperta dei confini.

Dobbiamo sapere esattamente cosa rientra nella nostra missione e cosa non vi rientra. La missione si definisce in base a ciò che si fa ma soprattutto in base a quello che non si fa (a ciò che ne sta fuori). Dobbiamo avere una forte cultura dei confini.

Facciamo un esempio: un’agenzia di information technology può avere una forza vendita che non sa esattamente se la propria azienda offra o meno siti web realizzati per conto terzi, essendo in realtà l’azienda specializzata in networking e telefonia. In passato sono state svolte alcune realizzazioni di siti web per clienti amici, ma sporadicamente; la realtà dei fatti crea una condizione tale che alcuni venditori possono rispondere “si, facciamo anche siti web”, e altri affermare “no, noi non facciamo assolutamente siti web, siamo una società di telecomunicazioni”.

Anche un formatore può vivere lo stesso problema, quando il suo lavoro viene ad essere identificato come erogatore di contenuti prodotti da altri (canale formativo) o invece come progettista di formazione, o entrambi. Se questi confini non sono definiti, le sue interazioni con il cliente ne soffriranno.

Non sarà mai in grado di dare risposte sicure. Cadrà in continue contraddizioni e trasuderà incertezze.

Ovviamente tutto questo margine di insicurezza e indecisione sulle identità (chi siamo e cosa facciamo) si ripercuote negativamente sulle vendite.

A questo, tuttavia, si può rimediare lavorandovi con un buon training sulle consapevolezze dei confini della mission e della propria identità.

 

Copyright Daniele Trevisani, dal libro “Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse

 

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Buona lettura…. e una piccola citazione…

Che stupidi che siamo,

quanti inviti respinti, quanti…

quante frasi non dette,

quanti sguardi non ricambiati…

tante volte la vita ci passa accanto

e noi non ce ne accorgiamo nemmeno.

dal film “Le fate ignoranti” di Ferzan Ozpetek

Un grande augurio per una nuova era ricca di esperienze positive
dott. Daniele Trevisani
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