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Articolo estratto con il permesso dell’autore, dott. Daniele Trevisani, dal testo “Team leadership e comunicazione operativa. Principi e pratiche per il miglioramento continuo individuale e di team

Riconoscere gli stati conversazionali

Una delle competenze comunicative più centrali nella direzione è l’abilità nel riconoscere e gestire gli stati conversazionali nei gruppi.

In ogni gruppo o riunione circolano dosi massicce di comunicazioni inutili o controproducenti, veicolate con stili distruttivi. Mescolate a messaggi utili ai processi e al clima. Questi due aspetti vanno osservati e distinti.

leadership conversazionale

Osservando la comunicazione come un flusso di liquido, è come se dal rubinetto del­l’acqua potabile vedessimo uscire sabbia, fango, veleni, che si mescolano al­l’acqua, o ancora se l’acqua uscisse a getti, alternata a bolle d’aria e spruzzi. Non sarà molto facile o piacevole bere da quel rubinetto.

In una riunione aziendale, per esempio, possiamo riconoscere quando qualcuno attiva dinamiche di “chiacchiera da bar” o propone un “teorema da piccolo professore” con affermazioni non supportate da alcun dato. Se il riconoscimento funziona, possiamo attivamente decidere di ricercare uno stato conversazionale più adeguato.

La leadership conversazionale consiste anche nel respingere i tentativi di alcuni membri di produrre una conversazione malata, riconoscendo quando avviene il boicottaggio della riunione, il boicottaggio di un’analisi seria del problema, o quando accade il tentativo di attacco al ruolo, e qualsiasi altra forma di azione distruttiva.

Processi specifici della leadership conversazionale

La leadership conversazionale applicata richiede che si attivino i seguenti processi.

Osservare per capire

•     Chi sta gestendo la conversazione, chi attua linee d’azione finalizzate a conquistare il potere nella conversazione.

•     Come vengono presi i turni di parola (per concessione di un leader, con tecniche di richiesta di permesso, con sovrapposizione e intrusione aggressiva sul parlato altrui).

•     Valutare se vi sono soggetti che monopolizzano la conversazione e altri che rimangono passivi nel gruppo.

•     Capire se vengono interrotti brani conversazionali inopportunamente, e da parte di chi.

•     Di che cosa si parla (argomento, argomenti multipli, contenuti centrali e laterali, sfumature di contenuto).

•     Se l’argomento è centrato, decentrato o completamente sfocato rispetto agli obiettivi della conversazione (centratura della conversazione).

•     Se viene tenuto il focus su un argomento o si cambia argomento (opportunamente o inopportunamente).

•     Se il tempo in cui un argomento è trattato è adeguato.

•     Se il luogo in cui un argomento è trattato è adeguato.

•     Se il contesto relazionale in cui un argomento è trattato è adeguato.

•     Se lo stile e l’approccio utilizzati nella conversazione sono produttivi.

Intervenire sugli elementi

•     Riappropriazione del potere conversazionale fissando le regole dal­l’inizio (imprinting della leadership conversazionale).

•     Gestione diretta dei turni di parola, concessione dei turni a terzi (turn taking e turn management).

•     Sanzione delle interruzioni, sovrapposizioni e intrusioni aggressive sul parlato altrui, sollecitazione al­l’intervento di partecipanti che non stanno intervenendo, ove necessario (rinforzi negativi);

•     Apprezzamento per stili conversazionali positivi, contributi attivi e atti conversazionali produttivi (rinforzi positivi).

•     Content management (fissazione del­l’argomento, della scaletta, dei contenuti centrali e laterali, delle sfumature di contenuto).

•     Ricentraggio conversazionale: se l’argomento è centrato, decentrato o completamente sfocato rispetto agli obiettivi della conversazione (centratura della conversazione).

•     Topic shifting: cambio di argomento quando opportuno.

•     Conversational timing e time management: decisione del tempo adeguato per trattare un certo argomento, inteso sia come durata necessaria che come momento nel giorno, settimana, mese o anno, o altri parametri temporali.

•     Intervento assertivo per bloccare conversazioni che cercano di avviarsi fuori dai tempi ideali o fuoriuscire dai tempi ideali o fissati (fuoriuscite conversazionali).

•     Setting management: valutazione del luogo e ambiente in cui un argomento viene trattato. Intervento assertivo per bloccare conversazioni che cercano di avviarsi in ambienti dai climi inadeguati (rumore, temperatura, umidità, affollamento, disturbi esterni).

•     Climate management: valutazione del contesto relazionale in cui un argomento è trattato (propensione alla collaborazione, clima disteso o ricettivo vs. indisponibilità al dialogo o clima tossico e ostile che rende la conversazione impossibile). Analisi dei rumor psicologici che intervengono sulla conversazione e interventi di eliminazione.

