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© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Analisi dello spazio progettuale

Un’adeguata esplorazione del cliente permette di capirne le esigenze, ma anche di prefigurare il costo della relazione (fisico e relazionale) e il potenziale della relazione.

L’esame dei due livelli di identità (chi siamo noi, chi sono loro) permette di trovare uno spazio di condivisione entro il quale costruire qualche forma di progetto.

Le potenzialità della relazione possono essere capite solo in seguito ad una diagnosi accurata, non devono essere considerate in modo affrettato.

Una diagnosi può far emergere importanti “pepite informative”, dati e informazioni sulle quali basare l’analisi. Queste “pepite informative” sono racchiuse un giacimento informativo al quale non è facile arrivare, e la cui esplorazione richiede professionalità e training. 

La consapevolezza di “chi siamo” e di “chi è di fronte a me” (con chi tratto), permette di analizzare lo spazio progettuale, le potenzialità del lavoro che possiamo avviare assieme. 

I tratti principali della potenzialità del rapporto

  • Le opportunità del rapporto

Alcune domande chiave per aprire un ragionamento sulle opportunità della relazione: Che opzioni posso offrire ora, e che spazi si possono aprire in futuro? Quanto sono concreti i progetti avviabili? È un rapporto che sembra concluso in un singolo progetto o vi sono spazi di continuità? Che reti relazionali positive si aprono se il progetto va a buon fine (ingresso in network, nuove conoscenze, sviluppo di immagine)?

  • Rischi del rapporto

Vi sono rischi nel lavorare con questo soggetto? Rischiamo di perdere risorse, energie, rischiamo di non essere pagati o non adeguatamente, rischiamo di perdere know-how senza avere nulla in cambio? Sono in grado di apprezzarci? Quante e quali forze esterne possono impedirmi di raggiungere i risultati?

  • Limiti e confini attuali

Dove è bene fermarsi, dato l’attuale stato di maturazione del rapporto? Faccio bene a espormi molto e subito? È bene testare il comportamento di questo soggetto nella realtà (es: se rischio un mancato pagamento del primo intervento, devo evitare di farne altri a rischio: devo mettere alla prova la serietà del cliente prima di perdere valore o erogarlo gratis).

  • Limiti e confini massimi

Dove potrà mai arrivare questo rapporto, anche se il cliente applica il massimo della sua buona volontà e le circostanze sono favorevoli? Dove si arresterà per forza lo spazio di questa collaborazione? Fino a che punto vale la pena investire energie e risorse su questo cliente?

  • Piano di cooperazione attuale

Cosa risulta saggio fare ora, alla luce delle informazioni disponibili, sui potenziali attuali e futuri? Quali progetti possiamo avviare subito?

  • Piano di cooperazione futuro

Posso avviare un sistema di contatto abbastanza frequente, tale da farmi restare vicino al cliente? Riesco ad acquisire anche le future opportunità? Tengo gli spazi aperti per farlo? Mi accontento di chiudere un progetto o cerco di conquistare la relazione e quindi anche il valore futuro che quel cliente potrà esprimere?

  • Profondità di relazione

Riesco a raggiungere livelli di co-makership (costruire progetti congiunti), di reale partnership? Si, no, solo in parte? Su quali piani possiamo collaborare in profondità? Quali sono gli ostacoli a collaborare in profondità?

  • Progettazione congiunta

Su quali progetti posso stimolare un “lavorare assieme”? È possibile avviare una ricerca e sviluppo congiunta? Possiamo fare qualcosa di più che non sia vendere e comprare, ma costruire assieme un progetto che porti entrambi ad entrare dove da soli non arriveremo? Possiamo coinvolgere il cliente nel progettare soluzioni, affinché egli le senta più “sue”?

  • Terza cultura

La prima cultura è quella del cliente. La seconda cultura è quella del venditore o altro interlocutore. Dall’incontro tra le due realtà può nascere qualcosa di nuovo, una “terza cultura” che apre spazi nuovi di mercato per entrambi. Una terza cultura è il risultato del lavoro di più menti che scambiano tra loro informazioni, valori, linguaggi, e arricchisce il rapporto. Quando tra due aziende nasce una cultura comune, frutto del lavoro svolto assieme, il vantaggio competitivo della relazione è sicuramente maggiore, rispetto a quando si svolgono semplici forniture su richiesta.

  • Presidio comunicativo e Total Quality Communication

Chi presidia le comunicazioni con quel cliente, sia quotidiane, di servizi, tecniche o istituzionali? Abbiamo la consapevolezza di chi ai vari livelli manda messaggi a quel cliente (anche sul piano tecnico, di servizio o customer care, o amministrativo, ad esempio, e non solo commerciale)? Chi controlla la qualità dei messaggi che inviamo? Chi tratta con quel cliente è all’altezza di farlo? Esiste un piano per dare continuità ai messaggi? Abbiamo un piano per dare spessore alla relazione mantenendo “caldo” il contatto, e presidiare il cliente?

Nel compiere questo tipo di analisi dobbiamo sempre considerare che:

  • nessuna relazione è perfetta;
  • il nostro scopo non è amarci, ma lavorare assieme;
  • dobbiamo apprendere a convivere con culture aziendali diverse dalle nostre;
  • siamo qui per lavorare e non per regalare il nostro sapere o i nostri prodotti;
  • dietro ad ogni uscita (tempo, denaro, attenzione, energie umane) deve esservi qualche forma di entrata, monetaria o immateriale;
  • i bilanci non si fanno solo con il denaro;
  • il valore di apprendimento che una relazione offre può farci produrre salti di qualità fondamentali per la nostra stessa azienda.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

La capacità comunicativa e l’attività della negoziazione

Comunicazione e negoziazione sono un territorio delicatissimo dell’esistenza umana.

Dalle abilità comunicative dipendono successi e fallimenti, vittorie e cadute, e la possibilità di concretizzare sogni e ideali.

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I desideri, le nostre aspirazioni umane e professionali – le idee che vorremmo concretizzare – i nostri stessi progetti di vita, sono collegati a questa capacità di comunicazione, spesso inespressa, una capacità latente, un fiore da far sbocciare. Una capacità che raramente coltiviamo e studiamo.

Essa rappresenta una delle facoltà più preziose della natura umana: poter esprimere e condividere sentimenti, idee, pensieri, visioni, sogni, progetti. 

Questi temi sono trattati in specifici workshop esperienziali condotti dall’autore, in full immersion, come ad esempio l’evento “Al Rifugio con l’Autore” che si realizza in un rifugio wellness di alta montagna, dedicandosi allo sviluppo delle capacità di comunicazione positiva, di pensiero positivo, di public speaking, di analisi della propria strategia di vita e professionale. 

L’importanza delle capacità di comunicazione può alterare (in meglio o in peggio) anche le traiettorie della propria vita sentimentale; può farci avvicinare alle persone che amiamo, o allontanarci, può generare comprensione o incomprensione, passione o tristezza, gioia o dolore. 

Una buona comunicazione può dare vita ad amicizie e rapporti che durano una vita, una cattiva comunicazione determina invece il malfunzionamento o la rottura irreparabile di relazioni umane e professionali.

Per ogni essere umano, la capacità di comunicare le proprie emozioni ad altri, aprirsi, non lasciare che esse rimangano soffocate in una ruminazione mentale solo interna, è un fattore primario di salute fisica e mentale.

Le capacità comunicative arrivano persino a determinare la vita e morte di persone, come nelle negoziazioni militari o per la liberazione di ostaggi.

In questo ambito, anche i dettagli contano, ad esempio:

  • capire chi sono i decisori veri con cui trattare può cambiare la vita di un’azienda; può farle vincere o meno una gara, un appalto, o conquistare un cliente determinante per molti anni a venire; 
  • un errore di battitura in un punto cruciale dell’offerta può generare senso di pressapochismo e far alzare le barriere valutative, rendendo la vendita più “in salita”; ma ancora…
  • una distrazione in fase di ascolto che ci faccia perdere un “segnale” importante lanciato dall’interlocutore;
  • cogliere o non cogliere un’occhiata o una smorfia di approvazione o disapprovazione che si lanciano due persone nel team con cui trattiamo.
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È un risultato eccezionale, dal punto di vista della negoziazione e della relazione umana, capirsi tra le parti, rompere le barriere di incomunicabilità, trovare modi per avere successo cooperativo, e crescere assieme. 

Di fatto, comunicatori, negoziatori professionisti, venditori, rappresentano una parte attiva della società e “muovono le cose”. Senza di loro, le aziende non potrebbero vivere. 

Un’azienda senza persone in grado di vendere è un’azienda sull’orlo del baratro. Tutti gli stipendi vengono da un’unica fonte: le vendite.

Dobbiamo quindi prepararci, così come un soldato si prepara per una battaglia, un atleta per una gara, un attore per la scena.

La chiave è far crescere le nostre competenze comunicative, supportare la crescita degli altri

Le capacità comunicative devono diventare sempre più un vero e proprio asset (risorsa strategica) e non (quando mancano) un punto di debolezza da coprire a suon di sconti, ribassi, umiliazioni, concessioni e perdite.

Per questo bisogna agire con spirito guerriero e strategico, con una mente pronta e risoluta – una mente da analista – e “gambe” pronte ad incontrare persone in ogni luogo. 

