Il Capitale Psicologico (in Inglese PsyCap, Psychological Capital) è un concetto di estrema importanza per tutto il mondo della crescita personale e del management che diventa determinante anche e soprattutto per fare Deep Coaching.
Il capitale psicologico è definito come “uno stato di sviluppo psicologico positivo caratterizzato da:
avere fiducia (auto-efficacia) nel mettere in campo lo sforzo necessario per avere successo in compiti sfidanti,
realizzare attribuzioni positive (ottimismo) sulle possibilità di successo ora e nel futuro,
perseverare verso gli obiettivi (speranza), e, quando necessario, ridirezionare il percorso verso gli obiettivi,
quando si incontrano cadute e avversità, sostenerli e rialzarsi (resilienza) per ridirezionarsi verso il successo”.
I quattro fattori primari sono quindi:
autoefficacia (Self Efficacy)
ottimismo (Optimism)
speranza (Hope)
resilienza (Resilience).
Quando parliamo di Capitale Psicologico e sue componenti, non dobbiamo considerarlo come qualcosa di astratto, ma di molto concreto.
Per incrementare il proprio Capitale Psicologico occorre un allenamento quotidiano e un fare concreto
L’artista è nulla senza il talento, ma il talento è nulla senza lavoro
Emile Zola
Il fattore Hope (speranza) è qualcosa di pratico, non è da confondere con una vaga o illusoria speranza che le cose migliorino o andranno bene. È costituito invece da una “speranza attiva” che si compone di determinazione, pianificazione (planning), volontà e potere della volontà (Willpower) e dalla volontà di cercare strade efficaci per arrivare ai propri scopi (Waypower).
Il fattore Efficacy è altrettanto concreto e comprende sia la chiara percezione di quali sono i progetti e le sfide per le quali possiamo dimostrare efficacia (autoefficacia, Self-Efficacy), che il fattore entusiasmo, un ingrediente fondamentale per la riuscita di qualsiasi progetto o volontà.
Il fattore Resilience (resilienza) è altrettanto un concetto attivo. Non è da confondere con un vago concetto di “forza d’animo” ma con un concretissimo sapersi risollevare dopo un fallimento o dopo che qualcosa ci ha ostacolato, unito alla perseveranza nel fare. Si compone di perseveranza, costanza, continuità, saper essere continuativi nella nostra azione anche a fronte di difficoltà, saper trovare strade alternative per il successo o linee d’azione alternative dopo che una certa azione non si è dimostrata efficace, e saper considerare ogni caduta o fallimento come qualcosa di temporaneo e sul quale possiamo risollevarci e imparare, per progredire con ancora maggiore efficacia-
Il fattore Optimism (ottimismo) è anch’esso da intendere come un ottimismo attivo. Comprende la sensazione di poter incidere sul futuro tramite le nostre azioni e le nostre scelte, e un buon livello di Locus of Control. Il Locus of Control è la variabile psicologica che indica quanto una persona è propensa ad assegnare al destino o al fato il proprio stato attuale e futuro (Locus of Control esterno) oppure considerare il proprio stato e il proprio futuro come qualcosa su cui possiamo anche incidere con le nostre scelte, comportamenti e atteggiamenti. (Locus of Control interno).
Va da sé che una persona con un Locus of Control interno (ma senza scadere nell’ossessività) abbia molta più volontà di agire rispetto a chi ha un Locus of Control completamente esterno
Se io penso che non valga la pena impegnarsi tanto il destino è già scritto, non mi attiverò mai in niente e sarò solo fatalista. Se invece penso che il mio destino sia anche in parte frutto delle mie scelte, delle mie azioni e comportamenti, di sicuro mi impegnerò nello svolgere progetti concreti, programmi di crescita personale o professionale, e azioni positive.Questo vale in qualsiasi campo della vita, nello sport, nell’azienda, nella politica e nel campo sociale.
Fai attenzione alle tue abitudini, perché diventano il tuo carattere.Fai attenzione al tuo carattere, perché diventa il tuo destino
Lao Tze
Il concetto di Capitale Psicologico ha i propri fondamenti scientifici saldamente radicati nella Psicologia Positiva[1], una branca della psicologia che si occupa di come potenziare le risorse psicologiche delle persone anziché occuparsi di curare malattie psicologiche[2]. Come tale, questo tipo di psicologia si presta ad un utilizzo ad ampio spettro nell’impresa e in ogni ruolo, incluso quello del Deep Coaching.
Queste teorie suggeriscono che i quattro fattori citati siano risorse positive che agiscono in modo sinergico e non solo in modo singolo, amplificandosi l’una con l’altra fino a dare vita al massimo potenziale della personaPossiamo considerare che il potenziale personale di un manager o di un venditore – ma anche di qualsiasi persona – sia dato dalle skills, le competenze o saper fare che la persona possiede, e dal substrato psicologico, caratteriale, morale, e dagli atteggiamenti verso la vita e verso gli obiettivi e le sfide che ciascuno possiede.
In presenza di skills forti e in combinazione con un Capitale Psicologico elevato, il potenziale personale di ogni individuo ne esce enormemente potenziato.
“Il pessimismo non ha mai vinto nessuna battaglia.”
Dwight Eisenhower
Le quattro caratteristiche del Capitale Psicologico interagiscono le une con le altre. Quando una persona ha speranza è maggiormente disposta a mettere in campo progetti e iniziative con ottimismo, conta sulla sua efficacia personale come risorsa su cui fare leva, e sa fronteggiare le avversità riprendendosi anche dopo insuccessi e fallimenti con rinnovata speranza, ottimismo ed efficacia.
Ma non solo. Esiste un effetto “contagio” di queste quattro dimensioni sia all’interno dell’azienda, dove le persone con elevato Capitale Psicologico sono in grado di immettere energie positive nei team a cui partecipano, sia verso il cliente, che percepisce l’ottimismo, l’energia e il senso di efficacia e volontà del venditore innalzando le proprie intenzioni di acquisto. Le performance complessive, quindi subiscono un forte impulso dall’immissione di Capitale Psicologico in azienda e in ogni persona possibile ad ogni livello.
Le ricerche dimostrano che un intervento di formazione sul Capitale Psicologico (PCI – Psychological Capital Intervention) è possibile e ha effetti netti e positivi sulle performance[1]. Le tecniche principali usate sono specifiche per ogni area, e si va dalle visualizzazioni guidate di sé stessi mentre si raggiunge un obiettivo, alla rivisitazione di successi passati, fino alla disaggregazione di un obiettivo in steps micro, misurabili e concretamente realizzabili. Il training e il coaching sul PCI può avvalersi di una innumerevole serie di tecniche per le quali rimandiamo a contatti diretti con l’autore[2].
Parlando di Business Coaching, l’impatto positivo dello PsyCap si ritrova nella riduzione dell’assenteismo, nel maggiore impegno (commitment) e nell’atteggiamento positivo verso il mercato e verso i clienti, sino alle migliori relazioni interne nei gruppi di lavoro e tra capi e collaboratori. L’effetto di contagio positivo avviene anche tra leader e collaboratori. Un collaboratore che ha a che fare con un leader dotato di alti livelli di PsyCap diventa generalmente più ottimista, più fiducioso nelle proprie risorse e nella possibilità di farcela, e meno preoccupato delle cadute in quanto sa che si potrà rialzare e potrà ripartire come o meglio di prima. Questo effetto a discesa della positività dall’alto verso il basso della gerarchia organizzativa è chiamato Downstream Effect.
Altri studi addirittura arrivano a dimostrare la presenza di un “effetto contagio positivo” a distanza, in azienda multinazionali ove i contatti possono essere anche e soprattutto digitali. Ebbene anche in questi contesti si è trovato che i leader globali di un’impresa con PsyCap positivo hanno un effetto contagio positivo sui propri collaboratori nel mondo[3].
Rich (1999)[4] ha trovato che i direttori di vendita possono incrementare l’ottimismo attraverso un supporto individualizzato, che nella nostra esperienza si traduce nel fare ricorso a sessioni di coaching e di mentoring. Per questo motivo, è bene che i leader e i direttori di qualsiasi tipo di team aziendale o sportivo imparino le tecniche del coaching e del mentoring e le applichino ai propri collaboratori per incrementare le performance e il benessere.
Lo PsyCap è collegato direttamente al benessere generale dell’individuo[5], e quando una persona sta bene, il lavoro non può che riceverne benefici.
Una leadership autentica e autorevole è quindi uno degli scopi di ogni tipo di Deep Coaching.
