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© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Negoziazione interculturale. Comunicare oltre le barriere culturali. Dalle relazioni interne sino alle trattative internazionali”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore

Gli atteggiamenti creano il rapporto

Un aspetto fondamentale della negoziazione, spesso trascurato, è la comunicazione non verbale che avviene tra i partecipanti. Il linguaggio del corpo può esprimere una grande varietà di significati, che “trasudano” e irrompono nella negoziazione anche senza il controllo diretto dei soggetti.

Il negoziatore attento a misurare le parole può essere poco consapevole del livello non verbale, e dello scambio “sotterraneo” di messaggi che il corpo e le espressioni facciali lasciano filtrare.

I canali principali attraverso i quali il negoziatore può lanciare messaggi sono composti dal sistema paralinguistico (aspetti vocali della comunicazione, escluso l’aspetto linguistico, come i toni, gli accenti, i silenzi, le interiezioni), dal body language (il linguaggio del corpo), e dagli accessori personali, incluso l’abbigliamento e il look generale.

Per negoziare a livello interculturale è necessario creare rapporto, e gli atteggiamenti corporali sono in grado di esprimere con forza il gradimento per l’interlocutore, così come il disgusto e la sofferenza emotiva.

L’atteggiamento percepito nell’altro dipende in larga misura dal “come” viene espresso il comportamento, piuttosto che dal contenuto linguistico, il quale rimane alla superficie del rapporto stesso. In profondità, il rapporto è determinato dagli atteggiamenti del corpo e del volto, dagli sguardi, dalle espressioni facciali, e più in generale da tutto il repertorio non verbale del comunicatore. 

Ad esempio, è stato notato come sia più facile dare del “tu” a qualcuno che porta una cravatta slacciata, piuttosto che una cravatta rigorosamente allacciata. 

Evidentemente il fatto di essere “morbidi” o non rigorosi nell’abbigliamento crea una sensazione di minore rigidità e maggiore tolleranza verso comportamenti amicali. Con questo non si vuol dire di portare una cravatta allacciata o slacciata, ma semplicemente confermare che gli atteggiamenti incidono sul rapporto, e che tra gli atteggiamenti vi sono anche dettagli apparenti quale il grado di allacciatura di una cravatta, o la rigorosità dell’abbigliamento.

Pertanto, il negoziatore interculturale deve sempre considerare la possibilità che alcuni segnali di atteggiamento utilizzati nella propria cultura siano colti in modo anche diametralmente opposto in una cultura diversa.

Le escalation e le de-esclalation

Atteggiamenti non verbali e corporei sbagliati possono portare facilmente ad una escalation (salita di tensione, nervosismo e irritazione), mentre il compito del negoziatore interculturale è quello di creare de-escalation: moderazione dei toni, clima rilassato, ambiente favorevole alla negoziazione. 

Si escludono da questi principi unicamente i setting nei quali volutamente si voglia creare tensione, che non costituiscono la norma e devono essere trattati a parte, come tecniche speciali da usare con cautela.

L’obiettivo generale della negoziazione interculturale è di essere efficaci e raggiungere risultati, il che prevede generalmente un clima di cooperazione. 

Obiettivo del negoziatore interculturale è di attivare “di default” (come posizione di partenza di ogni negoziazione) le conflict deescalation procedures, le prassi che portano ad una situazione negoziale non conflittuale[1]

Quali sono queste prassi? In generale, ogni cultura usa regole non verbali diverse, e pertanto sarebbe necessario un manuale per ogni nazione o cultura con cui si deve trattare. 

In assenza di precise indicazioni che provengano da conoscitori aggiornati della cultura stessa, possiamo utilizzare come base di partenza alcune regole generali di buona comunicazione per ridurre il potenziale di errore, come esposto dal Public Policy Center della University of Nebraska[2]:

  • tono di voce pacato, non aggressivo;
  • sorriso, esprimere accettazione dell’altro;
  • espressione facciale di interesse;
  • gesti aperti;
  • permettere alla persona con cui si sta parlando di dettare le distanze spaziali tra di voi (le distanze spaziali variano ampiamente da cultura a cultura);
  • annuire, dare cenni di assenso;
  • focalizzarsi sulle persone e non sui documenti presenti sul tavolo;
  • piegare il corpo in avanti in segno di interesse;
  • mantenere una condizione di relax;
  • tenere una posizione a L, disporsi non di fronte (posizione confrontazionale), ma su due lati vicini del tavolo.

Teniamo a sottolineare che queste indicazioni di massima sono solo “possibili opzioni” e devono essere di volta in volta adattate alla cultura di riferimento.

Il body language

Il corpo parla, esprime emozioni e sentimenti. Anche i tentativi di bloccare queste emozioni e sentimenti sono essi stessi “metamessaggi”, vedere una persona che non esprime alcuna emozioni, il quale agisce come “mummia emotiva”, è di per se un segnale che porta a specifiche riflessioni.

Il body language riguarda:

  • la mimica facciale e le espressioni facciali;
  • i cenni del capo;
  • i movimenti degli arti e la gestualità;
  • i movimenti del corpo e le distanze;
  • il tatto e il contatto fisico.

Le differenze culturali su questi punti possono essere molto ampie. Le culture variano molto sul tipo di gestualità. In una negoziazione italo-cinese si possono notare evidenti differenze tra la gestualità italiana (mediamente più ampia) e quella cinese, più contenuta, così come nelle espressioni facciali, più evidenti per l’Italia e più contenute per la Cina.

Su cosa sia meglio fare non esistono regole auree, ogni scelta è strategica e legata al contesto del momento, alle “appropriatezze contestuali”.

Il contatto fisico è uno degli elementi più critici e difficili da trattare sul piano interculturale. 

Mentre alcuni standard occidentali di contatto fisico si diffondono nell’intera comunità di business (es: il dare la mano), ogni cultura esprime un diverso grado di contatto nel saluti e nelle interazioni. 

Gestire abbracci, baci, toccare il corpo, sapere chi può toccare chi, rimane un punto difficile, da risolvere soprattutto ricorrendo ad una analisi della cultura locale. In generale, qualora non sia possibile raccogliere informazioni accurate da esperti della cultura locale, è suggeribile limitare il contatto fisico per non generare senso di invasività.

Le distanze personali

Sul fronte della negoziazione le implicazioni sono numerose: porsi vicino o lontano dall’interlocutore è un preciso messaggio negoziale. Porsi di fronte o di lato, o persino sullo stesso lato, è un’altra forma di messaggio.

