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©Copyright. Articolo estratto con il permesso dell’autore dal libro di Daniele Trevisani: “Psicologia di Marketing e Comunicazione” Franco Angeli Editore, Milano

Ogni prodotto assume connotazioni culturali e valoriali, che ne riempiono di contenuti simbolici l’immagine. I valori culturali del prodotto emergono in diversi campi: ad esempio nel mercato musicale il genere ascoltato da una persona o gruppo arriva persino a connotarne l’ideologia, come durante gli anni della beat generation, o per la musica reggae nella religione Rasta.

I generi musicali vengono utilizzati anche come strumento di affermazione di un’identità. Non solo la musica, ma anche il tipo di abbigliamento può esprimere l’adesione, almeno temporanea, ad una cultura più o meno borghese, più o meno conservatrice, o ad uno stile di vita più o meno sportivo. Il fatto che alcuni prodotti vengano utilizzati proprio per dissimulare, per fingere di essere ciò che non si è, è una riprova del potenziale di carico valoriale che il prodotto assume. Perché mai si dovrebbe consigliare ad un ragazzo di presentarsi ad un colloquio di lavoro presso una banca con giacca e cravatta, se questi non assumessero il valore di segnali di adesione alla cultura del gruppo al quale si chiede di entrare?

Esistono chiaramente associazioni culturali tra prodotti e valori.

Ad esempio, un ascoltatore di musica punk viene considerato, mediamente, anticonformista e deviante, un ascoltatore di musica “disco” allegro e spensierato, (o non impegnato nel sociale, dal frame valutativo dell’anarchico).

Grazie a regole stereotipiche, l’associazione funziona anche in modalità inversa: i comportamenti di un gruppo particolare di persone – inclusi i comportamenti di consumo e i prodotti “tipici” da essi utilizzati – divengono simboli della cultura del gruppo e “si incollano” semanticamente al prodotto.

Riportiamo a titolo esemplificativo gli esiti di una indagine qualitativa realizzata tramite focus-group, con lo scopo di identificare i valori sottostanti in diverse tipologie musicali, nell’opinione di alcuni studenti.

L’indagine è stata realizzata chiedendo ai soggetti di esplicitare quali valori “venissero in mente” pensando ai diversi tipi di musica.

Le associazioni determinano l’esistenza di un principio di equilibrio stereotipico. Questo principio, sostanzialmente, trasferisce sull’utilizzatore di un prodotto i valori socioculturali dei possessori tipici di quel prodotto.

Per questo motivo, l’utilizzo di un certo tipo di prodotto o classe di prodotti acquista valore predittivo persino sul gradimento futuro di persone che non conosciamo.

Alcuni esperimenti attuati dall’autore evidenziano persino come sia possibile tracciare una sorta di profilo individuale di un soggetto non conosciuto, mai incontrato prima, unicamente sulla base degli indizi derivanti dai prodotti da esso preferiti o utilizzati.

I motivi per cui tali associazioni predittive esistono provengono dalle regole stereotipiche ed euristiche di base del processo valutativo. Del resto, nel buio decisionale, meglio qualche flebile luce, che nessuna luce. Il problema che questa luce possa creare abbagli esiste, ma poiché le regole euristiche spesso funzionano, le persone vengono premiate nell’utilizzarle, e lo fanno senza troppi problemi, anche per mantenere un equilibrio interno.

Come sottolineano Darley, Glucksberg, Kamin e Kinchla (1986),[1]

… l’effetto del principio dell’equilibrio è così forte che la gente lo usa spesso con valore predittivo. Se io (P) trovo simpatica la persona O, e quella trova simpatico un terzo (X), ritengo che anche a me sarà simpatico X.

(vedi figura a).


[1] Darley, J.M., Glucksberg, S., Kamin, L.J, Kinchla, R.A., (1984). Psicologia. Bologna: Il Mulino. Edizione originale: Psychology. Englewood Cliffs: Prentice-Hall, 1984.

