Superare le situazioni di stress e fatica aumenta l’apprendimento
Esistono apposite tecniche denominate “tecniche di intensità” che puntano a far rimanere la persona entro la zona allenante di picco, per più tempo di quanto normalmente possibile. Tra queste:
In campo sportivo:
ripetizioni forzate: nell’uso di pesi, essere aiutati da qualcuno a completare qualche altra ripetizione dopo l’avvenuto cedimento, soprattutto nella fase iniziale del movimento, per sfruttare le energie residue;
carichi discendenti: il peso viene diminuito immediatamente dopo il cedimento, continuando a lavorare con un carico minore, con diminuzioni progressive sino allo sfinimento della zona allenata;
contrazioni di picco: mantenere la contrazione per alcuni secondi nel punto di massimo sforzo o in altro punto di forte intensità;
cheating: aiuto di altre parti del corpo per compensare il cedimento di una zona muscolare che ha esaurito le forze;
serie di preaffaticamento: esercizi finalizzati a pre-affaticare una zona muscolare, affinché gli esercizi successivi siano più difficili e intensi;
serie parziali: compiere solo la parte di movimento che rimane con le forze residue, anche se esse non sono più sufficienti a produrre l’intero movimento;
attività residuali: compiere solo le azioni di dispendio basso, rese possibili dalla poche energie rimaste. Es.: nella boxe, continuare a fare shadow boxing o “vuoto”, o solo movimenti di gambe, quando le energie per combattere sono esaurite, o per un corridore, continuare con una corsa leggerissima per qualche tempo al termine di una corsa intensa;
attività complementari: continuare a far lavorare un’area con un movimento alternativo, dopo che le forze sono esaurite sul movimento primario, es.: superset tra distensioni su panca e croci, per lo sviluppo dei pettorali;
superset: attività diverse condotte in sequenza, con pause minimali;
circuit training: circuiti allenanti con ampia varietà di esercizi.
La combinazione e permutazione di queste tecniche di intensità può amplificare ancora di più il tempo trascorso nella zona allenante e creare potenziamento elevato.
L’atleta deve prolungare il proprio allentamento oltre la soglia abituale, con una strategia programmatica, alternando fasi di sforzo elevato e fasi di recupero efficace, con riposo di qualità, alimentazione di qualità, intervalli intelligenti tra sforzo e recupero, fasi di rilassamento.
Lo stesso meccanismo avviene nell’apprendimento delle competenze relazionali e comunicative, come l’apprendimento di una lingua: vi sono momenti e fasi in cui ci si avvicina al senso di fatica, e una conversazione diventa difficile e dispendiosa. In molti gruppi di studenti all’estero si nota la tendenza a sfuggire da questo tipo di fatica e fare congrega tra connazionali, per evitare il disagio e la difficoltà di interazione in un lingua che si padroneggia poco. L’approccio di chi invece ricerca attivamente conversazioni con i madrelingua è quello di una consapevolezza: più si affronteranno parole nuove e sconosciute più si apprende, più si starà lontani dai connazionali più si farà una vera immersione linguistica (apprendimento in full-immersion), anche se inizialmente difficile.
Altrettanto vale nelle capacità manageriali: ogni capacità manageriale è frutto di apprendimento, e questo passa attraverso la gestione di situazioni di stress e fatica, superate, rielaborate e utilizzate come apprendimento (gestire una riunione difficile, parlare in pubblico, elaborare dati, prendere decisioni, esercitare la leadership in contesti sfidanti).
Altri materiali su Comunicazione, Coaching, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:
La spiritualità è un quadro molto complesso e non comprende per forza l’essere religiosi. Si può essere spiritualmente attivi e ricchi anche nel contemplare la natura, un quadro, o nel come si intende il proprio lavoro. Si può essere attivi sul piano dei valori anche la saggezza che usiamo come consumatori (vedi le ricerche sulla consumer wisdom), il modo con cui spendiamo i nostri soldi e risorse, utilizzando un senso di scopo e dando priorità ad acquisti orientati a promuovere la crescita personale, la salute e le relazioni. Esiste una spiritualità interna di cui parla Schopenhauer, un “ciò che si è”, diverso dal ciò che si ha:
Quel che importa è sempre ciò che uno è e quindi possiede in se stesso: la sua individualità infatti lo accompagna sempre e ovunque ad essa dà il colore ad ogni sua esperienza. In tutto e per tutto egli gode primariamente se stesso; ciò vale già per i godimenti fisici, ma molto più per quelli spirituali.
La visione di cui parliamo è connessa al quadro dei valori in cui crediamo, il futuro che vogliamo costruire, una causa alla quale vogliamo contribuire, una mission, una vision, ciò che riteniamo sia degno, qualcosa per cui lottare, la nostra capacità di connetterci a concetti spirituali e di trovare una spiritualità che ci alimenti. L’aspetto della visione, dei valori e degli ideali è senza dubbio il più distante da un mondo massificato e materialistico. Il solo pensiero di aiutare e lasciare una piccola traccia verso un mondo migliore nobilita la nostra vita e la riempie di significati.
Cento volte al giorno ricordo a me stesso che la mia vita interiore e esteriore sono basate sulle fatiche di altri uomini, vivi e morti, e che io devo sforzarmi al massimo per dare nella stessa misura in cui ho ricevuto.
Albert Einstein
Tutto questo non è solo teoria, diventa pratica e azione nel momento in cui troviamo il “dove” e “come” provarci. Impegnarsi richiede focalizzazione. Se vogliamo applicare l’analisi ad un Deep Business Coaching, lo schema da considerare è il seguente:
Esiste uno scopo dell’azienda, un “perché esiste l’azienda” e questo deve diventare la mission aziendale. Ogni mission aziendale ben fatta identifica “chi aiutiamo a fare cosa”, e si basa su una relazione d’aiuto.
Esistono dei valori su cui si basa il nostro agire e da cui derivano le nostre scelte. Il lavoro per far emergere questi valori non è banale ma anzi importantissimo.
Esistono degli standard comportamentali. Esistono quindi dei comportamenti che si sposano bene con i valori, e altri che vi sono contrari. Di questi standard comportamentali attesi si nutre la modalità e stile di leadership, e persino la modalità di vendita e relazione con il cliente.
Esiste una strategia, che identifica una posizione competitiva nel quadro di mercato ed alcune competenze peculiari e distintive. All’interno di ogni singola strategia, esiste una linea d’azione specifica da adottare, per ogni strategia, che sia coerente con i nostri valori e con la mission. Il Modello Ashridge di Missione esplicita molto bene questo concetto nella sua applicazione aziendale[1], e si presta molto bene per avviare qualsiasi tipo di Deep Business Coaching.
La nostra sfida diventa anche la capacità di trasporre questo modello nella nostra visione di vita, nei nostri valori personali, nel senso della vita (lite purpose) che va ben oltre la nostra professione e tocca la persona nella suà completezza, ed è appunto una pulsione spirituale, valoriale, e una vision profonda che ci ispira. Quando il nostro agire è spinto da valori profondi positivi, solidi e inte- riorizzati, smettiamo allo stesso tempo di preoccuparci dell’opinione altrui, certi e fermi delle nostre convinzioni e dei nostri valori, per cui la ricerca dei valori di ancoraggio sui valori cui fare riferimento è un valore immenso di per se stesso. Ciò che pensi di te stesso è molto più importante di quanto pensano gli altri di te.