Ogni cultura ha regole non scritte per delimitare i confini di accettabilità delle distanze interpersonali e delle disposizioni delle persone.

Anche in questo caso, vale il principio di ricorrere alla conoscenza di esperti della cultura locale, mentre una regola valida in caso di mancata conoscenza è quella di lasciare che sia la controparte a definire il proprio grado di distanza, senza forzare nè un avvicinamento nè un allontanamento.

Le distanze critiche umane hanno una base animale e una forte varianza culturale, con le culture arabe e latine spesso maggiormente “vicine” e le culture anglosassoni molto “lontane”. La distanza personale è come “una bolla invisibile che circonda l’organismo”[3]

Per il negoziatore consapevole, non è da intendere come pura sottomissione, ma può assumere anche la funzione di mossa tattica, atto di cortesia relazionale che precede il confronto negoziale vero e proprio. Far stare scomodi, al contrario, serve per stabilire forti distanze.

La tattica adeguata è quella di esigere un grado di comfort superiore, ma solo se si ha la quasi matematica certezza che una specifica mossa sia in corso, e quelle non siano le reali condizioni massime di accoglienza che il soggetto è in grado di offrire.

La disposizione delle persone frontale è in genere ritenuta confrontazionale, mentre a fianco è considerata maggiormente collaborativa, e sullo stesso lato “tra pari”. Come evidenzia Hall, “ogni animale ha bisogno di uno spazio critico, senza il quale la sua sopravvivenza è impossibile”. In termini negoziali, lo spazio da considerare è sia a livello ambientale, che psicologico.

I canali paralinguistici

La paralinguistica riguarda tutte le emissioni vocali che non siano riconducibili strettamente a “parole”, e comprende:

  • il tono della voce;
  • il volume;
  • i silenzi;
  • le pause;
  • il ritmo del parlato;
  • le interiezioni (brevi emissioni, tipo ehm, uhm…).

La paralinguistica stabilisce la punteggiatura del parlato, e contribuisce a trasmettere le informazioni emotive. Messaggi quali “sono teso”, “sono arrabbiato” o “sono ben disposto”, trasudano più dal sistema paralinguistico che dal sistema linguistico. 

Una frase può portare con sè significati completamente diversi che dipendono dall’enfasi su parole ed il tono di voce.

La formazione ed il training non verbale

L’addestramento all’uso del paralinguistico richiede un training sull’uso strategico delle pause e dei toni. In generale, la formazione per il non verbale prevede l’accesso a tutti i repertori delle tecniche teatrali e dell’attore, il metodo Stanislavskij e altri metodi di formazione teatrale, gli unici veramente in grado di agire in profondità sulla trasformazione dei comportamenti espressivi.

Un training adeguato può essere utile per addestrare il negoziatore a cogliere il tremore della voce altrui (sintomo di nervosismo e stress), e le reazioni non verbali alle proprie affermazioni, ad agire “teatralmente” tramite movimento, pause e alternanze di ritmi per dare enfasi a parti del discorso e ai punti chiave da fare emergere.

Come per ogni altro compito manageriale, senza una adeguata preparazione le chances di essere competitivi sul piano negoziale calano quando gli equilibri di competenze sono sbilanciati. All’aumentare del divario tra il nostro training e il grado di training della controparte, aumentano i rischi di esito sfavorevole di ogni negoziazione.

I canali allargati

Alcuni luoghi comuni nei campus universitari multiculturali sono che i bianchi “sanno di pollo”,  gli asiatici “puzzano di aglio”, i neri “sanno di sudore”, e altri stereotipi curiosi.

Le differenze olfattive sul piano etnico e genetico sono realmente esistenti, ma l’olfatto percepito è determinato in larga misura da fattori culturali quali l’alimentazione, la pulizia o l’uso di profumi.

Le emissioni olfattive personali sono uno strumento di comunicazione.

È certo che l’olfatto incide sulla percezione, e che l’alimentazione produce essenze che trasudano dalla pelle e dal fiato. Questi aspetti sono da curare per chi vuole gestire ogni aspetto, anche i minimi dettagli, della negoziazione interculturale e più in generale del contatto umano 

La risposta non è quella di divenire manager iper-profumati avvolti in nubi di essenza alla fragola, ma una gestione consapevole delle odorizzazioni conscie e subconscie.

Anche l’odore della stanza in cui si negozia, le percezioni olfattive incontrare lungo il percorso, nei corridoi, nei parcheggi e piazzali formano la “people perception” complessiva (l’immagine dell’altro).

Tutto ciò che si può attribuire in qualche misura al soggetto o all’ambiente aziendale incide sulla percezione e sull’immagine. Alcune catene di abbigliamento sono ricorse alla odorizzazione mirata dei punti di vendita per creare un clima più rilassato e piacevole (marketing olfattivo ambientale).

I segnali di fiducia e sfiducia, la percezione delle emozioni altrui, sono quindi da affinare soprattutto nella capacità del negoziatore di cogliere i movimenti facciali emotivamente incontrollati, il timbro vocale e le rotture del tono della voce che segnalano stress vocale ed emotivo.

Esistono implicazioni pratiche per una odorizzazione personale consapevole – evitare cibi che possono dare luogo a forti emissioni tramite il fiato, evitare profumazioni personali eccessive, essere consapevoli degli odori personali (es, sudore), considerare dell’importanza di un marketing ambientale olfattivo adeguato. 

In termini allargati, la comunicazione non verbale comprende anche i comportamenti tenuti durante l’interazione negoziale, le azioni su oggetti, uso e manipolazione di strumenti. Ad esempio, durante una vendita in cui si dimostri come funziona uno strumento, rappresenta un messaggio (e quindi una forma di comunicazione) anche la perizia ed abilità con cui si manipola uno strumento. Ed ancora, quando si prendono appunti, il nostro interlocutore può prestare attenzione alla cura con cui si scrive, ai i tic sulle penne, alla precisione dimostrata nel disegnare uno schema.

Gli elementi di comunicazione simbolica

Della storia reale dei soggetti possiamo conoscere praticamente niente, eccetto i simboli che scorgiamo e dai quali traiamo possibili significati e associazioni.

La comunicazione simbolica riguarda i significati che le persone associano o recepiscono da particolari “segni” che notano nell’interlocutore e nel suo spazio comunicativo. Per spazio comunicativo intendiamo qui ogni area di elementi che venga attribuita al “sistema” del soggetto, alle sue possibili espressioni consapevoli o meno, come la sua macchina, o lo sfondo del suo PC, e qualsiasi altro segno da cui ricaviamo inferenze, significati, interpretazioni. 