Una frase antica, espressa da un Samurai giapponese, ci offre una bella rappresentazione, che spiega con poche parole questo atteggiamento:

Kenshin disse:  «Il fato è in paradiso, l’armatura è sul torace, il risultato è nei piedi »

Adachi Masahiro, Samurai (scritto risalente al periodo 1780-1800)

In: Cleary, Thomas. La Mente del Samurai[1]

La suggestione del Samurai Masahiro ci aiuta a capire che esistono molte aree della vita che non possiamo dominare, e altre per le quali dobbiamo e possiamo agire, sia in prima persona che in squadra.

Il “paradiso” di Kenshin sono gli scenari globali, le scelte dei competitors, la nostra armatura è la nostra preparazione, i nostri piedi sono le azioni che adottiamo.

Dobbiamo quindi distinguere le aree per le quali non vale nemmeno la pena preoccuparsi troppo, da quelle per le quali possiamo “prepararci” e fare strategia, sia che si tratti di proteggere i nostri interessi vitali (armatura) che di muoversi con scientificità tattica (i “piedi” dello Strategic Selling). 

Nessun altro può farlo per noi. 

Ma, per concretizzare, dobbiamo assimilare lo spirito guerriero proposto da Masahiro e adattarlo ai nostri scopi e alla nostra professione.

È indubbio che operare nella vendita oggi significhi avere coraggio. 

Il coraggio di chi esce con una valigia e va a conquistare un cliente. 

coraggio
coraggio

Il coraggio di chi affronta il mondo, di chi entra in culture diverse, in aziende nuove e sconosciute, di chi lotta contro competitors più forti, più finanziati o potenti, il coraggio di chi si muove in prima linea. 

Ed ancora maggiore coraggio serve per dirigere le persone, stare a fianco degli uomini e delle donne che si muovono in prima linea, stargli vicino anche sul campo, nei momenti di difficoltà e di maggiore bisogno.

Questa è leadership. Questa è una modalità di vita.

È la scelta di chi stabilisce di non stare nelle retrovie ma di stare sul fronte, immergersi nelle tante battaglie umane e sacrifici che la vendita strategica impone a chi decide di giocare questo gioco. E di gioire per i successi.

La negoziazione è certamente un gioco difficile, ma non un gioco d’azzardo. La negoziazione seria non si prefigge mai di produrre danni gratuiti alla controparte, ma – ovunque possibile – porta avanti il principio delle “relazioni d’aiuto” (essere di aiuto agli altri) e costruire relazioni che creano valore per tutti.

Relazioni vincenti che creano benefici ad entrambe le parti.

matrimonio

Questo vale anche in un matrimonio, quando due persone riescono a fissare i propri spazi di libertà per i propri interessi personali (sport, cultura, giardinaggio, viaggi, etc.) senza che il matrimonio stesso divenga una gabbia, ma piuttosto una piattaforma che dia forza ad entrambi.

Vale anche tra due aziende, quando da una buona negoziazione emerge un progetto che nessuna, da sola, sarebbe riuscita a fare.Nessun risultato, tuttavia, avviene per magia. Negoziamo da quando siamo nati, e lo faremo per tutta la vita.

Serve un’attività di negoziazione e lavoro certosino sulla chiarezza dei ruoli, e dei confini dei ruoli.

Le relazioni vanno coltivate, se vogliamo vederne i frutti.

 

curare

La comunicazione parte da un bisogno primario, il bisogno di entrare in relazione, in contatto con qualcuno o con qualcosa e per coloro che operano professionalmente con la negoziazione, prepararsi da professionisti è il minimo che si possa fare. 

Questi bisogni richiedono un lavoro di formazione adeguato.

Prepararsi da professionisti

Esiste una grande confusione in campo aziendale su cosa sia la formazione. Alcuni pretendono di preparare negoziatori e venditori tramite un paio di ore di lezioni teoriche in cui vengono propinate teorie e concetti astratti, affidandosi a professori universitari che non hanno mai venduto niente in vita loro.

Più che una formazione classica, serve una forte “sensibilizzazione”, qualcosa che vada oltre le regole stereotipate. Ad esempio, imparare a vedere come noi reagiamo alle comunicazioni altrui, come funziona il nostro dialogo interno[2]capire come esaminare una conversazione e cogliere le sue mosse strategiche, preparasi ad essere analisti.

training

La formazione seria è una forma di apprendimento molto forte, parte da un’autoanalisi che nessun PowerPoint può sostituire, e ci chiede di fare i conti con chi siamo veramente. 

Al contrario dei seminari tenuti dai “corsifici”, un buon coaching in profondità (coaching personale o team coaching) può aiutare la persona e il team a prestare attenzione a ciò che prima gli sfuggiva, e questo non ha niente a che fare con la formazione classica.

Bisogna aiutare le persone a muoversi da professionisti, a “pensare” come professionisti. La ricerca del Potenziale Umano che si nasconde in ogni persona non è né facile né immediata, lo sappiamo tutti benissimo. Ma, a volte, cerchiamo scorciatoie che non esistono. 

Le situazioni in cui la comunicazione cambia le cose sono tante. 

Possiamo avere un colloquio di lavoro nel quale si decide una svolta nella vita, nel quale far emergere chi siamo e cosa valiamo.

Gli effetti di ogni parola e di ogni gesto saranno sommatori e decisivi.

Lo stesso bisogno di essere comunicatori efficaci tocca il problema di trovare un finanziatore per progetto, o un sogno da concretizzare.

Tante situazioni, un denominatore comune: il risultato delle attività di comunicazione e negoziazione cambia la vita. Affrontare questo mondo intrigante richiede l’esame di molte variabili.

Una prima consapevolezza di fondo è il bisogno di una grande serietà in chi opera nel mondo della comunicazione e della negoziazione complessa: essere coscienti del fatto che dagli esiti di una trattativa strategica dipendono svolte di tipo professionale, effetti che cambiano la vita, propria o altrui. 

Se condotte bene, gettano le basi per un futuro migliore. Se condotte male, producono danni enormi.

Una seconda certezza: per comunicare bene serve formazione specifica, l’abito mentale di chi si prepara alla negoziazione, dedica ad essa risorse mentali, la gestisce come un’attività professionale e strategica (approccio mentale del Get-Ready Mind Set), e non trascura i dettagli[3].

energie

Una terza certezza è il bisogno di curare la “macchina” del venditore, negoziatore o comunicatore, ancora prima di preoccuparci delle sue prestazioni esterne. Una persona che sta bene, piena di energie fisiche e mentali, avrà ottime chance di esprimere anche il suo potenziale comunicativo. Al contrario, una persona fisicamente debilitata o esaurita, e psicologicamente stanca o che si sente fuori ruolo, non farà altro che errori continui.

Come sottolinea un collega e amico, importante psicologo e counselor italiano, allenatore della nazionale italiana di Apnea e di campioni del mondo di apnea, quando ci si “immerge” nelle relazioni e nelle negoziazioni si va incontro, come fa un apneista, anche a se stessi e al proprio inconscio

Possono emergere paure o incongruenze, ansie e timori ragionevoli o irragionevoli, coscienti o subcoscienti. 

Se questi ci bloccano, ci rallentano, ne subiremo gli effetti negativi.

Al contrario una persona che abbia fatto un lavoro profondo su di sé può “immergersi” tranquillamente sia in acqua che nella più difficile trattativa, senza perdere in consapevolezza emotiva e rimanendo sostanzialmente sereno nonostante l’ambiente difficile che lo circonda[4].


[1]

Cleary, Thomas (2008) (a cura di), La Mente del Samurai: Il Codice del Bushido, Mondadori. Scritto di Adachi Masahiro, Samurai (scritto risalente al periodo 1780-1800).

[2] Per il dialogo interiore nelle situazioni di consumo e scelta di acquisto, vedi Bahl, S. e Milne G. R. (2010), Talking to Ourselves: A Dialogical Exploration of Consumption Experiences, in Journal of Consumer Research, Vol. 37, June 2010.

[3] La preparazione mentale a compiti successivi, e l’utilizzo delle risorse mentali, nella Consumer Research, è stata affrontata in un articolo specifico. Vedi Bosmans Anick, Pieters Rik e Baumgartner Hans (2010), The Get Ready Mind-Set: How Gearing Up for Later Impacts Effort Allocation Now, in Journal of Consumer Research, Vol. 37, June 2010.

[4] Manfredini, Lorenzo (2010), Appunti di counseling, materiale didattico riservato, Associazione Olos e Istituto di Dinamica Mentale, Ferrara.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Copyright. Articolo estratto dal libro “Direzione Vendite e Leadership. Coordinare e formare i propri venditori per creare un team efficace” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

I traguardi di vendita richiedono capacità di delega

Ogni azione di vendita professionale si prefigge traguardi o goal.

La tecnica principale per pianificare i goal consiste nel definire l’obiettivo finale (End-State, o Stato di Arrivo), e dividere in sezioni il percorso che serve per arrivare a quell’obiettivo. Tali sezioni diventano goal distinti da raggiungere, come pietre miliari in un percorso.

Un End-State è la frase che voglio poter affermare una volta finito un progetto di vendita o una campagna di vendita. Es: “3 delle dieci principali aziende nel settore mobilifici devono essere nostri clienti a fine anno”.

Da ogni End-State, derivano goal e operazioni (Operations).

I goal devono essere:

  • coerenti con le distintività aziendali, con il posizionamento, con le possibilità pratiche;
  • coerenti rispetto ai saperi, ai saper essere e ai saper fare dell’organizzazione;
  • raggiungibili;
  • assegnati con responsabilizzazione personale;
  • verificati a livello interpersonale profondo (colloqui in profondità con i venditori responsabili del raggiungimento del goal);
  • supportati dall’organizzazione;
  • monitorati da un leader.