Preoccupati di ciò che pensano gli altri e sarai sempre loro prigioniero
Lao Tzu
Possiamo ricavare da questo modello un principio guida per il Deep Coaching:
Principio 1 – Attivazione di un Deep Coaching centrato sullo Scopo
Il cambiamento positivo viene favorito dai seguenti fattori:
riuscire a focalizzare e rifocalizzare bene il proprio scopo di vita (Life Purpose) e/o la mission aziendale per l’impresa, facendolo diventare un faro e una guida per le azioni e le scelte personali;
localizzare i nostri valori guida, le nostre credenze più profonde sino agli atteggiamenti quotidiani e abitudini che applichiamo consciamente o inconsciamente alla nostra giornata, al nostro lavoro, al nostro modo di vivere;
localizzare e fissare gli standard comportamentali siano essi generali oppure legati ai comportamenti quotidiani, alle abitudini da far entrare nella propria vita, sino ai modi di comunicare ad ogni livello comunicativo;
definire le nostre strategie generali e quelle operative in grado di far emergere e valorizzare le nostre competenze, i nostri scopi, i nostri valori, trasformando lo scopo generale in progetti concreti;
localizzare le dissonanze tra scopi, valori, standard comportamentali e strategie, facendo emergere tali dissonanze per poter effettuare un ricentraggio importante di queste variabili.
La presenza mentale per l’aumento delle performance
A volte per ottenere il meglio da se stessi è necessario staccare.
Il professionista Martinez così racconta la sua preparazione:
A luglio 2005, l’atleta trentenne ha lasciato l’isola frenetica e soffocata dal traffico di Manhattan per trasferirsi temporaneamente nel distretto di South Street di Philadelphia. Nella sua nuova città, si è buttato anima e corpo nella preparazione per l’Olympia, camminando per le strade di Philadelphia come un novello Rocky intento a prepararsi per il match decisivo della sua carriera agonistica.
“Le mie giornate – spiega – erano dedicate soltanto all’allenamento e alla preparazione. Niente attività extracurricolari”[1].
[1] Berg, M. (2006), La svolta di Victor, Flex, n. 4, pp. 70-79. Rif., p. 75.
Rompere con l’ambiente circostante di sempre, cambiando il frame spazio-temporale abitudinario, è una tecnica usata nello sport e nell’impresa, quando si vuole ottenere massima dedizione e concentrazione. La tecnica del cambiare città temporaneamente o del cambiare stile di vita, o del cambiare palestra, o luogo di lavoro, o del “ritiro”, è una pratica vincente per molti professionisti sportivi e team, ma anche di artisti e pensatori che cercano di ottenere uno stacco totale dallo stile di vita o da aspetti particolari dell’ambiente precedente (fisico e sociale), per trovare nuova linfa e concentrazione.
Ciò che rimane nel non detto, è da cosa esattamente si stia sfuggendo. Spesso si tratta di una coltre di nebbia mentale, di uno smog psicologico non ben definito, di abitudini o climi psicologici che è persino difficile identificare. Quello che conta è che la tecnica del ritiro e/o del cambiamento di ambiente funzioni, e che possa essere utilizzata per ottenere nuova linfa vitale e nuova concentrazione rompendo con gli schemi precedenti.
La concentrazione, lo stacco dagli schemi abitudinari della vita quotidiana, la separazione mentale delle attività, sono forti strumenti per la ricarica delle energie psicologiche. Nel caso precedente abbiamo visto l’esempio di uno stacco estremo, cambiare città, ma in molti altri casi lo stacco può essere ottenuto anche durante la giornata.
Vediamo questa testimonianza in ambito sportivo, su come nelle arti marziali (quando condotte da maestri preparati, non da dilettanti) si vada alla ricerca di quella condizione interiore che permette al partecipante di “cambiare registro” ed entrare in una dimensione più profonda:
Spesso la meditazione ha luogo alla fine e all’inizio delle lezioni. Tuttavia il fatto stesso di arrivare al Dojo, di liberarsi degli indumenti quotidiani per indossare il nostro Gi, Dobok o quello che è, metterci la nostra cintura, è in se un atto di preparazione per adattare la nostra mente all’altro spazio-tempo che compone la nostra pratica nel Do-jo (il posto del risveglio).
La meditazione ed i saluti iniziali sono un passo in più nel già citato processo. Persino nella loro pratica esclusivamente formale tali cerimonie facilitano il transito dalla stressante quotidianità, fino ad un atteggiamento diverso, dove i valori, i tempi e persino la misura del nostro sforzo sono molto differenti. Qui il denaro non comanda, comanda il Maestro; il nostro tempo non ci appartiene, è gestito dal Maestro e dalla dinamica del gruppo; il corpo, spesso trascurato nel nostro quotidiano, acquisisce ora un protagonismo distinto, diventa presente e richiama la mente e le emozioni a condividere lo sforzo. Uno sforzo che non si realizza per ottenere denaro, oggetti o sesso, uno sforzo che ci porterà un unico regalo, l’autosuperamento[1].
Se esiste una capacità dimenticata oggi in azienda è la presenza mentale, la concentrazione strategica.
[1] Tucci, A. (2005), Concentrazione e meditazione nelle arti marziali, Budo International, settembre, p. 62.
Principio 10 – Energie mentali, presenza mentale e mono-tasking
Le energie mentali diminuiscono o si esauriscono quando:
le risorse attentive non sono pienamente presenti e concentrate;
l’individuo utilizza le proprie energie attentive (cognitive) ed emotive su più fronti contemporanei (multitasking);
l’individuo sottostima il grado di difficoltà insito nel compiere bene un’azione o affrontare un problema;
l’individuo non riesce ad isolare le attività prioritarie, o a rinunciare alla dedizione verso tempi estranei al goal, durante il tentativo di perseguire il goal stesso;
viene utilizzato uno stile di pensiero errato rispetto al compito.
Le energie mentali aumentano quando:
vengono allenate le capacità di concentrazione e presenza mentale;
vengono praticate attività atte a favorire la lucidità mentale (rilassamento, meditazione, tecniche di training mentale condotte da professionisti);
l’individuo concentra le attenzioni ed energie su un problema o progetto, evitando la dispersione (rimozione del multitasking);
l’individuo apprende a svolgere stime corrette rispetto al dispendio di energie mentali di attenzione e concentrazione necessarie, senza sopravvalutarle (ingigantimento della sfida) o sottovalutarle (sottostima);
l’individuo apprende a compiere azioni sfidanti con maggiore efficienza mentale, utilizzando stili di pensiero (stili cognitivi) postivi e risolutivi.
Altri materiali su Comunicazione, Coaching, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:
Vogliamo fare alcune riflessioni che estendono questo ragionamento alla formazione aziendale, coaching e percorsi di sviluppo:
Energie e competenze sono importanti, ma senza passione, senza il motore di una causa nobile, tutto è inutile.
