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© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Stili di comunicazione e relazione

Ognuno di noi comunica con un certo stile. È importante:

  • riconoscere con quale stile comunichiamo;
  • saper flessibilizzare lo stile per potersi relazionare ad interlocutori diversificati

Esempi di stili comunicativi, con parole tipiche dello stile:

  • Intellettuale – parallelismo, canovaccio, piattaforma progettuale.
  • Dinamico – veloce, rapido, risultato, obiettivi, vincere.
  • Aggressivo – ha capito? Non so se sono stato chiaro? Mi sta seguendo? Qui c’è troppa gente che cazzeggia, non abbiamo tempo da perdere. È ora di concludere, adesso!
  • Sottomesso – se lei vuole, se preferisce, come lei desidera, se non disturbo, facciamo quello che vuole lei, non c’è problema, siamo molto flessibili su tutto.
  • Rustico/volgare – ma và, non rompere i coglioni,  sono tutte seghe, ve la tirate troppo, è ora che ci diamo una mossa.
  • Politicante – bisogna valutare, si tratta di ricercare un compromesso, dobbiamo trovare delle sinergie, serve una piattaforma programmatica, è necessario un confronto di visioni.
  • Anglo-manageriale – il breakeven point, il marketing mix, la supply chain, la customer loyalty, è una questione di customer satisfaction, dobbiamo fare qualcosina sul cross-selling, anche in relazione alla gantizzazione del progetto.
  • Ottimista – è una bella opportunità, ci sono forti possibilità, è un progetto bellissimo, sento che le cose andranno veramente bene, sono sicuro che ce la faremo. 
  • Pessimista – non si può fare, è difficile, non ce la possiamo fare, ci sono troppe incognite, è un mondo difficile, non lo hanno mai fatto altri, è troppo nuovo, non lo conosco, non mi fido.
  • Concreto: scadenze, fissare, concludere, concretizzare, definire, inquadrare, arrivare a stringere, non perdere tempo, non perdiamo tempo, andiamo al sodo, badiamo ai risultati.

…ogni altro stile identificabile nel panorama sociale circostante.

Ognuno di noi comunica con un certo stile. È importante per la vendita consulenziale e la negoziazione saper riconoscere gli stili altrui e capire con quale stile rispondere.

Caratteristiche

Conoscere bene le caratteristiche dei prodotti e dei servizi, conoscerle a fondo e nei dettagli.

La conoscenza delle caratteristiche di prodotto, o delle caratteristiche del progetto che stiamo esaminando, è conseguibile attraverso lo studio, il confronto con esperti, e soprattutto attraverso metodi che permettano di metterla alla prova, come il role-playing.

Sessioni di domanda-risposta possono aiutare molto a mettere alla prova la conoscenza del prodotto.

Per una società di formazione, il direttore potrebbe dire ai propri consulenti: fammi vedere come spieghi ad un cliente la differenza tra coaching, training, counseling, e un workshop. Fammi vedere cosa risponderesti se un cliente ti chiede che differenza c’è.

Vantaggi

Conoscere i vantaggi competitivi significa sapere quali plus abbiamo rispetto alla concorrenza, e come questi vantaggi diventano utili, si trasformano in benefici tangibili o percepibili per un cliente o utilizzatore.

I vantaggi possono essere sia competitivi (riferiti a possibili alternative della concorrenza: in cosa siamo migliori rispetto ad altri) o vantaggi assoluti, riferiti al beneficio che ne può trarre il fruitore (che aiuto e vantaggi hanno le nostre proposte o soluzioni).

Benefici e relazione tra benefici ipotizzati e bisogni reali

Che benefici può trarre un cliente dalle nostre caratteristiche, dai nostri vantaggi competitivi?