Dal punto di vista semiotico, diventa “segno” ogni elemento dal quale un soggetto trae significati, sia che il portatore ne sia consapevole o meno[4].

Look, abbigliamento e accessori sono tra i fattori più incisivi per costruire immagine personale. 

Le differenze o similarità di abbigliamento fanno rientrare un soggetto all’interno degli ingroup professionali (“uno come noi”, gli “uguali”) o degli outgroup (“uno diverso da noi”), qualsiasi cosa rappresenti per il soggetto il “noi”.

Tra gli elementi primari di comunicazione simbolica troviamo l’abbigliamento, i capelli e l’acconciatura, i gioielli, orologi, strumenti professionali (telefoni, PC portatili e altri strumenti informatici), ma anche i segni sul corpo (tagli, abrasioni, tatuaggi), lo stato della pelle (cura, presenza di barba e suo stato, trucco, peli nel corpo e nel volto, colore della pelle, abbronzatura, sudore).

In un sistema di significazione allargata, diventano importanti anche le simbologie che esprimono i marchi utilizzati, il tipo di auto (da lavoro, da città, fuoristrada, sportiva, lussuosa), le griffes, e persino gli arredi degli uffici, i quadri appesi alle pareti, l’arredamento.

Costituiscono segnali allargati anche i comportamenti cronemici (il seguirsi delle azioni nel tempo), come la frequenza che notiamo nel cambiarsi d’abito, la puntualità, la tranquillità o nervosismo nel modo di guidare, i tempi che una persona impiega nel mangiare o nel bere (lento e calmo vs. veloce e vorace). 

Anche il tempo che una persona impiega a rispondere ad una domanda può essere significativo: risposte lente o troppo meditate possono essere interpretate come poco sincere nelle culture occidentali, oppure al contrario sagge e ponderate in culture “ad alto contesto” come quelle orientali.

Si può dire che nel campo della comunicazione interculturale nulla sfugge all’osservazione dell’interlocutore, e ogni “segno” contribuisce alla sua classificazione e valutazione.

La varianza dei colori tra culture

Un elemento ulteriore di comunicazione simbolica è dato dall’uso dei  colori. Anche l’uso dei colori e i simbolismi associati ai colori variano a seconda delle culture.

Il giallo viene associato nei paesi occidentali ai segnali di attenzione, mentre in Cina rappresenta la ricchezza e l’autorità. Il viola rappresenta in America Latina un colore funebre (la morte) mentre in Europa si associa alla regalità, ai velluti preziosi delle corti.

Il principio base per evitare macroscopici errori è l’uso del pre-test, della “prova pilota” su alcuni soggetti, piccoli campioni, persone rappresentative della cultura locale che siano in grado di dare feedback sulla appropriatezza dei colori, delle forme e dei simbolismi, dei messaggi, visti dall’interno della cultura stessa.

Il metodo del pre-test vale anche per la scelta di regali, doni, e ogni altra azione simbolica il cui impatto possa variare su base culturale.

Lo stile linguistico e lo stile non verbale

La comunicazione non verbale può rinforzare il messaggio verbale o essere dissonante rispetto a questo. 

Ascoltare attentamente e dare cenni di assenso può segnalare interesse molto più di una semplice dichiarazione verbale. Dire “sono interessato” con le parole ed esprimere noia o disgusto con le azioni del corpo produce un segnale dissonante e crea sospetto o irritazione.

La coerenza (matching) tra parole e azioni:

  • aumenta l’onestà percepita del soggetto;
  • denota fiducia (trustworthiness);
  • dimostra interessamento;
  • mostra che siamo in controllo della situazione;
  • produce senso di sicurezza e solidità dei contenuti.

Al contrario, l’incongruenza:

  • crea senso di sfiducia;
  • genera sensazioni di scarsa autenticità;
  • produce dubbi e sospetti di falsità sui contenuti verbali ascoltati.

Ogni stile linguistico (a livello interpersonale), si associa ad una precisa modulazione dello stile non verbale. Possiamo infatti avere:

  • situazioni di rinforzo comunicativo (lo stile non verbale rafforza lo stile verbale);
  • situazioni di dissonanza o incongruenza tra verbale e non-verbale: la comunicazione non verbale procede su un registro diverso rispetto a quella verbale).

Le dissonanze riguardano ogni sistema semiotico, ogni segno portatore di possibili significati. Un’azienda che si dichiari importante e non abbia un sito internet, o abbia un sito amatoriale, esprime una dissonanza d’immagine, così come un negoziatore dimentichi di portare con sè strumenti indispensabili (cataloghi, calcolatori, e ogni altro strumento necessario e atteso).

I segnali non verbali negativi dell’interlocutore

I segnali non verbali, come la tensione ed il disinteresse, possono indicare che l’interlocutore stia seguendo con atteggiamento positivo o negativo il dialogo. Le reazioni negative in generale sono denotate da:

  • angolazioni del corpo: spalle ritratte, allontanamento;
  • volto: teso, dimostra rabbia;
  • voce: tono negativo, silenzi improvvisi;
  • mani: movimenti di rifiuto o disapprovazione, movimenti tesi;
  • braccia: tese, incrociate sul petto;
  • gambe: incrociate o che si allontanano nell’angolazione.

[1] Le tecniche di deesclation vengono utilizzate in vari contesti, ad esempio da parte delle forze dell’ordine per calmare litigi familiari rissosi, vedi ad esempio Ogle, Robbin S., e Beichner, Dawn (2003). A Legal and Policy Argument for Bail Denial and Preventative Treatment for Batterers. 2003 American Society of Criminology Conference. Department of Criminology and Criminal Justice, University of Maryland.

[2] Nebraska Disaster Behavioral Health, University of Nebraska, Public Policy Center.

[3] Hall, Edward T. (1988). La dimensione nascosta. Milano, Bompiani. Tit. orig. “The Hidden Dimension” (1966).

[4] Cfr. Eco, Umberto (1975) Trattato di Semiotica Generale. Milano, Bompiani.

Altri materiali su Comunicazione, Coaching, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

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Le parole chiave di questo articolo La comunicazione non verbale interculturale sono :

  • Accessori personali
  • Body language
  • Comunicazione non verbale
  • Comunicazione simbolica
  • Conflit de-escalation procedures
  • Contatto fisico
  • Distanze personali
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  • Rinforzo comunicativo
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  • Sistema paralinguistico
  • Spazio comunicativo
  • Stile linguistico
  • Stile non verbale
  • Training non verbale
  • Varianza dei colori

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Tecniche di ascolto attivo

L’ ascolto attivo si collega alla comunicazione paralinguistica e non verbale e comprende in particolare:

  • tecniche verbali di ascolto attivo;
  • tecniche paralinguistiche di ascolto attivo;
  • tecniche non verbali di ascolto attivo.