“A cosa serve il mio sforzo?” è una domanda che deve trovare risposte.
Tante persone sono come auto pronte al via, ma con il parabrezza talmente sporco da non consentire di vedere “verso dove”, andiamo. Auto senza un guidatore, viandanti senza una meta e senza un perché.
Occorre stimolare e riscoprire gli ancoraggi profondi ai valori, e ad una causa, la sacralità di una missione, persino la sacralità dell’esistenza.
Le performance, le nostre giornate, le nostre ore, sono piene di atti vuoti o sono ancorati ad un disegno superiore? Esiste una “spiritualità” delle performance o del fare, un “fuoco sacro” che alimenta energie e motivazione?
Diamo un senso a quello che facciamo? Ci proviamo? Possiamo cogliere un motivo denso di significato?
Anche la non-azione (come la meditazione) può essere piena di valore, così come un progetto tangibile.
Credere in quello che si fa è determinante per l’auto-immagine. Se ci sentiamo inutili venditori di fumo non andremo mai da nessuna parte. Se troviamo invece il modo di essere di aiuto a qualcuno, di dare senso, o di lottare per qualcosa, diventiamo pieni di forze.
Ancorare l’azione a ideali significa riconoscere il bisogno di esistere per un fine. Le performance sono destinate a svanire nell’istante, mentre invece una causa è eterna.
Vi sono persone e atleti che sperimentano il contatto con una realtà superiore ogni volta che entrano nelle quattro mura di una palestra o di un Dojo, e sanno che il loro allenamento sarà una forma di preghiera e di contatto con il proprio Dio, o anche solo con le forze primordiali della natura. Lo stesso può accadere nell’impegnarsi in un progetto sociale, aziendale o personale.
La visione di una causa per cui lottare o di un senso in quanto facciamo è un motore potente. Quando questo collegamento denso di valori, mistico o sacro, accade, le energie si sprigionano, i miracoli sono dietro l’angolo.
La capacità di amare è una misura del Potenziale Umano: amare è essere pronti a rinunciare, senza che questa rinuncia ti pesi… amare è essere disposto a lottare, senza che questa lotta ti spaventi… amare è la passione che metti nel portare avanti il sogno che vuoi raggiungere… nonostante le barriere tra te e il tuo sogno.
Daniele Trevisani
Nel Metodo HPM, suggeriamo almeno una sessione all’anno di revisione del proprio “life purpose”, lo scopo di vita, il senso di missione, la spiritualità di una visione cui tendere. Un momento all’anno dedicato a riesaminare e “ricentrare” i nostri valori può cambiare un’intera vita e migliorarla.
Questo può essere fatto con l’aiuto di un coach, di un counselor, di un formatore o di un terapeuta, ma anche in alcuni casi, con il supporto di un Mentor (progetti di Mentoring HPM) o di un Maestro o guida spirituale.
Il lavoro integrato sulle sei celle del Metodo HPM, dal lavoro quotidiano sul corpo, passando per le competenze, sino alla progettualità e alla spiritualità, è un lavoro di coaching estremamente proficuo e profondo e pervade ogni cellula di chi lo pratica.
Quando pensiamo di non farcela, quando vediamo e sentiamo di avere obiettivi superiori nella vita ma questi ci sembrano irraggiungibili o non sentiamo di avere le risorse interiori per farcela, quando vediamo una luce ma ci sembra difficile raggiungerla, è questo il momento per avviare un Deep Coaching e avviare finalmente un lavoro su se stessi che ci porti a scoprire dove possiamo arrivare quando le nostre energie, le nostre competenze e la nostra progettualità siano alimentate da un lavoro costante di allenamento, di training, di potenziamento.
Non ci si libera di una cosa evitandola, ma soltanto attraversandola.
Cesare Pavese
Principio 2 – Attivazione di un Deep Coaching su più livelli (Metodo HPM)
Il cambiamento positivo viene favorito dai seguenti fattori:
intervento di coaching sulle energie fisiche e sullo stato bioenergetico, orientato al fitness e wellness in ogni sua forma e declinazione;
coaching sulle energie mentali (psicoenergetica), stimoli alla motivazione, riduzione dell’ansia, stato mentale positivo;
coaching delle macro-competenze e dei saperi, con una visione olistica ed “enciclopedica”;
coaching delle micro-competenze e dei dettagli in grado di fare la differenza (micro-skills);
coaching della Progettualità e della capacità di fissare gli obiettivi da concretizzare (Goal Setting e SMART Goals);
coaching della Spiritualità, evoluzione della mission, vision, dei valori e del Life Purpose (scopo di vita).
Approfondiamo le sei specifiche aree di lavoro di un percorso di crescita personale e professionale nel metodo HPM.
Cella 1:Energie fisiche (stato bioenergetico) e autostima
Le energie corporee sono il substrato fondamentale necessario per mettere in atto qualsiasi percorso di crescita personale, qualsiasi azione o volontà, anche intellettuale o legata all’autostima. Sentire di avere un corpo vitale aiuta ad avere energia vitale. E per avere un corpo vitale bisogna allenarlo, ogni singolo giorno, anche con tecniche diverse.
Dobbiamo letteralmente usare ogni giorno una parte del nostro tempo per curare il corpo e potenziarlo, anche se questa sembri una strada periferica per il lavoro sulla crescita personale, sull’autostima, sullo sviluppo personale e professionale.
Iniziamo a battere nuove strade della vita, partendo dal corpo, e ne scorgeremo panorami prima impensabili.
Due strade divergevano nel bosco, ed io… io scelsi quella meno battuta e questo fece la differenza.
Robert Frost
Il corpo è la casa della nostra anima e del nostro pensiero. Persino il fatto di pensare, come pensiamo, e le attività mentali sia consapevoli che subconscie, sono processi che si basano su energie biologiche.
La nostra vita e abilità, il nostro pensiero e azione, dipendono dalla qualità del sangue, dall’ossigeno, dai nutrienti, dal respiro, dai muscoli, da ogni nostro sistema organico – tutti fattori che incidono sulla lucidità e sul benessere fisico e anche mentale.
Pensare, progettare, ideare, richiede energie elevate e una macchina biologica e corporea attiva, ben funzionante. Nessuno può liberarsi del proprio corpo, e quindi è meglio averlo come alleato anziché come nemico, come propulsore anziché come palla al piede, al massimo livello possibile.
Le prestazioni prevalentemente intellettuali o manageriali tendono a snobbare il corpo e sottovalutare le energie corporee, così come le performance fisiche snobbano quelle mentali. Due gravissimi errori.
Nel metodo HPM ci concentriamo su alcune domande: come entrano in scena le energie corporee nelle performance, anche in quelle intellettuali? Come è possibile aumentarle? Come agire sul proprio stato fisico, sulla condizione del corpo, sul suo stato di forma o condizione bioenergetica?
La linea guida fondamentale del metodo HPM suggerisce almeno una attivazione corporea o allenamento al giorno, ogni giorno, per tutta la vita, per tendere verso quello stato corporeo e bioenergetico (stato delle energie fisiche) che farà da propulsore ad ogni nostra volontà e da base solida per i nostri sogni.
Il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni.