Delegare e fissare goal sono azioni che rientrano esattamente nel tema della Leadership e ancora più specificamente nella Team Leadership, in questo caso, la direzione di un Team di Vendita Professionale.

Ogni sistema, piccolo (per esempio una famiglia), medio (per esempio un’impresa) o grande (per esempio una multinazionale oppure un ente statale), ha obiettivi da raggiungere.

Crescere i figli, consolidare la presenza sui mercati, darsi una buona organizzazione, sono esempi di obiettivi pratici.

Generalmente, gli obiettivi puntano al lungo periodo, a una visione, a uno stato positivo da raggiungere.

La sequenza obiettivi-goal-progetti-task 

Gli obiettivi si traducono in goal (risultati misurabili), progetti (sequenze di attività) e task (compiti).

Così, per una famiglia:

•      possiamo identificare l’obiettivo “far crescere i figli”;

•      possiamo avere due goal specifici:

  1. farli “crescere bene” sul piano fisico;
  2. farli “crescere bene” dal punto di vista psicologico, morale e intellettuale[1];

•      possiamo avviare diversi progetti:

  1. far sì che il ragazzo/ragazza possano svolgere un’attività fisica regolare;
    1. curare la loro alimentazione.

Sul piano psicologico:

  • evitare di dare esempi sbagliati;
    • ascoltare i figli realmente;
    • seguirli e affiancarli nella realizzazione dei compiti scolastici e nella vita, senza però violare la loro sfera di autonomia, ma anzi ampliandola più possibile e gradualmente;

I progetti si traducono in precisi compiti (task), tra cui: portare il bambino/ragazzo alla palestra il lunedì e giovedì dalle 17,30 alle 19, ritagliarsi due serate specifiche e inviolabili dedicate esclusivamente alla famiglia, prendersi una giornata al mese di “uscita a coppia” tra i due genitori, e qualsiasi altra azione sia utile.

Notiamo subito che la sequenza presenta numerosi momenti di comunicazione, sia tra i genitori che in presenza dei figli (gruppo allargato), tra cui “decidere quale sport”, “saper ascoltare”, e numerosissime altre situazioni comunicative.

La qualità di questi momenti comunicativi è direttamente correlata alla possibilità di conseguire i risultati desiderati. Questo accade anche nella Leadership dei Team di Vendita

Principio – Focalizzazione degli obiettivi e backward planning

La qualità della vita nei gruppi di lavoro e la performance dei gruppi stessi sono correlate:

•  al grado con cui le azioni quotidiane e i compiti (task) seguono progetti specifici;

•  al grado con cui i progetti sono ancorati a goal definiti e misurabili;

•  al grado con cui i goal sono ancorati a un obiettivo di lungo periodo (vision).

Il leader funge da coordinatore, comunicatore interno e motivatore, esplicitando il raccordo e coordinamento tra le diverse fasi (task, progetti, goal, obiettivi), per ogni membro del team.

Vediamo ora come la catena obiettivi-goal-progetti-task produca, anche in un’azienda, una molteplicità di attività di comunicazione interna.

  • Obiettivo: riqualificare la propria rete di vendita dal punto di vista motivazionale e delle competenze delle risorse umane.
  • Goal: ridisegnare la rete sul territorio, definire una procedura incentivante, migliorare la modalità di intervista del cliente e la capacità di comunicazione e negoziazione.
  • Progetti
    • progetto esemplificativo 1: “one area-one team” in cui viene assegnata la leadership territoriale a una precisa figura professionale, e si decide quali siano le risorse del suo team; 
    • progetto esemplificativo 2: “tecniche di negoziazione avanzata”, in cui i membri del team apprenderanno le tecniche di ascolto del cliente durante la negoziazione, e altri obiettivi di formazione necessari per concretizzare gli obiettivi.
  • Task: selezionare il responsabile per ogni area, selezionare i membri del team di ogni area, definire la scaletta di incentivazione, selezionare il formatore/consulente per la fase formativa, costruire i gruppi di persone da mettere in formazione, e altri compiti correlati.

Esponiamo di seguito un’ulteriore sequenza relativa al passaggio dagli obiettivi ai progetti, per dare ulteriore concretezza all’argomento.

Processo di focalizzazione degli obiettivi

Obiettivi generali
Migliorare la redditività aziendale

Wish-List di risultato
Obiettivo : Ottenere un + 40% di fatturato entro 3 anni

Situation Analysis
Sviluppo di un primo diagramma di Causa-Effetto (DCE) sulle determinanti dei ricavi e DCE sulle determinanti dei costi;
Esplicazione
a) dei fattori critici e risultati attesi relativamente ai ricavi (quali leve toccare);
b) dei fattori critici e risultati attesi relativi al miglioramento nella gestione dei costi.

Specifiche – Action Plan – Project Management
Per ciascun punto della Wish-List, fissare obiettivi quantitativi, tempi, modi, responsabilità (chi fa cosa, quando, come), definire i metodi di misurazione e verifica dei risultati

Ogni task, ogni progetto, ogni goal, richiede attività decisionali di gruppo.

 

Altri materiali su Comunicazione, Ascolto, Empatia, Potenziale Umano e Crescita Personale disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Articolo estratto dal testo “Il potenziale umano – Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance” Copyright FrancoAngeli e dott. Daniele Trevisani.

La memoria è la capacità di immagazzinare informazione, fissare il flusso esperienziale e i dati, e avere accesso ad entrambi. La memoria è centrale per lo svolgimento della performance, in quanto, come evidenzia Baddeley:

senza la memoria saremmo incapaci di vedere, di udire o di pensare. Non avremmo un linguaggio per esprimere la nostra situazione, e di fatto neppure un senso della nostra identità personale. In breve, senza memoria saremmo dei vegetali, intellettualmente morti[1].

Vi sono migliaia di pubblicazioni e ricerche sulla memoria, un materiale sterminato impossibile da trattare in questa sede. Per i nostri fini vogliamo evidenziare alcuni tipi di memoria rilevanti per la performance e lo sviluppo delle energie mentali, sottolineando che non esiste una memoria singola ma molte tipologie di memoria.

  • Memoria a breve temine: mantenimento dell’informazione per pochi secondi dal suo ingresso.
  • Memoria a lungo termine: la funzione di immagazzinamento delle informazioni, superata la memoria a breve termine.
  • Memoria episodica: capacità di ricordare i dettagli di un evento, il ricordo di fatti particolari, come ciò che abbiamo mangiato a colazione il giorno precedente, o i dettagli di un evento anche remoto.
  • Memoria associativa: es.: ricordare i nomi delle persone vedendone il volto, associare un rumore ad una precisa auto.
  • Memoria semantica: creazione di significati associati a eventi o input. Fa parte della memoria semantica ad esempio la capacità di ricordare un certo odore e capire che si tratta di gomma bruciata.
Memoria e memorizzazione selettiva


Il movente scatenante energie mentali può essere associato alla memoria negativa o alla memoria positiva. 

La memoria negativa riguarda eventi passati negativi e il tentativo di far si che non si ripetano, mentre la memoria positiva riguarda il ricordo di eventi positivi e il tentativo di far riaccadere quelle sensazioni.

Notiamo da questo passaggio, dal film: “Proposta Indecente” di Adrian Lyne, un esempio di associazione che crea movente per un comportamento:

Ricordo una volta quando ero giovane, e stavo tornando da non so dove, un cinema o forse qualcos’altro… c’era una ragazza che era seduta di fronte a me, indossava un vestito che era abbottonato quasi fin quassù… “era la cosa più bella che avessi mai visto”…Allora ero timido, così quando lei mi guardava abbassavo gli occhi… poi dopo, quando ero io a guardarla li abbassava lei… 

Arrivai dove dovevo scendere, e scesi, le porte si chiusero, e quando il treno stava ripartendo lei mi guardò negli occhi e mi fece un incredibile sorriso… fu terribile… volevo aprire per forza le porte… tornai ogni sera alla stessa ora… per 2 settimane… ma non l’ho più vista… Questo è stato 30 anni fa… e non credo che passi giorno senza che io non rivolga un pensiero a lei… 

Non voglio che succeda di nuovo!

Dal film: “Proposta Indecente”, frase recitata dall’attore Robert Redford

La memoria di lavoro (buffer mnemonico) consente il mantenimento di uno stimolo in ingresso per pochi secondi, necessari alla elaborazione mentale (cognitiva) dello stimolo stesso. È la memoria necessaria a ricordare un informazione per il tempo necessario allo svolgimento di un compito, per poi disfarsene poiché inutile. Tutti gli “scarti di lavorazione” della memoria (i vari sottoprodotti) verranno abbandonati e dispersi.

Lavorare sulla memoria è quindi importante non tanto per aumentarne la capacità, stiparla di informazioni come un magazzino sovraccarico, ma soprattutto per aiutare a consolidare i passaggi di vita, episodi positivi e negativi, da cui si può ricavare apprendimento.

La mente non è un vaso da riempire
ma un legno da far ardere perché s’infuochi
il gusto della ricerca e l’amore della verità.

Plutarco

Uno dei problemi della psicoenergetica è la perdita di focus su quali siano le informazioni utili e quali invece trattenere. Se sbagliamo, non presteremo attenzione a dati di reale utilità, trattati come rifiuti o sottoprodotti, e ci concentreremo invece su ciò che non serve. Ad esempio, in una negoziazione sarà indispensabile cogliere anche singole parole, memorizzarle e compararle ad altre emissioni verbali dette in seguito dalla persona, per far emergere eventuali dissonanze, e usarle nella nostra strategia.