Se, come illustrato nel riquadro b, trovo simpatico O, e O trova antipatico X, quale sarà il mio atteggiamento nei confronti di questa persona? La teoria dell’equilibrio dimostra, e la ricerca lo conferma, che tenderò a trovare X antipatico.

Lo stesso procedimento di associazione cognitiva viene realizzato in relazione al processo di consumo. Ad esempio, se noto che un certo tipo di persone apprezza un particolare marchio di abbigliamento, e sono personalmente contrario al lifestyle di quel gruppo sociale, sarò portato ad attribuire valori negativi al marchio. Lo stesso accade sul mercato dell’auto, in cui alcuni modelli vengono presi semioticamente come punti di riferimento dell’appartenenza ad una classe sociale o possesso di un certo stile valoriale.

Questo fenomeno associativo tra stili di vita (o valori) e prodotti determina un fenomeno di polarizzazione sociovaloriale dei prodotti: alcuni prodotti diventano simboli di un modo di essere, di una filosofia di vita, diventano deputati a comunicare l’appartenenza ad un gruppo, o l’adesione ad un sistema di valori. Al solo presentarsi del prodotto altamente polarizzato dal punto di vista valoriale, scattano nella controparte tutta una serie di associazioni che anticipano l’identità del suo possessore.

La presenza di atteggiamenti positivi comuni verso lo stesso tipo di prodotto può divenire motivo di unione tra persone. Si pensi a comunità come quelle dei possessori di Harley Davidson o altri club di prodotto quali i fans di un gruppo musicale.

Nella ricerca psicologica troviamo ulteriori conferme e spiegazioni per questo tipo di comportamento. Newcomb (1953, 1971)[1] ad esempio ha studiato alcuni aspetti particolari della vita di gruppo e le relazioni di attrazione tra persone.

Tra i risultati delle sue ricerche si evince che l’attrazione tra persone può essere tanto più forte quanto più elevata è l’attrazione verso un oggetto comune. L’oggetto comune può essere dato sia da un prodotto che da una particolare filosofia di vita o pratica culturale, o altro interesse condiviso. Nel mondo personale dei due soggetti questo costituisce infatti motivo di unione.

In questo ambito rientrano i tentativi aziendali di creare le mitologie dei marchi e le culture dei marchi, situazioni di alto coinvolgimento emotivo del consumatore con i valori affettivi e culturali espressi dal marchio, sino al punto di creare comunità di fans del prodotto.


[1] Newcomb, T. (1953). An approach to the study of communicative acts. Psychological Review, 60, 393-404.

Newcomb, T. (1971). Dyadic balance as a source of clues about interpersonal attraction. In Murstein, B.I. (editor): Theories of attraction and love. New York: Springer.

In questa direzione vanno le strategie di Community Building, le quali cercano di costruire gruppi sociali attorno all’azienda (club di prodotto, fans club, circoli, comunità scientifiche o religiose). Se non esiste collante valoriale, queste comunità saranno destinate comunque a sparire non appena i vari benefit erogati dall’azienda vengono meno.

©Copyright. Articolo estratto con il permesso dell’autore dal libro di Daniele Trevisani: “Psicologia di Marketing e Comunicazione” Franco Angeli Editore, Milano

Semantica articolo. Le parole chiave di questo articolo sono:

Simbologia del prodotto

Valori culturali

Affermazione di identità

Associazioni culturali

Comportamenti di consumo

Simboli culturali

Valore sociale del prodotto

Principio di equilibrio

Valore predittivo degli stili di consumo

Profilo del soggetto

Regole euristiche

Cultura del marchio
Identità del marchio

Fedeltà al brand

Brand perception

Immagine aziendale

Esperienza del consumatore

Comunicazione del marchio

Storia del brand

Valori aziendali

Innovazione di prodotto

Strategia di marketing

Community del marchio

Emotional branding

Engagement del cliente

Differenziazione del marchio

Reputazione del brand

Mission aziendale

Marketing relazionale

Loyalty programs

Cultura organizzativa

Coerenza del marchio

©Copyright. Articolo estratto con il permesso dell’autore dal libro di Daniele Trevisani: “Psicologia di Marketing e Comunicazione” Franco Angeli Editore, Milano

Un esperimento di Bugelsky e Alampay, del 1961, ha dimostrato come il fattore situazionale modifichi radicalmente la percezione dello stesso oggetto. Il loro esperimento viene spesso usato per definire l’influenza del set percettivo. Il set percettivo è un contesto situazionale ampio, che coinvolge le esperienze precedenti dell’individuo e determina l’inquadramento delle nuove informazioni in ingresso.