•     Azione assertiva sullo stile ottimale atteso dai partecipanti e rilevazione, persona per persona, sul fatto che l’approccio o stile utilizzato nella conversazione sia o meno produttivo (azione sul code switching, il cambio di codice comunicativo).

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  • Ricentraggio conversazionale
  • Content management
  • Climate management
  • Comunicazione assertiva
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Articolo estratto con il permesso dell’autore, dott. Daniele Trevisani, dal testo “Team leadership e comunicazione operativa. Principi e pratiche per il miglioramento continuo individuale e di team

Analizzare una conversazione

Se analizziamo una conversazione tra persone, possiamo notare alcune caratteristiche della loro comunicazione, così come se analizziamo una riunione o un dialogo di gruppo.

Leadership conversazionale

Estendendo queste analisi alle comunicazioni dei team possiamo fare interessanti scoperte.

Innanzitutto la prima cosa che si può osservare è chi prende per primo il turno di parola. Chi inizia a parlare per primo si assume, si autoassegna, una leadership conversazionale, e diventa protagonista della gestione delle forme e dei contenuti.

Può accadere poi che un altro soggetto si appropri del turno, autoassumendosi sia la leadership che il ruolo di mediatore del gruppo. Per esempio, uno degli amici, rivolgendosi a ognuno degli altri, chiede: “Voi dove vorreste andare? A te, per esempio, dove piacerebbe andare?”.

Chiedere a tutti a turno “a te dove piacerebbe andare” è una precisa mossa conversazionale, che denota e precisa il ruolo di conduttore.

Altra caratteristica della leadership conversazionale riguarda la modalità della conversazione, la capacità del soggetto di toccare specifici problemi o passare ai metaproblemi.

I “problemi” trattano specificamente l’argomento della conversazione, nel­l’esempio della ricerca di una destinazione comune: il periodo, la meta, la durata ecc., quindi il “viaggio”.

I “metaproblemi” invece osservano il gruppo stesso, il loro funzionamento, lo analizzano dal­l’alto. Si trattano argomenti magari non direttamente collegati al tema della conversazione, per esempio i valori che fanno da collante al gruppo.

Nell’analisi della conversazione viene prestata attenzione primaria alle mosse conversazionali. Possiamo iniziare a sensibilizzarci al valore relazionale delle mosse, distinguendo le mosse di avvicinamento da quelle di allontanamento. La prima si ha quando un soggetto, attraverso il contenuto delle sue parole e soprattutto il tono, crea e rafforza un legame tra se stesso e gli altri soggetti. Al contrario una mossa di allontanamento crea o aumenta una distanza relazionale. Questo atto ha solitamente una connotazione negativa, ma nella gestione dei team vincenti sono necessarie entrambe.

Un’ulteriore capacità indispensabile è la comprensione delle linee di conversazione e della gestione dei turni (vedi a riguardo Goffman 1959). Quando due persone stanno parlando tra loro, sono unite da una linea immaginaria, che può essere verbale, paraverbale o visiva.

Se una terza persona cerca di immettersi nella conversazione, interrompendo tale connessione, si ha un ingresso o tentativo di ingresso, che può essere più o meno appropriato, più o meno aggressivo, più o meno opportuno. Un ingresso rappresenta esso stesso una mossa conversazionale.

Dal­l’attento ascolto di una conversazione emergono non solo le caratteristiche appena descritte, ma anche la personalità dei soggetti. Infatti, da ciò che uno dice e dal modo in cui si esprime si può dedurre se il soggetto è aperto o chiuso, introverso o estroverso, se ha un atteggiamento verso la vita positivo o negativo.

Questa considerazione introduce un altro importante concetto delle ricerche sulla leadership nel metodo HPM (Human Potential Modeling), i prototipi cognitivi, o “modelli dominanti di pensiero”. Essi sono una sommatoria di variabili psicologiche tra cui credenze, atteggiamenti e valori. Permettono di creare delle “etichette”, o punti di osservazione, attraverso i quali è più facile identificare le caratteristiche del soggetto. Un’“etichetta” molto usata è la “visione del mondo”, che trasuda dal modo di esprimersi e dal contenuto di ciò che il soggetto afferma.

Utilizzando i prototipi cognitivi è possibile avvicinarsi al mondo soggettivo, decodificare le mappe mentali del soggetto e stimolare l’empatia, che è la capacità di intuire che cosa si muove nel­l’universo mentale dell’interlocutore, come si senta in una situazione e che cosa realmente provi al di là di quello che esprime verbalmente.

Le persone durante una conversazione possono attuare giochi di faccia, così definiti da Goffman, e cioè giochi sulla propria immagine o su quella di altri (Goffman 1969).

Per esempio, il leader della conversazione, rivolgendosi a uno dei presenti, chiede: “Tu, avventuroso come sei (detto in modo ironico), dove vorresti andare in vacanza?”.

In questo modo il leader attribuisce l’aggettivo ironicamente “avven­turoso” al­l’amico, lo etichetta e lo definisce in termini di immagine sociale in pratica come un codardo, e questo può rappresentare un grave attacco alla faccia sociale.

