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Psicologia di vendita

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Copyright Daniele Trevisani e Franco Angeli editore. Articolo con elaborazioni originali dell’autore, tratto dal volume

Psicologia di marketing e comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management

Una mela è una mela, si può pensare. Magari una migliore, l’altra peggiore, una mela bacata da gettare, una lucida da addentare. Ma siamo sicuri?

Ogni acquisto porta dietro di sè delle scelte valoriali.

Poniamo che un cliente abbia questa forma di ragionamento sottostante:

  1. Se acquisto una mela dall’Argentina o Bolivia, sto finanziando un certo tipo di industria, multinazionale. Sto pagando probabilmente più il costo di trasporto che il frutto in sè
  2. Se acquisto una mela Bio, Organica, di produzione locale (Km zero o come altro si voglia chiamare) sto finanziando un altro tipo di impresa, locale, regionale, e premiando i suoi produttori

Per cui, se questo è il ragionamento, non è più vero che una mela è uguale all’altra, neppure se fossero della stessa identica dimensione, colore e tipologia.

I clienti oggi tendono a fare valutazioni molto forti sui valori che un Brand (marchio) porta con sè. E guarda caso, la comunicazione è lo strumento che crea il Brand percepito.

Questo vale per un marchio di auto che sostiene l’ibrido o lo avversa, per mangiare da McDonalds o in una antica trattoria, per fare una vacanza in crociera o meno, e via così.

Vediamo un estratto dal volume Psicologia di marketing e comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management

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Valenza culturale del prodotto

La valenza culturale del prodotto riguarda la sfera sociale del prodotto, in particolare il rapporto tra i valori intrinseci del prodotto e i valori culturali della persona e della sua cultura di appartenenza. La valenza culturale è di derivazione sistemica, cioè dipende da quale sistema di appartenenza – da quale punto di osservazione sociale – vogliamo osservare il prodotto.

Il sistema allargato (es: sistema paese) produce una certa valenza culturale del prodotto (la pasta come momento di unione familiare, in Italia), mentre i sotto-sistemi regionali e locali creano strutture culturali ancora diverse.

Ad esempio, uno studio etnometodologico condotto dall’autore sull’arte brasiliana della Capoeira (forma di lotta/danza importata in Brasile dagli schiavi) in termini di diffusione commerciale in Europa, ha evidenziato una netta distinzione in termini di valenza culturale.

I valori sono principi guida che indirizzano la vita e il comportamento. Un valore è definito dalla ricerca sociale come

«una credenza permanente che uno specifico modo di condotta o motivo ultimo di esistere sia personalmente o socialmente preferibile ad modo di condotta o motivo di esistere di natura opposta o divergente»[1]

Tra i “modi di condotta” su cui agiscono i valori, dobbiamo inserire sicuramente anche le scelte di acquisto e i modi di consumare.

Un valore, diversamente da un’opinione, è relativamente stabile e frutto di tutti gli input formativi e pedagogici ricevuti dall’individuo, mentre un’opinione, un atteggiamento, una credenza, cambiano più facilmente.

L’atto di acquisto comprende una valutazione sottostante di distanza valoriale. La distanza valoriale misura quanto distante sia l’immagine (ed i valori correlati) espressa dal prodotto rispetto all’immagine (ed i valori correlati) ricercati dall’acquirente. In essa rientra la riflessione condotta dal consumatore tra i propri valori sociali e valori percepiti nel prodotto, o nell’impresa venditrice.

Fig. 6.2 – Consonanze e dissonanze valoriali nel prodotto

 

La vicinanza valoriale produce gradimento aumentato, affetto e identificazione con il prodotto. Al crescere della distanza valoriale si innescano invece fenomeni prima di disinteresse, poi di disprezzo, sino al boicottaggio attivo dei prodotti per ciò che essi significano politicamente e culturalmente. Ad esempio, fenomeni di boicottaggio hanno riguardato i prodotti sudafricani durante l’apartheid[2], il cui acquisto era visto come un modo di supportare il regime razzista, le banane delle multinazionali, il cui acquisto veniva (e viene) considerato un modo di finanziare lo sfruttamento dei paesi poveri, o i prodotti della Microsoft, assunti da diversi gruppi hacker a simbolo di imperialismo culturale nel campo del software. Questi, e molti altri casi di boicottaggio valoriale dei prodotti permeano tutta la storia dell’economia occidentale.