I benefici riguardano una molteplice sfera di bisogni, sui quali dovremmo fare grande chiarezza. Spesso i benefici ipotizzati sono altamente distanti dai bisogni reali, che possono riguardare aree come:

  • il bisogno di risparmiare e liberare risorse per altri progetti;
  • il bisogno di sicurezza, garanzie, affidabilità;
  • il bisogno di efficienza, e di strumenti che la rendono possibile;
  • il bisogno di immagine, la necessità di poter esibire qualcosa ai propri interlocutori esterni, clienti o referenti politici;
  • il bisogno di azione, la necessità di poter dire ai propri interlocutori esterni, clienti o referenti politici, che si sta facendo qualcosa;
  • il bisogno autorealizzativo, diventare il massimo di ciò che si può essere, raggiungere il proprio potenziale, o un proprio sogno, sviluppare un proprio ideale.

I benefici non si collegano automaticamente alle caratteristiche dei prodotti, servizi o idee, ma diventano tali solo quando si realizza una connessione mentale tra caratteristica e bisogno.

Unicità e distintività

In quali elementi di prodotto o di servizio riusciamo ad essere unici, ineguagliabili? In quali punti di forza si concentra la nostra unicità? Cosa possiamo fare solo noi così, avere solo noi, o “essere” solo noi?

In cosa si caratterizza la nostra distintività? Nella certezza della parola data? Nei tempi di consegna? In qualche brevetto? Nelle relazioni umane? Nella capacità di analisi? Nella capacità di vendere fiducia? Nell’essere i leader di mercato per ricerca e sviluppo? O nell’essere i leader di costo? O di convenienza? O in quali altri campi? 

In altre parole, in cosa vogliamo essere percepiti come “diversi” per uscire dalla massa indistinta dei possibili fornitori?

Il nostro valore, il valore reale e il valore percettivo

Da dove deriva il nostro valore? Essenzialmente, dalla capacità di offrire benefici, soluzioni, e dare risposte ad esigenze sentite. Il valore può provenire anche dall’insieme delle caratteristiche di credibilità personale, di credibilità aziendale, sommato alle caratteristiche, vantaggi, benefici e unicità del mix di offerta aziendale, dei suoi prodotti/servizi, sistemi di prezzo, logistica, distribuzione, informazione, e customer care

Il valore reale (osservato dal punto di vista del venditore) è spesso diverso dal valore percettivo visto dal cliente. Il cliente può solo intuire e cogliere solo in parte, da pochi elementi di contatto, una realtà complessa. 

Il valore può essere amplificato o invece “ucciso” da poche informazioni o da dettagli apparentemente insignificanti che distruggono la fiducia (distrust signals, segnali di sfiducia). 

Una delle missioni fondamentali del venditore e del negoziatore è far emergere il valore e costruire il clima di fiducia ed emettere i segnali generatori di fiducia (trust signals) che permettono alla relazione di avanzare.

Trasmettere il concetto di cui si è portatori, e interessarsi al processo del cliente

Ogni venditore porta con sè stesso un’immagine di sè (self image) e una immagine della propria azienda (corporate image). Queste realtà percettive emergono in ogni interazione, che egli ne sia consapevole o meno. 

Egli porta con sè anche l’immagine che possiede della propria azienda, i suoi limiti, i suoi punti di forza, ne definisce una immagine mentale: “azienda tradizionalista” “azienda tecnologica” “boutique”, oppure “discount” – non importa di quale settore merceologico si stia parlando.

Vendere i prodotti di un’impresa non significa esporre semplicemente il suo catalogo prodotti. Significa soprattutto vendere il “concetto” che l’azienda rappresenta. 

Ad esempio, un venditore BMW dovrebbe sapere che in qualsiasi trattativa di vendita sta rappresentando non solo un insieme di bulloni, ruote e lamiere, ma soprattutto il concetto di un’auto prestigiosa, tedesca, solida, sportiva, un punto di arrivo

Sulla negoziazione politica o progettuale, troviamo un parallelo. Avere come partner un paese come la Germania in un progetto significa far entrare nel progetto un senso di “ordine” e di “tecnologia”, avere l’Italia può significare far entrare il concetto di “creatività”, ma anche connotazioni negative come “confusione” per l’Italia, o “rigidità” per la Germania.

Ogni negoziatore deve sapere quali immagini mentali porta con sè e quali sono associate al proprio sistema di appartenenza.

Identificarsi come un “punto di arrivo”

Chi entra in negoziazione vedendosi come una “seconda scelta” inevitabilmente trasmette questo concetto alla controparte. 