Tali giochi di faccia possono essere utilizzati anche per intervenire a favore o a sfavore di qualcuno o per proteggergli la “faccia”.

Guardando alla conversazione come a un gioco di stimoli e risposte, si possono identificare diverse modalità con cui il soggetto stimolato può rispondere agli input. Le ALC (Action Lines Conversazionali) definite dal metodo HPM sono scelte tattiche rispetto a una gamma di opzioni.

Si posso avere risposte di tipo:

•     accondiscendenza (dimostrarsi d’accordo);

•     negazione (dimostrarsi in disaccordo);

•     up-keying (drammatizzare ciò che è stato detto);

•     down-keying (sdrammatizzare ciò che è stato detto);

•     depistaggio conversazionale (cambiare discorso evitando di rispondere, distogliere la conversazione dal tema);

•     ricentraggio conversazionale.

Nella scelta della risposta a uno stimolo si può anche mettere in pratica la cultura dei confini (altro tema di ricerca peculiare del nostro approccio), cioè la capacità di tenere a distanza l’interlocutore o decidere le distanze relazionali adeguate entro le quali far girare il rapporto.

Per esempio esplicitare in modo diretto o indiretto al proprio partner occasionale o professionale che non si desiderano ingerenze riguardo alla vita privata, o il modo di educare i figli, è un modo di fissare la dinamica del rapporto, di decidere e dire “fino a qui puoi entrare, oltre no”.

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  • Ricentraggio conversazionale
  • Giochi di faccia

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Tecniche di ascolto attivo

L’ ascolto attivo si collega alla comunicazione paralinguistica e non verbale e comprende in particolare:

  • tecniche verbali di ascolto attivo;
  • tecniche paralinguistiche di ascolto attivo;
  • tecniche non verbali di ascolto attivo.

Tecniche verbali di ascolto attivo

Comprende parole che segnalano attenzione e comprensione.

  • Domande aperte: chi, dove, quando, come, perché, con chi, in quale modo, in quali tempi, per quanto, cos’altro… e altre domande che consentano di allargare il discorso e precisarlo.
  • Domande chiuse o di precisazione: verifica di parti del contenuto tramite domande che prevedano una risposta di tipo “Si/No” o altre categorie precise “molto/poco”, “prima/dopo” e altre di questo tipo.
  • Tecnica dello specchio (riflessione del contenuto): ripetizione di frasi o parti di frasi dette dalla controparte, senza modifiche e alterazioni. La tecnica dello “specchio” proviene dalle metodologie di ascolto empatico utilizzate nel colloquio terapeutico Rogersiano[1]. È una tecnica di origine psicoterapeutica, che consente al “cliente” di approfondire i propri contenuti e riflettersi nei contenuti stessi da egli espressi.
  • Parafrasi: utilizzo del “come se”. Ricerca della comprensione di quanto detto, con l’uso di metafore o esempi che cercano di valutare se si è realmente compreso il senso profondo di quanto la controparte dice.
  • Sintesi storica, riassunto: ripetizione di quanto asserito, sotto forma di riassunto dei punti salienti della “storia”.
  • Incoraggiamenti verbali: es, “bene”, “interessante”, “si”, “ok”.

Tecniche paralinguistiche di ascolto attivo

Utilizzo di vocalizzazioni che esprimono interesse per la “storia” e facilitano l’espressione, quali Uhmm.. ahh….emissioni gutturali o respiratorie…

Lo scopo delle tecniche paralinguistiche (assieme a quelle non verbali visuali) è quello di fornire segnali fàtici (di contatto), affinché l’interlocutore senta che siamo in ascolto, siamo presenti, e siamo interessati.

Tecniche non-verbali di ascolto attivo

Utilizzano l’atteggiamento del corpo per esprimere interesse:

  • postura aperta ed inclinata in avanti per indicare disponibilità; posizione del corpo rilassata e di disponibilità;
  • avvicinamento e allontanamento (prossemica): ridurre la distanza con l’interlocutore nei momenti di maggiore interesse, allontanarsi nei momenti di distensione;
  • espressione del volto: non dubitativa, ironica o aggressiva, ma attenta e partecipativa;
  • sguardo attento e diretto;
  • movimenti delle sopracciglia associati a punti salienti del discorso altrui;
  • cenni del capo, cenni assenso o di diniego;
  • gesti morbidi, lenti e rotatori per comunicare senso di rilassamento e incoraggiare ad andare avanti nella conversazione;
  • metafore non verbali utilizzando il body language, che dimostrano comprensione di quanto detto dalla controparte.

Sul piano non verbale, dobbiamo sempre considerare che numerose culture frenano l’espressione non verbale delle emozioni (es: quelle asiatiche), ma che anche questo dato è uno stereotipo comunicativo, di valenza solo probabilistica e non consegna certezze.