Un altro aspetto mnemonico interessante è la capacità di ricordo dei sogni, che se recuperati ed analizzati consentono di avere accesso ad una preziosissima fonte di rappresentazioni delle paure (blocchi, ansie, timori, preoccupazioni) e desideri inconsci dell’individuo. 

È stato evidenziato da ricerche sulla comunicazione interculturale che il difficile ricordo del sogno è un problema di comunicazione tra stati di coscienza. Lo stato della vigilanza parla un linguaggio diverso rispetto allo stato del sonno, e i due non possono comunicare bene tra di loro. La memoria dei sogni richiede l’acquisizione di uno stato intermedio (una sorta di terza lingua) tra lo stato di coscienza del sonno e lo stato della veglia. 

Nel metodo HPM si utilizzano tecniche di meditazione consapevole praticate in fasi specifiche del training, ma anche immediatamente dopo il risveglio, per poter portare allo stato cognitivo lucido aspetti del sogno e dell’inconscio che andrebbero altrimenti dispersi (tecniche ReMeA: recupero e metabolizzazione in stato alfagenico). Lo stato alfagenico è uno stato di rilassamento nel quale l’individuo produce onde cerebrali alfa, è tranquillo e rilassato, ed è in grado di generare un pensiero più libero, creativo e associativo.

Tra le tecniche alfageniche si colloca anche la pratica di generare ricordi guidati di eventi positivi, anche durante la giornata, riservandosi spazi appositi (tecniche RSP: Training Mentale di Ricordo Selettivo Positivo). 

Queste tecniche sono l’esatto contrario dei tentativi di fuga dai ricordi spiacevoli, o dello scorrere sopra gli eventi positivi anziché sentirli a fondo. Occorre la consapevolezza che non serve a nulla fuggire da un ricordo finché non lo si è capito e accettato. Allo stesso tempo, serve capacità per cogliere gli aspetti positivi della vita, che altrimenti ci scorrono accanto inosservati, poco gustati o assaporati. A forza di non notare ciò che di positivo ci accade o esiste, le nostre capacità di atrofizzano, e il pensiero di chiude.

Le tecniche si prefiggono di analizzare i vissuti quotidiani, i problemi occorsi in passato, i momenti positivi, e metabolizzarli in una condizione alfagenica (di rilassamento), nella quale essi possano esprimersi meglio, essere affrontati, elaborati, assaporati, metabolizzati, e portati a livello cosciente.

In questo modo i problemi non verranno lasciati alla sola metabolizzazione notturna, riducendo il carico di lavoro mentale e liberando il sonno da una dose di affanno elaborativo. Allo stesso tempo, l’individuo apprende a gustare eventi che altrimenti rischiano di andare persi e dimenticati per sempre.

Le tecniche possono andare anche verso la rivisitazione degli eventi positivi della giornata o di un periodo specifico, es., la settimana, per consolidare elementi del vissuto positivo che altrimenti verrebbero dispersi, ridotti, dati per scontati (tecniche di concentrazione sugli eventi positivi e consolidamento mnemonico di episodi positivi).

Oltre a questo beneficio, le tecniche di Training Mentale consentono di entrare nell’esperienza passata con un maggiore grado di introspezione assimilandone aspetti più profondi.

Un ulteriore problema di psicoenergetica è la connessione tra flusso di esperienza e memorizzazione selettiva. Possiamo ricordare – di una esperienza di lavoro o di vita – solamente alcuni episodi caratterizzati da fatti curiosi, oppure possiamo cercare di far uscire dalla memoria i nostri errori (ricerca selettiva), ed ancora far uscire dalla memoria, estrapolare, i comportamenti e atteggiamenti che sono stati produttivi e positivi. 

Senza questa attività di ricerca, elaborazione e fissazione, il flusso di esperienza ha valore minore e diventa meno utile per l’apprendimento.
Sempre rispetto alla memorizzazione selettiva, notiamo che essa può travalicare il punto della semplice selezione e giungere alla distorsione (immettere infor­ma­zioni che non c’erano) nel quadro memonico. 

Questo avviene soprattutto come meccanismo di auto-protezione dalla dissonanza (“devo aver fatto questo, altrimenti non sarei stato io”, “mi avrà certamente detto così, altrimenti non avrei reagito in quel modo”, e altre distorsioni di questo tipo). Le persone arrivano tranquillamente ad inventare aspetti dell’esperienza inesistenti e distorcere involontariamente (senza coscienza di farlo) interi brani di realtà, pur di mantenere in piedi i castelli di carta mentali che le sorreggono.

Un coaching finalizzato a lavorare sul funzionamento della memoria emotiva dovrà utilizzare tecniche particolari di allenamento di componenti specifiche della memoria stessa. 

Memoria e memorizzazione selettiva

Ad esempio, un “diario delle positività” aiuterà la persona a fissare quali aspetti della giornata, anche minimi, sono degni di maggiore attenzione e possono diventare qualcosa da apprezzare, piuttosto che materiale mnemonico da non trattenere o al quale non prestare nemmeno attenzione.

L’esperienzialità (experiencing) va catturata, in caso contrario la vita rischia di scorrerci via senza sentirla a pieno in noi.

Per scopi di approfondimento, è possibile ricorrere alle tecniche di focusing sviluppate da Gendlin, centrate sull’elaborazione della “sensazione sentita” soprattutto sul piano fisico, sino a sviscerarla completamente in ogni sua sfumatura. 

Il lavoro di Gendlin sul focusing e sull’experiencing (esperienzialità) è decisamente importante è ha una nutrita letteratura[2]. Ricordiamo tuttavia che queste tecniche partono da una scuola e volontà psicoterapeutica, mentre nel nostro caso le tecniche di training mentale ed esperienziale hanno volontà di crescita del potenziale umano in senso ampio, e non sono centrate solo su aspetti terapeutici. Non occorre stare male per forza per praticare focusing ed experiencing, anzi, ne avremo un beneficio anche partendo da condizioni di benessere o medianità e in azioni quotidiane, non solo competitive o manageriali. Le competenze psicologiche esistenziali devono diventare competenze sociali diffuse in tutte le persone, perché ogni persona merita di vivere a pieno e fino in fondo. Quale che sia la condizione di partenza, nello spirito del metodo HPM ogni piccolo passo ha senso. La stasi, invece, uccide.


[1] Baddeley, A. (1990), La memoria, Laterza, Bari.

[2] Tra le opere, la pubblicazione divulgativa più nota è edita solo nel 2001: Gendlin, E.T (2001), Focusing. Interrogare il corpo per cambiare la psiche, Astrolabio, Roma. Le pubblicazioni  in lingua inglese del metodo del focusing sono invece sintetizzabili nelle seguenti: 
– Gendlin, E.T. (2007). Focusing. [Reissue, with new introduction]. New York: Bantam Books. 
– Gendlin, E.T. (1997). Language beyond postmodernism: Saying and thinking in Gendlin’s philosophy. Edited by David Michael Levin. Evanston: Northwestern University Press. 
– Gendlin, E.T. (1997). A process model. New York: The Focusing Institute. 
– Gendlin, E.T. (1996). Focusing-oriented psychotherapy. A manual of the experiential method. New York: Guilford. 
– Gendlin, E.T. (1991). Thinking beyond patterns: Body, language and situations. In B. den Ouden & M. Moen (Eds.), The presence of feeling in thought, pp. 21-151. New York: Peter Lang. 
– Gendlin, E.T. (1986). Let your body interpret your dreams. Wilmette, IL: Chiron. 
– Gendlin, E.T. (1962). Experiencing and the creation of meaning. A philosophical and psychological approach to the subjective. New York: Free Press of Glencoe. Reprinted by Macmillan, 1970.

Per approfondimenti vedi:

Cristina Turconi
Executive & Business Coach ICF | Formatrice Aziendale | Facilitatrice Lavoro di Gruppo | Master Practitioner in HPM™ Human Potential Modeling | Consulente e Innovation Manager MISE 

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Potenziale Umano. Nel Metodo HPM sul Potenziale Umano (Human Performance Modeling) si distinguono 6 diverse aree di lavoro, che vanno dalle energie fisiche e mentali, alle competenze, sino alla progettualità e spiritualità. Vediamole di seguito.

© Articolo estratto con il permesso dell’autore, dott. Daniele Trevisani, dal libro “Il Potenziale Umano. Metodi e tecniche di coaching per lo sviluppo delle Performance”. Milano, Franco Angeli editore

Lavorare sul potenziale individuale, dei team, delle imprese: il metodo HPM (Human Performance & Potential Modeling)

Le persone viaggiano per stupirsi delle montagne, dei mari,

dei fiumi, delle stelle e passano a fianco a se stesse

senza meravigliarsi

(Sant’Agostino)

Concetti fondamentali del Potenziale Umano: la visione della persona come sistema energetico

(Se vuoi approfondire il tema del Tuo Potenziale Umano e Potenziale Personale, guarda la pagina del Master Metodo HPM sul Potenziale Umano a questo link)

Il metodo HPM deriva la propria sigla dal suo obiettivo primario, il Modeling, o “dare forma”, generare impulso, contributo e stimolo alla crescita della persona, dei team e delle organizzazioni.