Rivolgi il viso verso il Sole e le ombre cadranno alle tue spalle”
Proverbio Maori
Principio 3 – Sostegno e potenziamento del Capitale Psicologico (PsyCap):
Il cambiamento positivo viene favorito dall’incremento del Capitale Psicologico (PsyCap) della persona e del team, individuato dai seguenti fattori:
incremento dei livelli di Hope (Speranza). La Speranza attiva e non passiva è caratterizzata dal potere della volontà (Willpower), dal potere di individuare strade per il successo personale o di un progetto (Waypower), e da un atteggiamento proattivo e non solo attendistico, nel quale si sviluppano progetti in modo attivo, concreto;
incremento dei livelli di Efficacy (Efficacia e Autoefficacia). Capacità di lavorare sulle proprie risorse personali e incrementarle (saperi, saper essere, saper fare);
incremento dei livelli di Resilience (Resilienza). Capacità di andare oltre le fasi negative o gli insuccessi e rimanere ancorati ai propri valori e visioni, perseverando nell’impegno con fiducia;
incremento dei livelli di Optimism (Ottimismo). L’ottimismo attivo prevede la ricerca di campi di espressione personale sapendo attivare emozioni positive, motivazione e realismo;
sinergie tra i diversi livelli dello PsyCap, tali che un intervento su un livello porti benefici anche ad altri livelli e ad altre persone (effetto di contagio positivo).
[1] Silvia Dello Russo, Psychological Capital Intervention (PCI): A Replication and Extension. September 2015 Human Resource Development Quarterly 26(3):329-347
[4] Rich, Gregory A. (1999), “Salesperson Optimism: Can Sales Managers Enhance It and So What If They Do?” Journal of Marketing Theory & Practice, 7 (1), 53–6
[5] Wang, H., Sui, Y., Luthans, F., Wang, D., & Wu, Y. (2014). Impact of authentic leadership on performance: Role of followers’ positive psychological capital and relational processes. Journal of Organizational Behavior, 35, 5–21. https://doi.org/10.1002/ job.1850
La sigla H.E.R.O viene utilizzata per ricordare più facilmente le quattro componenti (Hope, Efficacy, Resilience, Optimism), che andiamo ad esaminare con maggiore dettaglio.
Hope – Speranza. Il poteredella volontà e della determinazione
“Se non puoi essere un pino sul monte, sii una saggina nella valle, ma sii la migliore, piccola saggina sulla sponda del ruscello. Se non puoi essere un albero, sii un cespuglio. Se non puoi essere un’autostrada, sii un sentiero. Se non puoi essere il sole, sii una stella. Sii sempre il meglio di ciò che sei. Cerca di scoprire il disegno che sei chiamato ad essere. Poi mettiti con passione a realizzarlo nella vita.”
Martin Luther King
La speranza si esprime nell’abilità di trovare degli scopi nobili da perseguire, fissare dei goal, automotivarsi nel raggiungere quei goals, e nell’abilità di determinare soluzioni alternative per raggiungere quei goal. La speranza esprime il potere della volontà (Willpower) e il potere di cercare strade alternative per portare avanti la propria volontà (Waypower).
Ad esempio, nel mondo della vendita, le persone con livello di speranza elevato sono migliori e più capaci nell’inquadrare vie multiple al successo della vendita e conseguire i propri goals in numerose situazioni. Ad esempio, quando le persone con alti livelli di speranza stanno eseguendo una determinata linea di azione finalizzata ad una vendita, o implementano una strategia di vendita e il loro percorso ha dei blocchi, essi mostrano la capacità di lanciarsi in vie d’azione alternative e continuare a perseguire il goal.
In ogni campo della vita e del lavoro, le persone che hanno speranza pensano sempre che ci sia una possibile via per raggiungere un certo scopo e non si scoraggiano, potendo contare sull’energia di una fede interiore nella capacità di avere successo o raggiungere un obiettivo nonostante le difficoltà.
2. Efficacy – Efficacia. La capacità di accettare sfide
“Nulla può impedire all’uomo con il giusto atteggiamento mentale di raggiungere il proprio obiettivo; nulla sulla terra può aiutare l’uomo con l’atteggiamento mentale sbagliato.
Thomas Jefferson
L’efficacia dal punto di vista del capitale psicologico rappresenta una credenza positiva nelle proprie abilità di accettare le sfide e perseguire lo sforzo necessario per avere successo (Luthans, Youssef, e Avolio 2007)[1]
L’efficacia diventa la convinzione della persona, la sicurezza nelle sue abilità di mobilizzare la motivazione, le risorse mentali, e portarle entro corsi di azione necessari ad eseguire con successo un compito specifico entro un dato contesto.
Le persone efficaci hanno maggiore fiducia nelle lor attività, e di conseguenza diventano più persistenti e più capaci nell’impegnarsi in attività dirette ad un fine (Bandura 1986)[2]. La fiducia in sé diventa fiducia nelle proprie capacità e questo assume la forma di un circolo virtuoso in cui la persona non demorde e continua a perseverare sapendo di poter raggiungere un risultato. La persona con un alto livello di autoefficacia accetta anche grandi sfide, certa di avere le probabilità di successo o almeno di poterlo tentare con buona probabilità di successo. La persona efficace non solo accetta la sfida ma impegna il tempo e lo sforzo necessario per ottenere i propri goals.
3. Resilience – Resilienza. La capacità di rialzarsi
Il mondo ci spezza tutti quanti, ma solo alcuni diventano più forti là dove sono stati spezzati.
Ernest Hemingway
La resilienza fa la differenza tra le persone che recuperano morale e volontà dopo un’avversità, e quelli che ne rimangono devastati a schiacciati (Block e Kremen 1996)[3]. La resilienza permette agli individui di “rimbalzare” positivamente e velocemente da uno o più eventi negativi (Masten 2001)[4].
La resilienza è una risorsa reattiva definita come la capacità psicologica di rialzarsi, di “rimbalzare in avanti” da una avversità, ritrovare la strada dopo una fase di incertezza, un conflitto, un fallimento, accompagnata anche da cambiamenti positivi, apprendimenti, progressi e nuove responsabilità.
Le persone con alto grado di resilienza recuperano livelli psicologici eguali o addirittura superiori ai livelli precedenti l’omeostasi, andando spesso anche oltre la condizione di partenza. Le persone intraprendono il viaggio positivo verso la resilienza ogni volta che riescono a recuperare da una situazione negativa, potenziando il proprio carattere e le proprie risorse psicologiche, dando il via ad una spirale di crescita positiva.
Nella vita, la resilienza è fondamentale perché la vita stessa di chi si pone obiettivi ambiziosi è connotata per definizione da alti tassi di fallimento o rifiuto e il ruolo di chi prende questa via pone grandi sfide e aspettative di successo che non sempre si avverano. Senza resilienza, non sarebbe possibile avanzare nonostante le difficoltà e superarle, andare oltre e ripartire con volontà e determinazione sempre nuove.
Per quanto vivrai, continua a imparare a vivere.
Lucio Anneo
4. Optimism – Ottimismo. Creare ciò che si può fare e non fermarsi a ciò che non si può fare
“Possiamo lamentarci perché le rose hanno le spine, oppure gioire perché le spine hanno le rose.”
Alphonse Karr
La quarta componente delle PsyCap è l’ottimismo, che rappresenta una visione positiva dei risultati, include emozioni positive, motivazione e realismo.
Come osservato da Carver e Scheier (2002)[5], la differenza tra persone ottimiste e persone pessimiste non è triviale, in quando gli ottimisti differiscono nettamente nei loro approcci ai problemi e alle sfide e nelle modalità di adattarsi alle avversità.
Chi è ottimista, se non ha opportunità cerca di crearsele, se non ha una competenza si adopera per apprenderla, se non ha le conoscenze che gli servirebbero per avere successo le studia. Lo stesso vale per le relazioni umane. L’ottimismo ragionevole è una delle doti umane più nobili e rare.
“Non troverai mai un arcobaleno, se guardi in basso.”
Charlie Chaplin
[1] Luthans Fred, Carolyn M. Youssef, and Bruce J. Avolio (2007), Psychological Capital: Developing the Human Competitive Edge, New York: Oxford University Press.
[2] Bandura, Albert (1986), Social Foundations of Thought and Action: A Social Cognitive Theory, Englewood Cliffs: Prentice-Hall.
[3] Block, Jack, and Adam M. Kremen (1996), “IQ and Ego-Resiliency: Conceptual and Empirical Connections and Separateness,” Journal of Personality and Social Psychology, 70 (2), 349–361.
[4] Masten, Ann S. (2001), “Ordinary Magic: Resilience Processes in Development,” American Psychologist, 56 (3), 227–239.
[5] Carver, Charles S., and Michael F. Scheier (2002), “Optimism,” in Handbook of Positive Psychology, C. R. Snyder, and S. J. Lopez, eds., New York: Oxford University Press, 231–243.