Tecniche verbali di ascolto attivo

Comprende parole che segnalano attenzione e comprensione.

  • Domande aperte: chi, dove, quando, come, perché, con chi, in quale modo, in quali tempi, per quanto, cos’altro… e altre domande che consentano di allargare il discorso e precisarlo.
  • Domande chiuse o di precisazione: verifica di parti del contenuto tramite domande che prevedano una risposta di tipo “Si/No” o altre categorie precise “molto/poco”, “prima/dopo” e altre di questo tipo.
  • Tecnica dello specchio (riflessione del contenuto): ripetizione di frasi o parti di frasi dette dalla controparte, senza modifiche e alterazioni. La tecnica dello “specchio” proviene dalle metodologie di ascolto empatico utilizzate nel colloquio terapeutico Rogersiano[1]. È una tecnica di origine psicoterapeutica, che consente al “cliente” di approfondire i propri contenuti e riflettersi nei contenuti stessi da egli espressi.
  • Parafrasi: utilizzo del “come se”. Ricerca della comprensione di quanto detto, con l’uso di metafore o esempi che cercano di valutare se si è realmente compreso il senso profondo di quanto la controparte dice.
  • Sintesi storica, riassunto: ripetizione di quanto asserito, sotto forma di riassunto dei punti salienti della “storia”.
  • Incoraggiamenti verbali: es, “bene”, “interessante”, “si”, “ok”.

Tecniche paralinguistiche di ascolto attivo

Utilizzo di vocalizzazioni che esprimono interesse per la “storia” e facilitano l’espressione, quali Uhmm.. ahh….emissioni gutturali o respiratorie…

Lo scopo delle tecniche paralinguistiche (assieme a quelle non verbali visuali) è quello di fornire segnali fàtici (di contatto), affinché l’interlocutore senta che siamo in ascolto, siamo presenti, e siamo interessati.

Tecniche non-verbali di ascolto attivo

Utilizzano l’atteggiamento del corpo per esprimere interesse:

  • postura aperta ed inclinata in avanti per indicare disponibilità; posizione del corpo rilassata e di disponibilità;
  • avvicinamento e allontanamento (prossemica): ridurre la distanza con l’interlocutore nei momenti di maggiore interesse, allontanarsi nei momenti di distensione;
  • espressione del volto: non dubitativa, ironica o aggressiva, ma attenta e partecipativa;
  • sguardo attento e diretto;
  • movimenti delle sopracciglia associati a punti salienti del discorso altrui;
  • cenni del capo, cenni assenso o di diniego;
  • gesti morbidi, lenti e rotatori per comunicare senso di rilassamento e incoraggiare ad andare avanti nella conversazione;
  • metafore non verbali utilizzando il body language, che dimostrano comprensione di quanto detto dalla controparte.

Sul piano non verbale, dobbiamo sempre considerare che numerose culture frenano l’espressione non verbale delle emozioni (es: quelle asiatiche), ma che anche questo dato è uno stereotipo comunicativo, di valenza solo probabilistica e non consegna certezze.

In sintesi, le tecniche principali per un accolto efficace sono:

  • curiosità e interesse;
  • parafrasi: ripetere con le proprie parole quanto capito (questo non equivale ad essere d’accordo con quanto detto dall’altro);
  • sintesi e riassunti: riformulare la “storia” nei suoi punti salienti, per consolidare quanto raccolto;
  • dirigere l’ascolto tramite domande mirate (ricentraggio conversazionale) per far luce sui punti ancora oscuri o i passaggi ancora non ben chiari;
  • evitare domande eccessivamente personali finche non si sia creato un rapporto solido e “caldo”;
  • offrire al parlante la possibilità di dare feedback sul fatto che quanto capito sia corretto, accurato o invece distorto o lacunoso;
  • ascoltare non solo le parole ma anche i segnali non verbali per valutare i sentimenti e stati d’animo;
  • verificare la corretta comprensione sia dei sentimenti che del contenuto, non ignorare l’aspetto dei sentimenti;
  • non dire alle persone come dovrebbero sentirsi o ciò che dovrebbero pensare (nella fase di ascolto, limitarsi a trarre informazioni, senza voler insegnare o valutare).

Ancora una volta, sottolineiamo che questi atteggiamenti sono preziosi e determinano la qualità della fase di ascolto, ma non vanno confusi con gli obiettivi di tutta la negoziazione (che prevede sia fasi di ascolto che fasi propositive e affermazioni anche dure o assertive). 

In una negoziazione è possibile (ed è anzi uno degli obiettivi strategici) modificare ciò che gli altri pensano (ristrutturazione cognitiva e persuasiva) o come gli altri si sentono (azione emozionale), ma questo obiettivo verrà perseguito solo ed unicamente se prima il negoziatore sia riuscito a porre in essere un ascolto attivo , attivando l’empatia necessaria per capire in quale quadro si stia muovendo.

I livelli di ascolto

Possiamo individuare una scala del livello di ascolto:

  • Ascolto schermato / distorsivo: non capire, non prestare attenzione, distorcere i dati in ingresso, i dati reali (fisici e emotivi) non vengono veramente percepiti, ma distorti, percezione limitata e/o errata, barriere culturali, di ruolo, pregiudizi, antipatie, antecedenti, stati emotivi del momento, scarse energie fisiche e mentali, poca umiltà.
  • Ascolto giudicante / aggressivo : interrompe continuamente, attacca, giudica e valuta, disapprova quanto detto, nessuno sforzo di capire o approfondire, caratterizzato dal fatto che non si ascolta veramente, ma si raccolgono informazioni per poi emettere immediatamente sentenze e giudizi. L’ascolto giudicante può emergere anche da una smorfia sottilissima emessa con un segnale non verbale quale “storcere il naso” durante un’affermazione altrui che non approviamo, e non è da confondere con la partecipazione emotiva a quanto detto dall’altro.
  • Ascolto apatico / passivo: privo di energia, stanco, “morto”, spento, nessun cenno del capo o altro segnale “fàtico” (segnali di contatto), disinteresse verso il comunicatore
  • Ascolto a tratti: attento in alcuni momenti, distratto in altri, viene espressa attenzione discontinua, vi sono pensieri o attività che interferiscono, poca concentrazione, si perdono brani.