Ad un gruppo di osservatori nell’esperimento è stato mostrato un disegno ambiguo aperto all’interpretazione. Il disegno poteva essere interpretato infatti come un topo o un come un volto umano.

Prima di vedere l’immagine, ai gruppi sono state mostrate delle sequenze di immagini. Un gruppo di controllo, che non aveva visto alcuna immagine precedente, vide nella figura un uomo. Il gruppo che aveva visto la prima sequenza di immagini (vedi figura seguente) percepiva in seguito un topo . In altre parole, lo stesso stimolo visivo può subire due interpretazioni completamente diverse in funzione di ciò che è accaduto prima.

Lo studio è stato da me replicato e verificato sperimentalmente in numerose altre situazioni ottenendo identici risultati.

L’effetto sopra dimostrato (set percettivo) ci induce a sottolineare l’importanza della cura progettuale degli elementi di primo impatto nei prodotti, e  – in generale – la cura di qualsiasi prima occasione di incontro tra azienda e cliente, o tra persone che non si conoscono ancora.

In base al fenomeno del set percettivo, le persone si auto-condizionano a valutare le esperienze successive sulla base delle prime esperienze. Le prime esperienze di prodotto, in altre parole, formano un imprinting, una “marchiatura” dell’azienda, uno schema di riferimento valutativo che guiderà le future considerazioni.

Ad esempio, una lettera sbagliata, un sito internet mal progettato e dilettantesco, un catalogo male impaginato, macchie, errori grammaticali e ortografici – producono un filtro negativo che guiderà  le valutazioni future del cliente. Le valutazioni di un singolo elemento si trasferiscono per osmosi all’intero sistema aziendale. Se così poca cura è stata posta in una semplice lettera  – pensa il cliente – cosa succederà poi a livello di prodotti, o di assistenza e garanzie?

Le prime impressioni guidano le impressioni future. Modificare le impressioni successive ad una serie di valutazioni iniziali negative, i primi momenti di impatto avuti dal cliente, è opera ardua, e richiede molto sforzo (inversione di atteggiamento).

Il fenomeno della persistenza dell’impressione porta il soggetto a ragionare sulla base di regole euristiche. Le euristiche sono modalità di ragionamento stereotipiche, che utilizzano particolari frame o set percettivi per guidare le future analisi degli oggetti o delle persone.

La ricerca dell’evitazione di dissonanza cognitiva dirige la percezione lungo una linea di stabilità e uniformità con le sensazioni iniziali. Se il sito internet dell’azienda (elemento altamente esposto nella linea di visibilità) contiene errori o produce immagine negativa, il cliente sarà portato a ricercare errori e negatività anche in altre parti dell’azienda. Se l’impressione iniziale è positiva, gli errori successivi verranno valutati meno negativamente, godendo di un “bonus” euristico, che porta il cliente a convincersi che si tratta di “errori passeggeri” e non di “errori fondamentali”.

©Copyright. Articolo estratto con il permesso dell’autore dal libro di Daniele Trevisani: “Psicologia di Marketing e Comunicazione” Franco Angeli Editore, Milano

Semantica articolo. Le parole chiave di questo articolo sono:

Set percettivo

Contesto situazionale

Esperienze precedenti

Nuove informazioni

Interpretazione dell’immagine

Stimolo visivo

Auto-condizionamento

Imprinting

Prime impressioni

Inversione di atteggiamento

Regole euristiche

Design

Estetica

Funzionalità

Affidabilità

Durabilità

Comfort

Innovazione

Performance

Ergonomia

Utilità

Materiali

Eleganza

Semplicità

Efficienza

Piacevolezza

Versatilità

Fiducia

Soddisfazione

Eccellenza

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Psicologia di marketing e comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore

Il set percettivo

Il set percettivo è un contesto situazionale ampio, che coinvolge le esperienze precedenti dell’individuo e determina l’inquadramento delle nuove informazioni in ingresso.