Eleanor Roosevelt
Cella 2: Energie Mentali (stato psicoenergetico)
Sognare è bello. Concretizzare i sogni ancora meglio. Questo richiede però buone dosi di energie psichiche, motivazione, perseveranza.
Aiutare le persone a trovare le proprie migliori energie mentali è un compito arduo e allo stesso nobile, ed uno degli obiettivi primari del Deep Coaching.
Seminare nel terreno delle energie mentali e vederne i fiori crescere è una grandissima soddisfazione per qualsiasi coach e formatore serio.
Se la vita è solo un passaggio, in questo passaggio seminiamo almeno dei fiori.
Michel de Montaigne
Il “poter fare” dipende in larga misura dal livello di energie fisiche, mentre il “voler fare” richiede accesso alle energie mentali. È indispensabile quindi esaminare il fronte psicologico della prestazione e del benessere individuale.
Quali sono i fattori che generano motivazione e demotivazione? Quali incidono sull’autostima e la migliorano, e quali invece la distruggono ed erodono? Possiamo fare nostro un piano di crescita delle nostre energie mentali? La risposta è si, e questo in particolare grazie al “training mentale”, una pratica del metodo Deep Coach in grado di produrre grandi miglioramenti nello stato mentale, testata su atleti campioni del mondo sino alla formazione di dirigenti, Generali ONU, comandanti di navi e leader d’azienda, così come con studenti e persone comuni.
Nel training mentale non importa quanto rapidi siano i cambiamenti, ma in genere lo sono, ed anche in modo molto evidente. Quello che conta è essere costanti, lavorare su un percorso.
Non importa quanto vai piano, l’importante è non fermarsi
Confucio
Quali interventi concreti sono possibili? Se riusciamo ad isolare variabili in grado di generare o ridurre le energie mentali avremo aperto una via determinante per capire meglio come funziona l’uomo e cosa si rompe nel funzionamento della persona e delle organizzazioni quando essi non riescono a raggiungere i propri obiettivi.
Dobbiamo inoltre introdurre il concetto fondamentale della preparazione emotiva e del training emozionale. Questo viene realizzato in specifiche sessioni di Training Mentale con metodi frutto di un nostro lavoro di ricerca che distingue tra “emozioni Alfa” (emozioni legate al risultato, competitive, agonistiche, motivate alla vittoria o conclusione), e “emozioni Beta” (il piacere dell’azione in sé, il piacere del percorso, la scoperta delle sensazioni positive durante l’azione stessa).
Il sostegno alle emozioni Beta, reso possibile dal training mentale, significa riappropriarsi anche del proprio vissuto e gustare le piccole azioni, nella vita, nello sport e nel management, una pratica indispensabile che rappresenta una nuova sfida e offre immense opportunità per incrementare benessere, autostima, fiducia in sé stessi e piacere del vivere, del lavorare, del fare progetti.
Nel Metodo HPM si suggerisce la pratica di almeno un esercizio di training mentale o di rilassamento al giorno, tutti i giorni, per tutta la vita.
Non permettete a nessuno di indurvi a beffeggiare i sognatori.
Napoleon Hill
Cella 3: Micro-competenze
I dettagli fanno la perfezione e la perfezione non è un dettaglio.
Leonardo Da Vinci
Le micro-competenze sono date dai dettagli minimali in grado di fare la differenza in una performance. Nel Deep Coaching, non dobbiamo mai cadere nell’ossessività, bensì nella ricerca dell’eccellenza, e questo passa anche per la ricerca di dettagli allenabili che possono fare la differenza.
Le energie diventano utili e concrete quando le sappiamo tradurre in azione, e questo richiede competenze.
Trasformare energie latenti in energie applicative richiede specifiche abilità. Dobbiamo quindi esaminare la realtà microscopica dei comportamenti e del pensiero, sviluppare tecniche di focusing per riuscire a scovare le abilità di dettaglio in grado di fare la differenza. Si tratta di una vera e propria “caccia” ai dettagli lavorabili ed allenabili, alle cose che altrimenti sfuggono.
Chi vuole fare grandi cose deve pensare profondamente ai dettagli.
Paul Valéry
Come scoprire quindi i “dettagli che contano”, le “componenti allenabili” di una performance? Come attivare il “microscopio mentale” e il “microscopio comportamentale”? Quali spazi apre la “Mental Analysis” per capire quali sono i sistemi di pensiero e atteggiamenti mentali più efficaci nel liberarsi da blocchi e catene?
E ancora, dobbiamo apprendere a “smontare” il flusso di pensiero in flussi analizzabili passo-dopo-passo (Mental Frame-by-Frame Analysis) e il flusso di comportamento in sotto-tracce analizzabili (Behavioral Frame-by-Frame Analysis). Nuove competenze, nuove sfide.
Nel Metodo HPM si suggerisce l’esame svolto assieme ad un coach per identificare quali sono i “centri di gravità” di una performance o di un progetto per poi individuare quali siano le competenze effettivamente allenabili. Questo vale sia per le performance sportive, dove dobbiamo scoprire quali siano i dettagli in grado di fare la differenza, che per le performance intellettuali o manageriali, come il public speaking e le tecniche di presentazione, le capacità di assegnare deleghe e compiti, di gestire una riunione o di essere leader.
La differenza tra qualcosa di buono e qualcosa di grande è l’attenzione ai dettagli.
Charles R. Swind
I dettagli di un singolo atto sono importanti, ma lo è anche possedere un buon ventaglio di conoscenze, una conoscenza chiamata “enciclopedica”, nel senso di “non limitata” ad uno spazio troppo stretto e angusto, solo iperspecialistico.
Quello che facciamo e come lo facciamo crea in noi percorsi mentali che continuiamo a seguire ripetitivamente, spesso chiusi in una gabbia mentale che ci fa da prigione interiore. Quello che abbiamo studiato sinora, la nostra disciplina, il nostro lavoro, i nostri studi, le nostre abitudini, possono sembrare un soffice cuscino ma spesso diventano gabbie mentali e comportamentali perché non riusciamo a guardare oltre.
Se vuoi qualcosa che non hai mai avuto, devi fare qualcosa che non hai mai fatto.
Thomas Jefferson
Cella 4: Macro-competenze
Ampliare le macro-competenze significa uscire dalla gabbia mentale. È significativo il caso – visibile in un video specifico, di un’orsa liberata dopo 20 anni di cattività: continua a girare su sé stessa come fosse ancora in una gabbia virtuale[1]. La gabbia, prima fisica, è diventata mentale. La triste reazione dell’orsa Ina dopo essere stata curata e liberata dal Libearty Bear Sanctuary Zarnesti in Romania, dimostra che le azioni creano tracce mentali che tendiamo a seguire sempre e ripetitivamente, finché non ci appropriamo di nuovi territori del sapere e di nuove competenze.
Allargare le macro-competenze significa aprirsi al nuovo e rompere la gabbia mentale che ci imprigiona.
Per capire le “connessioni tra le cose” occorre conoscere più campi del sapere, e metterli in connessione. Ogni sfida richiede un profilo di competenze adeguato. Come fare una buona analisi delle competenze richieste da un ruolo che cambia? Dove sono i gap di competenze da anticipare (e non solo da colmare)? Siamo certi di sapere esattamente quali sono le nostre competenze importanti per il futuro che vorremmo o che sta arrivando?