Abbiamo poi fasi decisamente migliori quali:

  • Ascolto attivo / supportivo : Il soggetto viene incoraggiato a proseguire, aiutato ad esplorare i concetti, supportato tramite domande di approfondimento, aperte e chiuse. Forte partecipazione del body language, utilizza segnali corporei e verbali di partecipazione a quanto detto, riformulazioni e altri dispositivi linguistici e non verbali che servono per dare il segnale “quello che dici mi interessa, ti sto seguendo”.
  • Ascolto empatico: Sospensione del giudizio, interesse genuino, ascolto avalutativo, curiosità, azioni di approfondimento e metacomunicazione, l’ascolto degli strati profondi, la capacità di sintonizzarsi e capire i livelli più nascosti, emotivi e personali, del vissuto del nostro interlocutore, più che i dati numerici o oggettuali che ci espone.
  • Ascolto simpatetico: Dimostrazione di vicinanza, affetto, piacevolezza, esprime non solo comprensione ma apprezzamento, calore umano, piacere della relazione, gradimento dell’altro. 

Una nota importante sull’espressione di simpatia durante le fasi di ascolto: dimostrare simpatia non è obbligatorio. Se la nostra espressione è finta, verrà colta. Dobbiamo essere il più possibile autentici e veri. Non consigliamo di inoltrarsi in un ascolto simpatetico falso ma di compiere un’operazione decisamente più difficile e professionale: cercare nell’altro le “cose buone” che emergono, partendo dal principio che anche persone che non ci piacciono possono tuttavia avere alcuni tratti e caratteristiche che sono comunque interessanti. Non dobbiamo partire con un senso di superiorità ma con un atteggiamento di vero interesse per la scoperta di quanto può emergere.

Se poi la gradevolezza è vera, questo livello di ascolto verrà fuori naturalmente, ma è essenziale non bloccarlo a priori in nome di una presunta “freddezza professionale” che non è l’obiettivo vero di un ascolto di qualità.

Dobbiamo anche distinguere un altro aspetto fondamentale dell’ascolto: la presenza di almeno due diversi piani di ascolto: i dati e gli stati emotivi. Questo qualifica la differenza tra un ascolto informativo e un ascolto psicologico.

Ascoltare dati non equivale ad ascoltare stati emotivi.

Possiamo infatti applicare un ascolto di tipo:

  • psicologico : Interesse per gli aspetti psicologici, ascolto viscerale, delle sensazioni, del livello umano, attenzione centrata sulla persona e sul suo vissuto, ascolto di emozioni, stati umorali, sensazioni, rapporti umani.
  • tecnico-informativo : ascolto meccanico, concentrato sui dati, numeri e fatti.

Un negoziatore avanzato e un venditore di alto livello saranno in grado di applicare il livello di ascolto corretto, o entrambi, a seconda delle situazioni, senza entrare in uno stato di ascolto prefissato, stereotipato e rigido.


[1] Rogers, Carl R. (1961). On becoming a Person. Boston, Houghton Mifflin.

Rogers, Carl R. (1951). Client-Centered Therapy: Its Current Practice, Implications, and Theory. Boston, Houghton Mifflin.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Definizione di ascolto attivo: attività di ascolto nella quale viene realizzata una serie di mosse conversazionali, dalle domande aperte alle riformulazioni, per favorire l’espressione altrui. L’ascolto attivo è il precursore dell’empatia e dell’ascolto empatico. L’ascolto attivo è una tecnica di ascolto e osservazione attenta agli aspetti linguistici (contenuti espressi dal parlante), paralinguistici (toni, accenti, timbri della voce) e ai segnali non verbali, con feedback sotto forma di parafrasi accurata, che viene utilizzata nella consulenza, formazione e risoluzione di controversie o conflitti, nella vendita e nella negoziazione, nel coaching, counseling e in ogni relazione d’aiuto professionale.

ascolto attivo ed empatia

Approfondimento dal libro Ascolto Attivo ed Empatia (Franco Angeli editore)

Esiste una classificazione in letteratura che differenzia i livelli di ascolto dal più negativo sino al più positivo, come segue: ascolto giudicante/aggressivo, ascolto apatico/passivo, ascolto a tratti, ascolto attivo, ascolto empatico, ascolto simpatetico (Trevisani, Daniele (2019), Ascolto attivo ed empatia. Milano, Franco Angeli)

Ascolto attivo ed empatia: I segreti di una comunicazione efficacePersino da una foto si capisce qualcosa. Si può “ascoltare” anche una foto, ebbene si. O un dipinto, o un brano di musica, o un paesaggio.

Di una persona, sul lavoro, potremmo fidarci di quanto scritto sul biglietto da visita, ma insistiamo nel guardare anche alla sua postura, alla schiena dritta o curva, al suo mento e agli occhi tristi od orgogliosi, per capire se è fiero di quel biglietto mentre te lo porge, o se per lui/lei è un peso.

Diciamo pure che siamo curiosi per natura, perché la sopravvivenza richiede il sapere le cose, il capire chi ti è ostile o amico, e saperlo fare in una frazione di secondo, come i veri cacciatori/raccoglitori che eravamo, con lo sguardo, osservando occhi, movimenti, intenzioni.

Annusando istintivamente le situazioni prima ancora che “comprenderle razionalmente”.

Questo fa parte di quell’Intelligenza Inconscia, una forma di intelligenza che in questo volume andiamo ad aggiungere alle tante Intelligenze Multiple di cui disponiamo, risorse mentali e corporee così ben esposte da Howard Gardner[1].

Dell’intelligenza inconscia parla giù Freud (definendola „Unbewussten Verständnis“, o „comprensione inconscia) ma senza evidenziarla come risorsa a disposizione di tutti noi, e ancora prima ne parla il filosofo Schelling (1775 –1854)[2] individuandola come una “intelligenza della natura”, ma ancora una volta senza considerarla per ciò che può essere, una nostra preziosissima risorsa. Noi, invece, vogliamo farlo. Gardner ha dimostrato come il fenomeno “intelligenza” possa essere scomposto in una serie variegata di abilità umane distinte, quindi di diverse intelligenze: linguistica, musicale, logico-matematica, spaziale, corporeo-cinestetica, personale e Interpersonale[3], aggiungendo in seguito, quella Intra-personale legata al conoscere se stessi.

Vicina all’intelligenza Inter-personale, aggiungiamo in questo volume la categoria dell’Intelligenza Inconscia, che qui consideriamo una vera e propria skill, una competenza allenabile per l’ascolto attivo, che deriva da una connessione e da un allenamento più forte nel far dialogare la Neocorteccia (parte recente nello sviluppo del cervello), e altre aree antiche come il cervello rettile e il cervello pre-mammifero, aree abilissime a cogliere informazioni sottili ed istintive.