In sintesi, le tecniche principali per un accolto efficace sono:

  • curiosità e interesse;
  • parafrasi: ripetere con le proprie parole quanto capito (questo non equivale ad essere d’accordo con quanto detto dall’altro);
  • sintesi e riassunti: riformulare la “storia” nei suoi punti salienti, per consolidare quanto raccolto;
  • dirigere l’ascolto tramite domande mirate (ricentraggio conversazionale) per far luce sui punti ancora oscuri o i passaggi ancora non ben chiari;
  • evitare domande eccessivamente personali finche non si sia creato un rapporto solido e “caldo”;
  • offrire al parlante la possibilità di dare feedback sul fatto che quanto capito sia corretto, accurato o invece distorto o lacunoso;
  • ascoltare non solo le parole ma anche i segnali non verbali per valutare i sentimenti e stati d’animo;
  • verificare la corretta comprensione sia dei sentimenti che del contenuto, non ignorare l’aspetto dei sentimenti;
  • non dire alle persone come dovrebbero sentirsi o ciò che dovrebbero pensare (nella fase di ascolto, limitarsi a trarre informazioni, senza voler insegnare o valutare).

Ancora una volta, sottolineiamo che questi atteggiamenti sono preziosi e determinano la qualità della fase di ascolto, ma non vanno confusi con gli obiettivi di tutta la negoziazione (che prevede sia fasi di ascolto che fasi propositive e affermazioni anche dure o assertive). 

In una negoziazione è possibile (ed è anzi uno degli obiettivi strategici) modificare ciò che gli altri pensano (ristrutturazione cognitiva e persuasiva) o come gli altri si sentono (azione emozionale), ma questo obiettivo verrà perseguito solo ed unicamente se prima il negoziatore sia riuscito a porre in essere un ascolto attivo , attivando l’empatia necessaria per capire in quale quadro si stia muovendo.

I livelli di ascolto

Possiamo individuare una scala del livello di ascolto:

  • Ascolto schermato / distorsivo: non capire, non prestare attenzione, distorcere i dati in ingresso, i dati reali (fisici e emotivi) non vengono veramente percepiti, ma distorti, percezione limitata e/o errata, barriere culturali, di ruolo, pregiudizi, antipatie, antecedenti, stati emotivi del momento, scarse energie fisiche e mentali, poca umiltà.
  • Ascolto giudicante / aggressivo : interrompe continuamente, attacca, giudica e valuta, disapprova quanto detto, nessuno sforzo di capire o approfondire, caratterizzato dal fatto che non si ascolta veramente, ma si raccolgono informazioni per poi emettere immediatamente sentenze e giudizi. L’ascolto giudicante può emergere anche da una smorfia sottilissima emessa con un segnale non verbale quale “storcere il naso” durante un’affermazione altrui che non approviamo, e non è da confondere con la partecipazione emotiva a quanto detto dall’altro.
  • Ascolto apatico / passivo: privo di energia, stanco, “morto”, spento, nessun cenno del capo o altro segnale “fàtico” (segnali di contatto), disinteresse verso il comunicatore
  • Ascolto a tratti: attento in alcuni momenti, distratto in altri, viene espressa attenzione discontinua, vi sono pensieri o attività che interferiscono, poca concentrazione, si perdono brani.

Abbiamo poi fasi decisamente migliori quali:

  • Ascolto attivo / supportivo : Il soggetto viene incoraggiato a proseguire, aiutato ad esplorare i concetti, supportato tramite domande di approfondimento, aperte e chiuse. Forte partecipazione del body language, utilizza segnali corporei e verbali di partecipazione a quanto detto, riformulazioni e altri dispositivi linguistici e non verbali che servono per dare il segnale “quello che dici mi interessa, ti sto seguendo”.
  • Ascolto empatico: Sospensione del giudizio, interesse genuino, ascolto avalutativo, curiosità, azioni di approfondimento e metacomunicazione, l’ascolto degli strati profondi, la capacità di sintonizzarsi e capire i livelli più nascosti, emotivi e personali, del vissuto del nostro interlocutore, più che i dati numerici o oggettuali che ci espone.
  • Ascolto simpatetico: Dimostrazione di vicinanza, affetto, piacevolezza, esprime non solo comprensione ma apprezzamento, calore umano, piacere della relazione, gradimento dell’altro. 

Una nota importante sull’espressione di simpatia durante le fasi di ascolto: dimostrare simpatia non è obbligatorio. Se la nostra espressione è finta, verrà colta. Dobbiamo essere il più possibile autentici e veri. Non consigliamo di inoltrarsi in un ascolto simpatetico falso ma di compiere un’operazione decisamente più difficile e professionale: cercare nell’altro le “cose buone” che emergono, partendo dal principio che anche persone che non ci piacciono possono tuttavia avere alcuni tratti e caratteristiche che sono comunque interessanti. Non dobbiamo partire con un senso di superiorità ma con un atteggiamento di vero interesse per la scoperta di quanto può emergere.