Se ci liberiamo dal male della presunzione, tutti noi possiamo diventare consapevoli di non sapere. Spesso gli incidenti personali di vita (critical incidents), le fasi di malessere, i test di realtà, le cadute, ci segnalano che qualcosa non va. Sia in questi casi, che nella vita quotidiana, chiediamoci cosa è bene imparare. Rimaniamo aperti. Howell[2], nell’introdurre il concetto di unknown incompetence (ciò che non sappiamo di non sapere) ha fatto un regalo ad ogni essere umano, stimolandolo ad andare a cercare i suoi punti ciechi nascosti. Quali sono quindi le cose che ci sfuggono di noi stessi? Quali sono invece i punti di forza personali su cui fare perno? Che tecniche di analisi utilizzare per scoprire dove indirizzarsi nel prossimo passo della propria formazione personale?
L’analisi del livello macro ci porta inoltre a ragionare sul tema dell’entropia delle competenze, il degrado progressivo che subisce la nostra preparazione per via dell’ambiente che cambia ed evolve, e come fronteggiarlo.
Nel Metodo HPM si suggerisce di compiere ogni anno un investimento importante sulla propria formazione personale, anche e soprattutto in campi del sapere nuovi o limitrofi al nostro territorio professionale. Fare un corso all’anno non è una richiesta troppo impegnativa, ma anno dopo anno, se ci formiamo, cresceremo sempre.
Cella 5: Progettualità e concretizzazione
Abbiamo bisogno di desiderare, amare e avere progetti per essere ricompensati. È uno dei meccanismi della sopravvivenza.
Clara Sanchez
I progetti costruiscono. I progetti concreti aiutano a far diventare realtà una visione o un valore in cui crediamo. Dobbiamo quindi sempre lavorare sulla nostra capacità di tradurre la nostra missione e visione in qualche progetto concreto.
Stupende idee che non trovino mai soddisfazione e applicazione, energie mai tradotte in un progetto, ambizioni soffocate a lungo o per sempre, distruggono anziché costruire.
Niente è più deleterio del rimanere costantemente in uno stato di tensione latente, di pulsione bloccata, un tendere a… sempre incompiuto.
Ogni idea forte o desiderio di attivazione incompleto produce danni, una vita castrata, un adagiarsi nella sofferenza senza che mai si provi un avvicinamento all’oggetto o condizione desiderata, ad uno stato superiore.
Giorno dopo giorno soffoca chi non tenta di vivere una vita a pieno. Occorre quindi trovare sfogo applicativo, liberazione progettuale, determinazione, sviluppare le tecniche per canalizzare le energie in goals concreti.
Nessuno può pretendere che ogni sogno si concretizzi, ma nemmeno accettiamo la castrazione di ogni nostro sogno. Che caratteristiche devono avere i progetti che puntano a conseguire risultati concreti? Vogliamo finalmente mettere mano alla nostra capacità di realizzare e concretizzare?
Nessuno pretende record mondiali o progetti forzatamente fantastici, ma piccoli passi si, ricerca di significati si, ricerca di scopi praticabili sì.
I progetti vanno rifiutati quando vuoti, e riprogettati come atti di espressione praticabili, concretizzabili, per generare attivazione. Ogni piccolo passo conta. Ogni micro-goal raggiunto ci fa pensare di poterne raggiungere un altro ancora e rinforza la nostra autostima.
Nel Metodo HPM consigliamo la realizzazione di almeno un progetto significativo a semestre, o altra cadenza per noi adeguata, e lavoriamo per incrementare la nostra capacità di progettazione e di realizzazione di progetti concreti.
Ricordo di aver detto al mio mentore, “Se avessi più soldi, avrei un progetto migliore”, Egli mi rispose rapidamente, “Direi piuttosto che se tu avessi un progetto migliore, avresti più soldi”. Vedi, non è l’importo che conta; è il progetto che conta.
Jim Rohn
Cella 6: Visione e ideali, spiritualità
La spiritualità è un quadro molto complesso e non comprende per forza l’essere religiosi. Si può essere spiritualmente attivi e ricchi anche nel contemplare la natura, un quadro, o nel come si intende il proprio lavoro.
Si può essere attivi sul piano dei valori anche la saggezza che usiamo come consumatori (vedi le ricerche sulla consumer wisdom), il modo con cui spendiamo i nostri soldi e risorse, utilizzando un senso di scopo e dando priorità ad acquisti orientati a promuovere la crescita personale, la salute e le relazioni[3].
Esiste una spiritualità interna di cui parla Schopenhauer, un “ciò che si è”, diverso dal ciò che si ha:
Quel che importa è sempre ciò che uno è e quindi possiede in se stesso: la sua individualità infatti lo accompagna sempre e ovunque ad essa dà il colore ad ogni sua esperienza. In tutto e per tutto egli gode primariamente se stesso; ciò vale già per i godimenti fisici, ma molto più per quelli spirituali.[4]
La visione di cui parliamo è connessa al quadro dei valori in cui crediamo, il futuro che vogliamo costruire, una causa alla quale vogliamo contribuire, una mission, una vision, ciò che riteniamo sia degno, qualcosa per cui lottare, la nostra capacità di connetterci a concetti spirituali e di trovare una spiritualità che ci alimenti.
L’aspetto della visione, dei valori e degli ideali è senza dubbio il più distante da un mondo massificato e materialistico. Il solo pensiero di aiutare e lasciare una piccola traccia verso un mondo migliore nobilita la nostra vita e la riempie di significati.
Cento volte al giorno ricordo a me stesso che la mia vita interiore e esteriore sono basate sulle fatiche di altri uomini, vivi e morti, e che io devo sforzarmi al massimo per dare nella stessa misura in cui ho ricevuto.
Albert Einstein
Tutto questo non è solo teoria, diventa pratica e azione nel momento in cui troviamo il “dove” e “come” provarci. Impegnarsi richiede focalizzazione.
Se vogliamo applicare l’analisi ad un Deep Business Coaching, lo schema da considerare è il seguente:
Esiste uno scopo dell’azienda, un “perché esiste l’azienda” e questo deve diventare la mission aziendale. Ogni mission aziendale ben fatta identifica “chi aiutiamo a fare cosa”, e si basa su una relazione d’aiuto.
Esistono dei valori su cui si basa il nostro agire e da cui derivano le nostre scelte. Il lavoro per far emergere questi valori non è banale ma anzi importantissimo.
Esistono degli standard comportamentali. Esistono quindi dei comportamenti che si sposano bene con i valori, e altri che vi sono contrari. Di questi standard comportamentali attesi si nutre la modalità e stile di leadership, e persino la modalità di vendita e relazione con il cliente.
Esiste una strategia, che identifica una posizione competitiva nel quadro di mercato ed alcune competenze peculiari e distintive. All’interno di ogni singola strategia, esiste una linea d’azione specifica da adottare, per ogni strategia, che sia coerente con i nostri valori e con la mission.