E qui siamo: sulla parte animale dell’uomo, sul suo “leggere lo sguardo”, sul suo “ascoltare anche il non detto”.

Saper leggere le persone, le loro finalità, richiede un ritorno a capacità ancestrali, quando l’attrazione era segnalata con gli occhi verso altri occhi, e non con un profilo social. Ora, più che mai, è tempo di imparare di nuovo a leggere le persone. Perché da un lato stiamo perdendo la capacità di riconoscere i “cattivi” o nemici, dall’altro lato facciamo di tutta l’erba un fascio e magari diciamo NO a qualcuno che non ci può fare alcun danno e anzi magari ci può portare valore.

L’ascolto attivo: Saper cogliere segnali

Urge un ritorno alle nostre sensibilità ancestrali. Urge ripristinare la capacità di percepire correttamente, prima ancora che di valutare logicamente i soli dati. Per farlo, dobbiamo saper usare in modo speciale l’ascolto, facendolo diventare una “percezione aumentata” di qualsiasi segnale entra nella nostra sfera:

  1. Segnali uditivi verbali. cos’ha appena detto Tizio all’altro tavolo?
  2. Segnali uditivi paralinguistici. Riesco a sentire lo stress vocale di una persona?
  3. Segnali tattili-aptici (in questa seggiola si è appena seduto qualcuno? È calda?), o “cosa mi dice questa stretta di mano su di te?”
  4. Segnali cinestesici-visivi: come sta oggi la squadra? Capirlo dalla falcata, dalla postura. Capirlo persino negli spogliatoi. Sembrano tranquilli o agitati? Demotivati o motivati?
  5. Segnali Olfattivi: Che cos’è questo odore di nuovo che sento nell’auto appena comprata, ci ho mai fatto caso? Sono consapevole che è un odore ingegnerizzato o penso sia frutto del caso?
  6. Segnali emotivi: come sto in questo momento, come sta la mia ansia, la mia gioia, il mio cuore, il mio sognare, il mio vivere in relazione con altri e con me stesso? E… Come sta la persona di fronte a me? Come sta respirando, cosa sta sentendo?
  7. Segnali corporali: che mestiere potrebbe fare il secondo da destra su quel tavolo, in base alla tipologia di muscolatura e come è vestito e ai segni che noto sulla pelle?
  8. Segnali olistici: chi è la persona più pericolosa o dissonante in questa carrozza di treno o in questo bar, c’è qualcuno che potrebbe essere pericoloso? In base a cosa lo noto?

I segnali sono tanti. Segnali d’amore, segnali di odio, di indifferenza, di paura, di disgusto, di amicizia. Se solo sapessimo coglierli tutti…

Ma appena cogliamo che il discorso non tocca i nostri interessi vitali, facciamo dietrofront e continuiamo nel nostro fare distratto.

La distrazione è un male dell’epoca.

La “furia dei tempi” e la fretta hanno portato l’ascolto ai livelli minimi assoluti nella storia della civiltà occidentale.

Smartphone e altri dispositivi elettronici hanno sostituito le persone, e siamo quindi diventati bravi ad “ascoltare” i segnali dei dispositivi elettronici, riconoscere un bip da un beeep, a manipolare un telefono o uno schermo touch, ma meno bravi a guardare negli occhi una persona che ci parla dal vivo e coglierne le sfumature, il tono di voce, lo sguardo, i cenni del capo, e capire cosa prova, e se mente o meno.

Nel corso del libro ci saranno decine e decine di strumenti utili per re-imparare l’arte e tecnica del “leggere le persone” – che significa praticare un “ascolto oltre le parole”. L’importante è che si accenda in noi la scintilla. La scintilla del DNA ancestrale. La scintilla della curiosità.

La furia dei tempi ha abituato gli studenti a fare quiz, test a risposta multipla, esami informatizzati, e l’esame orale va sparendo lentamente dal panorama della formazione accademica, perché “richiede troppo tempo”. Così, non impariamo più a “sintonizzarci sul Prof. e sui suoi interessi che magari abbiamo sentito a lezione”, perché è diventato inutile.

Anche nei gruppi di ragazzi e ragazze, seduti a tavola in una pizzeria, si può notare un continuo “fare”, ma con il proprio smartphone, e una assenza quasi fisica del luogo in cui le persone sono veramente, con rare, rarissime conversazioni tra i partecipanti, spesso superficiali.

Non è mai facile ascoltare. A volte è più comodo comportarsi da sordi, accendere il walkman e isolarsi da tutti. È così semplice sostituire l’ascolto con le e-mail, i messaggi e le chat, e in questo modo priviamo noi stessi di volti, sguardi e abbracci.

 

[1] Howard Gardner (1983), Frames of Mind: The Theory of Multiple Intelligences, Edition Hachette UK, 2011.

[2] Friedrich Schelling, Vom Ich als Prinzip der Philosophie oder über das Unbedingte im menschlichen Wissen (L’io come principio della Filosofia o sul fondamento della conoscenza umana), 1795

Friedrich Schelling, Ideen zu einer Philosophie der Natur (Idee per una filosofia della natura), 1797

[3] Howard Gardner (2010), Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza. Feltrinelli, Milano.

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L’ascolto attivo in Wikipedia

Ascolto

Da Wikipedia

L’ascolto è l’atto dell’ascoltare. È l’arte dello stare a sentire attentamente, del prestare orecchio. Ascoltatore è chi ascolta; ascoltare la lezione, un oratore; ascoltare con interesse tutto ciò che il professore dice. Non trattasi di atto superficiale.

In psicologia ascolto è uno strumento dei nostri cinque sensi per apprendere, conoscere il tempo e lo spazio che ci circonda e comunicare con noi stessi e il mondo circostante. L’ascolto è un processo psicologico e fisico del nostro corpo per comunicare ai nostri neuroni, al cervello che li traduce in emozioni e nozioni.

Etimologia

Dalla radice Auris “Orecchio”, latino parlato, Ascoltare è verbo transitivo. La parola ascolto nasce in italiano come derivato del verbo ascoltare, che proviene a sua volta dal latino “auscultare”, cioè sentire con l’orecchio. Il significato tradizionale del termine ascolto è appunto quello che indica in genere l’azione e il risultato dell’ascoltare ed è fortemente legato al concetto di attenzione.