Se poi la gradevolezza è vera, questo livello di ascolto verrà fuori naturalmente, ma è essenziale non bloccarlo a priori in nome di una presunta “freddezza professionale” che non è l’obiettivo vero di un ascolto di qualità.

Dobbiamo anche distinguere un altro aspetto fondamentale dell’ascolto: la presenza di almeno due diversi piani di ascolto: i dati e gli stati emotivi. Questo qualifica la differenza tra un ascolto informativo e un ascolto psicologico.

Ascoltare dati non equivale ad ascoltare stati emotivi.

Possiamo infatti applicare un ascolto di tipo:

  • psicologico : Interesse per gli aspetti psicologici, ascolto viscerale, delle sensazioni, del livello umano, attenzione centrata sulla persona e sul suo vissuto, ascolto di emozioni, stati umorali, sensazioni, rapporti umani.
  • tecnico-informativo : ascolto meccanico, concentrato sui dati, numeri e fatti.

Un negoziatore avanzato e un venditore di alto livello saranno in grado di applicare il livello di ascolto corretto, o entrambi, a seconda delle situazioni, senza entrare in uno stato di ascolto prefissato, stereotipato e rigido.


[1] Rogers, Carl R. (1961). On becoming a Person. Boston, Houghton Mifflin.

Rogers, Carl R. (1951). Client-Centered Therapy: Its Current Practice, Implications, and Theory. Boston, Houghton Mifflin.

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© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Il livello di relazione ed il suo sviluppo

L’avvio di un rapporto può essere basato sul concetto di “prova” nel quale il fornitore viene testato o ad un formato di “seduzione” nel quale si avvia un avvicinamento progressivo.

In pochi o rari casi un fornitore passa dall’essere un perfetto sconosciuto allo status di “fornitore ufficiale”, “fornitore di fiducia”, o “fornitore di riferimento”.

Il nostro obiettivo è quello di percorrere la strada che passa dall’essere estranei al sistema cliente al diventare il suo punto di riferimento per una intera categoria di bisogni.

Esiste una forte differenza tra essere venditore di prodotti o fornitore di un prodotto “una tantum” ed essere “il riferimento” per un cliente.

Dobbiamo quindi esplorare quale livello di relazione cercano gli interlocutori, entrando all’interno del Sistema Motivazionale (SM) del cliente

Dobbiamo chiederci:

  1. quali sono le possibili configurazioni del rapporto
  2. quali le possibili evoluzioni.

Alcune tipologie di rapporto:

  • copertura di una esigenza momentanea,
  • ricerca di un allargamento del parco fornitori ma senza mettere in discussione il fornitore attuale primario,
  • assaggio di una novità ma senza intenzioni di continuità con il fornitore precedente,
  • ricerca di un partner di continuità,
  • bisogno di un partner di continuità con capacità anche di comakership,
  • bisogno di un partner di continuità, comakership e R&D congiunta, estremamente integrato nella catena del valore,
  • ricerca di un “pollo da spennare” per ottenere Ricerca e Sviluppo gratis dal fornitore,
  • ricerca di un puro benchmark di prezzo o di qualità.

Principio 1 – Capacità di cogliere il grado di relazione ottimale e svilupparne il percorso

Il successo della vendita consulenziale dipende:

  • dalla capacità di capire quale grado di relazione sia auspicabile avviare per l’azienda venditrice;
  • dalla capacità di capire quale grado di relazione sia desiderato dall’azienda cliente;
  • dalla capacità di negoziare la relazione ancora prima della vendita;
  • dalla capacità di far evolvere la relazione (percorso della relazione).

La vendita consulenziale deve appurare se esistono condizioni per il successo reciproco – condizioni win-win – partendo sia dai dati disponibili che dagli atteggiamenti.

Le condizioni lose-win – in cui l’azienda venditrice va incontro a trappole o perdite sia economiche che di know-how – devono essere attentamente scrutinate e colte, prima che possano arrecare danni profondi, come la perdita di know-how, erosione di impegno, tempo e denaro.

In ogni comunicazione dobbiamo analizzare attentamente il livello di relazione ricercato, i segnali di fiducia (trust-signals) e di sfiducia (distrust-signals) in essa contenuti, che danno spessore alle ipotesi in costruzione.

Inquadrare la vendita complessa attraverso il metodo Action Line Management

Modello e sequenza ALM:

  1. Scenari
  2. Mission
  3. Marketing Mix – Value Mix
  4. Action Line
  5. Front Line

Il modello ALM invita tutti nell’impresa, il venditore consulenziale, il commerciale, il responsabile marketing sino all’amministratore delegato.

Chiunque ha impatto sul cliente deve porsi una serie di domande, che presuppongono altrettante consapevolezze sui 5 punti della sequenza ALM.