Identificarsi come un punto di arrivo è importante per creare un senso di autostima e sicurezza che emergerà nella trattativa. Questo è reso possibile solo da un grande lavoro sulla consapevolezza di sè e dei punti di forza aziendali.

Vendere un “punto di arrivo” è ben diverso dal vendere un insieme di parti meccaniche o pezzi di servizio.

La scena si complica se consideriamo che il cliente ha una propria percezione di cosa sia un “punto di arrivo” e questa può essere diversa dalla nostra.

Entra qui in scena la “psicologia della comprensione del cliente”, il desiderio forte di entrare nel suo mondo, alimentato da curiosità, volontà di capire, desiderio di non fermarsi alla superficie.

Per vendere un concetto assimilabile ad un “punto di arrivo” bisogna sapere quale è il punto di partenza, cioè da quale situazione parte il cliente, e perché egli aspira ad un diverso punto di arrivo. 

Dobbiamo chiederci se e perché il cliente è contento della situazione che in quel momento ha o vive, cosa desidera cambiare, in quali termini desidera evolvere, e cosa lo frena. In altre parole, dobbiamo interessarci del processo del cliente (entrare nei processi). Solo in questo modo la vendita potrà diventare consulenziale e trovare le migliori opzioni che permettono di concretizzare un risultato aziendale. 

Fare questo, significa applicare alla vendita i metodi della “Consulenza di Processo”, ovvero far convergere vendita e consulenza in un unico metodo di vendita consulenziale.

Passare dall’interesse generico alle pratiche conversazionali che lo rendono concreto

Tutti condividono a parole e in teoria un generico senso di “attenzione verso il cliente” ma pochi lo sanno tradurre in pratiche conversazionali e azione. 

Nei “momenti della verità”, in una vera negoziazione di vendita con un vero cliente, possiamo osservare e misurare se i concetti diventano realtà conversazionale, se cioè il venditore riesce a tradurre i concetti di “centratura sul cliente” in vere domande, in riformulazioni, in esplorazione, ricentraggio degli argomenti di conversazione. 

Dobbiamo analizzare se egli sa cogliere i depistaggi, o i tentativi di esproprialo del suo ruolo consulenziale. Dobbiamo accorgerci, se siamo Direttori Vendite o coach di vendita, se il venditore ha vere capacità di fare domande centrali e fare analisi – o se invece si disinteressa del processo del cliente, non pone domande, non cerca di capirlo veramente, non esplora il suo “mondo” e le sue evoluzioni, e lascia che sia il cliente a decidere quale ruolo egli deve giocare.

Un altro esempio sul tema del “vendere un concetto” prima ancora di un prodotto. L’esempio questa volta è semi-autobiografico, poiché tratta di un mercato, quello della formazione e del coaching, nel quale viviamo ogni giorno. 

Chi opera con o per il nostro Studio, ad esempio, deve essere ben consapevole del fatto che fare consulenza e formazione significa applicare dei modelli scientifici e non essere dei ciarlatani improvvisati. Un consulente o formatore può essere interprete, anche ottimo, di teorie e modelli elaborati da altri autori, oppure può diventare contemporaneamente autore e ricercatore se ha adeguate capacità. 

Nel nostro studio abbiamo svolto un grande sforzo di ricerca per produrre (generare, creare) numerosi modelli proprietari, prodotti formativi e consulenziali nuovi, integrandoli in paradigmi evoluti per lo sviluppo personale e organizzativo. Tra questi modelli troviamo il Metodo Action Line Management (ALM) ™, le Regie di Cambiamento™ per la formazione avanzata, il Deep Coaching Protocol™ per lo sviluppo personale, e creando inoltre il metodo HPM™ (Human Performance Modeling) per lo sviluppo del potenziale personale.

Chi opera con il nostro Studio deve quindi sapere che per i suoi servizi di formazione il cliente troverà un mondo di unicità, di modelli proprietari che altri non hanno. Questo permette al cliente di ottenere formazione consulenziale con tecniche nuove e proprietarie, anticipare di anni quello che uscirà sul mercato “per tutti” ed avere un vantaggio competitivo, scoprire tecniche uniche create dalla ricerca attuata direttamente dallo Studio, avere a disposizione modelli non reperibili altrove. 