In base al fenomeno del set percettivo, le persone si auto-condizionano a valutare le esperienze successive sulla base delle prime esperienze. Le prime esperienze di prodotto, in altre parole, formano un imprinting, una “marchiatura” dell’azienda, uno schema di riferimento valutativo che guiderà le future considerazioni.

Ad esempio, una lettera sbagliata, un sito internet mal progettato e dilettantesco, un catalogo male impaginato, macchie, errori grammaticali e ortografici – producono un filtro negativo che guiderà  le valutazioni future del cliente. Le valutazioni di un singolo elemento si trasferiscono per osmosi all’intero sistema aziendale. Se così poca cura è stata posta in una semplice lettera  – pensa il cliente – cosa succederà poi a livello di prodotti, o di assistenza e garanzie?

Il set percettivo, pertanto ci induce a sottolineare l’importanza della cura progettuale degli elementi di primo impatto nei prodotti, e  – in generale – la cura di qualsiasi prima occasione di incontro tra azienda e cliente, o tra persone che non si conoscono ancora.

Le prime impressioni guidano le impressioni future. Modificare le impressioni successive ad una serie di valutazioni iniziali negative, i primi momenti di impatto avuti dal cliente, è opera ardua, e richiede molto sforzo (inversione di atteggiamento).

Il fenomeno della persistenza dell’impressione porta il soggetto a ragionare sulla base di regole euristiche. Le euristiche sono modalità di ragionamento stereotipiche, che utilizzano particolari frame o set percettivi per guidare le future analisi degli oggetti o delle persone. 

La ricerca dell’evitazione di dissonanza cognitiva dirige la percezione lungo una linea di stabilità e uniformità con le sensazioni iniziali. Se il sito internet dell’azienda (elemento altamente esposto nella linea di visibilità) contiene errori o produce immagine negativa, il cliente sarà portato a ricercare errori e negatività anche in altre parti dell’azienda. Se l’impressione iniziale è positiva, gli errori successivi verranno valutati meno negativamente, godendo di un “bonus” euristico, che porta il cliente a convincersi che si tratta di “errori passeggeri” e non di “errori fondamentali”.

La Gestalt del prodotto

La psicologia della Gestalt può essere considerata – in linea molto semplificata – una scuola di pensiero nella quale si pone attenzione ai rapporti tra un “tutto” e i suoi componenti, tra elemento e insieme di appartenenza.

Le ricerche sottolineano che le persone, andando alla ricerca di una coerenza con i propri costrutti mentali, mettono in pratica comportamenti di percezione selettiva, percezione distorsiva e attenzione selettiva. In altre parole, filtrano la realtà e cercano di ricostruirla per ridare ad essa un senso. Nel farlo, utilizzano dei “set” o “frame” (punti di osservazione e modalità di inquadramento), come linee guida.

Le ripercussioni sulla fruizione del prodotto e sulla customer satisfaction sono numerose. Le caratteristiche del prodotto possono infatti venire giudicate in maniera diversa – più o meno positiva – a seconda del frame adottato.

In termini di marketing, questo determina un fenomeno di imprinting (marchiatura), per cui le sensazioni iniziali in un rapporto con il prodotto formano il set (o frame) attraverso il quale il resto dell’esperienza verrà filtrato. Se esse sono negative, tutto il resto della prestazione verrà giudicato tramite un filtro negativo. Ad esempio, una grave “gaffe” comportamentale nei primi secondi di una presentazione di vendita (se il soggetto viene colto mentre fa cenni di nascosto ad un suo collega) è in grado di instillare un frame di sospetto e atteggiamento negativo per tutto il resto dell’incontro. Allo stesso modo, un sito internet poco curato produce un transfer di immagine negativa di cui soffrirà sia la vendita che la valutazione del prodotto.