Il Capitale Psicologico (in Inglese PsyCap, Psychological Capital) è un concetto di estrema importanza per tutto il mondo della crescita personale e del management che diventa determinante anche e soprattutto per fare Deep Coaching.
Il capitale psicologico è definito come “uno stato di sviluppo psicologico positivo” caratterizzato da:
avere fiducia (auto-efficacia) nel mettere in campo lo sforzo necessario per avere successo in compiti sfidanti,
realizzare attribuzioni positive (ottimismo) sulle possibilità di successo ora e nel futuro,
perseverare verso gli obiettivi (speranza), e, quando necessario, ridirezionare il percorso verso gli obiettivi,
quando si incontrano cadute e avversità, sostenerli e rialzarsi (resilienza) per ridirezionarsi verso il successo“[1]
I quattro fattori primari sono quindi:
autoefficacia (Self Efficacy)
ottimismo (Optimism)
speranza (Hope)
resilienza (Resilience).
Quando parliamo di Capitale Psicologico e sue componenti, non dobbiamo considerarlo come qualcosa di astratto, ma di molto concreto.
Per incrementare il proprio Capitale Psicologico occorre un allenamento quotidiano e un fare concreto
L’artista è nulla senza il talento, ma il talento è nulla senza lavoro
Emile Zola
Il fattore Hope (speranza) è qualcosa di pratico, non è da confondere con una vaga o illusoria speranza che le cose migliorino o andranno bene. È costituito invece da una “speranza attiva” che si compone di determinazione, pianificazione (planning), volontà e potere della volontà (Willpower) e dalla volontà di cercare strade efficaci per arrivare ai propri scopi (Waypower).
Il fattore Efficacy è altrettanto concreto e comprende sia la chiara percezione di quali sono i progetti e le sfide per le quali possiamo dimostrare efficacia (autoefficacia, Self-Efficacy), che il fattore entusiasmo, un ingrediente fondamentale per la riuscita di qualsiasi progetto o volontà.
Il fattore Resilience (resilienza) è altrettanto un concetto attivo. Non è da confondere con un vago concetto di “forza d’animo” ma con un concretissimo sapersi risollevare dopo un fallimento o dopo che qualcosa ci ha ostacolato, unito alla perseveranza nel fare. Si compone di perseveranza, costanza, continuità, saper essere continuativi nella nostra azione anche a fronte di difficoltà, saper trovare strade alternative per il successo o linee d’azione alternative dopo che una certa azione non si è dimostrata efficace, e saper considerare ogni caduta o fallimento come qualcosa di temporaneo e sul quale possiamo risollevarci e imparare, per progredire con ancora maggiore efficacia.
Il fattore Optimism (ottimismo) è anch’esso da intendere come un ottimismo attivo. Comprende la sensazione di poter incidere sul futuro tramite le nostre azioni e le nostre scelte, e un buon livello di Locus of Control. Il Locus of Control è la variabile psicologica che indica quanto una persona è propensa ad assegnare al destino o al fato il proprio stato attuale e futuro (Locus of Control esterno) oppure considerare il proprio stato e il proprio futuro come qualcosa su cui possiamo anche incidere con le nostre scelte, comportamenti e atteggiamenti. (Locus of Control interno).[2]
Va da sé che una persona con un Locus of Control interno (ma senza scadere nell’ossessività) abbia molta più volontà di agire rispetto a chi ha un Locus of Control completamente esterno.
Se io penso che non valga la pena impegnarsi tanto il destino è già scritto, non mi attiverò mai in niente e sarò solo fatalista. Se invece penso che il mio destino sia anche in parte frutto delle mie scelte, delle mie azioni e comportamenti, di sicuro mi impegnerò nello svolgere progetti concreti, programmi di crescita personale o professionale, e azioni positive.
Questo vale in qualsiasi campo della vita, nello sport, nell’azienda, nella politica e nel campo sociale.
Fai attenzione ai tuoi pensieri, perché diventano parole. Fai attenzione alle tue parole, perché diventano azioni. Fai attenzione alle tue azioni, perché diventano abitudini. Fai attenzione alle tue abitudini, perché diventano il tuo carattere. Fai attenzione al tuo carattere, perché diventa il tuo destino.
Lao Tze
Il concetto di Capitale Psicologico ha i propri fondamenti scientifici saldamente radicati nella Psicologia Positiva[3], una branca della psicologia che si occupa di come potenziare le risorse psicologiche delle persone anziché occuparsi di curare malattie psicologiche[4]. Come tale, questo tipo di psicologia si presta ad un utilizzo ad ampio spettro nell’impresa e in ogni ruolo, incluso quello del Deep Coaching.
Queste teorie suggeriscono che i quattro fattori citati siano risorse positive che agiscono in modo sinergico e non solo in modo singolo, amplificandosi l’una con l’altra fino a dare vita al massimo potenziale della persona
Possiamo considerare che il potenziale personale di un manager o di un venditore – ma anche di qualsiasi persona – sia dato dalle skills, le competenze o saper fare che la persona possiede, e dal substrato psicologico, caratteriale, morale, e dagli atteggiamenti verso la vita e verso gli obiettivi e le sfide che ciascuno possiede.
In presenza di skills forti e in combinazione con un Capitale Psicologico elevato, il potenziale personale di ogni individuo ne esce enormemente potenziato.
[1] Luthans F. (2002a). The need for and meaning of positive organizational behavior. Journal of Organizational Behavior, 23, 695–706.
Luthans F. (2002b). Positive organizational behavior: Developing and managing psychological strengths. Academy of Management Executive, 16, 57–72.
Luthans F, Avey JB, Avolio BJ, Norman S, Combs G. (2006). Psychological capital development: Toward a micro-intervention. Journal of Organizational Behavior, 27, 387–393.
Luthans F, Avolio BJ. (2003). Authentic leadership: A positive developmental approach. In Cameron KS, Dutton JE, Quinn RE (Eds.), Positive organizational scholarship (pp. 241–261). San Francisco: Barrett-Koehler.
Luthans F, Jensen SM. (2002). Hope: A new positive strength for human resource development. Human Resource Development Review, 1, 304–322.
Luthans F, Youssef CM. (2004). Human, social, and now positive psychological capital management. Organizational Dynamics, 33, 143–160.
Luthans F, Youssef CM. (2007). Emerging positive organizational behavior. Journal of Management, 33, 321–349.
Luthans F, Youssef CM, Avolio BJ. (2007). Psychological capital. New York: Oxford University Press.
Luthans, Fred; Avolio, Bruce J.; Avey, James B.; and Norman, Steven M., “Positive Psychological Capital: Measurement and Relationship with Performance and Satisfaction” (2007). Leadership Institute Faculty Publications 11.
[2] Rotter J.B., (1954) Social learning and clinical psychology. New York, Prentice-Hall.
Rotter J.B., (1966) Generalized expectancies for internal versus external control of reinforcement. Psychological Monographs, General and Applied, 80, 1, (N. 609).
Levenson H., (1973) Multidimensional locus of control in psychiatric patients. Journal of Consulting and Clinical Psychology, 41, 397-404.
Wallston B.S., Wallston K.A., Kaplan G.D., Maides S.A., (1976) The development and validation of the health related locus of control (HLC) scale. Journal of Consulting and Clinical Psychology, 44, 580-585.
Wallston K.A., Wallston B.S., DeVellis R., (1978) Multidimensional Health Locus of Control (MHLC) Scales. Health Education Monographs, 6, 160-170.
Krampen G., (1991) Questionnaire of Competence and Control Orientation. Göttingen, Hogrefe
[3] Seligman, Martin E. P. (1998), Learned Optimism, New York: Pocket Books.
Seligman and Mihaly Csikszentmihalyi (2000), “Positive Psychology,” American Psychologist, 55 (1), 5–14.
Seligman, M. E. P. (2011). Flourish: A new understanding of happiness and well‐ being – and how to achieve them. London, UK: Nicolas Brealey
[4] Lopez, Shane J., and C. R. Snyder, (Eds.) (2009), Handbook of Positive Psychology, New York: Oxford University Press.
Saper ascoltare le emozioni è una competenza fondamentale sia per i manager che per chi vive ogni giorno a contatto con le persone. In questo articolo e nel video correlato, tratto dal testo “Ascolto attivo ed empatia”, Franco Angeli editore, Milano. Con nostre modifiche, specifichiamo alcuni passaggi chiave
Emozioni Sottili
Ascoltare le emozioni. Emozioni e comunicazione
Emozioni e comunicazione sono fortemente correlate.