Sul fronte della promozione e vendita, le aziende serie sanno, da adesso in avanti, che non devono solo vendere un prodotto, ma i valori che ispirano la propria azienda, i valori che il prodotto porta con sè, in caso contrario si diventa commodities, e ogni mela diventa uguale ad un’altra mela.

Questo patrimonio culturale diventa un Asset, un valore, che se incorporato dai venditori e in ogni azione di vendita, fa la differenza.

[1] Rokeach, M. (1973). The nature of human values. New York: Free Press.

[2] Regime di separazione tra popolazione bianca e nera, in vigore in Sudafrica sino agli anni ’80.

 

Copyright Daniele Trevisani e Franco Angeli editore. Articolo con elaborazioni originali dell’autore, tratto dal volume

Psicologia di marketing e comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management

Anticipare gli scenari: anteprime esclusive dalle pubblicazioni del Journal of Consumer Research
In questa serie, analizziamo in anteprima alcuni studi di frontiera della ricerca sulla psicologia del marketing. Questi contributi dello Studio Trevisani sono promossi dal dott. Daniele Trevisani, formatore aziendale Senior, esperto in Potenziale Umano e autore di “Psicologia di Marketing e Comunicazione“. Scopo di queste anticipazioni è aiutare le imprese Italiane e i manger Italiani ad avere un accesso diretto alle fonti primarie di conoscenza ed evoluzione del settore, anticipare alcuni dei concetti chiave che emergono dalla ricerca mondiale, e capire dove deve dirigersi la formazione aziendale seria,  impegnata, ricentrata su obiettivi formativi importanti e reali.
“La conoscenza e la formazione sono la materia prima dei nostri competitor. In questo ring, chi non sale preprato ha già perso” (Daniele Trevisani).
GS066010[1]IS071-063[1]Studio esaminato e commentatoOpportunity Costs: Remind Consumers about Savings
(data di uscita: dicembre 2009)
In un esperimento, gli autori hanno dimostrato come la percentuale di scelta di un iPod Touch da 16 Gb all’incirca si raddoppiava quando la differenza di prezzo comparata con il modello a 32 Gb veniva formulata come una scelta che “ti lascia 100 $ in tasca, liberi da spendere”. Il prezzo è una variabile importante non solo per ciò che si aquista ma per i budget mentali disponibili. Chi sceglie di spendere un extra (es: 20 o 30 euro) per una bottiglia di vino buono, rispetto ad un prodotto più standardizzato, avrà 20 o 30 euro in meno per altri tipi di acquisto, e può o meno concentrarsi su questi, o invece sui benefici del vino di alta qualità (es: fare bella figura in una cena romantica, o una forma di “autopremiazione”). I 20 o 30 euro in meno sono chiamati “costi di opportunità” legati alla scelta di una soluzione più costosa. Questo studio esamina cosa accade quando ai consumatori viene ricordato questo fenomeno prima degli acquisti, o invece non viene messo in evidenza. Aziende come Ikea, e altre specializzate in prodotti di livello di prezzo basso o non premium, hanno realizzato risultati importanti con strategie di vendita basate sul ricordare ai clienti i “costi di opportunità”. 
Capire le dinamiche degli Opportunity Costs è fondamentale sia per chi pratica prezzi inferiori alla media o serve mercati orientati al prezzo, che per chi pratica prezzi elevati e serve strati di mercato alti.
Per le aziende che praticano prezzi inferiori alla media: la percezione importanza sui risparmi che possiamo realizzare negli acquisti, e gli effetti che ne derivano, può essere manipolata dalla comunicazione aziendale. Aumentare la percezione dei “costi di opportunità” significa aumentare la sensazione percepita sulle addizionali di prezzo contenute nelle scelte di acquisto di alto livello, o più costose rispetto a soluzioni più economiche.
