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© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Psicologia di marketing e comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore

Interpretazione semiotica e valenza simbolica del prodotto

Oltre alla psicologia del prodotto, anche la semiotica del prodotto è in grado di fornire un contributo all’interpretazione di cosa accade nella mente del consumatore, tramite numerose tecniche di analisi. 

Alla base della dottrina semiotica si colloca il concetto di “segno”. Riprendendo uno dei principali semiologi mondiali, Umberto Eco (1987)[1], «è segno ogni cosa che possa essere assunto come un sostituto di qualcos’altro». 

Il segno, nel metodo ALM, costituisce un importante punto di riferimento concettuale. Ad esempio, rappresenta un segno aziendale la carta intestata, il logo, il packaging del prodotto (e questo è abbastanza evidente). Quello che dobbiamo sottolineare, è che anche la modalità di risposta telefonica, l’abbigliamento di un manager, lo stato d’uso di un’auto aziendale, o un quadro alla parete in un corridoio, possono assumere la funzione di “segno” per un cliente. Essi diventano “sintomi dello stato di salute aziendale”, veicoli da cui fuoriesce informazione sulla cultura aziendale e sulla potenziale qualità.

I segni vengono suddivisi in categorie in base alle diverse proprietà assunte:

  • Icone: hanno proprietà di rassomiglianza. Ad esempio una fotografia di un prodotto rappresenta un’icona del prodotto.
  • Indici: sono significati tramite relazioni causali. Ad esempio il fumo è indice di un incendio possibile. Un balbettio può indicare nervosismo durante una trattativa.
  • Simboli: stabiliscono convenzioni arbitrarie tra un significato e un’entità. A differenza delle Icone, non hanno una proprietà di rassomiglianza.  Ad esempio, una parola (non onomatopeica) per indicare un concetto.

In termini aziendali, questi concetti si prestano alla realizzazione di diversi tipi di analisi sviluppate nel metodo dall’autore:

  • Analisi iconica del prodotto/comunicazione: ha lo scopo di evidenziare correlazioni di rassomiglianza tra elementi visivi (ma anche provenienti da altri sensi) di un prodotto e sensazioni/ricordi provocate da questi elementi. Così come una fotografia di un prodotto rappresenta un’icona del prodotto, i fanali di alcune auto possono essere disegnati per ricordare, in qualche modo, gli occhi di un felino. Oppure, un abito può essere costruito in modo tale da ricordare l’abbigliamento di un guerriero, ed ancora un PC può essere costruito in modo tale da ricordare un oggetto fantascientifico.
  • Analisi indicale del prodotto/comunicazione: rappresenta l’analisi di tutto ciò che, nel prodotto o nella comunicazione d’impresa, possa essere utilizzato come “indicatore di”, segnale di qualcos’altro (es: una prestazione). Ad esempio, un marchio di qualità viene utilizzato per indicare una possibile qualità elevata. Una sede prestigiosa può essere utilizzata come indicatore di stabilità finanziaria. Una brochure raffinata può essere utilizzata come indicatore di cura dei dettagli.
  • Analisi socio-simbolica del prodotto: L’analisi socio-simbolica si prefigge di determinare le valenze sociali e culturali che correlano un prodotto, un suo elemento, o un modo di consumarlo, a dei concetti sociali, politici, a delle sfere di significati e valori riconosciuti all’interno di un gruppo. Un’analisi simbolica può determinare che valenza sociale assuma il possesso di un certo marchio di occhiali all’interno di un gruppo, quali connotazioni si leghino al suo possesso, cosa significhi per un ragazzo portare l’orecchino, che connotazioni assume la maglia sociale per i tifosi di un club, che implicazioni ha una certa capigliatura, quali inferenze sulla personalità del proprietario vengono svolte a seconda dell’auto posseduta, ecc. 

Nel campo informatico, è nota agli operatori del settore la querelle culturale e fortemente ideologica tra fautori dei sistemi Macintosh, Linux e sistemi Windows, in cui traspare simbolicamente tutta la lotta all’imperialismo, il mito di Davide contro Golia, la volontà di emanciparsi dai monopoli, che pervade certa cultura, dal Cyberpunk al mondo della grafica e della comunicazione. La semiotica sociale e culturale si presta all’analisi di queste dinamiche, e non solo come esercizi di stile. La comprensione delle dinamiche semiotiche del mercato permette di capire cosa vi sia alla base di fenomeni dalle enormi implicazioni economiche su scala mondiale, quali le lotte tra sistemi operativi e il controllo del mercato informatico, e di ogni altro mercato ove i marchi assumono valenze e simbologie sociali.