Una consulenza o training centrata sul cliente e sul suo processo deve essere distanziata dal concetto di “corsificio” e questo significa saperlo comunicare, per chi opera dal lato dello Studio. 

Lo stesso problema e obiettivo, capire le unicità, vale per ogni azienda di prodotti o servizi.

La conoscenza che deve possedere chi opera per un’impresa non può essere superficiale. In generale, chi rappresenta una realtà deve essere consapevole di quale realtà rappresenta, quali potenziali porta con se.

Una rappresentazione di sè distorta, o lacunosa, emerge inevitabilmente in ogni “momento della verità” e in ogni vendita che aspira ad essere consulenziale. 

Le tecniche conversazionali

Cosa significa “tecnica conversazionale”? Dobbiamo innanzitutto capire che una interazione di vendita e una negoziazione sono basate – nel face to face – su specifici meccanismi della conversazione. Tra questi:

  • la gestione dei turni di conversazione (turn management)
  • il ricentraggio degli argomenti di conversazione
  • le tecniche di “ammorbidimento” delle relazioni (repair)
  • la produzione di domande (dare ascolto), opposta alla produzione di emissioni persuasive o informative (ottenere ascolto).

Riuscire a bilanciare il flusso che esiste tra dare ascolto e ottenere ascolto (balancing) è una precisa tecnica conversazionale.

Nella vendita classica il conflitto è “per parlare” e lo scopo è parlare più dell’altro o sovrastarlo con le proprie argomentazioni. 

Nella vendita consulenziale troviamo il gioco opposto, il gioco diventa “chi fa parlare di più l’altro”, e lo scopo strategico è indurre il cliente in uno stato di “apertura” per poter ottenere le informazioni indispensabili a costruire un pacchetto consulenziale o di offerta. 

Ottenere uno stato di apertura significa aprire sempre più il “flusso empatico” – il flusso di attenzione verso l’interlocutore che lo porta a fare delle aperture (disclosure), a dischiudere le proprie informazioni o posizioni. Tale tecnica è denominata nel nostro metodo Info-Bleeding (trasudazione informativa) e permette di ottenere informazioni indispensabili a rifinire la strategia e formularla.

Questo risultato richiede precise tecniche conversazionali, che nel nostro metodo assorbiamo dalle scienze di Analisi della Conversazione (Conversation Analysis), dalle tecniche di intervista degli informatori (Humint), dalle tecniche di intervista clinica in psicoterapia, e da altre fonti scientifiche, non ultime le tecniche utilizzate nelle investigazioni, opportunamente adattate al fatto di non volere in nessun modo creare una sensazione di “interrogatorio”.

Dietro ad ogni incontro tra realtà personali (incontro tra persone) e tra realtà aziendali (incontro tra aziende) esistono enormi potenziali da esplorare e questa consapevolezza alimenta chiunque non si accontenta della superficie, in ogni manifestazione dell’essere umano e della conoscenza umana.

La consapevolezza di sè (self-awareness) include il “come io comunico”, l’analisi di “qual è il mio stile conversazionale in una negoziazione”, ed è il tratto più importante della capacità di vendita, poiché in ogni vendita una persona porta con sè “se stesso”, i propri limiti, i propri principi morali e le sue esperienze ed abilità pratiche.

Le caratteristiche dell’azienda cliente e del sistema cliente – in senso più generale – sono estremamente importanti, ma (senza sminuirle) di minore importanza strategica rispetto alla costruzione di una buona conoscenza di sè e della propria azienda, poiché questo “lavoro” viene riutilizzato in ogni relazione di vendita, mentre lo studio di un cliente specifico è un investimento essenziale ma che trova rientro in una sola ed unica relazione di vendita. 

La consapevolezza dell’istituzione che rappresentiamo, delle sue persone, dei suoi confini, delle sue forze e debolezze, è un anello forte della vendita consulenziale che ci accompagna in ogni trattativa, ma esso non verrà mai valorizzato se non è sostenuto dallo sviluppo delle proprie competenze comunicative.


Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

La ricerca ci dice che le persone comprano in larga misura in base al Self Concept[1], il “concetto di sé” che possiedono.

© Articolo di Daniele Trevisani Formazione e Comunicazione www.danieletrevisani.it www.studiotrevisani.it www.comunicazioneaziendale.it – Anteprima editoriale riservata

Il Self concept può essere l’immagine che abbiamo di noi, reale, o un’immagine idealizzata su come vorremmo essere. Questa “autoimmagine” forma a volte una porta aperta, altre volte una corazza o armatura caratteriale che noi dobbiamo imparare a riconoscere e superare.

A volte incontriamo un Sé incerto, un cliente vago e dubbioso, e se non riusciamo a sciogliere i suoi dubbi e obiezioni, a farne le spese sono le nostre probabilità di vendere. Altre volte incontriamo invece un “archetipo” ben definito, strutturato, come “il guerriero” o “il mago”, e dobbiamo imparare a trattare con questo tipo di persone e la personalità che tale Self porta con sé.

La ricerca ci dice che sia nel mondo delle vendite dirette al consumatore (Business-to-Consumer o B2C), che nelle vendite da azienda ad azienda (Business-to-Business o B2B), è presente un meccanismo fortissimo di Self-Expressive Behavior, ovvero il fatto che le persone usano l’acquisto per esprime se stessi, come atto per comunicare chi sono, rafforzare la loro identità, e il modo con cui vedono se stessi e vogliono apparire.[2]

Nella Vendita Professionale dobbiamo smettere di pretendere che i clienti usino solo e unicamente la ragione e il ragionamento logico, e dare spazio al fatto ineluttabile che i fattori psicologici ed emotivi giocano un grande ruolo nella decisione di cosa e se acquistare.

Troppe persone spendono denaro che non hanno guadagnato, per comprare cose che non vogliono, per impressionare gente che non gli piace.
(Will Rogers)

Figura 2 –  La costruzione dell’immagine di sé. Alcuni elementi di analisi

Formazione Vendite - Vendita e Self Concept

Come vediamo in questa prima analisi, ancora limitativa rispetto alla complessità della vita reale, i prodotti/servizi che usiamo o acquistiamo entrano a far parte dell’immagine di sé, e come tali diventano psicologicamente importantissimi. Un’auto, ad esempio, non è solo un mezzo su quattro ruote per spostarsi da A a B, ma diventa un oggetto che “mi rappresenta” o “rappresenta l’immagine che il cliente ha di sé”, o almeno ci prova, e per questo la scelta di un’auto non è indifferente rispetto a valori come lo status o l’immagine, e per questo tipo di prodotti, là dove entra in scena l’immagine di sé, le persone sono spesso disposte a spendere molto di più di quanto razionalmente sarebbe logico.

 

“Quando abbiamo fatto Memphis… i nostri mobili non erano comperati dalla borghesia milanese, ma dagli impiegati di Messina, che cercavano qualcosa di irraggiungibile, uno status.“ — 

Ettore Sottsass architetto e designer italiano 1917 – 2007

Lo stesso fenomeno di ricerca di status, si nota nell’abbigliamento, o in accessori personali come i gioielli, gli occhiali, le piccole e grandi cose con le quali “ci raccontiamo” o raccontiamo noi stessi al mondo, cercando tramite gli oggetti di dire chi siamo e in cosa crediamo.

Ci sono persone che impiegano una vita a costruirsi un’immagine, e se il prodotto/servizio la rafforza, allora bene, se invece la distrugge o la indebolisce o è incoerente con questa immagine, l’acquisto sparisce dalla scena, diventa anzi un pericolo, da tenere più lontano possibile.

Se le caratteristiche del prodotto/servizio invece aiutano a costruire o alimentare un’immagine di sé positiva o desiderata, si caricano di valore estremo. Diventano in pratica più mezzi di comunicazione che oggetti da usare per ciò che dovrebbero fare.