Quando comunichiamo, oltre ai dati verbali (oggetti, soggetti, verbi, aggettivi e altri elementi del discorso) possiamo sempre notare un sottofondo emotivo (la parte esterna della ruota di Plutchik sotto presentata). A volte questo sottofondo si fa più intenso, e quasi arriviamo a “sentire” o “percepire” più lo sfondo emotivo delle stesse parole (area delle emozioni intermedie). Quando si entra nelle emozioni estreme, quelle intense, rappresentate al centro, le parole diventano quasi inutili, perché veniamo inondati dall’emozione che ci arriva dall’altro, e questa finisce per sopraffare qualsiasi contenuto.
Il “solido di Plutchik” o “Ruota delle Emozioni di Plutchik”[1] rappresenta una delle migliori visualizzazioni su come funzionano le emozioni. Dobbiamo tenere a mente che anche noi siamo soggetti comunicatori, per cui quanto sopra evidenziato, vale anche per quando siamo noi a parlare.
Figura 1 – Ruota degli stati emotivi (Plutchik)[2]
(grafica adattata dal modello originale, con riferimento in bibliografia, Plutchik 1980)
Inevitabilmente, in uno scambio comunicativo, abbiamo sempre un sottostante scambio di emozioni.
Alcune persone sono bravissime e rapidissime nel cogliere le proprie emozioni interne, dirigerle, dominarle, farne l’uso che vogliono. Ad esempio, parlare in pubblico davanti a migliaia di persone senza provare il minimo di ansia.
Altre persone invece sono vittime delle emozioni, possono diventare vittime di un amore cieco e sordo ad ogni diniego, e perseverare nell’amare una persona che non le ama, o non ha nemmeno mai dato segni di amore. Possono provare paura persino del pensiero di parlare in pubblico, e temerlo come il peggiore dei veleni.
Ogni situazione comunicativa (COMSIT) può avere specifici significati e sottofondi emotivi. Le COMSIT sono specifici frames o momenti comunicativi che possono essere distinti gli uni dagli altri, come il dialogo tra amici, o il litigio, o il dare spiegazioni stradali, e mille altre possibilità date dalla vita di relazione. In ciascuna COMSIT, si presentano gradi diversi di incomunicabilità e diversi tipi di emozioni.[3]
Emozioni. Cosa fare per imparare l’intelligenza emotiva
Ma allora cosa fare. La strada, l’unica vera strada, è “allenarsi alle emozioni”. E detta così sembra come “allenarsi a vivere”, qualcosa di intangibile. Ed è proprio quell’allenare l’intangibile che fa dell’”allenamento alle emozioni” un esercizio di grande intelligenza emotiva. E una raffinata palestra di Coaching Esperienziale, per chi progetta esercizi di formazione attiva sulle emozioni.
Si tratta di fronteggiare le emozioni in un “laboratorio emotivo” dove queste possano essere sperimentate e poi “sbobinate” con il supporto di un formatore, coach, Counselor o psicologo, in funzione del tipo di intervento.
Quando si lavora su gruppi aziendali e non su situazioni di patologia clinica, certamente la figura del formatore e del Counselor possono essere il riferimento. Questi “laboratori sulle emozioni” devono essere formulati ingegneristicamente, possono utilizzare video, immagini, lettere, dialoghi a tema, ed ogni tipo di esercizio che coinvolga le emozioni.
Come ci dice Howell[4] parlando delle nostre “incompetenze emotive inconsapevoli”, all’inizio troveremo il tutto un pò stupido o saremo “imbranati”, ma poi “scaleremo” questa vetta, passo dopo passo, sino a giungere ad una forte competenza emotiva.
E del resto, questa è necessaria tanto più è elevata la posizione di carriera. Si pensi alle necessità di equilibrio emotivo di un Giudice, o di un Chirurgo, o di un operatore delle Forze dell’Ordine, o in situazioni specifiche come tirare un rigore, o in sport difficili ed estremi dove le emozioni sono tutto, o quasi tutto.
Le emozioni sono spesso miste, un incrocio tra diversi stati emotivi, come vediamo in questa figura, dove vengono mostrati i collegamenti primari, secondari e terziari tra le diadi di emozioni nel modello di Plutchik.
Figura 2 – Grafico che mostra le diadi primarie, secondarie e terziarie sulla ruota delle emozioni di Plutchik[5]
I collegamenti tra stati emotivi producono emozioni variabili a cui partecipano più stati emotivi (Mixed Emotions), che sono in realtà la nostra verità emotiva di tutti i giorni.
Emozioni sottili. Video di approfondimento
[1] Plutchik , Robert (1980), Emotion: Theory, research, and experience: Vol. 1. Theories of emotion, 1, New York: Academic
Plutchik Robert (2002), Emotions and Life: Perspectives from Psychology, Biology, and Evolution, Washington, DC: American Psychological Association
Plutchik Robert; R. Conte., Hope (1997), Circumplex Models of Personality andEmotions, Washington, DC: American Psychological Association
[3] Trevisani, Daniele (1992). A Semiotic Models Approach to the Analysis of International/Intercultural Communication; published in “Proceedings of the International and Intercultural Communication Conference”, University of Miami, FL., USA, 19 – 21 May 1992.
[4] Howell, William S. (1982). The empathic communicator. University of Minnesota: Wadsworth Publishing Company
Elenco delle emozioni. Fonte Wikipedia con nostre rielaborazioni
Emozione
Le emozioni sono stati mentali e fisiologici associati a modificazioni psicologiche, a stimoli interni o esterni, naturali o appresi. Secondo la maggior parte delle teorie moderne, le emozioni sono un processo multicomponenziale, cioè articolato in più componenti e con un decorso temporale che evolve[1].
In termini evolutivi, o darwiniani, la loro principale funzione consiste nel rendere più efficace la reazione dell’individuo a situazioni in cui si rende necessaria una risposta immediata ai fini della sopravvivenza, reazione che non utilizzi cioè processi cognitivi ed elaborazione cosciente.
Le emozioni rivestono anche una funzione relazionale (comunicazione agli altri delle proprie reazioni psicofisiologiche) e una funzione autoregolativa (comprensione delle proprie modificazioni psicofisiologiche). Si differenziano quindi dai sentimenti e dagli stati d’animo, anche se questi termini vengono spesso usati indifferentemente nel senso comune.
Reazioni psicofisiologiche
Secondo la teoria diencefalica di Cannon-Bard ,[2][3] lo stimolo emotigeno, che può essere un evento, una scena, un’espressione del volto o un particolare tono di voce, viene elaborato in prima istanza dai centri sottocorticali dell’encefalo, in particolare l’amigdala, che riceve l’informazione direttamente dai nuclei posteriori del talamo (via talamica o sottocorticale) e provoca una prima reazione autonomica e neuroendocrina con la funzione di mettere in allerta l’organismo. In questa fase l’emozione determina quindi diverse modificazioni somatiche, come ad esempio la variazione delle pulsazioni cardiache, l’aumento o la diminuzione della sudorazione, l’accelerazione del ritmo respiratorio, l’aumento o il rilassamento della tensione muscolare.
Lo stimolo emotigeno viene contemporaneamente inviato dal talamo alle cortecce associative, dove viene elaborato in maniera più lenta ma più raffinata; a questo punto, secondo la valutazione, viene emessa un tipo di risposta considerata più adeguata alla situazione, soprattutto in riferimento alle “regole di esibizione” che appartengono al proprio ambiente culturale. Le emozioni, quindi, inizialmente sono inconsapevoli; solo in un secondo momento noi “proviamo” l’emozione, abbiamo cioè un sentimento. Normalmente l’individuo che prova una emozione diventa cosciente delle proprie modificazioni somatiche (si rende conto di avere le mani sudate, il battito cardiaco accelerato, etc.) ed applica un nome a queste variazioni psicofisiologiche (“paura“, “gioia”, “disgusto“, ecc.).
Secondo la teoria del feedback di James-Lange, l’emozione è una risposta ad una variazione fisiologica. Proviamo emozioni diverse perché ciascuna è accompagnata da sensazioni e reazioni fisiologiche differenti. Tali teorie sono state criticate, in quanto persone con lesioni al midollo spinale esprimono comunque emozioni, inoltre molte espressioni fisiologiche simili causerebbero simili emozioni, difficili quindi da individualizzare. In alcuni casi, specialmente per le forti emozioni, si ha comunque un’associazione diretta tra manifestazione fisiologica ed emotiva, senza però sapere se ne sia causa la prima o la seconda.[4]
Si possono avere delle reazioni emotive, delle quali però si è inconsapevoli, anche in assenza di modificazioni psicofisiologiche, come è stato proposto dal neuropsicologo Antonio Damasio,che distingue due tipi:emozioni primarie(innate,preorganizzate)e emozioni secondarie(elaborate dall’esperienza), attraverso i circuiti del “come se”[5]. Si può inoltre avere una reazione psicofisiologica ma non essere in grado di connotarla con una etichetta cognitiva, come nel caso dell’alessitimia.