Codici comunicativi

Mentre per gli indici le associazioni sono comprensibili ed immediate (es: Rolls Royce indice di denaro, muscoli indice di forza, occhiaie indice di stanchezza), le interpretazioni dei simboli, essendo arbitrarie, devono essere concordate tra emittente e ricevente, costruendo un codice di comunicazione (sistema di regole che associa forme a significati), o ricorrendo ai codici di comunicazione già esistenti nella società. 

Ciascuna società, tuttavia, utilizza codici che sono frutto della sua storia e del suo passato, ed è quindi sbagliato pretendere o dare per scontato che i simboli funzionanti in una cultura funzionino anche in un’altra cultura. Le differenze culturali agiscono fortemente sulla comunicazione internazionale d’impresa, anche se le contaminazioni culturali tendono, nel corso del tempo, ad omogeneizzare alcuni codici di comunicazione internazionale.

Simboli aziendali ed anticipazione delle reazioni di mercato

Ciascun simbolo si presta a diversi livelli di lettura. È necessario quindi considerare la molteplicità di interpretazioni che, in chiave simbolica, qualsiasi elemento è in grado di assumere, e anticipare le possibilità di errore e devianza interpretativa che possono avvenire. 

Ricerche svolte dall’autore[2] hanno evidenziato che l’utilizzo di un logo aziendale (il simbolo di una mano aperta) può avere riflessi simbolicamente neutri per alcune culture, per altre culture può assumere significati negativi (nello specifico, una connotazione di “stop”), in altre ancora può produrre significati ancora più negativi. Ad esempio in Grecia il simbolo della mano aperta è un modo non verbale di offendere, di dire “sei stupido”, e un packaging che incorpora tale simbolo troverà ostacoli culturali molto forti in quel paese. 

In generale, in ogni nazione o area culturale esistono simbologie negative che le aziende devono attentamente evitare di inserire all’interno della propria comunicazione. Una nota casa di pneumatici ha dovuto ritirare dai mercati mondiali un suo prodotto il cui battistrada riproduceva sul terreno non asfaltato un disegno simile a versetti coranici. Questo è risultato molto offensivo per tutti i mercati in cui la religione islamica è dominante, e l’azienda si è vista costretta a ritirare il prodotto, fornendo inoltre scuse ufficiali.

Livelli di lettura del segno

La semiotica si occupa di analizzare i livelli di lettura dei segni. Possiamo infatti distinguere tra diversi livelli di interpretazione del segno o messaggio:

  • Sintattica: analisi della struttura del segno o messaggio;
  • Semantica: analisi dei significati;
  • Pragmatica: analisi di impatto, analisi degli effetti pratici del segno, cambiamento indotto dal segno sul ricevente, modificazioni di atteggiamento.

Ciascun livello di lettura ha una funzione specifica, e altrettanto specifiche implicazioni aziendali. Tra i ricercatori che più hanno approfondito gli studi di semiotica del prodotto e della comunicazione pubblicitaria, è necessario evidenziare i lavori di David Mick, pioniere nell’applicazione di metodi scientifici di misurazione dell’impatto semiotico della comunicazione di marketing (vedi Mick, 1986, 1989, 1991; Mick e DeMoss, 1990).

Vediamo più in dettaglio le peculiarità di questi diversi livelli di lettura della comunicazione aziendale, e più in generale del “segno” aziendale :

Livelli di lettura del segno :

Sintattica – Analisi della struttura del segno.

Ad esempio, 

  • analisi della struttura della frase pubblicitaria, 
  • analisi della composizione visiva di un quadro, 
  • analisi delle componenti visive di un packaging.

Semantica – Analisi scientifica dei significati del segno e delle sue componenti.

Ad esempio,

  • il colore rosso della Ferrari come simbolo di sportività nel mercato dell’auto;
  • il significato percepito in uno spot pubblicitario,
  • l’interpretazione di senso da dare ad una frase ambigua,
  • quale interpretazione dare ad un inatteso silenzio. 

La semantica è centrale nella fase di interpretazione corretta della comunicazione, la cui riuscita dipende dalla comunalità dei codici utilizzati.