“La pelliccia come vergogna…

Oggi il concetto non fa scalpore (se non tra chi le produce o le vende). Invece nei primi anni Ottanta, quand’ero solo una ragazzina e organizzavo le mie prime manifestazioni, il “luogo comune” era un altro: la pelliccia era un capo ambito, uno status symbol per la media borghesia che finalmente assaporava il benessere. Le donne l’ostentavano con tanta fierezza quanta superficialità.

Non si fermavano a riflettere sui cadaveri che stavano indossando.

  • Michela Vittoria Brambilla politica e imprenditrice italiana

Il mondo del Business può sembrare estraneo a questo meccanismo ma non lo è. Avere un certo tipo di freno, nel caso il marchio Brembo, è oggi un vanto per ogni casa automobilistica, al di la di quanto sia effettivamente buono dal punto di vista tecnico.

Avere una marmitta o scarico marchiata Akrapovic, è altrettanto uno status symbol per un oggetto così solo apparentemente funzionale come la marmitta di una moto. Potrei fare tanti altri esempi ma il concetto base è che il valore percettivo di un Brand o di un marchio o di un prodotto può essere persino superiore alla funzione d’uso reale per il quale viene fatto.

Per concretizzare la vendita professionale dobbiamo capire come dare valore simbolico ed espressivo a quello che siamo e a quello che facciamo, e inserire il prodotto/servizio nel quadro mentale del nostro interlocutore, come una pietra preziosa che abbellirà la sua immagine di sé, un gioiello che ancora mancava alla sua collezione.

  • Nella Vendita Professionale dobbiamo ricordare che ogni dettaglio conta e richiede qualità e attenzione. Dal modo con cui scriviamo una mail o vi diamo risposta, alla stretta di mano, sino alla qualità con cui sappiamo ascoltare empaticamente, e lo stile grafico dei nostri documenti e delle nostre offerte. E ancora, il nostro abbigliamento, la coerenza tra i vari messaggi che mandiamo, la coerenza interna tra la nostra immagine di noi stessi e quello che trasmettiamo fuori.
  • Nella Vendita Professionale, solo l’autenticità più vera premia, quella autenticità che sa esprimere solo chi ha lavorato a lungo e in profondità su se stesso. Per questo, la Vendita Professionale è anche un grande, profondo e meraviglioso laboratorio per la propria crescita personale.

Tra gli alambicchi di questo laboratorio, si colloca certamente la capacità di “Stretching Comunicazionale”, la capacità di gestire le comunicazioni con una persona che ha un certo sfondo emotivo magari inatteso (arrabbiato, deluso, confuso, o invece aperto, felice, gioioso), la capacità di negoziare con persone di grandissimo spessore culturale e magari più lauree, ma anche con un “padrone d’azienda” senza alcuna istruzione formale, o relazionarsi con un magazziniere e operai della produzione dai quali ci servono informazioni preziose per elaborare una proposta.

Questo “Allenamento alla Varietà” e andare contro gli stereotipi e le frasi fatte, rende la Vendita Professionale una grande e costante “Palestra di Comunicazione”. Una palestra in cui allenarsi il più possibile e ottenere, come ogni allenamento che si rispetti, dei risultati di potenziamento, una crescita personale e professionale, una capacità di entrare in “zone di sfida” e trattare con i target e i clienti di alto livello strategico, che altrimenti ci sarebbero preclusi.

A tanto ci obbliga l’autorità della moda: ad essere ridicoli per non averne l’apparenza.
(Joseph Sanial-Dubay)

[1] Jennifer Savary, Ravi Dhar (2019), The Uncertain Self: How Self-Concept Structure Affects Subscription Choice. In: Journal of Consumer Research, https://doi.org/10.1093/jcr/ucz022 27 May 2019

[2] Jacqueline R Rifkin, Jordan Etkin (2019), Variety in Self-Expression Undermines Self-Continuity. In: Journal of Consumer Research, https://doi.org/10.1093/jcr/ucz016. 11 May 2019

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© Articolo di Daniele Trevisani Formazione e Comunicazione www.danieletrevisani.it www.studiotrevisani.it www.comunicazioneaziendale.it – Anteprima editoriale riservata

Dr. Daniele Trevisani - Formazione Aziendale, Ricerca, Coaching