Ikea ad esempio ha mostrato in alcuni dei propri messaggi, una scarpiera costosa (della concorrenza) con dentro poche scarpe, o una scarpiera propria, più economica, straripante di scarpe, ricordando al cliente quanto in più poteva permettersi nei propri acquisti di altra natura, se avesse risparmiato sull’acquisto dei mobili.
Per le aziende italiane, le  implicazioni pratiche per chi vende qualità elevata sono fondamentali: per chi vende prodotti di livello elevato, diventa determinante apprendere a comunicare il “perchè” del prezzo più elevato, i valori aggiunti, i benefit, e le implicazioni negative per acquisti di livello più basso.
In altre parole, si prospetta un futuro sempre più qualificato da una competizione forte tra la comunicazione dei prezzi. Offerte di prezzo d’attacco e offerte centrate sulla qualità e prezzi elevati, con una prospettiva di concorrenza sulla sensibilità ai prezzi, psicologica, e meno centrata sul piano strettamente monetario (prezzi psicologici vs. prezzi economici).
Sintesi delle aree principali in cui questa ricerca trova applicazioni:
– formazione per il retail marketing
– formazione nella comunicazione aziendale
– formazione marketing strategico
– negoziazione, formazione dei negoziatori
– comunicazione nei punti vendita
Testo originale dell’anteprima
Opportunity Costs: Remind Consumers about Savings
When we choose to spend $10 more than usual for a bottle of wine, we’ll have
$10 less to spend on an appetizer, a dessert, or ten songs on iTunes. That’s known
as the “opportunity cost” of that choice. A new study in the Journal of Consumer
Research looks at the benefit of drawing consumers’ attention to opportunity
costs.
Unless opportunity costs are explicitly named, most consumers don’t consider
them when making purchases, according to authors Shane Frederick, Nathan
Novemsky (both Yale University), Jing Wang (Singapore Management
University), Ravi Dhar (Yale University), and Stephen Nowlis (Arizona State
University). They found that consumers made different choices when opportunity
costs were made clear.
For example, in one study, the authors found that the percentage of people
interested in paying $15 for a DVD fell by 20 percent if the “not buy” option was
explicitly described as “keeping the money for other purchases.” In another
experiment, they demonstrated that the choice share of a 16 Gb iPod Touch
roughly doubled when the cost difference compared to the 32 Gb model was
phrased as “leaving you $100 in cash.” They found the effectiveness of such
manipulations depended on participants’ chronic attitude toward spending.
“Tightwads are less affected than spendthrifts, as they may be more inclined to
spontaneously construe purchase decisions in terms of opportunity costs,” they
explain.
According to the authors, IKEA employed this cueing strategy brilliantly in an ad
campaign showing an unhappy woman next to an expensive custom cabinet
containing one pair of shoes opposite a modestly priced IKEA cabinet
overflowing with shoes.
“Given that consumers who bring to mind opportunity costs become more price
sensitive, manufacturers of less-expensive brands interested in increasing price
sensitivity may promote their products more effectively by reminding consumers
to consider the opportunity costs,” the authors write.
Shane Frederick, Nathan Novemsky, Jing Wang, Ravi Dhar, and Stephen Nowlis.
“Opportunity Cost Neglect.” Journal of Consumer Research: December 2009.