Il metodo ha due distinte sfere di applicazione, tra di loro collegate:

  • crescita del potenziale umano: Human Potential Modeling, e
  • sviluppo delle prestazioni: Human Performance Modeling.

Il metodo contiene una concezione dell’uomo come articolazione di energie fisiche e mentali, micro e macro-competenze, progettualità e aspirazioni.

Il metodo individua sei specifiche “celle di lavoro”, sulle quali ciascuno di noi, indipendente dalla sua condizione di partenza, può fare progressi, piccoli o grandi che siano. E, per ogni piccola conquista, si aprono nuovi orizzonti che ci invitano ad andare avanti, in una continua esplorazione di ciò che significa progredire, nel suo senso più profondo.

“Entrare” in queste sei celle ci permette di costruire progetti di crescita seri ed efficaci, siano essi la “liberazione” da ciò che ci frena, o l’aumento delle nostre risorse personali.

L’amplificazione delle energie e abilità di un individuo o di un intero gruppo o impresa, può proiettarci verso nuovi traguardi, e nuovi modi di essere. Prendere piena coscienza dei propri potenziali e lottare per raggiungerli è un’operazione che ha una propria sacralità, al di la del risultato numerico o professionale che ne può derivare.

Capire questo è essenziale oggi per fare del training aziendale serio, essere ricercatori o insegnanti degni di questo nome, ma anche nel coaching, nel focusing (focalizzazione dei fabbisogni di sviluppo), nella consulenza, nei progetti di crescita personale, quando si esamina una persona o un’organizzazione, intesa come complesso di energie circolanti, il suo lato umano, il suo spirito vitale.

Il metodo HPM raggruppa tutti i fattori evidenziati in un modello piramidale (energie fisiche e mentali, micro e macro-competenze, progettualità e aspirazioni) e li considera aspetti allenabili, aumentabili, su cui si può agire.

A questo modello quindi ci apprestiamo a lavorare.

Ne esponiamo di seguito un’anteprima grafica, nella quale si evidenziano le sei specifiche aree di lavoro, ciascuna delle quali viene approfondita, ma sicuramente non esaurita.

Esaurire ogni singola area sarebbe una pretesa troppo grande, mentre aprirvi una discussione e offrire su ciascuna contributi, strumenti utili e operativi, è invece già possibile.

Figura 1 – Esposizione grafica del modello HPM del Potenziale Umano

Potenziale Umano Metodo HPM

 

Potenziale umano e prestazioni umane sono due aree di studio diverse ma strettamente collegate, così come lo sono le fondamenta di un edificio e i suoi piani superiori.

Nessuno costruirebbe, con un minimo di buon senso, un grattacielo su fondamenta instabili. Il lavoro sul potenziale è, come metafora, simile al lavoro di costruzione di fondamenta solide, mentre le performance ci restituiscono un senso di altezza, di quanto in alto possiamo spingerci.

Ognuno di noi sente il bisogno, prima o poi, di sviluppare il suo potenziale, ma anche di accedere a piani esistenziali superiori, ricercare, crescere.

Possiamo soffocare questa pulsione umana naturale, ma è come cercare di non respirare, prima o poi il bisogno viene fuori, ed è bene ascoltarlo.

Il modello HPM analizza l’essere umano come sistema energetico, una sinergia di forze (fisiche e mentali), la cui amplificazione può aumentare il grado di felicità, successo e potenzialità realizzativa.

Questo sistema complesso è composto da sottosistemi, che possono disporre di uno stato di carica variabile, e funzionare bene o male, con gradazioni intermedie di efficienza ed efficacia.

Per analizzare il potenziale globale della persona, non solo sul piano fisico o intellettuale, ma come essere umano nel suo complesso, abbiamo bisogno di localizzare quali sono i micro e macro-distretti su cui si può agire e come questi interagiscono tra di loro.

Dobbiamo anche saper muovere lo zoom di analisi dal micro al macro, dal particolare al generale, e viceversa.

Esponiamo di seguito una breve sintesi di quali sono i contenuti principali delle sei “celle” di lavoro:

  • il substrato psicoenergetico e le energie mentali: riguarda le energie psicologiche, le forze motivazionali, lo stato di forma mentale necessario per affrontare sfide, progetti, traguardi (goal) e obiettivi. Si prefigge di analizzare ed intervenire sulle capacità mentali, come concentrazione, lucidità tattica, abilità strategiche, capacità di percezione, utilizzo della memoria, amplificazione sensoriale, sino alle capacità di vivere le passioni, rivedere il nostro modo di essere, riprendere in mano il proprio ruolo nella vita con maggiore assertività, ripensarsi, creare motivazione in sè e nel team, sviluppare coraggio e perseveranza, utilizzare uno stile di pensiero produttivo e positivo;
  • il substrato bioenergetico e le energie fisiche: inquadra la parte biologica dell’essere umano: il corpo e le energie fisiche, lo stato di forma organis­mico e biologico che sorregge le energie individuali; comprende l’analisi delle energie corporee e il funzionamento dell’organismo, come esso possa essere riparato o “potenziato”, gli effetti dello stile di vita e l’approccio olistico al corpo, l’attenzione alle economie locali (di specifici distretti fisici) e alle energie generali;
  • le micro-competenze: i micro-dettagli che danno spessore al potenziale, le micro-abilità psicologiche e psicomotorie che fanno la differenza in una prestazione manageriale o sportiva, le micro abilità-cognitive (di ragionamento), che creano differenza tra un’esecuzione mediocre, media o invece eccellente, le micro-abilità relazionali e comunicazionali da cui dipende un lavoro di qualità;
  • le macro-competenze personali e professionali: i grandi strumenti (competenze, skills, capacità) che compongono il profilo di un ruolo; le traiettorie di cambiamento che subisce lo scenario che ci circonda, come rimanerne coscienti e in pieno controllo; la gamma delle abilità o portfolio di competenze di un individuo o di un team, e come questo deve essere rivisitato, riqualificato, formato, per essere all’altezza degli obiettivi che ognuno di noi si pone e delle sfide che vuole cogliere;
  • goal e progettualità: la strutturazione dello sforzo per qualcosa o contro qualcosa di concreto (un ideale trasformato in progetto); la capacità di sviluppare un obiettivo in azione, il focus di applicazione delle energie e competenze, la loro traduzione in specifici piani operativi e risultati attesi;
  • visione, principi e valori, missione: ideali, principi morali, sogni, aspirazioni, i motori profondi che dirigono le priorità personali, gli ancoraggi di senso e significato che connettono i progetti ad un piano più profondo, le scelte personali, il senso di missione. Riguarda inoltre lo sfondo primordiale di desideri e pulsioni che spingono il nostro fare ed agire, il senso di causa e – non ultimo – il nostro vissuto spirituale ed esistenziale.

Ognuno di questi stati o “celle” può avere un certo livello di “carica”, trovarsi “pieno”, “abbondante”, ben coltivato, ben esercitato, o essere invece “scarico”, deprivato, depotenziato, impoverito, o persino trascurato e maltrattato, denutrito, abbandonato.

Al crescere della carica nei diversi sistemi aumenta l’energia complessiva della persona, dei team, e delle organizzazioni da loro composte, con effetti molto tangibili: risultati, prestazioni, capacità di decidere, di incidere e produrre cambiamento positivo. Questi risultati dipendono dallo stato dei diversi sistemi, dalla capacità di coltivarli e nutrirli.

La loro condizione locale e l’interazione tra le diverse “celle” può produrre il massimo del potenziale o presentare sinergie negative, o danni e malfunzionamenti che impediscono all’essere umano di esprimersi.

Le risorse personali e il potenziale individuale possono essere “lette” ma soprattutto amplificate attraverso un lavoro serio sulle sei aree.

Sul piano manageriale e sportivo, nei team e nelle aziende, le implicazioni sono altrettanto evidenti: lo stato di forma mentale e fisico delle persone, la loro carica motivazionale, le loro competenze, la loro progettualità, il loro spessore morale, fanno la differenza tra persone o team spenti, e persone, team o organizzazioni capaci, forti, motivate, piene di energia ed entusiasmo, desiderose di affrontare sfide e dare contributi veri.

Un modello efficace per il lavoro sul potenziale umano

Chiedersi qual è il proprio potenziale e quanto di esso abbiamo esplorato o raggiunto non è una domanda banale.

Questo accade in alcuni particolari momenti della vita in cui diventa importante per noi realizzare qualcosa, migliorare, ed esprimerci.

Quando questo accade, un sentimento dentro di noi cambia. Dalla realtà esterna iniziamo a spostare l’attenzione verso la realtà interna.

Ci poniamo domande, alcune di queste possono fare male, altre aprire nuovi orizzonti, ma non importa, poiché esse ci mettono positivamente in discussione. Nessuna domanda è inutile quando ragioniamo sul senso e sul significato di chi siamo e cosa vogliamo, quando ci chiediamo se e come vorremmo costruire qualcosa di cui essere fieri (una prestazione, o un contributo agli altri o ad una causa), o semplicemente essere diversi o migliori.

Per molti l’esito di una maggiore attenzione al potenziale personale è il desiderio di esplorarlo, o lasciare un segno, iniziare progetti, potersi guardare alle spalle ed essere fieri di come abbiamo vissuto, di quello che siamo e siamo stati, e dare un messaggio positivo a chi ci seguirà nel viaggio della vita. Per altri invece tutto rimane bloccato in una ruminazione mentale ininterrotta e auto-distruttiva. Le energie bloccate corrodono e distruggono anziché produrre e generare benessere, forza vitale, amore e passione.