Come noi ascoltiamo

Nell’ascolto c’è la componente fisica, tra orecchio e neuroni di come noi assimiliamo stimoli acustici e la componente psicologica, che è l’apprendimento attraverso i cinque sensi. Bisognerebbe parlare di tante cose sull’apprendimento, partendo da Sigmund Freud con la fase orale (che noi apprendiamo per esempio dalla bocca e i bambini attraverso quel mezzo assaporano, il gusto (freddo, amaro…), il tatto (forma, durezza, …) per capire che cos’è. È il loro primo approccio con il mondo esterno. Sempre in quel periodo c’è l’apprendimento attraverso la vista e l’udito, che poi durerà tutta la vita. L’udito è molto importante, perché la percezione dello spazio e del nostro equilibrio si basa sull’orecchio.

Una delle cose che facciamo con l’ascolto è l’apprendimento del linguaggio. Due teorici come Burrhus Skinner e Orval Hobart Mowrer, ritengono che il nostro apprendimento si realizzi attraverso le interazioni con l’ambiente. Prima si apprendono le parole e più tardi si uniscono. Per fare questo si deve ascoltare con la vista e con l’udito. Per imparare la parola mamma, il bambino sente il suono mamma, per esempio “vieni dalla mamma”. Usando sempre questa frase, vede il movimento delle labbra e l’oggetto in quel caso la mamma. Lui non ha associato subito il significato di mamma, ma è stata la ripetizione degli eventi. Questo procedimento vale in generale. Sempre con l’ascolto il bambino piccolo dice la parola mamma, perché fa delle prove vocali. Per esempio dice: “aaaa” “ma ma ma”… Fa tanti versi il neonato, e attraverso l’ascolto e la ripetizione: capisce, impara a dire, prova emozione. L’ascolto non è solo udito, ma tutto quello che noi riusciamo ad apprendere o assimilare attraverso i nostri sensi.

Usi della parola “ascolto”

La fortuna della parola ascolto è cresciuta a dismisura negli ultimi trent’anni. Fino a qualche decennio fa, infatti, la voce ascolto non si usava quasi mai autonomamente, ma serviva soprattutto per formare locuzioni con valore di avverbi come essere in ascoltorimanere in ascolto, o con valore verbale, come dare ascoltoprestare ascolto nel senso di fare attenzione. Al massimo, la funzione dell’ascoltatore poteva interessare i linguisti, i quali distinguono l’analisi del parlare, cioè della produzione dei testi di una lingua, da quella della loro comprensione.

Ancora all’inizio degli anni Sessanta, l’ascolto non aveva niente a che fare con il pubblico dei programmi radio o tivvù. L’ascolto radio non era l’indice di gradimento: secondo il più grande vocabolario della lingua italiana, la cui lettera A risale al 1961, l’ascolto radiotelegrafico era il periodo fissato, di qualche ora al giorno, durante il quale le stazioni riceventi sulle coste e sulle navi al largo restano in ascolto per captare eventuali segnali di pericolo. Oggi invece ascolto è una parola molto frequente, soprattutto quando si discute di televisione. Sembra un’incongruenza parlare in questo caso di ascolto, visto che la televisione più che ascoltarla la si guarda. Ma l’apparente incongruenza si spiega in parte come un ricordo dei tempi della radio, in parte perché la parola ascolto, nell’accezione di gradimento di un programma radiofonico o televisivo, traduce l’inglese audience, vocabolo molto usato da noi anche nella forma originaria.

© Articolo estratto con il permesso dell’autore, Dott. Daniele Trevisani dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace. Milano, Franco Angeli

Analizzare i Segnali Verbali, Paralinguistici e non Verbali

Capire un cliente, individuato come qualsiasi entità esterna, è importante. Ma altrettanto importante è capire il “cliente interno”, il nostro interlocutore in un progetto aziendale.

In questo capitolo, parleremo senza distinzione di “cliente”, per individuare la controparte, al di la che si tratti di cliente interno o esterno.

Analizzare il cliente significa cercare di capire più di quanto egli avrebbe la tendenza a dire, e lasciare che il flusso di comunicazione arrivi dal cliente, anziché essere tentati dalla volontà di inondarlo di informazioni.

Il flusso di comunicazione dal cliente va diviso in due strati:

  1. il flusso di dati e informazioni;
  2. il flusso empatico, gli stati emotivi che emergono nel cliente in relazione a particolari bisogni, vissuti, relazioni e rapporti che egli stesso vive.

Nella relazione consulenziale è indispensabile aumentare le capacità di ricezione sia dei dati oggettivi che saper aprire i canali dei flussi empatici.

Come ho evidenziato:

Chi conosce più da vicino il mondo degli acquisti aziendali e della vendita, sa benissimo che le regole della “matematica formale” imposte dalle procedure di acquisto organizzate, anche nelle grandi imprese, non vengono sempre rispettate.

Si può fare di tutto per evitare che un fornitore risultato primo in graduatoria in una gara di appalto (metodo formale d’acquisto) venga in qualche modo escluso, eliminato, sino a compiere atti illegali, pur di non avere a che fare con quel soggetto – che per vari motivi non vogliamo all’interno dei nostri spazi fisici e psicologici.

Dal fattore umano, dalle simpatie-antipatie, dalle valutazioni soggettive, dagli stereotipi, dalle pressioni sociali, dalle pulsioni subconscie ed inconsce, è difficile sfuggire. Questo determina, a volte, lo stravolgimento dei risultati formali, il fatto che vengano ricercate strade per “far vincere qualcuno” nella gara tra i fornitori, a discapito ed in barba delle procedure e delle regole scritte.

Questo accade in genere quando nelle procedure formalizzate di acquisto non sono presenti tutti i fattori reali di scelta (e del resto, è difficile inserirvi fattori subconsci ed inconsci). Ad esempio, la nostra azienda può – abbastanza inconsapevolmente – considerare di fatto molto importante la capacità di ascolto dimostrata dal potenziale fornitore, ma nelle procedure di acquisto non vi è traccia di tale fattore. Questo genera distorsione ed errori.

Anticipando quanto diremo in seguito, per il venditore, in altre parole, è necessario agire sul terreno psicologico dell’impresa acquirente, inserendo le proprie offerte all’interno dell’orizzonte psicologico soggettivo del buyer.

Una mappa per la comunicazione umana

Possiamo avere tutti i mezzi di comunicazione del mondo, ma niente, assolutamente niente, sostituisce lo sguardo dell’essere umano.

 (Paulo Coelho)

L’insieme di tutti i segnali verbali, paralinguistici e non verbali che una persona può emettere è racchiuso nelle categorie esposte nella figura che segue.