Il Modello Ashridge di Missione esplicita molto bene questo concetto nella sua applicazione aziendale[5], e si presta molto bene per avviare qualsiasi tipo di Deep Business Coaching.
La nostra sfida diventa anche la capacità di trasporre questo modello nella nostra visione di vita, nei nostri valori personali, nel senso della vita (Life Purpose) che va ben oltre la nostra professione e tocca la persona nella sua completezza, ed è appunto una pulsione spirituale, valoriale e una vision profonda che ci ispira.
Quando il nostro agire è spinto da valori profondi positivi, solidi ed interiorizzati, smettiamo allo stesso tempo di preoccuparci dell’opinione altrui, certi e fermi delle nostre convinzioni e dei nostri valori, per cui la ricerca dei valori di ancoraggio sui valori cui fare riferimento è un valore immenso di per sé stesso.
Ciò che pensi di te stesso è molto più importante di quanto pensano gli altri di te.
Preoccupati di ciò che pensano gli altri e sarai sempre loro prigioniero.”
Lau Tzu
Possiamo ricavare da questo modello un principio guida per il Deep Coaching:
Principio 1 – Attivazione di un Deep Coaching centrato sullo Scopo:
Il cambiamento positivo viene favorito dai seguenti fattori:
riuscire a focalizzare e rifocalizzare bene il proprio scopo di vita (Life Purpose) e/o la mission aziendale per l’impresa, facendolo diventare un faro e una guida per le azioni e le scelte personali;
localizzare i nostri valori guida, le nostre credenze più profonde sino agli atteggiamenti quotidiani e abitudini che applichiamo consciamente o inconsciamente alla nostra giornata, al nostro lavoro, al nostro modo di vivere;
localizzare e fissare gli standard comportamentali siano essi generali oppure legati ai comportamenti quotidiani, alle abitudini da far entrare nella propria vita, sino ai modi di comunicare ad ogni livello comunicativo;
definire le nostre strategie generali e quelle operative in grado di far emergere e valorizzare le nostre competenze, i nostri scopi, i nostri valori, trasformando lo scopo generale in progetti concreti;
localizzare le dissonanze tra scopi, valori, standard comportamentali e strategie, facendo emergere tali dissonanze per poter effettuare un ricentraggio importante di queste variabili.
[1] Campbell, Andrew; Devine, Marion, & Young, David. (1995). Il senso della missione. Biblioteca di Financial Times, Jackson libri, Milano.
[2] Howell, William S. (1982). The empathic communicator. University of Minnesota: Wadsworth Publishing Company.
[3] Mick, D. G., Bateman, T. S., & Lutz, R. J. (2009). Wisdom: Exploring the pinnacle of human virtues as a central link from micromarketing to macromarketing. Journal of Macromarketing, 29(2), 98-118. Mick, D. G., & Schwartz, B. (2012). Can consumers be wise? Aristotle speaks to the 21st century. In D. G. Mick, S. Pettigrew, C. C. Pechmann, & J. L. Ozanne (Eds.), Transformative consumer research for personal and collective well-being (pp. 663-80). Taylor & Francis/Routledge.
L’avvio di un rapporto può essere basato sul concetto di “prova” nel quale il fornitore viene testato o ad un formato di “seduzione” nel quale si avvia un avvicinamento progressivo.
In pochi o rari casi un fornitore passa dall’essere un perfetto sconosciuto allo status di “fornitore ufficiale”, “fornitore di fiducia”, o “fornitore di riferimento”.
Il nostro obiettivo è quello di percorrere la strada che passa dall’essere estranei al sistema cliente al diventare il suo punto di riferimento per una intera categoria di bisogni.
Esiste una forte differenza tra essere venditore di prodotti o fornitore di un prodotto “una tantum” ed essere “il riferimento” per un cliente.
Dobbiamo quindi esplorare quale livello di relazione cercano gli interlocutori, entrando all’interno del Sistema Motivazionale (SM) del cliente
Dobbiamo chiederci:
quali sono le possibili configurazioni del rapporto
quali le possibili evoluzioni.
Alcune tipologie di rapporto:
copertura di una esigenza momentanea,
ricerca di un allargamento del parco fornitori ma senza mettere in discussione il fornitore attuale primario,
assaggio di una novità ma senza intenzioni di continuità con il fornitore precedente,
ricerca di un partner di continuità,
bisogno di un partner di continuità con capacità anche di comakership,
bisogno di un partner di continuità, comakership e R&D congiunta, estremamente integrato nella catena del valore,
ricerca di un “pollo da spennare” per ottenere Ricerca e Sviluppo gratis dal fornitore,
ricerca di un puro benchmark di prezzo o di qualità.
Principio 1 – Capacità di cogliere il grado di relazione ottimale e svilupparne il percorso
Il successo della vendita consulenziale dipende:
dalla capacità di capire quale grado di relazione sia auspicabile avviare per l’azienda venditrice;
dalla capacità di capire quale grado di relazionesia desiderato dall’azienda cliente;
dalla capacità di negoziare la relazione ancora prima della vendita;
dalla capacità di far evolvere la relazione (percorso della relazione).
La vendita consulenziale deve appurare se esistono condizioni per il successo reciproco – condizioni win-win – partendo sia dai dati disponibili che dagli atteggiamenti.
Le condizioni lose-win – in cui l’azienda venditrice va incontro a trappole o perdite sia economiche che di know-how – devono essere attentamente scrutinate e colte, prima che possano arrecare danni profondi, come la perdita di know-how, erosione di impegno, tempo e denaro.
In ogni comunicazione dobbiamo analizzare attentamente il livello di relazione ricercato, i segnali di fiducia (trust-signals) e di sfiducia (distrust-signals) in essa contenuti, che danno spessore alle ipotesi in costruzione.
Inquadrare la vendita complessa attraverso il metodo Action Line Management
Modello e sequenza ALM:
Scenari
Mission
Marketing Mix – Value Mix
Action Line
Front Line
Il modello ALM invita tutti nell’impresa, il venditore consulenziale, il commerciale, il responsabile marketing sino all’amministratore delegato.
Chiunque ha impatto sul cliente deve porsi una serie di domande, che presuppongono altrettante consapevolezze sui 5 punti della sequenza ALM.
Appropriarsi della parte, per un venditore consulenziale, significa essere pienamente consapevole di tutta la sequenza ALM dell’impresa: i suoi scenari, la sua missione, il suo mix di valori, le sue tattiche, le sue comunicazioni.