Replicando gli studi compiuti da Charles Darwin nel libro pionieristico “L’espressione delle emozioni negli uomini e negli animali” (1872), lo psicologo americano Paul Ekman ha confermato che una caratteristica importante delle emozioni fondamentali è data dal fatto che vengono espresse universalmente, cioè da tutti in qualsiasi luogo, tempo e cultura attraverso modalità simili[6]. Come suggerisce il titolo del libro di Darwin, anche gli animali provano emozioni: hanno circuiti neurali simili, hanno reazioni comportamentali simili e le modificazioni psicofisiologiche da essi sperimentate svolgono le stesse funzioni.
Allo stato attuale non è possibile affermare scientificamente che gli animali provino anche i sentimenti, perché ciò richiederebbe che abbiano una forma di coscienza. Ekman, ha analizzato come le espressioni facciali corrispondenti ad ogni singola emozione interessino gli stessi tipi di muscoli facciali e allo stesso modo, indipendentemente da fattori quali latitudine, cultura e etnia. Tale indagine è stata suffragata da esperimenti condotti anche con soggetti appartenenti a popolazioni che ancora vivono in modo “primitivo”, in particolare della Papua Nuova Guinea.
La sorpresa si manifesta sul volto con le sopracciglia alzate e incurvate, la pelle sotto il sopracciglio stirata, rughe orizzontali attraverso la fronte, le palpebre aperte, quella superiore sollevata e quella inferiore abbassata, la mascella si abbassa ma senza alcun stiramento o tensione della bocca. La paura si manifesta sul volto attraverso le sopracciglia sollevate e ravvicinate, le rughe della fronte sono al centro e non attraversano la fronte, la palpebra superiore sollevata e la bocca aperta con le labbra leggermente tese o stirate all’indietro. Il disgusto si manifesta principalmente nella parte bassa del viso e nella palpebra inferiore, precisamente con il labro superiore sollevato, il labro inferiore sollevato e premuto a quello superiore oppure abbassato e lievemente protruso, il naso arricciato, le guance sollevate, pieghe sotto la palpebra inferiore e sopracciglia abbassate spingendo verso la palpebra superiore. La rabbia si manifesta sul volto attraverso le sopracciglia abbassate e ravvicinate, rughe verticali tra le sopracciglia, palpebra inferiore tesa ma non necessariamente sollevata, sguardo fisso e occhi che possono sembrare sporgenti, le labbra serrate con gli angoli diritti o abbassati o aperte e tese e le radici possono essere dilatate. La felicità si mostra sul volto attraverso gli angoli della bocca stirati all’indietro e sollevati, la bocca chiusa o aperta, una ruga che scende dal naso fino oltre gli angoli della bocca, le guance sollevate, la palpebra inferiore con rughe sottostanti ma non tesa e zampe di gallina agli angoli esterni degli occhi. La tristezza si manifesta sul volto attraverso gli angoli interni delle sopracciglia sollevati, gli angoli della bocca piegati in giù o le labbra tremanti e l’angolo interno delle palpebre superiori sollevato.
L’emozione ha altresì effetto sugli aspetti cognitivi: può causare diminuzioni o miglioramenti nella capacità di concentrazione, confusione, smarrimento, allerta, e così via. Il volto e il linguaggio verbale possono quindi riflettere all’esterno le emozioni più profonde: una voce tremolante, un tono alterato, un sorriso solare, la fronte corrugata indicano la presenza di uno specifico stato emotivo.
Lo sviluppo delle emozioni
Secondo John Watson il neonato evidenzia tre emozioni fondamentali che vengono definite “innate”: paura, amore, ira.[7] Entro i primi cinque anni di vita manifesta altre emozioni fondamentali quali vergogna, ansia, gelosia, invidia. L’evoluzione delle emozioni consente al bambino di comprendere la differenza tra il mondo interno ed esterno, oltre a conoscere meglio se stesso. Dopo il sesto anno di età, il bambino è capace di mascherare le sue emozioni e di manifestare quelle che si aspettano gli altri da lui.[8]
A questo punto dello sviluppo il bambino deve imparare a controllare le emozioni, soprattutto quelle ritenute socialmente non convenienti, senza per questo indurre condizioni di disagio psicofisico.[9]
Secondo le indicazioni ministeriali, nei programmi didattici contemporanei, anche nella scuola primaria, diventa essenziale per un insegnante riconoscere gli stati emotivi dei propri allievi e supportarli con il dovuto sostegno ai fini dello sviluppo psichico. Ciò permette loro di relazionarsi, attraverso un lavoro costante di costruzione, è possibile ricostruire le eventuali caratteristiche che alterano la normale crescita.[10].
“La scienza del sé” è una disciplina per insegnare a scuola le emozioni , ha come obiettivo analizzare i sentimenti propri e quelli che scaturiscono dai rapporti con gli altri, mira a studiare il livello di competenza sociale ed emozionale nei ragazzi come parte della loro istruzione regolare.[11]
Prospettive teoriche sullo sviluppo emotivo
Izard è il principale sostenitore della teoria differenziale, che interpreta lo sviluppo delle emozioni nel bambino secondo una prospettiva categoriale. Secondo questa teoria esistono un certo numero di emozioni innate o universali, il set di emozioni primarie o di base, che in generale comprende la paura, la gioia, la collera, la tristezza e il disgusto. Le emozioni primarie emergono strutturate come totalità, secondo un programma maturativo innato e universale, che con lo sviluppo da luogo alle espressioni emotive riconoscibili. Già dalla nascita esiste una concordanza biunivoca e innata tra espressione facciale ed esperienza emotiva, che garantisce la comunicazione sociale del bambino anche nella fase dello sviluppo preverbale e consente di fare conoscere i propri bisogni all’adulto di riferimento che a partire dall’espressione facciale riesce a riconoscere i segnali del bambino e attivarsi sul piano della cura. Le emozioni non di base, dette anche secondarie, miste e complesse come la vergogna, l’imbarazzo, la colpa e l’orgoglio emergono solo alla fine del primo anno di vita quando è presente la consapevolezza di sé.
La teoria della differenziazione invece sostiene che le emozioni siano il prodotto di un processo di differenziazione da uno stato iniziale di eccitazione. Sulla base degli studi della Bridge e della teoria “cognitivo-attivazionale” di Schacter e Singer, Sroufe sostiene che nel neonato sarebbe possibile distinguere uno stato di maggiore o minore eccitazione generalizzata, che si differenzierebbe in stati emotivi di sconforto e di piacere. Si possono individuare tre percorsi principali distinti che portano alle emozioni vere e proprie : il sistema del piacere/gioia, il sistema della circospezione/paura e quello della frustrazione/rabbia. Le emozioni fondamentali di gioia, paura e rabbia hanno origine da un precursore che compare precocemente e che costituisce il prototipo della successiva emozione vera e propria. Secondo Sroufe lo sviluppo emotivo avviene in relazione a periodi critici che comportano riorganizzazioni o salti tra una fase e l’altra.[12]
Leventhal e Scherer sono i sostenitori della teoria componenziale, secondo la quale le emozioni si sviluppano a partire da forme semplici e biologicamente radicate fino ad arrivare a configurazioni complesse. Distinguono tre diversi livelli di elaborazione degli eventi: sensomotorio, schematico e concettuale. Lo sviluppo delle emozioni nel bambino consiste nel passaggio lineare e sequenziale da un livello all’altro con la, riorganizzazione e l’arricchimento del significato dell’emozione. Se tra i tre livelli esiste un’integrazione funzionale nel corso dello sviluppo, sembra che i meccanismi riguardanti il sistema sensomotorio siano indipendenti rispetto agli altri due. [13]
L’alessitimia è l’incapacità o l’impossibilità di percepire, descrivere e verbalizzare le proprie emozioni o quelle altrui.
La componente patologica delle emozioni può essere trattata con interventi di psicoterapia o di counseling con metodi variabili secondo le diverse scuole di riferimento, ma anche secondo valutazione medica, con approcci farmaceutici, in particolare agendo sui neurotrasmettitori che regolano emozioni ed umore.[15]
Diversi studi in letteratura hanno dimostrato che lo stress e le emozioni negative incidono negativamente sul sistema immunitario, compromettendone l’efficienza di alcune cellule[16]. I dati più significativi sull’importanza clinica delle emozioni provengono da una vasta analisi condotta da Howard Friedman e Boothby-Kewley[17], in cui sono stati analizzati ed elaborati contemporaneamente i risultati di 101 studi più piccoli. I risultati di questa analisi hanno confermato come le emozioni legate alla sofferenza incidano negativamente sulla salute. Più nello specifico coloro che hanno sperimentato lunghi periodi di ansia, tristezza, pessimismo, sospettosità e ostilità hanno il doppio delle probabilità di sviluppare patologie quali artrite, emicrania, asma, ulcera gastrica e cardiopatie. Da questi dati si evince chiaramente che le emozioni negative rappresentano un importante fattore di rischio e di grave minaccia per la salute sebbene i meccanismi biologici dietro questa relazione non siano ancora del tutto chiari.