La differenza tra i due risultati (crescita e sviluppo vs. ruminazione mentale negativa) sta nell’avere un modello e un supporto che aiuti a individuare meglio i traguardi, e i percorsi da intraprendere per arrivarci.

Insuccessi, cadute, blocchi, errori, fanno parte integrante di questo viaggio, ma il loro accadere non ne sposta minimamente il valore.

Ciò che differenzia un uomo da un sasso è che lo “stare compressi”, sepolti, essere trasportati senza chiedersi dove, o rimanere pressati e immobili, è accettabile per il secondo ma non per il primo.

L’uomo ha un bisogno intrinseco di “volare”, di esprimersi, di “ricercare”, di dare senso alla propria vita, e persino ad ogni propria singola giornata o azione.

Chi nega questo bisogno di espressione e crescita applica uno dei meccanismi psicologici più autodistruttivi che esistono, individuato in letteratura come self-silencing: autosilenziarsi, uccidere le proprie aspirazioni, mettere il tappo ai propri sogni, smettere di credere in qualcosa, pensare che tutto sia inutile, che non valga la pena, che le difficoltà sono troppe, o il mondo in fin dei conti sia sempre andato così.

Bugie. Bugie che ci raccontiamo per non entrare (giusto per usare un altro termine tecnico) in “dissonanza cognitiva”, la condizione di disagio che incontriamo quando ci rendiamo conto che qualcosa nella nostra vita non sta andando come vorremmo, o che potremmo essere migliori o semplicemente diversi. Coltivare il potenziale umano è invece un momento di liberazione.

Esistono implicazioni anche sul piano medico: quando una persona è priva di energie mentali, o non ha più alcun valore o ideale a sorreggerlo, o mancano le competenze per far fronte alla vita, il corpo soffre e può arrivare ad ammalarsi[1].

Desiderare di progredire, porsi domande, “chi, cosa, dove, con chi, perché”, è un obiettivo o passaggio inevitabile per ogni anima sensibile.

Dare impulso al viaggio della vita ha sempre senso. Ne può avere sia che si desideri unicamente una propria evoluzione personale, o che invece il percorso sia finalizzato al percorso professionale e aziendale.

Entrambi i viaggi hanno spessore e valore. Ambedue sono degni di attenzione e di supporto, perché una persona ferma e spenta non è utile a nessuno, così come non è utile avere imprese e team incapaci e demotivati.

I team più forti del mondo, e i più grandi campioni di tutti i tempi in ogni disciplina, o i più grandi pensatori della storia, sono tali perchè continuano a porsi domande e non sfuggire” il richiamo della natura”, la pulsione ancestrale che ci parla di evoluzione, che ci spinge a progredire, ad essere migliori.

Senza un modello che ci aiuti a trovare le direzioni di crescita, il nostro sforzo può risultare nobile ma vano. Si corre, ci si affanna, si investono tempi ed energie,  ma spesso senza una buon mappa di orientamento. Il risultato è un’enorme dispersione.

Un buon modello, invece, aiuta a trovare più rapidamente la strada. Se un modello non offre stimoli, indirizzi e orientamenti, risulta completamente inutile, come orientarsi in una mappa sbagliata o capovolta.

Un modello del potenziale umano, inoltre, può essere utilizzato in progetti concreti di business coaching, di consulenza, di training aziendale, di coaching sportivo, ma anche nel counseling, nei corsi di leadership, nella formazione.

Da quando esiste, l’uomo si sforza di costruire mappe per orientarsi e non perdersi. Abbiamo mappe degli strati più profondi della terra, dei mari, del cosmo, ma – stranamente – non ci vengono fornite mappe efficaci per orientarci nel nostro sviluppo personale o nei territori inesplorati del potenziale umano. Accompagnare le persone in questo viaggio è, per me, un onore.

[1] Una logica conseguenza che non possiamo nascondere è che la  medicina dovrebbe quindi occuparsi anche di questi fenomeni, unendosi alla psicologia e ad altre scienze, in un unica disciplina del funzionamento complessivo dell’essere umano.

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© Articolo estratto con il permesso dell’autore, dott. Daniele Trevisani, dal libro “Il Potenziale Umano. Metodi e tecniche di coaching per lo sviluppo delle Performance”. Milano, Franco Angeli editore

Il Potenziale Umano

Altri materiali sul Potenziale Umano e Crescita Personale disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

 

….vedete il piccolo razzetto sulla sinistra? E’ stato lanciato 3 volte senza successo. E tutti a dare addosso al “sognatore”, ma il quarto è atterrato. Il primo razzo ad atterrare invece di autodistruggersi, e diventare riutilizzabile. Un abbattimento di costi incredibile. Un salto epocale nell’esplorazione spaziale

Se Space X, alias Elon Musk, avesse sbagliato il quarto lancio, SpaceX, di Elon Musk, avrebbe chiuso per sempre. Adessso siamo alle prove definitive per il vettore su Marte, e ai razzi che riatterrano da soli. Ci vuole gente che ama osare. Grazie per l’esempio Elon Musk. Grazie per aver mostrato a tutti gli industriali che non è fare soldi la missione, quella è una conseguenza, ma il motore psicologico e la missione vera deve essere far avanzare la scienza, la coscienza umana, e la tecnologia, perchè tutta la razza umana possa continuare a sognare

Elon Musk, un modo di essere imprenditore, e creare il nuovo, tra creare Paypal, poi l’unica vera auto elettrica (Tesla) e diventare il più grande produttore di energie alternative (solare) del pianeta, sta progettando una base lunare eco-sostenibile…

 Commento di Elon… fuori dai denti.. “è il 2017, noi dovremmo avere una base lunare a quest’ora.. che cavolo sta succedendo” (riferito ai ritardi degli operatori spaziali) Grandissimo Elon… altro che “politically correct” aziendale del cavolo, e burocratese malefico

E se non bastasse, i piani concreti per la creazione della base su Marte

Perchè quando un sogno ha delle date, è già un progetto

Qui il mio contributo nel paper ESA sullo Human Factor nei viaggi spaziali. Piccolo contributi ma su un tema di grande importanza

https://www.researchgate.net/profile/Daniele_Trevisani/publication/302026532_Moon_2020_-_2030_2015_v_02/links/572daccf08ae3736095af435/Moon-2020-2030-2015-v-02.pdf?origin=publication_list

Have fun!

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Copertina Libro Il Coraggio delle Emozioni compressaArticolo di Daniele Trevisani, dal libro Il Coraggio delle Emozioni. Energie per la vita, la comunicazione e la crescita personale. Franco Angeli editore.

Il Potenziale Umano non è un concetto generico e si compone di diversi strati o “celle”, che ne racchiudono una porzione.

Ogni strato o piano del potenziale personale richiede tecniche specifiche di sblocco e amplificazione.
Localizzare queste celle e le azioni specifiche è uno dei compiti primari di questo lavoro.

Nel sistema HPM – Human Performance/Potential Model, qui sviluppato, le azioni di Coaching sono collegate ad uno schema che fa da sfondo concettuale:
Figura 2 – Coaching, modello HPM

modello di coaching hpm coraggio delle emozioni

Possiamo parlare, per la maggior parte degli esseri viventi, di un potenziale compresso. Un insieme di energie che deve ancora dispiegarsi, o esisteva, ma non ha trovato terreno fertile ed è in stasi, oppure, a volte, è persino regredito.

Osserviamone alcuni contenuti:

  • 1) Il Coaching delle energie fisiche e corporee o Coaching bioenergetico. Quest’area permette di focalizzare il lato del potenziale personale che si connette alle componenti organiche, fisiche, forza, resistenza, flessibilità, benessere fisiologico, potere del corpo di compiere azione e prestazione. Consente di avviare il lavoro sulle energie fisiche e potenziamento del corpo. Es.: tecniche di allenamento corporeo, tecniche alimentari, tecniche legate allo stile di vita, tecniche di recupero fisico, tecniche di allenamento psicofisico, tecniche di overreaching allenante (alternanza di fasi di allenamento di alta intensità e riposo adeguato). È l’area più fisica, tangibile e corporea del modello.
  • 2) Coaching per le energie mentali e motivazionali. Tecniche per sbloccare la volontà, alimentare la passione, localizzare blocchi emozionali e quelli legati ai ruoli, le contratture mentali, i colli di bottiglia dei ragionamenti, dei sistemi di credenze, e, più in generale, l’azione sulla psicologia individuale. La cella delle “energie mentali” o energie psicologiche permette di avviare un lavoro sul potenziale insito nelle energie del pensiero. Es.: training mentale, Coaching analitico, analisi in profondità dei ruoli personali e professionali; analisi delle reti di relazioni, della dispersione o ricarica di energie relazionali durante la giornata, il mese, l’anno, i cicli di vita, analisi dei sistemi di credenze su se stessi e sul campo di operazioni nel quale si deve agire, e, ancora più in profondità, analisi esistenziale. Rappresenta l’area più intrinsecamente psicologica del modello.
  • 3) Coaching per le macro-competenze: utilizza tecniche di analisi e di formazione legate all’obiettivo di sviluppare “copertura” o collimazione (coverage o fit) tra le diverse skills che una performance richiede, e il portfolio di competenze individuali. Comprende quindi la localizzazione di dove sia bene agire distinguendo tra interventi su (1) saperi, (2) saper fare, (3) saper essere o atteggiamenti, per migliorare in modo strategico l’estensione e vastità del piano di competenze. Prevede azioni di formazione con un approccio enciclopedico e non solo iperspecialistico, e saper cogliere i diversi piani di una performance (es.: storico, politico, morale, culturale, scientifico, sociale, strategico) e non esserne puramente esecutore meccanico ignorante o passivo. Comprende quindi un lavoro formativo sulle macro-competenze. Es.: aggiornare competenze in rapporto ai ruoli che si intendono giocare, la formazione, il Coaching professionale, le azioni di allargamento del repertorio personale. Tanto più ampia è la copertura, tanto maggiori sono i margini di sicurezza e di manovra che la persona potrà affrontare, al variare delle condizioni esterne o al verificarsi di imprevisti. Rappresenta nel modello la parte più legata ai processi formativi classici.
  • 4) Il Coaching sulle micro-competenze: azioni per aumentare la padronanza di esecuzione di atti specifici di performance, gesti operativi, o operazioni mentali specifiche e necessarie per ottenere buoni risultati. Le micro-competenze non mettono in discussione l’intero assetto del ruolo o del profilo professionale, ma entrano nei dettagli operativi. L’azione di Coaching sulle microcompetenze intende elevare il grado di profondità e progressione nell’acquisizione di una specifica competenza, i suoi dettagli più fini, stimolando la scalata dal livello di principiante al livello di mastery (completa e totale padronanza). Il lavoro sulle micro-competenze permette di evidenziare e avviare la ricerca di elementi minimali e particolari significativi, l’analisi al “microscopio comportamentale” degli dettagli che danno luogo alle performance, e l’analisi al “microscopio mentale” dei sistemi di pensiero o sistemi cognitivi che entrano in gioco nelle performance. Mentre l’analisi delle macro-competenze ci parla di una “estensione” o ampiezza di competenze, le micro-competenze ci parlano della “profondità” con cui una certa abilità entra nel nostro repertorio sino a diventarne addirittura parte inconscia. Rappresenta la parte del modello più legata ai fenomeni di percezione e di conseguenza alla formazione attiva esperienziale (active training).
  • 5) Il Coaching per la progettualità e concretizzazione: agisce sulla cella della “concretizzazione”, per aumentare la capacità di essere concreti e operativi, intervenendo sulla capacità di dare corpo a progetti e piani, la pianificazione di obiettivi concretizzabili ed eseguibili, il lavoro sulla fissazione dei goal, es.: saper sviluppare un progetto, capire che risorse servono, come organizzarle, saper gestire il tempo in relazione ai propri progetti; riconoscere le dispersioni di energie in tempi inutili o controproducenti. Rappresenta la parte più manageriale del modello.
  • 6) Il Coaching valoriale, spirituale e morale. Agisce sulla cella dei valori, Visione e missione, per recuperare il “motore morale”, il senso dello scopo, o causa, il senso della missione, dei valori più forti che spingono e muovono una performance, ma anche il vissuto quotidiano e l’impegno verso qualsiasi cosa. Comprende il lavoro di scavo e rafforzamento per localizzare verso cosa valga la pena spendere energie o attivarle, localizzare e alimentare valori, Visioni, ideali. Generalmente si tratta di una porzione della performance e del potenziale personale assolutamente trascurata, e per questo rappresenta l’area più difficile, in quanto obbliga a trattare fenomeni delicati come lo spessore morale, il “muoversi verso” qualcosa di superiore alla propria esistenza limitata, il voler contribuire a una causa o progetto importante, trovare o riscoprire motivi di esistere non unicamente materialistici, trovare un senso per l’esistenza, scoprire e riscoprire i propri valori ancestrali, lavorare a nuove forme di esistenza, lavorare per nuove forme di energie, lavorare per curare o migliorare le condizioni di vita delle persone. In questa cella si colloca la volontà di trovare ancoraggi a ideali da perseguire e da collegare a specifici progetti. Comprende azioni di scavo motivazionale, di mappatura dei valori personali, di localizzazione dei blocchi e contratture che impediscono di credere e volere, di alimentare la passione per un progetto o un’idea. Costituisce l’area del modello più legata a concetti di filosofia, religione, e morale.

Nel complesso, ogni piano di Coaching può essere più o meno “caricato” su una o più delle diverse aree.
Avremo quindi piani di Coaching più fisici, altri di tipo psicologico e motivazionale, altri più legati a costruire progetti, altri ancora legati a migliorare l’esecuzione dell’esistente, e via così.
Ciò che conta è che si sappia bene cosa si sta facendo, consapevoli del fatto che un Coaching totale non può prescindere da tutte le aree. Se si decide di focalizzare un Coaching solo su una area o su aree limitate, questa deve essere una scelta tattica consapevole e non un atteggiamento di miopia verso la vastità dei possibili piani di intervento.

  • Cambiare o migliorare un singolo gesto può immettere energia in tutto il sistema.
  • Cambiare o migliorare un singolo pensiero o credenza può immettere equilibrio. Nessuno sforzo di miglioramento è mai vano.

Mantieni i tuoi pensieri positivi
Perché i tuoi pensieri diventano parole
Mantieni le tue parole positive
Perché le tue parole diventano i tuoi comportamenti
Mantieni i tuoi comportamenti positivi
Perché i tuoi comportamenti diventano le tue abitudini
Mantieni le tue abitudini positive
Perché le tue abitudini diventano i tuoi valori
Mantieni i tuoi valori positivi
Perché i tuoi valori diventano il tuo destino
(Mahatma Gandhi)

Non ci interessano le ovvie limitazioni biologiche e mentali dell’essere macchine fatte di carne, soggette a rottura e usura, imperfette, non ci interessa la perfezione, l’automazione non è il nostro fine.
Ci interessa ciò che possiamo essere in relazione a come siamo fatti (essere umani imperfetti, ma con grande spazio di crescita), ci interessa ciò che possiamo esprimere se e quando spezziamo le catene, liberi dai condizionamenti negativi.
Ci interessa il raggiungimento del potenziale nascosto o limitato dai fattori ambientali e personali che lo comprimono.
Ciascuna di queste celle è suscettibile di grandi miglioramenti, in ognuno di noi. Per fare salti in avanti, occorre prendere coscienza delle aree su cui lavorare, e intraprendere percorsi.

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Copertina Libro Il Coraggio delle Emozioni compressaArticolo di Daniele Trevisani, dal libro Il Coraggio delle Emozioni. Energie per la vita, la comunicazione e la crescita personale. Franco Angeli editore.

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Teoria della progettazione

 

Lo spazio mentale del progetto[1] – Il progetto tra naturale e artificiale

  • Copyright, Articolo a cura di Angelo Rovetta, in: Rivista Communication Research n. 1/2010 a cura di Medialab Research www.medialab-research.com

Nella teoria dei 3 Mondi Popper offre una euristica proposta dei modi con cui interagiscono la conoscenza, le azioni umane e i “dati” del mondo “fuori” dal soggetto che percepisce e che interagisce, che vive.

Il Mondo 1, dunque, è costituito dall’insieme delle “cose” che popolano la natura (dai sassi agli animali, dalle foreste alle vallate, dai monti ai mari). Tutto ciò che è dato prima dell’avvento e delle relazioni con il soggetto.

Il Mondo 2 è il mondo della soggettività percipiente, della coscienza, della introspezione e dell’autonomia, della autoreferenzialità del “io sono”: la coscienza.

Il Mondo 3 è l’insieme degli oggetti “artificiali”, costruiti dai soggetti nel tempo. Si tratta di oggetti fisici  (come gli strumenti e le protesi di cui l’uomo si è dotato nel tempo) o di oggetti “mentali” (le idee, i romanzi e le poesie, le formule matematiche e fisiche). Tutto ciò, insomma, che non era dato “prima”, ma che è stato immesso nel Mondo 1 (nella “natura”) dal Mondo 2 (l’uomo) tramite creatività, immaginazione, lavoro, manipolazione, interazione con i Mondi 1 e 3.

Infatti, la caratteristica “sistemica” dei 3 Mondi è che si influenzano reciprocamente e che gli oggetti del Mondo 3 “modificano” gli altri due Mondi.

Ecco, pertanto, dove si collocano la progettazione umana e i suoi prodotti: nel Mondo 3, ossia tra natura e artificio.

I progetti sono “oggetti” del Mondo 3, non esistenti “prima”, che, una volta creati dall’uomo,  oggettivati, concretizzati  nella materia (un  tempio, una leva, un dipinto, un libro, una formula scritta) e nelle relazioni tra cose e persone, entrano a far parte del Mondo 1, per così dire. Incrociano la sua naturalità, possono diventare essi stessi elementi del “paesaggio naturale” che si presenta alla percezione del soggetto.

Un paesaggio artificiale è “naturale” nella misura in cui diventa “ovvio”, scontato, un “dato”, per il soggetto che lo percepisce, ci vive, lo considera il suo contesto, il contesto – campo che produce il significato dei singoli elementi che lo compongono.

Se l’artificiale diventa “immanente” all’ambiente – contesto in cui è posto, si naturalizza, agli occhi del soggetto che osserva, cioè tende a essere percepito come un elemento del Mondo 1.

Il progetto, pertanto, ha un suo significato dal punto di vista del contesto, cioè dello spazio in cui è prodotto e si oggettiva, come risposta di un soggetto che interagisce con  il contesto – ambiente stesso.

Ha, però, anche un ulteriore significato, di diverso livello e valore logico, dal punto di vista del tempo, della sua durata, della processualità con cui opera nel suo contesto, nel modo in cui, da artificiale, diventa “naturale”.