Pragmatica – Analisi dell’effetto comportamentale ed impatto del segno.

Ad esempio,

  • Quali effetti pratici produce il segno sul ricevente? 
  • Quali reazioni comportamentali suscita il messaggio o il prodotto? Modifica opinioni e comportamenti o no?
  • che effetti concreti, pratici, reali, ha avuto una campagna di comunicazione antifumo?
  • come potrebbe reagire il mercato  ad un cambiamento di packaging (colori e forme)?

Altri problemi posti dalla semiotica sono dati dal livello di intenzionalità dei segni. Eco (1987)[3] sottolinea come alcuni comportamenti “appaiono capaci di significare anche se chi li emette non è cosciente di significare attraverso di essi”, e questo può dare luogo a una “commedia degli equivoci intessuta di arrière pensées, reticenze, doppi giochi e così via” (cfr Eco, 1973,[4]in Eco, 1987).

Ogni azienda deve rendersi conto di un dato di fatto: come sottolinea Watzlawick, non è possibile non comunicare. Ogni dettaglio, ogni parola, ogni elemento, proietta un’immagine, e incide sulle scelte del cliente.

Un ulteriore aspetto semiotico aziendalmente rilevante è dato dalle modalità di descrizione del segno, tra cui l’analisi denotativa e l’analisi connotativa.

L’analisi connotativa richiede l’utilizzo di frame interpretativi (angoli di osservazione valoriali e sociali del prodotto). A seconda del punto di osservazione semiotico, infatti il prodotto diviene “segno” di un insieme di relazioni tra oggetti sociali. La pelliccia può divenire “segno” dell’appartenenza ad una classe agiata o di aspirazione ad appartenervi. Questo segno assume una valenza positiva o negativa in funzione del frame interpretativo adottato: un frame alto-borghese porterà alla decodifica della pelliccia come oggetto di classe e distinzione. Un frame ambientalista porterà ad una decodifica della pelliccia come sinonimo di superficialità del proprietario. Inoltre, connoterà in esso il possesso di valori antisociali, consumistici, antiambientalistici. 

È il frame di osservazione, in altre parole, che determina il giudizio del prodotto e il suo luogo all’interno dei valori e significati del soggetto.

Mentre l’analisi denotativa si prefigge la descrizione “oggettiva”, non valutativa, dei contenuti manifesti del prodotto o del messaggio, l’analisi connotativa si prefigge di stabilire le associazioni di significato legate al segno. 

Macro-tipologie di analisi semiotica

Analisi denotativa

  • Descrizione oggettiva dei contenuti del segno.
  • Analisi avalutativa, asettica, puramente descrittiva.
  • Analisi degli elementi fisicamente percepibili nell’immagine o nel segno in generale.

Es: descrizione di una fotografia, porzione per porzione, frame-by-frame, identificando gli oggetti presenti e la loro posizione nello spazio; analisi descrittiva delle componenti grafiche e dello schema-colori di un sito web aziendale.

Analisi connotativa

  • Descrizione dei significati che il segno e i suoi elementi assumono nel contesto culturale, sociale e simbolico dell’emittente e/o del ricevente
  • Analisi che fa riferimento a strutture sociali,  schemi culturali, valori, associazioni simboliche, proiezioni nel vissuto personale o sociale.

Es: analisi del significato che una pelliccia assume all’interno di una fotografia di moda; analisi del ruolo e significati di una sequenza di azione all’interno di uno spot; analisi del significato simbolico di un rifiuto; analisi delle espressioni facciali come segnalatori di stati emotivi.

Definire la funzione semantica del prodotto permette di capirne il suo significato sociale e simbolico, i vincoli e le barriere che esso può incontrare, i motivi di accettazione e rifiuto che esso incontra sul mercato. 

Principio  – Carica simbolica  – loading semantico del prodotto

  • Gli effetti pragmatici (vendite, reazioni del mercato) derivano dalla capacità di definire le componenti sintattiche del prodotto (forme, strutture, e caratteristiche) e le componenti semantiche (valenze culturali e valoriali, simbolismi ed associazioni).
  • Il valore del prodotto aumenta al crescere della carica simbolica che esso assume.

[1] Eco, U. (1987). Trattato di semiotica generale. Milano: Bompiani.

[2] Daniele Trevisani (1991). Corporate Symbols and Corporate Image. University of Florida.

[3] Eco, U. (1987). Trattato di semiotica generale. Milano: Bompiani.