Autore  del post: Daniele Trevisani


1.1.       Conscio, subconscio e inconscio

A volte risulta difficile spiegare il comportamento delle persone nella sfera del consumo e del rapporto con i prodotti. Ci animiamo per questioni apparentemente futili (quale film vedere…), ma ci abituiamo a fatti che non dovrebbero lasciarci dormire (es: la produzione di mine antibambino). Un impiegato dedica una vita a far raccolte di tappi di bottiglia, un bambino non va a scuola senza quello specifico zainetto, un operaio non dorme se la sua auto non ha il cerchio in lega leggera cromato a cinque raggi, un manager soffre nell’indecisione su quale quadro alla parete può meglio comunicare la sua immagine all’interno dell’ufficio, ecc… ecc…. I casi umani sono tanti. Ogni persona ha le proprie ansie, paure, speranze, illusioni, e queste si trasferiscono anche nel comportamento di acquisto (e di riflesso, sulle strategie di vendita).

Se dovessimo catalogare in “consapevoli vs. inconsapevoli”, “razionali vs. irrazionali”, “realmente utili vs. futili”, gli acquisti e i comportamenti del consumatore medio, saremmo costretti ad attribuirne buona parte al  secondo tipo: illogico, irrazionale, difficile da spiegare.

Quando si entra nella sfera dei gusti e delle preferenze, esprimere consciamente perché odiamo un certo tipo di scarpe (es.: un adolescente che non sopporta i sandali aperti di cuoio “da frate”, pur essendo essi comodi e confortevoli), un vestito di un certo colore, un’azienda tedesca piuttosto che italiana, vede spesso goffi tentativi di ricerca di spiegazioni. Quando queste vengono attuate, si dimostrano spesso vere e proprie “azioni di copertura”. In queste azioni, l’individuo si sforza di riportare una coltre di apparente razionalità in scelte altrimenti difficile da spiegare anche a se stessi.

Il grado di consapevolezza delle proprie pulsioni infatti decresce nel passaggio da conscio a subconscio ed inconscio.

Grado di consapevolezza dei moventi d’acquisto

Conscio

Subconscio

Inconscio

+

Possiamo o meno essere d’accordo con le analisi freudiane, certo, tuttavia, risulta strano spiegare ricorrendo alla logica perché le persone non utilizzino più i cavalli come mezzo di spostamento a corto raggio, perché molte donne amino il giardinaggio, perché esistano gli sport violenti, perché i bambini siano attratti da attività quali lo smontare e il rimontare o l’arrampicarsi sugli alberi, perché esistano i rossetti, perché alcuni odino i computer, perché esistano le pellicce, perché.., perché…. infiniti perché ai quali non è possibile rispondere dando soluzioni meccaniche e razionali.

Se analizziamo le trascrizioni scientifiche dei moventi d’acquisto – espresse dagli stessi consumatori – notiamo che in molti atti non appare niente di quanto previsto dall’economia classica. Il concetto di utilità razionale del prodotto a volte sparisce e l’acquisto diventa un fenomeno psicologico che risponde ad altre esigenze, ad esempio un “riempitivo psicologico”, una tecnica di “riparazione di stati emotivi negativi”, o un modo di affermarsi. Ad esempio[1]:

A volte, se non mi sento molto in forma, vado fuori, questo mi fa già sentire meglio. Poi penso, beh, voglio tirarmi su ancora un pò, e quando vedi qualcosa, dici, beh, lo prendo. Mi trasporta in un altro mondo, mi porta con la mente in una sorta di viaggio magico, mi tira su totalmente. Mi  nutre, in qualche modo, è qualcosa di cui ho bisogno.

Man mano che procediamo nell’analisi dei moventi, notiamo che le motivazioni divengono sempre meno “superficiali” e razionali, ed emergono fattori nuovi. Le motivazioni di primo livello (il motivo apparente d’acquisto) sono progressivamente sostituite da concetti più complessi e la coltre di razionalità sparisce.

Magari passo davanti ad un negozio di vestiti e vedo qualcosa nella vetrina, e dico, quello è proprio carino. Vado nel negozio, e poi vedo qualcos’altro. E poi dico… quello è ancora più carino di quello in vetrina. E poi mi dico, non ho proprio intenzione di comprare queste cose, me le provo solo un attimo. Così, vado dentro, li provo, e dico, mmh, questo mi sta proprio bene, mi chiedo se c’è qualcos’altro che ci stia bene assieme. Così, provo altre cose che ci si abbinino, … vado dentro perché sono interessata ad una cosa e me ne esco con altre tre o quattro. E posso persino venir fuori con tre o quattro o cinque pezzi tutti uguali, solo di colore diverso. Devo andare dentro, e poi sento quasi che non posso uscire dal negozio senza aver preso qualcosa.[2]

Continuando a scendere nel grado di introspezione, si nota che le motivazioni apparenti (del tipo, “l’ho comprato perché ne avevo bisogno”, o “mi piaceva, e basta”), non tengono. Il livello di profondità nella discesa verso il mondo nascosto a se stessi, l’area delle pulsioni profonde, può decifrare i significati simbolici ed il rapporto emotivo che si genera tra prodotto ed immagine di sè. Da queste analisi emerge spesso che il prodotto diviene strumento di proiezione d’immagine, o mezzo per raggiungere obiettivi strategici (seduzione, potere), e ciò avviene anche inconsapevolmente.

L’inconsapevolezza dei propri moventi non deve meravigliare. Vediamo una constatazione sulla natura umana, svolta in base al pensiero di Freud:

Per Freud la psiche è per la maggior parte inconscia. Essa assomiglia ad un iceberg, i nove decimi della quale sono nascosti o inconsci, e solo un decimo è in superficie o consapevole. Per questo i 9/10 dei nostri atti sono dettati da motivazioni inconsce. La parte consapevole, poi, si divide tra Io o Ego (la coscienza propriamente detta) e Super-io o Super-ego, che raccoglie i referenti morali e educativi. L’Io o Ego media tra motivazioni inconsce e motivazioni morali. La psicoanalisi è pertanto un processo di autoconoscenza, perché aiuta a svelare l’inconscio, e a capire quali sono le motivazioni autentiche dell’individuo rispetto a quelle imposte dai modelli morali o educativi[3].