Possiamo dire con certezza che ciascuna delle porzioni di questo schema meriterebbe un libro a sè.

Tuttavia, è bene averne in questa sede un quadro riassuntivo. L’utilizzo di queste categorie può essere sia:

  1. nell’aumentare la consapevolezza degli elementi da ascoltare e percepire;
  2. nella coscienza aumentata dei mezzi che noi usiamo per comunicare i nostri messaggi.

Nello schema abbiamo innanzitutto la componente verbale, che si esprime nel “parlato”:

  1. le parole utilizzate, e la scelta delle parole, o scelte linguistiche, sono già una fonte di informazioni preziose, sulla cultura e grado di studi del parlante, sulla sua provenienza, sullo stato emotivo (es utilizzo di linguaggio “alterato” e parolacce), e quindi informazioni inerenti l’umore e tanto altro;
  2. la lunghezza o brevità delle frasi;
  3. lo stile linguistico (es, rurale, poetico, manageriale, informatichese, ottimista, pessimista, etc);
  4. l’utilizzo di figure retoriche e figure logiche (la metafora, l’esempio e tante altre possibili forme), che ci informano rispetto alle capacità di una persona di essere un buon comunicatore o avere studiato comunicazione.
  5. La strutturazione interna del discorso, le strategie narrative che lo qualificano (e: la favola a lieto fine, il report tecnico, l’arringa), la struttura e le sezioni (inizio, centro, fine, o come altro sono strutturate), la presenza di qualche forma di strategia narrativa evidente o meno.

Passando alla comunicazione non verbale, abbiamo:

  1. la qualità della voce: velocità, ritmo, volume, tono, accenti;
  2. le vocalizzazioni, volontarie (come ehm, uhm, ahh…) e involontarie, come tosse, borbottii, il suono e i tratti del respiro (es, respiro rilassato o respiro affannoso).

Questi due ultimi elementi (voce e vocalizzazioni) costituiscono la parte paralinguistica, la parte non-verbale recepita dal canale auditivo. Abbiamo poi il sistema cinesico, o del movimento.

Questo sistema contiene:

  • il comportamento nello spazio;
  • avvicinamento e allontanamento;
  • distanze personali, distanze tra persone, collocamento delle persone nello spazio;
  • movimento della testa e orientamento del capo;
  • il comportamento motorio-gestuale, la gestualità generale come nel caso del nervosismo e della calma, il modo di sedersi, la posizione tenuta nel sedersi;
  • movimenti delle mani;
  • cenni del capo, come il muovere il capo in su e giù, o di lato, la curvatura obliqua del capo e altre forme espressive;
  • gesti compiuti da altre parti del corpo come braccia, gambe, piedi;
  • la mimica del volto, le microespressioni facciali, i movimenti dei muscoli che sono inseriti dal collo alla base del cranio fino alle guance, sopracciglia e fronte. Tanto per rendere la complessità del quadro, ognuno di questi punti elenco ha interi libri e metodi ad esso dedicati, come il metodo Facial Action Coding System (FACS) di Eckman;
  • i comportamenti visivi come l’eye-contact, il contatto visivo, la sua qualità e durata, l’associazione del tipo di sguardo ai muscoli facciali indicativi ad esempio di uno sguardo triste, tenero, duro, o aggressivo.

Abbiamo poi la comunicazione “Aptica”, quella che avviene tramite il contatto fisico. Il contatto fisico può contenere diverse modalità, tra cui:

  • stretta di mano e sue qualità, suoi effetti strategici o dimostrativi, la naturalezza o meno del contatto, il calore trasmesso o il sudore dei palmi delle mani, la fretta o la calma;
  • contatto con altre parti del corpo;
  • gesti come l’abbracciare.

Passiamo poi agli elementi che vengono colti dal canale visivo. in particolare l’aspetto esteriore, composto da accessori della persona e aspetto corporale. Per gli accessori, sono possibili portatori di comunicazioni e messaggi:

  • abbigliamento;
  • accessori, sia delle braccia, delle caviglie, del collo, come braccialetti e collane, ma anche piercing e tatuaggi, e ogni altro elemento cui lo sguardo può attribuire significato;
  • beni personali, es, computer, auto, penna, borsa;
  • modalità d’uso degli oggetti, come la facilità o difficoltà nell’uso di uno strumento elettronico o manuale.

Sul piano corporale, sono portatori di possibili significati e messaggi:

  • la struttura corporea, aspetto e dimensioni fisiche, sviluppo muscolare;
  • i capelli, la loro forma e colore, il taglio dei capelli;
  • le proporzioni, altezza, larghezza, gli stati come magro/grasso etc;
  • i tratti del volto e i segni sul volto, cicatrici, abrasioni, stato della pelle; la pelle e il suo stato specifico quanto a colore (ad esempio, il fatto di sbiancare improvvisamente nel volto è un indicatore involontario di malore), sudore (indicatore di possibile fatica o invece di ansia o panico), cura della pelle;

Vi sono poi:

  • emanazioni corporee, da quelle tangibili come sudore, profumi, puzza, a quelle meno percepibili come i segnali ormonali che emettiamo dalla pelle;
  • sapori (sapori del soggetto, nel contatto fisico di tipo sessuale, o sapori culinari nelle produzioni della persona) ;
  • produzioni attribuibili all’individuo, da una mail a un disegno, una presentazione PowerPoint, un libro, la loro modalità espressiva e significati;
  • la Cronemica, letteralmente, la comunicazione praticata attraverso il tempo. Es, far aspettare, arrivare prima, quanto tempo si impiega a compiere un certo atto, la velocità o lentezza del movimento in termini temporali, e persino il “non rispondere”. Fanno parte di questa categoria le capacità di sincronizzazione e reattività ai messaggi altrui.

Tutti i messaggi possono essere a canale singolo o target sensoriale singolo, o canale multiplo e target sensoriali multipli, generando comunicazioni polisensoriali:

  • bi-sensoriali
  • tri-sensoriali
  • quadri-sensoriali
  • penta-sensoriali
  • exa-sensoriali

La Comunicazione Olistica è il riconoscimento che la realtà della comunicazione umana è estremamente complessa così come è in natura, e se vogliamo esaminare un fenomeno, come ad esempio la seduzione, o la persuasione, probabilmente arriveremo a trovare tutti o quasi tutti gli elementi di questo quadro, in azione sinergica.


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Altre risorse online

Dr. Daniele Trevisani - Formazione Aziendale, Ricerca, Coaching