[4] Eco, U. (1973). Il segno. Milano: Isedi.

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Altre risorse online

Le parole chiave di questo articolo sono La funzione semantica del prodotto :

  • Funzione semantica del prodotto
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  • Analisi denotativa
  • Analisi connotativa
  • Carica simbolica
  • Effetti pragmatici
  • Valore del prodotto
  • Frame di osservazione

 

Il Test di Turing totale

Oltre alla versione della stanza cinese, nel corso degli anni sono state presentate altre diverse versioni del test. Una di questa è il test di Turing totale [1], proposto da Stevan Harnad: a differenza del test classico descritto precedentemente, questa variante include due supporti ulteriori: un segnale video per testare le capacità percettive ed un braccio robotico che permetta di manipolare degli oggetti.

Affinché la macchina super il test dovrà essere in grado, come nella precedente versione, di confondersi con un essere umano. Essendoci anche un contatto visivo e sensoriale, la difficoltà di passare l’esame aumenta notevolmente.

Il test di Turing è un ottimo punto di partenza per determinare il funzionamento più o meno corretto di un programma appositamente creato, ma non si può considerare come unico ostacolo da superare per determinare successivamente la presenza di un’intelligenza artificiale al pari dell’uomo.

Il premio Loebner

Negli anni sono stati istituiti premi e concorsi come ad esempio il Premio Loebner, una competizione che si basa sul test di Turing e che va a premiare l’intelligenza artificiale che più si avvicina a quella di un essere umano.

Si può menzionare ad esempio menzionare “Mitsuku”, una chatbot (ovvero un software progettato per simulare una conversazione con un essere umano) ideato da Steve Worswick che ha vinto ben cinque differenti edizioni della competizione.

Può giocare su richiesta dell’utente ed è in grado di ragionare su oggetti specifici: se gli chiedessimo “Puoi mangiare una casa?” questo programma ragionerebbe sulle proprietà degli oggetti: una casa è fatta di mattoni, essi non sono commestibili, di conseguenza non posso mangiare una casa.

Mitsuku è basato sulla tecnologia AIML (Artificial Intelligence Markup Language) un linguaggio di markup utile per creare applicazioni in grado di interagire con l’uomo in autonomia e facilmente implementabili e programmabili. Mitsuku non si basa sul “machine learning” (apprendimento automatico), è stato appositamente programmato e continua, dal 2005, ad essere sviluppato e ad interagire con milioni di persone ogni anno. Nonostante questo chatbot detenga il primato di vittorie, non possiamo affermare che abbia superato il test di Turing.

La mente umana non può quindi essere riprodotta solamente basandosi su elementi sintattici ma ancora non è possibile simularla completamente, includendo stati intenzionali e coscienziosi.


[1] Harnad, S. (1991), ‘Other Bodies, Other Minds: A Machine Incarnation of an Old Philosophical Problem’, Minds and Machines 1 pp. 43–54.


La risposta dei sistemi

«Pur essendo vero che l’individuo chiuso nella stanza non capisce la storia, sta di fatto che egli è solo parte di un sistema globale e questo sistema capisce la storia. […] la comprensione non viene ascritta all’individuo isolato, bensì al sistema complessivo di cui egli è parte».

[Searle, 1980].

Searle in risposta a questa obiezione propone di far memorizzare al nostro uomo nella stanza tutte le regole in modo da poter affrontare le dovute operazioni di risposta anche al di fuori della stanza. Ma per quanto riguarda la conoscenza del cinese la situazione rimane del tutto invariata: egli non conosce il cinese e nemmeno il sistema di cui adesso fa parte.

La risposta dei Robot

Searle ci suggerisce di immaginare la possibilità di inserire un calcolatore all’interno di un robot molto simile all’uomo: dotato di una telecamera per vedere (simulando gli occhi) e di arti per poter interagire con l’ambiente circostante[1]. Il calcolatore funge come da cervello del robot, per cui lo guida nelle azioni di vita quotidiane (per quanto un robot dotato di cervello possa averle). Ora, è vero che il robot possiede capacità motorie e visive, ma per Searle questo non cambia assolutamente la sua condizione dal punto di vista della comprensione. Il robot continuerebbe ad applicare le regole che gli abbiamo fornito noi per manipolare determinati simboli. Soprattutto, per essere paragonato ad un uomo, dovrebbe essere capace di riprodurre stati causali ed intenzionali: quest’ultima non ha nulla a che vedere con il concetto di volontà e di libertà di azione, ma intende l’attitudine del pensiero al riferirsi ad un oggetto specifico.