Il fatto che i moventi dei consumatori non siano sempre ben chiari, o le scelte delle aziende appaiano a volte controintuitive, deve portarci ad una prima riflessione generale: i consumatori e clienti sono macchine biologiche e sociali il cui funzionamento è lungi dall’essere compreso a pieno. Queste macchine a volte hanno dei comportamenti strani, ma le aziende, con questi comportamenti, devono fare i conti tutti i giorni.

A volte i desideri e le scelte di acquisto delle persone sono prevedibili, a volte non lo sono affatto. Se il campo del consumo fosse dominato dalle leggi della razionalità, vivremmo in un mondo diverso.


[1] Trascrizioni tratte da Dittmar, H. & Drury, J. (2000). Self-image – is it in the bag? A qualitative comparison between “ordinary” and “excessive” consumers. Journal of Economic Psychology, 21. 109-142.

[2] Fonte: trascrizioni svolte da Dittmar & Drury, 2000.

[3] Enciclopedia Rizzoli Larousse 2000.

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Materiali dal volume di Daniele Trevisani (2002) “Psicologia di Marketing e Comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management”. Milano, Franco Angeli editore, Copyright. Selezione a cura dell’autore (www.studiotrevisani.it) per soli scopi didattici e di ricerca. E’ consentita la riproduzione solo con citazione del volume da cui deriva e dell’autore. È proibita la modifica non autorizzata.

 

1.1.       Pulsioni d’acquisto: ragioni di un’analisi

Perché le persone acquistano? Sotto l’influsso di quali forze avvengono le scelte di mercato? E soprattutto, perché affrontare questo tema è così cruciale per la competitività delle aziende?

La vita di ogni persona e di ogni azienda è costellata da momenti d’acquisto. Nonostante questo dato incontrovertibile, la psicologia del consumo costituisce uno dei fenomeni meno studiati e meno tradotti in azienda, in buona parte a causa dell’impostazione classica che vedeva nel consumatore un soggetto razionale, che agisce secondo criteri logici. Capovolgendo quest’impostazione, rivolgeremo la nostra attenzione soprattutto alle dinamiche psicologiche, ai moventi nascosti, al “dark side” del consumo.

Per raggiungere gli obiettivi previsti, riteniamo necessario fornire una prima griglia di impostazione del lavoro, che divide i comportamenti di acquisto in base a motivazioni conscie, subconscie ed inconsce.

Questa prima revisione ha profonde implicazioni a più livelli: (1) per la comunicazione aziendale, (2) per le strategie di creazione del valore nella progettazione di un prodotto/servizio, e (3) per l’educazione al consumo.

Una seconda considerazione ci spinge a rivolgere la nostra attenzione all’area della psicologia dei bisogni. L’atto di acquisto si lega innegabilmente a qualche forma di problema esistente nell’individuo (es: risolvere un dolore fisico tramite una medicina), o di aspirazione da raggiungere (es: in un’azienda, l’acquisto di un macchinario per aumentare la produttività), sia che si tratti di un bene povero che di un genere di lusso. Questi problemi o moventi sono il nesso che collega il prodotto alla scelta di acquisto.

Il comportamento degli individui, orientato a diminuire i problemi che li circondano, determina, in un certo momento del tempo, la nascita di una pulsione, un impulso d’acquisto, uno stimolo alla risoluzione dello stato di tensione[1]. Una strategia aziendale che non tenga in seria considerazione quali impulsi d’acquisto inserire nelle proprie offerte, non ha alcuna prospettiva di successo.


[1] Vedi Rook, D.W. (1987). The buying impulse. Journal of Consumer Research, 14 (September), 189-199.

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Materiali dal volume di Daniele Trevisani (2002) “Psicologia di Marketing e Comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management”. Milano, Franco Angeli editore, Copyright. Selezione a cura dell’autore (www.studiotrevisani.it) per soli scopi didattici e di ricerca. È proibita la diffusione non autorizzata

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