Le illusioni percettive

Analizzare la Gestalt di marketing significa valutare :

  1. le interazioni tra i molteplici elementi (parti) di cui si compone il prodotto/servizio/prestazione, e
  2. l’effetto complessivo che ne emerge, in termini di impatto sul cliente.

Significa quindi andare oltre la semplice somma delle parti, e capire l’effetto complessivo, globale, sinergico, di un insieme di input con i quali il cliente viene a contatto.

La psicologia della Gestalt[1] ha evidenziato come, di fronte ad un insieme di percezioni, colui che percepisce tende ad organizzare i diversi stimoli in maniera coerente secondo schemi precostituiti, ed il tutto crea qualcosa di diverso dall’insieme delle parti.

La percezione è qualcosa di più di una semplice “ricezione” passiva di stimoli, ma diviene nella mente umana “organizzazione” attiva degli stimoli provenienti dall’esterno.

Il prodotto o servizio offerto è quindi una Gestalt, una realtà complessa superiore ad una semplice somma di componenti : l’organizzazione del design del prodotto e la somma dei suoi elementi percettivi (visivi, olfattivi, tattili, gustativi), creano una realtà che è diversa dalla somma delle parti, un’entità che acquista una personalità propria anche in relazione a come i diversi componenti si rapportano tra loro.

L’impresa stessa, il valore del suo marchio, il valore della sua offerta, costituiscono un’insieme di Gestalt di livello ancora superiore. Le implicazioni che ne derivano sono la contaminazione continua (positiva o negativa) tra elementi comunicativi dell’impresa, tra la comunicazione del sito web e una visita aziendale, tra il packaging e la pubblicità, tra una promozione e la percezione del valore del marchio, in un crescendo di interazioni complesse.

La ricerca della strutturazione e della congruenza con i propri schemi cognitivi è una delle costanti della mente umana. Il tentativo di semplificazione della complessità, la ricerca di categorie in cui incasellare gli eventi e le cose, la strutturazione di elementi in insiemi omogenei, nasce da un bisogno di consistenza, di coerenza tra elementi, di omogeneità di senso e significato.

Le implicazioni per la psicologia del prodotto sono numerose e si riferiscono alla necessità di considerare il prodotto anche nei suoi minimi dettagli. L’esperienza totale di prodotto (ETP) si forma per organizzazione di una molteplicità di dettagli.  La somma dei dettagli costruisce una Gestalt di prodotto – una visione d’insieme. Ogni dettaglio del prodotto è significativo, coerente o incoerente, consonante o dissonante, rispetto all’immagine globale.

Il cliente non valuta un prodotto o un’impresa per quello che sono realmente. Egli elabora input che provengono da un insieme percettivo di contatto (ogni elemento, oggetto, persona, lettera, packaging, media, che veicola qualcosa dell’impresa e del prodotto, nel momento in cui il cliente li incontra).  Questo insieme di contatto può produrre informazioni distorte o divergenti dalle intenzioni aziendali.

La presenza di elementi dissonanti, in questo insieme, contravviene al tentativo del consumatore di formare una immagine coerente di prodotto, e genera un effetto negativo a catena su tutto il processo valutativo.

Ad esempio, nelle prime fasi di contatto con l’impresa, potrebbe succedere che (1) venga visitato innanzitutto il sito aziendale con funzione di orientamento e valutazione preliminare, e (2) vengano ricercate informazioni ulteriori sulla società tramite altre fonti. Se il sito aziendale è sbagliato e proietta un’immagine negativa, le ricerche ulteriori di informazioni sull’impresa saranno guidate da un tentativo latente di ottenere conferme negative, che rinforzino l’opinione iniziale scaturita dalla navigazione del sito, ed evitino l’instaurarsi di una dissonanza interna.

Le contaminazioni tra elementi possono portare a detrazioni di immagine le quali si traducono immediatamente in riduzioni di fatturato, nel momento stesso in cui generano una minore propensione all’acquisto.