La risposta del simulatore del cervello

In questo caso la macchina simulerebbe formalmente il cervello di un cinese, con sinapsi e attività neuronali in risposta alle domande di determinate storie. Se fossimo in grado di replicare un cervello umano, allora esso sarebbe davvero in grado di comprendere le storie. Se così non sarà, allora ammetteremo che tutte le persone di madrelingua cinese non comprendano le storie che gli raccontiamo. Per replicare a questa risposta, Searle propone un controesempio: supponiamo che invece di manipolare simboli cinesi, l’uomo nella stanza debba gestire, tramite un sistema di valvole e rubinetti, il flusso e il deflusso d’acqua in un sistema di tubature. Ogni connessione idraulica corrisponde ad una sinapsi del cervello di una persona madrelingua cinese, e una volta che tutte le valvole sono state aperte in maniera corretta, allora il sistema fornirà la risposta in cinese.  Anche questa volta né l’uomo, né il sistema non possiede assolutamente nessuna comprensione della domanda e della risposta. Se pensassimo il contrario ci ritroveremo esattamente nella condizione già descritta precedentemente nella “risposta del sistema”. Searle conclude affermando che il sistema simula solamente la parte formale delle operazioni che avvengono all’interno del cervello (sinapsi e attività neuronale) e non la parte intenzionale.

La risposta della combinazione

Le precedenti risposte, come è stato analizzato da Searle, non sono riuscite a soddisfare le proprie pretese. Giunti a questo punto, immaginiamo di unirle in un’unica risposta: un robot provvisto di un calcolatore identico ad un cervello umano, in grado di ricreare al suo interno tutte le sinapsi. Questo robot e le sue “componenti” dobbiamo immaginarcele come un unico sistema, e non come una macchina che risponde solo ad input e output. Necessariamente dovremmo attribuire il concetto di intenzionalità al sistema, dovuto al fatto che a primo impatto esso risulta molto simile al comportamento di un uomo. Ma Searle ci propone di immaginare che all’interno del robot ci sia un uomo, che attraverso gli strumenti sensoriali del robot, manipoli determinati simboli formali non interpretati, li elabori seguendo determinate regole e invii le risposte (altri simboli formali non interpretati) agli strumenti motori. A questo punto, se l’uomo all’interno del robot manipola solo i simboli, senza sapere che significato tali operazioni abbiano per la macchina, allora non potremmo conferire uno stato di intenzionalità al sistema. Il robot esegue regole e altro non è che un automa a cui è impossibile attribuire una mente e, quindi, un’intenzionalità. [2]

Risposta delle altre menti

«Come posso determinare il fatto che una persona capisca il cinese o qualsiasi altra cosa?». In linea di massima potremmo capirlo nel caso il calcolatore superi delle prove comportamentali come fosse un uomo: se siamo disposti ad attribuire capacità cognitive a questi ultimi, dovremmo farlo anche per il calcolatore. Nonostante per Searle questa obiezione non colga il punto centrale trattato all’interno della stanza cinese, è giusto, a suo avviso, considerarla data la sua frequenza. Per Searle «non è come io so che le altre persone hanno stati cognitivi, ma piuttosto che cosa è che io attribuisco loro quando li accredito di stati cognitivi».[3] Per lui, anche in assenza di stati cognitivi è possibile ottenere input e output corretti. Il problema delle altre menti è un tema filosofico tradizionale, di tipo epistemologico, nel quale ci chiediamo come poter determinare il fatto che altri esseri umani abbiano pensieri, sentimenti e attributi mentali.[4]

La risposta delle molte dimore

Secondo tale replica in futuro sarà possibile costruire robot, calcolatori o macchine in generale in grado di possedere quei processi causali che Searle considera fondamentali per poter attribuire l’intenzionalità.[5] Per Searle invece questa replica pecca sul fatto di ridefinire il concetto che inizialmente avevamo definito di Intelligenza Artificiale: tale progetto era nato per “creare” dei processi mentali a partire da processi di calcolo. Impossibile dare una risposta a tale obiezione dal momento che si discosta totalmente con le premesse originarie.