Appropriarsi della parte, per un venditore consulenziale, significa essere pienamente consapevole di tutta la sequenza ALM dell’impresa: i suoi scenari, la sua missione, il suo mix di valori, le sue tattiche, le sue comunicazioni. 

Diventano quindi importanti:

  1. domande di scenario e consapevolezze di scenario: cosa accade nel settore, cosa stanno facendo i concorrenti, quali trend hanno impatto su di noi, quali sono i nostri punti di forza e di debolezza;
  2. domande sulla missione e consapevolezza della mission: cosa facciamo, perché lo facciamo, quali bisogni di base cerchiamo di risolvere nel cliente (BSS – Bisogno Sottostante Servito), dove sono i confini della nostra missione, cosa ci accomuna e cosa ci differenzia da altri competitors. Domande sull’organizzazione e sulla sua struttura interna: come si differenziano i ruoli aziendali, sono chiare le differenze, esistono possibili confusioni organizzative e di ruolo di cui il cliente può accorgersi e che dovremo essere chiamati a pagare o cui dovremo cercare di rimediare?
  3. domande sul marketing mix e value mix: il marketing mix (caratteristiche dei prodotti e servizi, sistema dei prezzi, sistemi di distribuzione e vendita, comunicazione e promozione) racchiude le leve di marketing usate dall’impresa per portare valore al cliente. La nostra missione in quali prodotti e servizi si concretizza? Quali sono le caratteristiche, vantaggi, benefici e unicità (CVBU) dei nostri prodotti e servizi? Dove si concentra il valore? Quali sono i CVBU dell’intero marketing mix, i CVBU nel sistema di pricing, il CVBU del sistema distributivo, il CVBU della nostra immagine e della nostra comunicazione? Il venditore consulenziale deve conoscere attentamente il value mix di cui dispone, il mix di valore che possiamo erogare al cliente – il quale nasce dalla somma e interazione delle diverse caratteristiche, vantaggi, benefici e unicità che la nostra azienda può produrre.
  4. Domande sulle nostre action-lines: come ci prepariamo per incontrare il cliente? Abbiamo la strategia relazionale adeguata? È sottoposta a sperimentazione, prove, verifica, autocritica o feedback?
  5. Domande sul front line: che stile di comunicazione percepisce in noi il cliente? Che dissonanze comunicative può cogliere? Su quali diversi punti di contatto si dispiega il nostro front-line? Presidiamo tutti i possibili punti di contatto alla ricerca di una qualità totale nella nostra comunicazione o qualcosa rimane scoperto?

Il punto essenziale qui trattato è la consapevolezza del venditore o negoziatore sui punti critici del proprio sistema-impresa.

Il venditore consulenziale non è un burattino inconsapevole mosso da fili che non conosce, ma un vero e proprio “attore di ruolo”, nel senso che “agisce” in un testo che deve conoscere molto bene e deve interpretare un ruolo in modo molto consapevole, non robotizzato. 

Diagnosi del cliente: la sequenza ALM

Idealmente, la vendita consulenziale e la vendita complessa devono interessarsi del cliente e non vendere ad un soggetto fantasma.

Il comportamento da adottare è il contrario del “mettere su il disco” della vendita e consiste nell’applicarsi in un ascolto attento, partecipe, empatico, forte, analitico.

L’ascolto deve essere praticato anche quando il cliente “decentra” rispetto all’esplorazione delle problematiche. Se non poniamo attenzione al ricentraggio dei temi conversazionali che contano, cadremo presto nella strategia della controparte ben formata : buyer professionale che consiste nel “far scoprire” il venditore e trovarne le lacune, per poi utilizzarle contro di esso.

Quanto più potenziale esiste nel cliente, tanta più attenzione occorre dare nell’analisi. In una analisi accurata è necessario applicare attenzione a numerosi punti, in particolare occorre presidiare e diagnosticare:

  • gli scenari del cliente: che fase vive il cliente, a quali forze e pressioni è sottoposto, che implicazioni e vincoli ci sono sui suoi acquisti; che punti di vulnerabilità ha oggi sul mercato?
  • la mission del cliente e la sua organizzazione: cosa cerca in profondità il cliente, a quali target attuali si dirige, a quali nuovi target punta; come possiamo aiutarlo a raggiungere la sua mission e i suoi obiettivi?
  • il value mix del cliente: in cosa desidera fare la differenza, in quali aspetti del prodotto, del servizio, o dei prezzi, della distribuzione, o di immagine;
  • le action lines del cliente: riguarda sia le linee di azione che adotta verso i clienti, che le linee di azione che adotta verso i fornitori. Che strategia applica verso i clienti? Che strategia relazionale applica verso i fornitori e in particolare verso di noi?
  • Il front-line del cliente: come comunica il cliente al suo mercato e ai suoi clienti? Con quale posizionamento e stile? Quali canali usa? Quali messaggi lancia, ma soprattutto, quali vorrebbe lanciare?