Gli schemi cognitivi e la valutazione del prodotto

Gli psicologi della Gestalt[2] sono stati in grado di scoprire alcuni principi fondamentali dell’organizzazione visiva.

Ciò che i principi di organizzazione visiva della Gestalt  suggeriscono è che le persone vedono la realtà secondo schemi cognitivi forniti anche da variabili culturali e apprese, non solo innate. I principi della Gestalt rinforzano la nozione che il mondo non sia semplicemente e oggettivamente “là fuori”, ma venga costruito attivamente dai processi di percezione, a seconda di quali “parti del mondo” si decida di osservare. 

In termini di impatto, ogni esperienza soggettiva è condizionata dagli schemi appresi, cioè dai “filtri” con i quali abbiamo appreso a guardare il mondo. 

Questo spiega, tra l’altro perché sia possibile che alcune persone povere considerino la propria vita dignitosa e felice, mentre per alcune persone ricche la vita sia un inferno, piena di preoccupazioni, stress e ansia, fino al suicidio. 

Benchmarking percettivo

In termini aziendali, la Gestalt evidenzia la necessità di prestare attenzione non solo alle caratteristiche del prodotto “isolato”, ma anche al suo posizionamento relativo rispetto alla concorrenza. Questo posizionamento può essere rilevato efficacemente attraverso apposite indagini di benchmarking (valutazione comparativa delle prestazioni), sviluppando sia benchmarking tecnologici (basati su variabili fisiche, es: misurazione comparativa del grado di resistenza allo sforzo di un utensile) che benchmarking percettivi (basati su variabili psicologiche, es: misurazione comparativa dell’efficacia comunicazionale di siti internet aziendali e della concorrenza).

Come sottolineato, ogni valutazione assume rilevanza soprattutto quando elementi estranei al prodotto aiutano il soggetto a “collocare”, “piazzare” un input in un contesto.

Ad esempio, molte persone apprendono a godere delle piccole cose solo dopo essere stati ammalati o in ospedale per lungo tempo. I problemi di ieri che parevano insormontabili acquistano una nuova connotazione e ora sembrano sciocchezze. Questo effetto produce un refraiming cognitivo, in cui vengono riviste le categorie mentali di giudizio. Ciò che circonda la persona ne influenza le valutazioni.

In termini di psicologia del prodotto, la trasposizione delle leggi della Gestalt richiede capacità di :

  • (1) cogliere il “tutto” del prodotto nella fase di progettazione (elementi visivi, percettivi, prestazionali, di servizio, di comunicazione e di contatto),
  • (2) capire il ruolo delle singole parti nella formazione della Gestalt del prodotto e all’interno dei diversi costrutti mentali dell’individuo,
  • (3) comprendere gli elementi di contesto che agiscono sulla valutazione del cliente e la modificano. 

In termini di comunicazione di vendita, emerge innanzitutto la capacità di saper contestualizzare l’intervento proposto all’interno di altre soluzioni ben meno efficaci. Questo permette di far risaltare l’intervento.

Ad esempio: 

Sig. Rossi, dopo quello che ci siamo detti, vorrei ricapitolare alcune cose: sarebbe possibile fare un intervento – chiamiamolo intervento di emergenza, con il quale l’azienda risparmia apparentemente, ma che porta a ripresentarsi il problema tra pochi anni. La seconda modalità, chiamiamola strada B, produrrebbe risultati altrettanto insoddisfacenti. È disponibile un’alternativa, la strada C, che permette…..» (soluzione soddisfacente). 

L’emergere della soluzione soddisfacente all’interno di un contesto di soluzioni lacunose, è in grado di esaltarne la forza.

La Gestalt e la comprensione del valore del prodotto

Il cliente può avere difficoltà, o non percepire immediatamente, il valore che si nasconde dietro la soluzione o il prodotto.

Tra gli errori più gravi del venditore vi è senza dubbio la “presunzione della chiarezza del valore”.. Compiere questo errore significa supporre che il cliente debba cogliere il valore di una proposta automaticamente. Significa pretendere che tutti debbano vedere e capire ciò che noi vediamo e capiamo perfettamente.