Diventano quindi importanti:
domande di scenario e consapevolezze di scenario: cosa accade nel settore, cosa stanno facendo i concorrenti, quali trend hanno impatto su di noi, quali sono i nostri punti di forza e di debolezza;
domande sulla missione e consapevolezza della mission: cosa facciamo, perché lo facciamo, quali bisogni di base cerchiamo di risolvere nel cliente (BSS – Bisogno Sottostante Servito), dove sono i confini della nostra missione, cosa ci accomuna e cosa ci differenzia da altri competitors. Domande sull’organizzazione e sulla sua struttura interna: come si differenziano i ruoli aziendali, sono chiare le differenze, esistono possibili confusioni organizzative e di ruolo di cui il cliente può accorgersi e che dovremo essere chiamati a pagare o cui dovremo cercare di rimediare?
domande sul marketing mix e value mix: il marketing mix (caratteristiche dei prodotti e servizi, sistema dei prezzi, sistemi di distribuzione e vendita, comunicazione e promozione) racchiude le leve di marketing usate dall’impresa per portare valore al cliente. La nostra missione in quali prodotti e servizi si concretizza? Quali sono le caratteristiche, vantaggi, benefici e unicità (CVBU) dei nostri prodotti e servizi? Dove si concentra il valore? Quali sono i CVBU dell’intero marketing mix, i CVBU nel sistema di pricing, il CVBU del sistema distributivo, il CVBU della nostra immagine e della nostra comunicazione? Il venditore consulenziale deve conoscere attentamente il value mix di cui dispone, il mix di valore che possiamo erogare al cliente – il quale nasce dalla somma e interazione delle diverse caratteristiche, vantaggi, benefici e unicità che la nostra azienda può produrre.
Domande sulle nostre action-lines: come ci prepariamo per incontrare il cliente? Abbiamo la strategia relazionale adeguata? È sottoposta a sperimentazione, prove, verifica, autocritica o feedback?
Domande sul front line: che stile di comunicazione percepisce in noi il cliente? Che dissonanze comunicative può cogliere? Su quali diversi punti di contatto si dispiega il nostro front-line? Presidiamo tutti i possibili punti di contatto alla ricerca di una qualità totale nella nostra comunicazione o qualcosa rimane scoperto?
Il punto essenziale qui trattato è la consapevolezza del venditore o negoziatore sui punti critici del proprio sistema-impresa.
Il venditore consulenziale non è un burattino inconsapevole mosso da fili che non conosce, ma un vero e proprio “attore di ruolo”, nel senso che “agisce” in un testo che deve conoscere molto bene e deve interpretare un ruolo in modo molto consapevole, non robotizzato.
Diagnosi del cliente: la sequenza ALM
Idealmente, la vendita consulenziale e la vendita complessa devono interessarsi del cliente e non vendere ad un soggetto fantasma.
Il comportamento da adottare è il contrario del “mettere su il disco” della vendita e consiste nell’applicarsi in un ascolto attento, partecipe, empatico, forte, analitico.
L’ascolto deve essere praticato anche quando il cliente “decentra” rispetto all’esplorazione delle problematiche. Se non poniamo attenzione al ricentraggio dei temi conversazionali che contano, cadremo presto nella strategia della controparte ben formata : buyer professionale che consiste nel “far scoprire” il venditore e trovarne le lacune, per poi utilizzarle contro di esso.
Quanto più potenziale esiste nel cliente, tanta più attenzione occorre dare nell’analisi. In una analisi accurata è necessario applicare attenzione a numerosi punti, in particolare occorre presidiare e diagnosticare:
gli scenari del cliente: che fase vive il cliente, a quali forze e pressioni è sottoposto, che implicazioni e vincoli ci sono sui suoi acquisti; che punti di vulnerabilità ha oggi sul mercato?
la mission del cliente e la sua organizzazione: cosa cerca in profondità il cliente, a quali target attuali si dirige, a quali nuovi target punta; come possiamo aiutarlo a raggiungere la sua mission e i suoi obiettivi?
il value mix del cliente: in cosa desidera fare la differenza, in quali aspetti del prodotto, del servizio, o dei prezzi, della distribuzione, o di immagine;
le action lines del cliente: riguardasia le linee di azione che adotta verso i clienti, che le linee di azione che adotta verso i fornitori. Che strategia applica verso i clienti? Che strategia relazionale applica verso i fornitori e in particolare verso di noi?
Il front-line del cliente: come comunica il cliente al suo mercato e ai suoi clienti? Con quale posizionamento e stile? Quali canali usa? Quali messaggi lancia, ma soprattutto, quali vorrebbe lanciare?
Capire questo ultimo punto è essenziale in termini di vendita consulenziale: se la fornitura riesce a diventare un tassello fondamentale del messaggio che il cliente desidera lanciare al proprio mercato, essa aumenta considerevolmente di valore.
Passare da una vendita stereotipata ad una vera espressione di sè
Tra venditore classico e venditore consulenziale notiamo la stessa differenza che esiste tra attore “recitativo” (che impara a memoria un testo) e attore vero (colui che “diventa” un personaggio).
Riferendoci al metodo sviluppato da Stanislavskij per la formazione dell’attore, notiamo questa importante somiglianza:
Tra gli elementi più duraturi degli insegnamenti di Stanislavskij, quello riguardante l’attore è senz’altro il più importante.
Attore non è più solo colui (o colei) che su un palcoscenico interpreta un personaggio. Attore è un professionista della recitazione, che pone il suo salire sul palcoscenico come atto finale di un percorso di appropriazione della “parte”.
Ciò non consiste solo nell’imparare a memoria le battute e le azioni da compiere, ma soprattutto in un lavoro di composizione del personaggio.
L’attore non è chiamato a riprodurre pigramente delle “maschere”, ma a “comporre” un personaggio in tutto il suo spessore, psicologico e fisico.[1]
[1] Failla, Barbara (2005), Il sistema Stanislavskij. In: Antenati, storia delle letterature europee. Pubblicato in www.girodivite.it, marzo 2005.
Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:
La vendita consulenziale si esprime soprattutto nella gestione di rapporti ad alto tasso di professionalità. Rapporti che puntano ad una lunga collaborazione e non al “mordi e fuggi”, nella quale il fattore fondamentale da sviluppare è il “trust” (fiducia) verso il venditore/consulente.
Il fattore fiducia deve sempre e comunque essere tenuto alto, per evitare di produrre sensazioni manipolative e corrodere l’immagine dell’azienda per cui si lavora e soprattutto la propria.
La componente persuasiva della vendita esiste, tuttavia i meccanismi utilizzati sono completamente diversi, per modo e motivazione, dagli schemi classici di vendita che parlano di “magia” e formule da memorizzare, schemi comportamentali da ricalcare roboticamente, dai quali ci distanziamo assolutamente e che giudichiamo superati, ed inutili.
Nel modello consulenziale, la fase persuasiva avviene innescando processi mentali del cliente legati alla maturazione della sua consapevolezza.
Compito del consulente d’acquisto (non più venditore, quindi, se vogliamo precisarne la psicologia del ruolo) è di intervenire sulle mappe mentali attraverso informazioni mirate, far maturare nuove consapevolezze, supportare una buona analisi, ri-centrare il cliente verso obiettivi forti e produttivi e portarlo a decidere (fase di ricentraggio e concretizzazione).
La vendita consulenziale è il risultato di progressivi passaggi di incremento della coscienza decisionale del cliente.
I venditori diventano i consulenti d’acquisto, informatori, educatori decisionali (Edu-Marketing). Portano conoscenza e cultura, non solo prodotti.
Sentirsi venditori in costante pressing, o invece consulenti professionali, è una differenza di identità anche per chi vende.
Sentirsi venditori consulenziali aiuta.