Capire questo ultimo punto è essenziale in termini di vendita consulenziale: se la fornitura riesce a diventare un tassello fondamentale del messaggio che il cliente desidera lanciare al proprio mercato, essa aumenta considerevolmente di valore.

Passare da una vendita stereotipata ad una vera espressione di sè

Tra venditore classico e venditore consulenziale notiamo la stessa differenza che esiste tra attore “recitativo” (che impara a memoria un testo) e attore vero (colui che “diventa” un personaggio).

Riferendoci al metodo sviluppato da Stanislavskij per la formazione dell’attore, notiamo questa importante somiglianza:

Tra gli elementi più duraturi degli insegnamenti di Stanislavskij, quello riguardante l’attore è senz’altro il più importante.

Attore non è più solo colui (o colei) che su un palcoscenico interpreta un personaggio. Attore è un professionista della recitazione, che pone il suo salire sul palcoscenico come atto finale di un percorso di appropriazione della “parte”. 

Ciò non consiste solo nell’imparare a memoria le battute e le azioni da compiere, ma soprattutto in un lavoro di composizione del personaggio. 

L’attore non è chiamato a riprodurre pigramente delle “maschere”, ma a “comporre” un personaggio in tutto il suo spessore, psicologico e fisico.[1]


[1] Failla, Barbara (2005), Il sistema Stanislavskij. In: Antenati, storia delle letterature europee. Pubblicato in www.girodivite.it, marzo 2005.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Copyright. Articolo estratto dal libro “Direzione Vendite e Leadership. Coordinare e formare i propri venditori per creare un team efficace” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

La leadership efficace ispira e motiva le persone a lavorare con passione e soprattutto forma le persone ad utilizzare un metodo di vendita specifico, anziché lasciarle allo sbaraglio e senza direttive. I modelli di team privi di leadership sono pure utopie che nel mondo umano e aziendale non funzionano.

Il bisogno di fare formazione per il team di vendita è urgente quanto l’acqua nel deserto. Un metodo di vendita, in particolare il metodo del Solutions Selling e la vendita consulenziale, offrono una piattaforma solida su cui basare ogni vendita e ogni giornata di lavoro.

La leadership basata sul coaching

Basare la leadership sul coaching significa predisporsi ad essere “allenatore” e formatore della propria squadra di vendita, promotore di uno sviluppo personale e professionale del venditore, e protagonista di una relazione di aiuto “centrata sulla persona” (il venditore).

Il coaching punta a far crescere l’individuo lungo tre vettori primari: i saperi, il saper essere, il saper fare.

In un programma di leadership basata sul coaching, ogni venditore viene analizzato in termini di: Bilancio dei “saperi”, e relativo piano di crescita: cosa sai; bilancio del “saper essere”, degli atteggiamenti e tratti caratteriali, e relativo piano di crescita personale: come sei; bilancio del “saper fare”, delle competenze di cui dispone la persona, e relativo piano di sviluppo: cosa sai fare.

La leadership basata sull’Analisi della Conversazione (AC)

La Leadership Conversazionale rappresenta una tecnica di gestione della conversazione, intenta a riconoscere i formati conversazionali in corso, riposizionarli nella direzione voluta, riconoscere le mosse conversazionali attuate dagli altri, pianificare il proprio comportamento in una direzione più assertiva.

Esempi di formati conversazionali inerenti la relazione con il venditore:

  • la lamentela (esternalizzazione del problema);
  • il “parlare di guai”;
  • la “confessione”;
  • l’analisi scientifica;
  • le chiacchiere da bar.

Esempi di mosse conversazionali:

  • i depistaggi o decentraggi del tema (saper spostare l’argomento di conversazione via dal tema X);
  • le offerte di tema (offrire un tema come argomento di conversazione);
  • il ricentraggio conversazionale (saper riportare la conversazione sul tema che ci interessa trattare);
  • la gestione dei turni di conversazione.

Quando si tratta la leadership conversazionale, occorre essere estremamente chiari sul fatto che il successo è rappresentato dal quanto riusciamo a “far parlare il cliente” e non da quanto noi stessi parliamo.

La leadership basata sulle abilità emozionali

La Leadership Emozionale è così definibile: “la capacità di attingere con successo alle risorse emotive della persona e del gruppo per coordinare e dirigere i team e i progetti”.

Nella direzione vendite, essa riguarda due aspetti pratici: (1) il riconoscimento e gestione delle proprie emozioni, come leader, e (2) l riconoscimento delle emozioni dei membri del team di vendita.