Queste obiezioni e le relative risposte all’argomento proposto da Searle, evidenziano come una delle caratteristiche fondamentali per determinare il fatto che una macchina possa o meno pensare è determinato dal concetto di intenzionalità, e dal significato delle azioni che la macchina compie. Come potremmo pensare che un determinato calcolatore operi senza conoscere il significato delle sue azioni, senza che abbia una coscienza di esse?


[1] John R. Searle.  Menti, cervelli e programmi, traduzione di Graziella Tonfoni, 1984, pp. 57-58.

[2] Larry Hauser, Chinese room argument, 2001, p. 4.

[3] John R. Searle, Menti, cervelli e programmi, traduzione di Graziella Tonfoni, Milano, 1984, p. 63.

[4] https://plato.stanford.edu/entries/other-minds/#BestExpl, consultato in data 20 giugno 2020.

[5] Larry Huser, Chinese room argument, 2001, p. 5.


Il pensiero e le intelligenze artificiali

Alan Turing, matematico, logico e filosofo britannico, ha pubblicato nel 1950 un articolo intitolato Computing and intelligence [1], all’interno della rivista Mind. «Could a machine think[2] è una delle prime domande che ci vengono proposte all’interno di tale articolo: come chiarisce immediatamente l’autore, dovremmo prima definire cosa intendiamo per “macchina” e “pensare”.

Questo test si propone come una variante del gioco dell’imitazione, sostenuto da tre partecipanti: un uomo A, una donna B e un terzo soggetto C, che può essere di uno dei sessi. C si posizionerà in una stanza diversa rispetto agli altri partecipanti: A dovrà cercare di ingannare C, mentre B dovrà cercare di aiutare C, che cercherà di determinare il sesso dei suoi interlocutori. Il test di Turing è stato ideato in modo che una macchina o un’IA si sostituisse ad A. Per evitare che C possa cercare di indovinare chi siano A e B, le risposte alle domande che gli vengono poste saranno dattilografate e potranno essere fornite solo “X è A e Y è B” o il contrario.

Ora, se la sostituzione porta a risultati simili da parte di C su chi sia l’uomo e chi la donna, allora potremmo affermare che la macchina in questione è “intelligente”. In questa situazione, infatti, la macchina non si distingue dal genere umano. Per Turing però questa macchina è da considerarsi capace di pensare e formulare espressioni con un significato. Avvenuta la sostituzione, potremmo chiedere alla macchina: «L’interrogante darà una risposta errata altrettanto spesso di quando il gioco viene giocato tra un uomo e una donna?». Questa domanda diventa così la sostituta della domanda originaria: «Può una macchina pensare?».

Turing, all’interno del suo articolo ci permette di definire un’intelligenza artificiale senza fare riferimento a termini come “macchina” e “pensare”. Come dice Longo, quello che è interessante in questo esperimento non sono le risposte che la macchina può fornirci, bensì il fatto che possiamo ragionare su concetti astratti (soprattutto riferiti ad una macchina) come quelli della mente, dell’intelligenza e del pensiero. [3]

John Searle ha proposto nel 1984 un esperimento mentale chiamato “la stanza cinese” che si pone come scopo quello di confutare la teoria dell’intelligenza artificiale forte. Immaginiamo di porre un uomo, madrelingua inglese, in una stanza con un foglio di carta ricoperto di ideogrammi cinesi. L’uomo in questione non comprende il cinese (né scritto né parlato) e non ha la minima idea di cosa possano significare tali ideogrammi. Come ulteriore prova, aggiunge Searle, supponiamo che quest’uomo non sia nemmeno in grado di distinguere gli ideogrammi cinesi da quelli giapponesi.

Sono semplicemente “meaningless squiggles[4] che tradotto letteralmente significa “scarabocchi insignificanti”. Oltre al primo foglio, ne viene fornito un altro, sempre in cinese, che contiene le regole per mettere in relazione i due fogli: le regole esposte permettono di correlare un insieme di simboli ad un altro insieme di simboli, solamente in base alla loro forma grafica. Infine, viene fornito un altro foglio, contenenti ideogrammi cinesi e le regole (questa volta scritte in inglese) per mettere in relazione i primi due fogli.

Tali regole permetteranno al nostro individuo nella stanza di scrivere determinati ideogrammi in risposta ad altri, contenuti nei primi due fogli. All’uomo verranno fornite anche storie e domande in inglese, a cui (ovviamente) riesce a dare risposta. Supponiamo ora che l’uomo nella stanza diventi abile nella manipolazione dei simboli cinesi e nell’applicazione delle regole a loro collegati, a tal punto che le risposte che otteniamo sarebbero del tutto indistinguibili da quelle che darebbero delle persone di madrelingua inglese.