La scuola metodologica che portiamo avanti è centrata sulla volontà del venditore di essere protagonista (regista) di un intervento volto a cambiare e migliorare uno stato attuale del cliente o impresa-cliente (modello X-Y di Change management applicato alla vendita).
In questo schema di base lo stato X è la situazione attuale del cliente, e lo stato Y una situazione per lui migliorativa.
Ovviamente, per conoscere X ed Y, nel mondo delle vendite aziendali, occorre fare molto lavoro di analisi. Occorre essere sensibili, come avremo modo di approfondire, alle false X e alle false Y, le analisi distorte, gli obiettivi confusi, le bugie che le persone ci dicono, e si dicono.
Occorre capire se la persona che abbiamo davanti sta recitando un copione e chi ne è lo scrittore dietro le quinte, capire se ci sono suggeritori e chi sono.
Occorre afferrare con quali altri fornitori potenziali un cliente ha parlato prima di noi, con chi parlerà dopo di noi, e quale distintività creare.
È necessario avere estrema preparazione per distinguere le voci vere dalle voci che escono da maschere professionali, maschere di teatro aziendale che raccontano una favola inventata o recitata, o appresa in corsi specifici di tecniche di acquisto e negoziazione d’acquisto, o semplicemente imparata da altri.
Team di vendita ad alte prestazioni
Se, come dice il nome, le vendite e negoziazioni che affrontiamo sono davvero “complesse”, quindi complicate, non possiamo sperare che una singola persona sposti la montagna e compia un lavoro immane da solo.
Dobbiamo tenere conto del fatto che più persone saranno coinvolte in un progetto-cliente. Quando il cliente è una multinazionale e la vendita dipende da più decisori, ma anche se la vendita è destinata ad una media impresa familiare in cui intervengono più influenzatori, è bene mettere in campo un team e non sperare che una persona da sola faccia ogni cosa.
Quanto più è alta la posta, tanto più serve la capacità di costruire un “team di vendita” veramente affiatato, che includa tutte le persone che avranno rapporti con quel cliente.
Un Sales Team ad Alte Prestazioni è obiettivo definitivo e primario di ogni azienda proiettata verso un futuro di successo.
Le vendite complesse raramente si conducono in solitudine.
Come minimo, nella presentazione di offerte, possono intervenire progettisti, tecnici, amministrativi, persino consulenti esterni, ed entrare anch’essi in relazione con il sistema-cliente senza rendersi conto di essere – in quel momento – dei tasselli di un mosaico complesso.
Un mosaico tutto centrato attorno alla vendita in corso, in una rete di relazioni che può diventare tanto fragile quanto un castello di carta, tanto difficile da costruire quanto rapida da far cadere con un semplice errore comunicativo, una disattenzione, un gesto sbagliato, una dimenticanza, una scortesia anche involontaria.
Dobbiamo quindi considerare due aspetti fondamentali:
per far si che le persone si comportino come vogliamo serve leadership, una leadership autorevole che faccia rispettare, nel team di vendita, le regole del gioco;
non tutto dipende dal leader: i membri del team, come sottolinea Muzzarelli[1] devono fare la loro parte. Non devono aspettarsi che il “capo” sia onnipotente ma attivarsi in prima persona, non essere attendisti passivi, diventare problem solver, giocatori di una squadra. Questo significa anche comprendere bene cosa stiamo facendo, e perché: capire se dobbiamo agire in un modo piuttosto che in un altro, senza che questo sia vissuto come un’imposizione.
Esiste poi un altro aspetto che qualifica le vendite complesse: si svolgono spesso con o contro aziende importanti e multinazionali, veri colossi, con inevitabile aumento nello squilibrio dei rapporti di forza.
Ogni buyer di multinazionali è formato costantemente, è un professionista, un atleta aziendale, un agonista della trattativa, allenato sottoposto a “corsi di acquisto e psicologia della negoziazione” molto frequenti e costanti.
I buyer professionali vengono formati per apprende a rompere il potere negoziale del venditore, annullare i margini di manovra altrui.
Farlo diventa un gusto, anche a discapito di ogni teoria win-win..
In specifici corsi, e questo accade soprattutto nelle multinazionali, il buyer apprende strategie per far sentire il venditore inutile o comparabile con altri, sostituibile, generare la sensazione che l’azienda venditrice sia una tra le tante, una sorta di commodity come il grano o l’acqua.
Queste tecniche sono finalizzate a creare ansia nel venditore, senso di insicurezza, sentirsi comparato con altri venditori, fino a portarlo in stato di tensione tale da far “calare le difese” e i prezzi.
Il negoziatore o buyer professionale impara strategie per ottenere informazioni dai venditori e dai tecnici, ed utilizzarle contro di loro.
Svolge ricerche per capire chi ha di fronte e che strategie ha usato finora. Usa la Business Intelligence, prepara una strategia.
Capire con chi si ha a che fare, distinguere scenari veri da favole d’azienda è uno dei compiti principali della vendita consulenziale. E farlo dentro un team che conosce le stesse tecniche e parla la stessa lingua, anziché farlo da soli, è enormemente più facile, anche solo per il fatto di sapere di non essere soli.
Capire i motivi delle strategie comportamentali adottate dai buyer o dai decisori richiede sia saggezza che preparazione. Richiede il coraggio del Gladiatore che sa di dover lottare contro un ciclope, ma proprio per questo decidere di usare strategia e non improvvisare.
Capire chi decide, capire chi comanda, capire chi influenza chi, richiede non solo doti comunicative ma doti di analisi, di BusinessIntelligence.
La raccolta di tante informazioni, il presidio dei contatti, la costruzione delle condizioni atte a generare la chiusura positiva di un progetto, hanno più possibilità di successo se affrontati in team. Un team con una leadership chiara, valori comuni, conoscenze tecniche condivise, e una buona formazione che ci aiuti a parlare lo stesso linguaggio e manovrare la nave davvero come una squadra affiatata.
Questo è il mondo della vendita consulenziale. Questo è il terreno in cui ci si muove. E in questo scontro si può essere preparati o impreparati, naif o analisti, dilettanti o professionisti. A noi la scelta.
[1] Muzzarelli, Francesco (2010), Io e il capo, Il Campo, Bologna, 2010
Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:
Un video nel quale osservare gli occhi di una campionessa mentre si allena, il suo impegno, la sua dedizione, il suo ascolto attento che fanno di lei una Persona ancora prima che una atleta.
http://www.youtube.com/watch?v=MreajkW_1ik
E qui, un video per vedere come il mondo sta andando avanti mentre la zona Euro sta ferma e soffoca, grazie alla nostra splendida moneta che sta uccidendo l’economia. Questo è il resto del mondo per chi vuole vederlo
http://www.youtube.com/watch?v=HkuyG0Q3YUA
Redazione a cura di Medialab Research
Contatti con il Direttore e Curatore, dott. Daniele Trevisani:
Appena uscito, il libro “Personal Energy”. Disponibile in tutte le migliori librerie e con numerose schede che verranno progressivamente inserite nella rivista
ed inoltre…
Immancabile, il “Trovalibri“. Rimane, visto il grande interesse, il form di ricerca sull’intero catalogo di IBS, per tema o autore (clic sull’immagine per aprire la pagina di ricerca)
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