Ad esempio, per l’impresa che propone servizi internet o formazione aziendale, il potenziale e il valore delle soluzioni offerte sono chiari, palesi, e “parlano da soli”. Per il cliente no. 

In questo, ed in altri casi, il cliente va “aiutato a capire”, il che è possibile solamente adottando un approccio centrato sul cliente. Adottare un approccio di vendita e di marketing “centrato sul cliente” significa riconoscere due cose: (1) il cliente non è né un “pollo da spennare”, un soggetto al quale chiedere tanto per poi dare poco, né (2) il padrone dell’azienda o del venditore.

Il cliente è semplicemente una persona, un soggetto, con il quale dobbiamo stabilire un rapporto di business franco, diretto, personale. La base delle relazioni di successo è la trasparenza reciproca. Il cliente è un soggetto che deve essere capito in profondità, ma che al tempo stesso deve essere stimolato a rapportarsi verso l’azienda con la stessa volontà di comprendere.

Questa differenziazione emerge ad esempio nel modo di gestire le obiezioni o di fissare il prezzo. Le scuole tradizionali di vendita insegnano a fissare il prezzo partendo da un punto superiore (target price) per poi scendere a prezzi più bassi man mano che prosegue la trattativa, sino al punto di cedimento (soglia inferiore del range negoziale). 

Un approccio centrato sul cliente produrrebbe invece una modalità di comunicazione del prezzo di questo tipo, di fronte ad un’obiezione: «abbiamo analizzato in profondità i tuoi obiettivi, abbiamo capito che l’azienda è a questo punto del suo ciclo di vita, e vuole fare un salto di qualità. Abbiamo analizzato assieme cosa occorre per fare questo salto, quali sono le risorse necessarie. Se mi chiedi di tagliare il prezzo devi però dirmi cosa vuoi tagliare, quali obiettivi non vuoi più raggiungere, o se vuoi impiegare risorse di qualità più scarsa. È questo che vuoi? Proviamo a ripercorrere assieme cosa succede nel caso A, e cosa può succedere nel caso B …. Tu dove vuoi arrivare veramente?».

Il marketing moderno non è il “regno del più furbo”, ma il regno delle relazioni. Soltanto chi riuscirà a stabilire relazioni forti, empatiche e reciprocamente umane con il cliente può aspirare a qualche forma di successo.


[1] Il termine tedesco Gestalt non ha traduzione esatta in Italiano. I significati più vicini sono: forma, struttura, complesso, insieme. 

[2] Tra cui Max Wertheimer (1880-1943), Wolfgang Köhler (1887-1967) e Kurt Koffka (1886-1941).

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Le parole chiave di questo articolo La Gestalt del prodotto : una visione d’insieme sono

  • Set percettivo
  • Filtri percettivi
  • Imprinting
  • Regole euristiche
  • Prime impressioni
  • Gestalt
  • Frame
  • Esperienza totale di prodotto
  • Visione d’insieme
  • Insieme percettivo di contatto
  • Benchmarking percettivo
  • Valutazione comparativa delle prestazioni
  • Psicologia del prodotto
  • Comunicazione di vendita
  • Approccio centrato sul cliente
  • Target price
  • Relazioni empatiche
  • Valore del prodotto
  • Attenzione selettiva
  • Percezione selettiva
  • Costrutti mentali

 

© Copyright estratto dal libro di Daniele Trevisani (2016).  Psicologia di Marketing e Comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management. Milano, Franco Angeli, 9° edizione.

La Gestalt del prodotto e l’immagine dell’impresa

Un esperimento di Bugelsky e Alampay, del 1961, ha dimostrato come il fattore situazionale modifichi radicalmente la percezione dello stesso oggetto. Il loro esperimento viene spesso usato per definire l’influenza del set percettivo. Il set percettivo è un contesto situazionale ampio, che coinvolge le esperienze precedenti dell’individuo e determina l’inquadramento delle nuove informazioni in ingresso.