Elenco dei sentimenti, delle emozioni e degli stati d’animo (in ordine alfabetico)
^Cfr. Martin Heidegger, Schelling. Il trattato del 1809 sull’essenza della libertà umana,Guida Editori, 1998
^È questo il senso dello “struggimento” romantico (Sehnucht). Vedi: Paolo D’Alessandro, Il gioco inconscio nella storia, ed. Franco Angeli, 1989, p.123
^Resa con il termine Einfuhlung, simpatia simbolica o empatia, usato per la prima volta nell’ambito estetico nella teoria dell’empatia dallo storico e filosofo dell’arte Robert Vischer (1847-1933)
^Introduzione di G. Caronello a M. Scheler,Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori Edizioni San Paolo, 1956 p.56
^Cfr. Heidegger, Essere e tempo e Che cos’è la metafisica?
Le emozioni umane. Elenco delle emozioni e stati emotivi nella vita personale e sul lavoro. Articolo su fonti Emozione Wikipedia ed Elenco stati emotivi Wikipedia, con nostre elaborazioni.
Se vuoi conoscere meglio come funzionano le emozioni nella vita e sul lavoro, consigliamo questo libro.
Articolo sul tema: le emozioni, emozioni umane, stati emozionali, tutte le emozioni, quali sono le emozioni? elenco completo, le emozioni umane, le emozioni primarie, elenco di tutte le emozioni, emozione, stato emotivo, sfondo emotivo,
Elenco delle emozioni – 101 Emozioni
Elenco dei sentimenti, delle emozioni e degli stati d’animo (in ordine alfabetico)
Le emozioni sono stati mentali e fisiologici associati a modificazioni psicologiche, a stimoli interni o esterni, naturali o appresi. Secondo la maggior parte delle teorie moderne, le emozioni sono un processo multicomponenziale, cioè articolato in più componenti e con un decorso temporale che evolve[1].
In termini evolutivi, o darwiniani, la loro principale funzione consiste nel rendere più efficace la reazione dell’individuo a situazioni in cui si rende necessaria una risposta immediata ai fini della sopravvivenza, reazione che non utilizzi cioè processi cognitivi ed elaborazione cosciente.
Le emozioni rivestono anche una funzione relazionale (comunicazione agli altri delle proprie reazioni psicofisiologiche) e una funzione autoregolativa (comprensione delle proprie modificazioni psicofisiologiche). Si differenziano quindi dai sentimenti e dagli stati d’animo, anche se questi termini vengono spesso usati indifferentemente nel senso comune.
Reazioni psicofisiologiche e stati emozionali
Secondo la teoria diencefalica di Cannon-Bard ,[2][3] lo stimolo emotigeno, che può essere un evento, una scena, un’espressione del volto o un particolare tono di voce, viene elaborato in prima istanza dai centri sottocorticali dell’encefalo, in particolare l’amigdala che riceve l’informazione direttamente dai nuclei posteriori del talamo (via talamica o sottocorticale) e provoca una prima reazione autonomica e neuroendocrina con la funzione di mettere in allerta l’organismo. In questa fase l’emozione determina quindi diverse modificazioni somatiche, come ad esempio la variazione delle pulsazioni cardiache, l’aumento o la diminuzione della sudorazione, l’accelerazione del ritmo respiratorio, l’aumento o il rilassamento della tensione muscolare.
Lo stimolo emotigeno viene contemporaneamente inviato dal talamo alle cortecce associative, dove viene elaborato in maniera più lenta ma più raffinata; a questo punto, secondo la valutazione, viene emessa un tipo di risposta considerata più adeguata alla situazione, soprattutto in riferimento alle “regole di esibizione” che appartengono al proprio ambiente culturale. Le emozioni, quindi, inizialmente sono inconsapevoli; solo in un secondo momento noi “proviamo” l’emozione, abbiamo cioè un sentimento. Normalmente l’individuo che prova una emozione diventa cosciente delle proprie modificazioni somatiche (si rende conto di avere le mani sudate, il battito cardiaco accelerato, etc.) ed applica un nome a queste variazioni psicofisiologiche (“paura“, “gioia”, “disgusto“, ecc.).
Secondo la teoria del feedback di James-Lange, l’emozione è una risposta ad una variazione fisiologica. Proviamo emozioni diverse perché ciascuna è accompagnata da sensazioni e reazioni fisiologiche differenti. Tali teorie sono state criticate, in quanto persone con lesioni al midollo spinale esprimono comunque emozioni, inoltre molte espressioni fisiologiche simili causerebbero simili emozioni, difficili quindi da individualizzare. In alcuni casi, specialmente per le forti emozioni, si ha comunque un’associazione diretta tra manifestazione fisiologica ed emotiva, senza però sapere se ne sia causa la prima o la seconda.[4]
Si possono avere delle reazioni emotive, delle quali però si è inconsapevoli, anche in assenza di modificazioni psicofisiologiche, come è stato proposto dal neuropsicologo Antonio Damasio, che distingue due tipi: emozioni primarie (innate, preorganizzate) e emozioni secondarie (elaborate dall’esperienza), attraverso i circuiti del “come se”[5]. Si può inoltre avere una reazione psicofisiologica ma non essere in grado di connotarla con una etichetta cognitiva, come nel caso dell’alessitimia.
Replicando gli studi compiuti da Charles Darwin nel libro pionieristico “L’espressione delle emozioni negli uomini e negli animali” (1872), lo psicologo americano Paul Ekman ha confermato che una caratteristica importante delle emozioni fondamentali è data dal fatto che vengono espresse universalmente, cioè da tutti in qualsiasi luogo, tempo e cultura attraverso modalità simili[6]. Come suggerisce il titolo del libro di Darwin, anche gli animali provano emozioni: hanno circuiti neurali simili, hanno reazioni comportamentali simili e le modificazioni psicofisiologiche da essi sperimentate svolgono le stesse funzioni.
Allo stato attuale non è possibile affermare scientificamente che gli animali provino anche i sentimenti, perché ciò richiederebbe che abbiano una forma di coscienza. Ekman, ha analizzato come le espressioni facciali corrispondenti ad ogni singola emozione interessino gli stessi tipi di muscoli facciali e allo stesso modo, indipendentemente da fattori quali latitudine, cultura e etnia. Tale indagine è stata suffragata da esperimenti condotti anche con soggetti appartenenti a popolazioni che ancora vivono in modo “primitivo”, in particolare della Papua Nuova Guinea.
La sorpresa si manifesta sul volto con le sopracciglia alzate e incurvate, la pelle sotto il sopracciglio stirata, rughe orizzontali attraverso la fronte, le palpebre aperte, quella superiore sollevata e quella inferiore abbassata, la mascella si abbassa ma senza alcun stiramento o tensione della bocca. La paura si manifesta sul volto attraverso le sopracciglia sollevate e ravvicinate, le rughe della fronte sono al centro e non attraversano la fronte, la palpebra superiore sollevata e la bocca aperta con le labbra leggermente tese o stirate all’indietro. Il disgusto si manifesta principalmente nella parte bassa del viso e nella palpebra inferiore, precisamente con il labro superiore sollevato, il labro inferiore sollevato e premuto a quello superiore oppure abbassato e lievemente protruso, il naso arricciato, le guance sollevate, pieghe sotto la palpebra inferiore e sopracciglia abbassate spingendo verso la palpebra superiore. La rabbia si manifesta sul volto attraverso le sopracciglia abbassate e ravvicinate, rughe verticali tra le sopracciglia, palpebra inferiore tesa ma non necessariamente sollevata, sguardo fisso e occhi che possono sembrare sporgenti, le labbra serrate con gli angoli diritti o abbassati o aperte e tese e le radici possono essere dilatate. La felicità si mostra sul volto attraverso gli angoli della bocca stirati all’indietro e sollevati, la bocca chiusa o aperta, una ruga che scende dal naso fino oltre gli angoli della bocca, le guance sollevate, la palpebra inferiore con rughe sottostanti ma non tesa e zampe di gallina agli angoli esterni degli occhi. La tristezza si manifesta sul volto attraverso gli angoli interni delle sopracciglia sollevati, gli angoli della bocca piegati in giù o le labbra tremanti e l’angolo interno delle palpebre superiori sollevato.