Nessuno penserebbe che queste risposte in cinese siano state date senza aver la minima conoscenza di tale lingua. Tuttavia, riscontriamo una differenza tra quella che è la risposta tra una persona madrelingua cinese e uno no: l’interpretazione avviene solamente con la lingua inglese, mentre invece con il cinese no! Il comportamento dell’uomo in questo caso è del tutto simile a quello di un calcolatore. Come abbiamo detto precedentemente, la teoria dell’intelligenza artificiale forte sostiene che il calcolatore programmato capisca le storie e che l’insieme di regole che gli sono state fornite garantisca una certa capacità di comprendere cosa ha prodotto in output.

Ma sia nel caso ci sia un uomo o un calcolatore all’interno della stanza, per Searle non c’è differenza: nessuno dei due è in grado di comprendere una sola parola o ideogramma della lingua cinese. Questo significa che per quanto un calcolatore sia accuratamente programmato, questo non gli garantisce di essere considerato al pari di una mente umana.

Per Searle, infatti, la sintassi (grammatica) non è equivalente alla semantica (significato). Il lavoro presentato da Searle all’interno di questo articolo si presenta con l’esposizione della tesi di partenza e nell’esposizione delle obiezioni alla tesi, esattamente come era impostato l’articolo di Alan Turing del 1950.


[1] Avramides, Anita, “Other Minds”, The Stanford Encyclopedia of Philosophy (Summer 2019 Edition), Edward N. Zalta (ed.), URL = https://plato.stanford.edu/archives/sum2019/entries/other-minds/ consultato in data 19 maggio 2020.

[2] Tradotto significa “Può una macchina pensare?”

[3] G.O. Longo. Il test di turing: storia e significato. Mondo Digitale, 2009.

[4] J.R. Searle. Minds, brains and programs. Behavioral and Brain Sciences, 1980.

Copyright, testo originale di Daniele Trevisani, dal volume “Psicologia di Marketing e Comunicazione”, Franco Angeli editore, Milano, 2001.

Un aspetto semiotico aziendalmente rilevante è dato dalle modalità di descrizione del segno, tra cui l’analisi denotativa e l’analisi connotativa.

L’analisi connotativa richiede l’utilizzo di frame interpretativi (angoli di osservazione valoriali e sociali del prodotto). A seconda del punto di osservazione semiotico, infatti il prodotto diviene “segno” di un insieme di relazioni tra oggetti sociali. La pelliccia può divenire “segno” dell’appartenenza ad una classe agiata o di aspirazione ad appartenervi. Questo segno assume una valenza positiva o negativa in funzione del frame interpretativo adottato: un frame alto-borghese porterà alla decodifica della pelliccia come oggetto di classe e distinzione. Un frame ambientalista porterà ad una decodifica della pelliccia come sinonimo di superficialità del proprietario. Inoltre, connoterà in esso il possesso di valori antisociali, consumistici, antiambientalistici.

È il frame di osservazione, in altre parole, che determina il giudizio del prodotto e il suo luogo all’interno dei valori e significati del soggetto.

Mentre l’analisi denotativa si prefigge la descrizione “oggettiva”, non valutativa, dei contenuti manifesti del prodotto o del messaggio, l’analisi connotativa si prefigge di stabilire le associazioni di significato legate al segno.

analisi denotativa, analisi connotativa
analisi denotativa, analisi connotativa

Definire la funzione semantica del prodotto permette di capirne il suo significato sociale e simbolico, i vincoli e le barriere che esso può incontrare, i motivi di accettazione e rifiuto che esso incontra sul mercato.

Principio 10 – Carica simbolica  – loading semantico del prodotto

· Gli effetti pragmatici (vendite, reazioni del mercato) derivano dalla capacità di definire le componenti sintattiche del prodotto (forme, strutture, e caratteristiche) e le componenti semantiche (valenze culturali e valoriali, simbolismi ed associazioni).

· Il valore del prodotto aumenta al crescere della carica simbolica che esso assume.

Materiale estratto dal libro di Daniele Trevisani (2002), “Psicologia di marketing e comunicazione”, FrancoAngeli Editore, Milano. Copyright. Pubblicato per concessione dell’autore da www.studiotrevisani.it.
E’ consentita la riproduzione solo con citazione dell’autore e del volume originario.