Quali sono quindi le principali competenze emozionali per la leadership di vendita? Le elenchiamo di seguito:

  • riconoscere le emozioni che si provano personalmente (self-emotional detection), autoempatia emotiva; partire da se stessi anziché da migliaia di chilometri di distanza, è sempre una buona scelta;
  • riconoscere le emozioni che prova l’altro (other’s-emotions detection), empatia emotiva; sensibilizzarsi, sentirle, sub-odorarle, verificarle;
  • fare scudo alle emozioni negative, agli inondamenti emotivi negativi (emotional shielding) – proprie ed altrui; questo non significa non ascoltarle, significa non farsi dominare dalla negatività, concedere alle emozioni di potersi esprimere senza farsene invadere in modo permanente;
  • riconoscere i sequestri emotivi: capire quando un’emozione assorbe completamente il vissuto e se questo sia bene o male, e nel caso di emozioni distruttive aiutare il soggetto a liberarsene e allentarle;
  • riconoscere gli acquari emotivi: i climi emotivi che si creano nelle situazioni interpersonali e di gruppo;
  • metabolizzazione emotiva: aiutare se stessi e gli altri a metabolizzare le emozioni, digerirle, capirle, ascoltarle, darvi accoglienza, e andare a step successivi;
  • distinguere emozioni acute (di picco) e emozioni croniche o latenti (sfondi emotivi);
  • distinguere gli stati emotivi complessi, riconoscere le emozioni miste (mixed emotions);
  • saper riconoscere i vari strati e tipi di emozioni compresenti in un determinato momento, saper capire da dove vengono le emozioni negative, aiutare le persone a gestirle, ad alimentarsi delle emozioni positive (mixed-emotion analysis);
  • saper esprimere le emozioni, saper comunicare le emozioni (emotional expression);
  • saper usare le emozioni come motore della motivazione.

La gestione delle emozioni non significa assolutamente comprimerle, negarle, ma significa saperle usare a proprio vantaggio, saper direzionare le energie interiori che agiscono sulle emozioni e canalizzarle in azioni positive e in pensiero positivo; creare un clima di gruppo positivo nel quale sia bello lavorare (emotional management), cogliere le emozioni e saperle canalizzare in positivo.

Altri materiali su Comunicazione, Ascolto, Empatia, Potenziale Umano e Crescita Personale disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online


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Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse

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Tecniche non-verbali di ascolto attivo

Utilizzano l’atteggiamento del corpo per esprimere interesse:

 

  • postura, aperta ed inclinata in avanti per indicare disponibilità; posizione del corpo rilassata e di disponibilità;
  • avvicinamento e allontanamento (prossemica): ridurre la distanza con l’interlocutore nei momenti di maggiore interesse, allontanarsi nei momenti di distensione;
  • espressione del volto: non dubitativa, ironica o aggressiva, ma attenta e partecipativa;
  • sguardo attento e diretto;
  • movimenti delle sopracciglia associati a punti salienti del discorso altrui;
  • cenni del capo, cenni assenso o di diniego;
  • gesti morbidi, lenti e rotatori per comunicare senso di rilassamento e incoraggiare ad andare avanti nella conversazione;
  • metafore non verbali utilizzando il body language, che dimostrano comprensione di quanto detto dalla controparte.

 

Sul piano non verbale, dobbiamo sempre considerare che numerose culture frenano l’espressione non verbale delle emozioni (es.: quelle asiatiche), ma che anche questo dato è uno stereotipo comunicativo, di valenza solo probabilistica e non consegna certezze.

In sintesi, le tecniche principali per un accolto efficace sono:

  • curiosità e interesse;
  • parafrasi: ripetere con le proprie parole quanto capito (questo non equivale ad essere d’accordo con quanto detto dall’altro);
  • sintesi e riassunti: riformulare la “storia” nei suoi punti salienti, per consolidare quanto raccolto;
  • dirigere l’ascolto tramite domande mirate (ricentraggio conversazio­nale) per far luce sui punti ancora oscuri o i passaggi ancora non ben chiari;
  • evitare domande eccessivamente personali finché non si sia creato un rapporto solido e “caldo”;
  • offrire al parlante la possibilità di dare feedback sul fatto che quanto capito sia corretto, accurato o invece distorto o lacunoso;
  • ascoltare non solo le parole ma anche i segnali non verbali per valutare sentimenti e stati d’animo;
  • verificare la corretta comprensione sia dei sentimenti che del contenuto, non ignorare l’aspetto dei sentimenti;
  • non dire alle persone come dovrebbero sentirsi o ciò che dovrebbero pensare (nella fase di ascolto, limitarsi a trarre informazioni, senza voler insegnare o valutare).

 

Ancora una volta, sottolineiamo che questi atteggiamenti sono preziosi e determinano la qualità della fase di ascolto, ma non vanno confusi con gli obiettivi di tutta la negoziazione (che prevede sia fasi di ascolto che fasi propositive e affermazioni anche dure o assertive).

In una negoziazione è possibile (ed è anzi uno degli obiettivi strategici) modificare ciò che gli altri pensano (ristrutturazione cognitiva e persuasiva) o come gli altri si sentono (azione emozionale), ma questo obiettivo verrà perseguito solo ed unicamente se prima il negoziatore sia riuscito a porre in essere un ascolto attivo, attivando l’empatia necessaria per capire in quale quadro si stia muovendo.

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