Ad un gruppo di osservatori nell’esperimento è stato mostrato un disegno ambiguo aperto all’interpretazione. Il disegno poteva essere interpretato infatti come un topo o un come un volto umano.

Prima di vedere l’immagine, ai gruppi sono state mostrate delle sequenze di immagini. Un gruppo di controllo, che non aveva visto alcuna immagine precedente, vide nella figura un uomo. Il gruppo che aveva visto la prima sequenza di immagini (vedi figura seguente) percepiva in seguito un topo . In altre parole, lo stesso stimolo visivo può subire due interpretazioni completamente diverse in funzione di ciò che è accaduto prima.

Lo studio è stato da me replicato e verificato sperimentalmente in numerose altre situazioni ottenendo identici risultati.

L’effetto sopra dimostrato (set percettivo) ci induce a sottolineare l’importanza della cura progettuale degli elementi di primo impatto nei prodotti, e  – in generale – la cura di qualsiasi prima occasione di incontro tra azienda e cliente, o tra persone che non si conoscono ancora.

In base al fenomeno del set percettivo, le persone si auto-condizionano a valutare le esperienze successive sulla base delle prime esperienze. Le prime esperienze di prodotto, in altre parole, formano un imprinting, una “marchiatura” dell’azienda, uno schema di riferimento valutativo che guiderà le future considerazioni.

Ad esempio, una lettera sbagliata, un sito internet mal progettato e dilettantesco, un catalogo male impaginato, macchie, errori grammaticali e ortografici – producono un filtro negativo che guiderà  le valutazioni future del cliente. Le valutazioni di un singolo elemento si trasferiscono per osmosi all’intero sistema aziendale. Se così poca cura è stata posta in una semplice lettera  – pensa il cliente – cosa succederà poi a livello di prodotti, o di assistenza e garanzie?

Le prime impressioni guidano le impressioni future. Modificare le impressioni successive ad una serie di valutazioni iniziali negative, i primi momenti di impatto avuti dal cliente, è opera ardua, e richiede molto sforzo (inversione di atteggiamento).

Il fenomeno della persistenza dell’impressione porta il soggetto a ragionare sulla base di regole euristiche. Le euristiche sono modalità di ragionamento stereotipiche, che utilizzano particolari frame o set percettivi per guidare le future analisi degli oggetti o delle persone.

La ricerca dell’evitazione di dissonanza cognitiva dirige la percezione lungo una linea di stabilità e uniformità con le sensazioni iniziali. Se il sito internet dell’azienda (elemento altamente esposto nella linea di visibilità) contiene errori o produce immagine negativa, il cliente sarà portato a ricercare errori e negatività anche in altre parti dell’azienda. Se l’impressione iniziale è positiva, gli errori successivi verranno valutati meno negativamente, godendo di un “bonus” euristico, che porta il cliente a convincersi che si tratta di “errori passeggeri” e non di “errori fondamentali”.

La psicologia della Gestalt può essere considerata – in linea molto semplificata – una scuola di pensiero nella quale si pone attenzione ai rapporti tra un “tutto” e i suoi componenti, tra elemento e insieme di appartenenza.

Le ricerche sottolineano che le persone, andando alla ricerca di una coerenza con i propri costrutti mentali, mettono in pratica comportamenti di percezione selettiva, percezione distorsiva e attenzione selettiva. In altre parole, filtrano la realtà e cercano di ricostruirla per ridare ad essa un senso. Nel farlo, utilizzano dei “set” o “frame” (punti di osservazione e modalità di inquadramento), come linee guida.

Le ripercussioni sulla fruizione del prodotto e sulla customer satisfaction sono numerose. Le caratteristiche del prodotto possono infatti venire giudicate in maniera diversa – più o meno positiva – a seconda del frame adottato.

Nell’immagine che segue è presentata una figura che contiene due possibili interpretazioni, una “anziana signora” o la “giovane col volto girato”. Quali delle due seguiremo per prima, è un effetto del nostro set percettivo (frame).

psicologia di marketing e comunicazione

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Altre risorse online

Dr. Daniele Trevisani - Formazione Aziendale, Ricerca, Coaching