L’emozione ha altresì effetto sugli aspetti cognitivi: può causare diminuzioni o miglioramenti nella capacità di concentrazione, confusione, smarrimento, allerta, e così via. Il volto e il linguaggio verbale possono quindi riflettere all’esterno le emozioni più profonde: una voce tremolante, un tono alterato, un sorriso solare, la fronte corrugata indicano la presenza di uno specifico stato emotivo.
Lo sviluppo delle emozioni. Lo stato emozionale
Secondo John Watson il neonato evidenzia tre emozioni fondamentali che vengono definite “innate”: paura, amore, ira.[7] Entro i primi cinque anni di vita manifesta altre emozioni fondamentali quali vergogna, ansia, gelosia, invidia. L’evoluzione delle emozioni consente al bambino di comprendere la differenza tra il mondo interno ed esterno, oltre a conoscere meglio se stesso. Dopo il sesto anno di età, il bambino è capace di mascherare le sue emozioni e di manifestare quelle che si aspettano gli altri da lui.[8]
A questo punto dello sviluppo il bambino deve imparare a controllare le emozioni, soprattutto quelle ritenute socialmente non convenienti, senza per questo indurre condizioni di disagio psicofisico.[9]
Secondo le indicazioni ministeriali, nei programmi didattici contemporanei, anche nella scuola primaria, diventa essenziale per un insegnante riconoscere gli stati emotivi dei propri allievi e supportarli con il dovuto sostegno ai fini dello sviluppo psichico. Ciò permette loro di relazionarsi, attraverso un lavoro costante di costruzione, è possibile ricostruire le eventuali caratteristiche che alterano la normale crescita.[10].
“La scienza del sé” è una disciplina per insegnare a scuola le emozioni , ha come obiettivo analizzare i sentimenti propri e quelli che scaturiscono dai rapporti con gli altri, mira a studiare il livello di competenza sociale ed emozionale nei ragazzi come parte della loro istruzione regolare.[11]
Prospettive teoriche sullo sviluppo emotivo
Izard è il principale sostenitore della teoria differenziale, che interpreta lo sviluppo delle emozioni nel bambino secondo una prospettiva categoriale. Secondo questa teoria esistono un certo numero di emozioni innate o universali, il set di emozioni primarie o di base, che in generale comprende la paura, la gioia, la collera, la tristezza e il disgusto. Le emozioni primarie emergono strutturate come totalità, secondo un programma maturativo innato e universale, che con lo sviluppo da luogo alle espressioni emotive riconoscibili. Già dalla nascita esiste una concordanza biunivoca e innata tra espressione facciale ed esperienza emotiva, che garantisce la comunicazione sociale del bambino anche nella fase dello sviluppo preverbale e consente di fare conoscere i propri bisogni all’adulto di riferimento che a partire dall’espressione facciale riesce a riconoscere i segnali del bambino e attivarsi sul piano della cura. Le emozioni non di base, dette anche secondarie, miste e complesse come la vergogna, l’imbarazzo, la colpa e l’orgoglio emergono solo alla fine del primo anno di vita quando è presente la consapevolezza di sé.
La teoria della differenziazione invece sostiene che le emozioni siano il prodotto di un processo di differenziazione da uno stato iniziale di eccitazione. Sulla base degli studi della Bridge e della teoria “cognitivo-attivazionale” di Schacter e Singer, Sroufe sostiene che nel neonato sarebbe possibile distinguere uno stato di maggiore o minore eccitazione generalizzata, che si differenzierebbe in stati emotivi di sconforto e di piacere. Si possono individuare tre percorsi principali distinti che portano alle emozioni vere e proprie : il sistema del piacere/gioia, il sistema della circospezione/paura e quello della frustrazione/rabbia. Le emozioni fondamentali di gioia, paura e rabbia hanno origine da un precursore che compare precocemente e che costituisce il prototipo della successiva emozione vera e propria. Secondo Sroufe lo sviluppo emotivo avviene in relazione a periodi critici che comportano riorganizzazioni o salti tra una fase e l’altra.[12]
Leventhal e Scherer sono i sostenitori della teoria componenziale, secondo la quale le emozioni si sviluppano a partire da forme semplici e biologicamente radicate fino ad arrivare a configurazioni complesse. Distinguono tre diversi livelli di elaborazione degli eventi: sensomotorio, schematico e concettuale. Lo sviluppo delle emozioni nel bambino consiste nel passaggio lineare e sequenziale da un livello all’altro con la, riorganizzazione e l’arricchimento del significato dell’emozione. Se tra i tre livelli esiste un’integrazione funzionale nel corso dello sviluppo, sembra che i meccanismi riguardanti il sistema sensomotorio siano indipendenti rispetto agli altri due. [13]
Classificazione delle emozioni – tutte le emozioni, elenco delle emozioni
L’alessitimia è l’incapacità o l’impossibilità di percepire, descrivere e verbalizzare le proprie emozioni o quelle altrui.
La componente patologica delle emozioni può essere trattata con interventi di psicoterapia o di counseling con metodi variabili secondo le diverse scuole di riferimento, ma anche secondo valutazione medica, con approcci farmaceutici, in particolare agendo sui neurotrasmettitori che regolano emozioni ed umore.[15]
Diversi studi in letteratura hanno dimostrato che lo stress e le emozioni negative incidono negativamente sul sistema immunitario, compromettendone l’efficienza di alcune cellule[16]. I dati più significativi sull’importanza clinica delle emozioni provengono da una vasta analisi condotta da Howard Friedman e Boothby-Kewley[17], in cui sono stati analizzati ed elaborati contemporaneamente i risultati di 101 studi più piccoli. I risultati di questa analisi hanno confermato come le emozioni legate alla sofferenza incidano negativamente sulla salute. Più nello specifico coloro che hanno sperimentato lunghi periodi di ansia, tristezza, pessimismo, sospettosità e ostilità hanno il doppio delle probabilità di sviluppare patologie quali artrite, emicrania, asma, ulcera gastrica e cardiopatie. Da questi dati si evince chiaramente che le emozioni negative rappresentano un importante fattore di rischio e di grave minaccia per la salute sebbene i meccanismi biologici dietro questa relazione non siano ancora del tutto chiari.
^Cannon W.B. (1920) Bodily Changes In Pain Hunger Fear And Rage. Appleton & Co., New York.
^Schachter S., Singer J. (1962) Cognitive, Social, and Physiological Determinants of Emotional State. Psychological Review, 69, pp.379-399.
^Mark F.Bear, Barry W. Connors, Michael A. Pradiso (2007) Neuroscience: Exploring the brain, Third edition. Lippincott Williams & Wilkins- USA, Pag 586-587
^Damasio A., L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano, Adelphi, Milano, 1995, ISBN 978-88-459-1181-1
^Ekman P., Basic Emotions. In: T. Dalgleish and M. Power (Eds.). Handbook of Cognition and Emotion. John Wiley & Sons Ltd, Sussex, UK, 1999.
^Psychology from the Standpoint of a Behaviorist, Philadelphia, Lippincott, 1924 (seconda edizione) pp. 219-222.Per una critica della teoria di Watson vedere, ad esempio, Renzo Canestrari, Antonio Godino, Introduzione alla psicologia generale, Milano, Bruno Mondadori, 2002, pp.165-168.
^Coppola O., Psicologia dello sviluppo ed educazione, Napoli, Simone, 1999, pag. 163, ISBN 978-88-244-5228-1
^Coppola O., Psicologia dello sviluppo ed educazione, Napoli, Ediz. Simone, 1999, pag. 166, ISBN 978-88-244-5228-1
^Maria Montessori, L’autoeducazione (1970), Garzanti editore. Pp. 65-67
^Daniel Goleman (1999), Intelligenza emotiva. RCS Libri S.p.a. Milano. Pp. 421-424, Insegnare a scuola le emozioni.
^Grazzani Gavazzi I. Psicologia dello sviluppo emotivo (2009) Bologna, Il Mulino
^Vianello, R. Gini, G. Lanfranchi, S. Psicologia dello Sviluppo (2015)Torino, Utet Università
^Deakin JF., il ruolo della serotonina in casi di panico, ansia e depressione, in: int Clin Psychopharmacol. 1998 apr; 13 suppl 4: S1-5.
^Goleman D., Intelligenza Emotiva. Che cos’è e perché può renderci felici, Bergamo, Bur Rizzoli, 2011, pag. 273-274.
^Howard Friedman e Boothby-Kewley, The Disease-Prone Personality: A Meta-Analytic View, American Psycholigist, 42, 1987.
Bibliografia
Panksepp, J., Biven, L., The Archeology of Mind. Neuroevolutionary Origins of Human Emotions, New York., W. W. Norton & Company 2012. (Tr. It. Archeologia della mente. Origini neuroevolutive delle emozioni umane. Milano, Cortina, 2014.)