Altre risorse su:

 

La semiotica si occupa di analizzare i livelli di lettura dei segni. Possiamo infatti distinguere tra diversi livelli di interpretazione del segno o messaggio:

 

  • Sintattica: analisi della struttura del segno o messaggio;
  • Semantica: analisi dei significati;
  • Pragmatica: analisi di impatto, analisi degli effetti pratici del segno, cambiamento indotto dal segno sul ricevente, modificazioni di atteggiamento.

 

Ciascun livello di lettura ha una funzione specifica, e altrettanto specifiche implicazioni aziendali. Tra i ricercatori che più hanno approfondito gli studi di semiotica del prodotto e della comunicazione pubblicitaria, è necessario evidenziare i lavori di David Mick, pioniere nell’applicazione di metodi scientifici di misurazione dell’impatto semiotico della comunicazione di marketing (vedi Mick, 1986, 1989, 1991; Mick e DeMoss, 1990).

Vediamo più in dettaglio le peculiarità di questi diversi livelli di lettura della comunicazione aziendale, e più in generale del “segno” aziendale:

Altri problemi posti dalla semiotica sono dati dal livello di intenzionalità dei segni. Eco (1987)[1] sottolinea come alcuni comportamenti “appaiono capaci di significare anche se chi li emette non è cosciente di significare attraverso di essi”, e questo può dare luogo a una “commedia degli equivoci intessuta di arrière pensées, reticenze, doppi giochi e così via” (cfr Eco, 1973,[2] in Eco, 1987). Ogni azienda deve rendersi conto di un dato di fatto: come sottolinea Watzlawick, non è possibile non comunicare. Ogni dettaglio, ogni parola, ogni elemento, proietta un’immagine, e incide sulle scelte del cliente.

 

 

 

 

livelli di analisi
livelli di analisi

 

Mentre per gli indici le associazioni sono comprensibili ed immediate (es: Rolls Royce indice di denaro, muscoli indice di forza, occhiaie indice di stanchezza), le interpretazioni dei simboli, essendo arbitrarie, devono essere concordate tra emittente e ricevente, costruendo un codice di comunicazione (sistema di regole che associa forme a significati), o ricorrendo ai codici di comunicazione già esistenti nella società.

Ciascuna società, tuttavia, utilizza codici che sono frutto della sua storia e del suo passato, ed è quindi sbagliato pretendere o dare per scontato che i simboli funzionanti in una cultura funzionino anche in un’altra cultura. Le differenze culturali agiscono fortemente sulla comunicazione internazionale d’impresa, anche se le contaminazioni culturali tendono, nel corso del tempo, ad omogeneizzare alcuni codici di comunicazione internazionale.

Ciascun simbolo si presta a diversi livelli di lettura. È necessario quindi considerare la molteplicità di interpretazioni che, in chiave simbolica, qualsiasi elemento è in grado di assumere, e anticipare le possibilità di errore e devianza interpretativa che possono avvenire.

Ricerche svolte dall’autore[1] hanno evidenziato che l’utilizzo di un logo aziendale (il simbolo di una mano aperta) può avere riflessi simbolicamente neutri per alcune culture, per altre culture può assumere significati negativi (nello specifico, una connotazione di “stop”), in altre ancora può produrre significati ancora più negativi. Ad esempio in Grecia il simbolo della mano aperta è un modo non verbale di offendere, di dire “sei stupido”, e un packaging che incorpora tale simbolo troverà ostacoli culturali molto forti in quel paese.

In generale, in ogni nazione o area culturale esistono simbologie negative che le aziende devono attentamente evitare di inserire all’interno della propria comunicazione. Una nota casa di pneumatici ha dovuto ritirare dai mercati mondiali un suo prodotto il cui battistrada riproduceva sul terreno non asfaltato un disegno simile a versetti coranici. Questo è risultato molto offensivo per tutti i mercati in cui la religione islamica è dominante, e l’azienda si è vista costretta a ritirare il prodotto, fornendo inoltre scuse ufficiali.


[1] Eco, U. (1987). Trattato di semiotica generale. Milano: Bompiani.

[2] Eco, U. (1973). Il segno. Milano: Isedi.


[1] Daniele Trevisani (1991). Corporate Symbols and Corporate Image. University of Florida.