Ekman P., Friesen W. V., “Unmasking the face. A guide to recognizing emotions from facial expressions”, (Tr. It. Giù la maschera. Come riconoscere le emozioni dall’espressione del viso, Firenze, Giunti Editore, 2007)
Il Capitale Psicologico (PsyCap) è oggetto di molte nuove ricerche negli Stati Uniti, dove si cerca di capire cosa “faccia la differenza” tra le organizzazioni che hanno successo e quelle che falliscono senza riuscire a rialzarsi. Dopo osservazioni scientifiche accurate, queste ricerche arrivano a definire il “Capitale Psicologico” dei leader come uno dei fattori di successo primari, in grado addirittura di superare come impatto il capitale tecnologico e finanziario d’impresa.
Lo PsyCap – ricordiamo – è un costrutto composto da quattro variabili specifiche:
Speranza (Hope)
Autoefficacia (Efficacy)
Resilienza (Resilience)
Ottimismo (Optimism).
Ricordiamo che nella letteratura specifica sullo PsyCap, questi concetti non sono strettamente collegati all’uso colloquiale di tali parole, ma hanno tutti implicazioni operative concrete. Ad esempio, il fattore Hope – Speranza, è connotato come (1) il potere della volontà (willpower), (2) la determinazione, unite a (3) la capacità di pianificazione (planning). Si tratta come è evidente di una concezione di “speranza” non tanto assimilabile ad un credere ciecamente in un destino positivo quanto ad adoperarsi per farlo accadere.
Capitale Psicologico e Leadership
Il livello di PsyCap di una persona può impattare e influenzare il livello di PsyCap di un’altra persona e direttamente o indirettamente influenzarne i comportamenti relazionali. Per questo motivo, accrescere lo PsyCap è un obiettivo di grande valore da perseguire in chi dirige team di vendita e strutture di Direzione Vendite.
Dall’alto di un’organizzazione, lo PsyCap discende verso il basso e influenza l’intero team e ogni persona che ne fa parte. Ma non solo. Lo PsyCap influenza l’intera catena del valore, esercitando un influsso su tutte le persone con cui si viene a contatto, dai buyer ai clienti.
Lo PsyCap di un leader ha un impatto positivo sui suoi collaboratori (Story et al 2013) e questo a sua volta determina numerosi risultati desiderabili, siano essi attitudinali, comportamentali o di performance di vendita. Il meccanismo teorico del trasferimento di PsyCap da leader a follower, riferito anche come effetto contagio, include l’apprendimento sociale, l’osservazione, e il modellamento dei comportamenti e atteggiamenti osservati. I leader ad alto PsyCap sono modelli per i propri follower e influenzano positivamente il loro livello di PsyCap.
Il “Modeling” positivo (l’apprendimento per vicinanza, assimilazione e osservazione) è un vero e proprio trasferimento, pari a quello dell’osmosi. Questo Modeling include i comportamenti positivi direttamente osservabili, così come i ragionamenti positivi quali il darsi goal sfidanti, il problem solving creativo, la pianificazione, l’analisi degli aspetti positivi delle situazioni, le aspettative positive sul successo, e un’alta automotivazione.
“La premessa dell’effetto contagio è che mentre i follower osservano l’impatto positivo combinato dei quattro componenti della risorsa PsyCap in azione, è più probabile che emulino i comportamenti associati allo PsyCap del loro leader (Story et al. 2013)[2]. Questo effetto si traduce in un processo in cui gli stati positivi dei leader vengono modellati e trasferiti ai loro seguaci attraverso il contagio emotivo. In altre parole, la positività mostrata dai leader si converte in positività del follower (Yammarino et al. 2008)[3]. Bono e Ilies (2006)[4] supportano questo transfert attraverso le loro conclusioni che il comportamento del leader è una fonte importante di informazioni che può influenzare le risorse psicologiche percepite dai seguaci. Specificamente per lo PsyCap, Story et al. (2013) indicano che i leader globali di un’azienda che esibiscono livelli più elevati di PsyCap agiscono come modelli di ruolo attraenti e credibili per i follower da imitare. In altre parole, le persone ad alto contenuto di PsyCap trasferiscono le proprie risorse psicologiche ai follower fungendo da guida mentale e comportamentale.”
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[1] Friend, Scott B.; Johnson, Jeff S.; Luthans, Fred; and Sohi, Ravipreet, “Positive Psychology in Sales: Integrating Psychological Capital” (2016). Management Department Faculty Publications. University of Nebraska – Lincoln. Pag. 22
[2] Story, Joana S. P., Carolyn M. Youssef, Fred Luthans, John E. Barbuto, and James Bovaird (2013), “Contagion Effect of Global Leaders’ Positive Psychological Capital on Followers: Does Distance and Quality of Relationship Matter?,” The International Journal of Human Resource Management, 24 (13), 2534–2553.
[3] Yammarino, Francis J., Shelley D. Dionne, Chester A. Schriesheim, and Fred Dansereau (2008), “Authentic Leadership and Positive Organizational Behavior: A Meso, Multi-Level Perspective,” Leadership Quarterly, 19 (6), 693–707.
[4] Bono, Joyce E., and Remus Ilies (2006), “Charisma, Positive Emotions and Mood Contagion,” Leadership Quarterly, 17 (4), 317–334.
Selezione di alcune delle migliori frasi citate da diversi autori, inserite nell’inizio del volume
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La nostra paura più profonda non è quella di essere inadeguati. La nostra paura più grande è che noi siamo potenti al di là di ogni misura. E’ la nostra luce, non il nostro buio ciò che ci spaventa. Ci domandiamo: “Chi sono io per essere brillante, magnifico, pieno di talento, favoloso?”. In realtà, chi sei tu per non esserlo? Tu sei un figlio dell’Universo. Il tuo giocare a sminuirti non serve al mondo. Non c’è nulla di illuminato nel rimpicciolirsi in modo che gli altri non si sentano insicuri intorno a noi. Noi siamo fatti per risplendere come fanno i bambini. Noi siamo fatti per rendere manifesta la gloria dell’universo che è in noi : non solo in alcuni di noi, è in ognuno di noi. E quando permettiamo alla nostra luce di risplendere, noi, inconsciamente, diamo alle altre persone il permesso di fare la stessa cosa. Quando ci liberiamo dalle nostre paure, la nostra presenza automaticamente libera gli altri. (Nelson Mandela)
Essere deboli non è utile a nessuno. Anni di diseducazione hanno confuso la pace con la debolezza, la cortesia con l’accettazione dei soprusi.
Grande falsità.
La forza, se direzionata verso fini e cause importanti come la difesa dei deboli, la formazione e l’educazione, è un valore.
Finché abbiamo il tempo, finché abbiamo questo dono, finché la natura ce lo permette, usiamo questo privilegio raro.
Daniele Trevisani
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Possiamo perdonare un bambino che ha paura del buio.
La vera tragedia della vita è quando gli uomini hanno paura della luce.
(Platone)
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“A volte il vincitore é semplicemente un sognatore che non ha mai mollato.”
(Jim Morrison)
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Se ci fosse un momento per osare, per fare la differenza, per iniziare qualcosa che vale la pena fare, è adesso.
Non per una grande causa, ma per qualcosa che accende il tuo cuore, per qualcosa che è d’autentica ispirazione, per un tuo sogno.
Lo devi a te stesso, per rendere speciale ogni tuo giorno sulla terra. Divertiti. Scava in profondità e riemergi. Respira la vita. Vivi i tuoi sogni! Stephen Littleword, Aforismi
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Ogni giorno in cui ci dedichiamo energie alla nostra crescita spirituale, fisica, mentale, è un omaggio alla vita. La nostra forza aumenta.
E ogni volta che ne facciamo buon uso, qualcuno in cielo ringrazia.
Daniele Trevisani
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…Rimandare sistematicamente è un modo per evitare di fare.
Chi non fa è assai spesso uno che critica,
ossia sta a guardare quelli che fanno
e si gonfia del proprio illuminato parere sul loro operato.
E’ facile criticare, ma agire costa fatica, esige che si corrano dei rischi e che si vada incontro a mutamenti.
Wayne Dyer
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“Tener duro quando si perde, combattere con l’amarezza della sconfitta e la debolezza del dolore, vincere l’ira, sorridere quando si vorrebbe piangere, resistere ai malvagi e bassi istinti, odiare l’odio e amare l’amore, andare avanti quando si preferirebbe morire, inseguire pur sempre la gloria e il sogno, credere con indefettibile fede un qualcosa che dovrà accadere; ecco quel che un Uomo può fare e con questo essere grande”