In questo modo si ordinano i problemi di sempre, relativi ai modi di essere della conoscenza umana e ai rapporti tra soggetto che conosce e ciò che sta “fuori” dal soggetto, nonché ai correlati problemi dei rapporti tra natura, cultura e norma.

Cioè, alle relazioni tra desiderio (aspettative e previsioni), tra eredità (ciò che è dato perché avvenuto e creato nel passato) e intenzionalità, volontà, proiezione, investimento nel futuro (ciò che è possibile, probabile che avvenga domani, o che “deve” avvenire).

E’ in questo immenso campo problematico – sistemico che la mente umana “progetta”.

Lo spazio – mente: in interiore homine si genera il pensiero – progetto

Il soggetto si struttura, nella sua consapevolezza – coscienza, prima di tutto nelle sue relazioni spaziali: ognuno percepisce un “dentro e un fuori”. La percezione del dentro di sé è complessa, pur nel suo essere intuitivo. Vi è una percezione fisica delle proprie parti interne, che, perlopiù, è enfatizzata dal dolore fisico, dal malessere.

Vi sono sentimenti ed emozioni che provengono dal di dentro: nel sogno, e nell’incubo, per esempio.

La percezione interna di un sé psico-corporeo, de-limitato dalla pelle o dall’aura, si costruisce negli anni, con varie esperienze, esplorando il mondo – contesto intorno e costruendo il proprio “interno” come spazio interiore, introiettanto,  e ispezionando (introspezione) gli “spazi” della memoria, del percepito, del sentito, dell’intuito.

La mente e il cuore producono immagini, ma entro un campo – spazio che è l’interno di sé o il sé, autopoietico – autoreferenziale, che sta “dentro” l’involucro fisico, cioè la condensazione energetica che ci sentiamo di essere.

La percezione di pensare, di sentire e di amare sono processi che producono incessantemente immagini.

Le immagini che percepiamo e di cui siamo coscienti (anche quelle di cui abbiamo meno o nulla coscienza) consistono, quando “nascono”, in differenze nell’istante (Bateson).

Il perdurare delle immagini nell’apparato neurologico (memoria, tracce mestiche) genera il tempo, cioè il flusso, l’evoluzione delle forme, la complementarietà delle forme, la sommatoria delle differenze di immagini endogene ed esterne (percezioni di “oggetti esterni” tramite i sensi), antiche (ricordate) e nuove.

Immagine e spazio mentale: rapporti

La forma dell’immagine

Le forme di un’immagine sono bordi – confini: delimitano, definiscono “chiudono” uno spazio, non solo al proprio interno, ma, anche, costruiscono, per complementarietà, un ambiente esterno.

Nella mente nasce lo spazio, dentro e intorno alle forme, in quanto un’immagine che si crea dinamicamente nella mente con-forma lo spazio e produce, al tempo stesso, un campo energetico (l’attesa?) una tensione che costituisce lo spazio – contesto entro cui si manifesta l’immagine stessa.

Il campo – contesto non è necessariamente un a priori, ma tende a co-costruirsi insieme all’immagine che produce e da cui è, contemporaneamente, prodotto.

Si tratta di uno spazio dinamico, nel momento della creazione dell’immagine, cioè metamorfico.

Il “pensiero” è costituito da immagini: la mente è uno spazio riempito e costruito da immagini.

Le immagini creano lo spazio mentale e, se vi è uno spazio mentale previo, “riempiono” lo spazio.

Un certo numero di immagini ricorrenti, ripetute, consolidate, fermano il dinamismo della creazione di spazio e vengono percepite come spazio statico.

La fissazione – cristallizzazione dello spazio in forme “riconoscibili” modifica la percezione degli spazi mentali e di quelli dell’ambiente in cui un soggetto vive.

Il lavoro dei primi mesi di vita: il gioco del rocchetto, dentro fuori, presenza assenza, luce buio, c’è non c’è, costruisce lo spazio mentale e, contemporaneamente, lo spazio dell’ambiente circostante. Non c’è, dunque, diversità di tratti tra lo spazio che è la mente e lo spazio dell’universo sensibile, l’ambiente – contesto in cui ogni mente cresce e con cui si misura dialetticamente.

Dall’indifferenziato alla percezione della differenza: lo spazio si “costruisce” dentro e fuori il soggetto che osserva e conforma l’ambiente mediante i prodotti del mondo 3 di Popper.

Lo spazio è, poi, nell’evoluzione – durata del soggetto percepito come un a priori: da “campo energetico” anonimo (pura potenza – possibilità, virtualità), diventa un ambiente o un paesaggio in cui abitano le singole immagini, è il luogo del riconoscimento di immagini – oggetti attraverso questi processi spaziali di base.

– La categorizzazione: riconoscere forme, esterne al soggetto, per similitudine – analogia con forme consolidate, già esperite dalla mente; la memoria genera il tempo.

– La classificazione : inserire la forma identificata in classi di forme , cioè in “cartelle” – insiemi  individuati da alcune caratteristiche spaziali (qualità e quantità) comuni a tutti gli oggetti o soggetti identificati da quella forma categoriale che struttura lo spazio  mentale tra interno ed esterno.

La classe come astrazione: l’astrazione è una ricorsività, un ritorno di elementi. Ciò comporta un riconoscimento di forme , cioè di ritmi percettivi che si sovrappongono nella mente, nelle tracce mestiche, dando vita all’ ”essere simile a…”, la ripetizione di questo processo dà vita all’astrazione dal contesto di alcuni elementi ricorrenti e alla cartella o classe o decontestualizzazione degli oggetti e alla loro ricollocazione nel contesto classe : la classe è nominata.

La foresta come classe di tutti gli oggetti aventi le caratteristiche che definiscono la classe stessa.

La classe è un principio ordinativo e conoscitivo poiché permette l’attribuzione delle caratteristiche generali di appartenenza ai singoli oggetti che si osservano.

I numeri possono essere considerati classe di classi?

Ogni classe può contenere un numero a piacere di sottoclassi.

La classe della bellezza ha numerose sottoclassi: la classe degli uomini belli, quella delle donne belle, delle automobili, delle case, dei soprammobili, dei paesaggi, dei pensieri belli.

Esempio: il soggetto può riconoscere che un oggetto è un albero perché ha tratti formali (qualità e quantità) che definiscono un tipo di spazio (statico e dinamico). Se lo identifica – categorizza come albero, lo può classificare nell’insieme foresta – bosco, cioè la cartella classe spaziale che raccoglie tutti gli oggetti aventi alcune caratteristiche di definizione dello spazio (foglie verdi e/o gialle rosse, rami tronco, radici, ecc.) rugoso e/o liscio .

Lo spazio – immagini definito foresta – bosco può, a sua volta, avere alcune sue caratteristiche, in quanto insieme, autonome, non indipendenti, rispetto alla categoria del singolo albero. In questo caso, da classe degli oggetti – albero passa a partecipare dei processi di identificazione spaziale delle categorie – categorizzazioni spaziali.

Sette dimensioni per lo spazio –  mente

Nello spazio mentale le immagini di solito vengono create secondo le tre dimensioni dello spazio fisico percepito : altezza, lunghezza e profondità.

Ma l’immaginazione ha la capacità di “trasformare” le immagini inserendovi il dinamismo del tempo e della relativa processualità: le metamorfosi delle forme richiedono il tempo dell’evoluzione delle stesse. Il tempo e il processo sono, dunque, la quarta dimensione dello spazio – mente.

La quinta dimensione è costituita dalla “tenuta” delle forme nel tempo: la memoria permette la ricorsività e il riconoscimento del già esperito una volta. E’, perciò, collegata al tempo e ha una funzione generativa.

La sesta dimensione è costituita dall’intuizione – sintesi, la capacità di cogliere ciò che è invisibile e sottile, le tracce, le ombre della realtà: si tratta del famoso “sesto senso” o del “terzo occhio” posto in mezzo alla fronte e che permette la percezione o la sintesi cosciente dell’impercettibile. L’intuizione è la dimensione, la sorgente da cui sgorga il nuovo: segni e simboli, immagini , che poi l’uomo riesce a rendere oggetti e strutture anche fisiche, che la mente genera a partire dalle immaginazioni intuitivo-sintetiche.

La settima dimensione è strettamente connessa con l’intuizione: si tratta dell’energia vitale che “anima” ogni soggetto, detta anche intelligenza emotiva.

Più semplicemente si può parlare della dimensione erotica, dell’eros, della capacità d’amare, dell’impulso di “essere attratto da”, cioè di prendere dentro (desidero possederti) e lasciarsi prendere dal desiderio altrui (di solito espresso da persona, ma anche da oggetti naturali o artificiali).

L’eros, come dimensione mentale, non va confuso con il cosiddetto appetito sessuale.  L’ ”istinto” sessuale si manifesta, insieme agli altri bisogni primari, come fattore biologico ed esercita la sua funzione evolutiva di mantenimento della specie.

L’impulso sessuale, ormonale, nello spazio mentale interagisce con gli altri spazi immaginativi e diventa dimensione erotica: una modalità specifica di costruire, “generare” immagini e, dunque, di progettare.

Si tratta di una mente pluridimensionale (con molte sfaccettature) o di un unico spazio mentale, integrato, a sette dimensioni?

Ritengo che ci possano essere momenti, nella vita, o persone, che utilizzino in modo non integrato le potenzialità e qualità della mente immaginativa.

Sono, tuttavia, potenzialità che possono essere sviluppate: perciò è utile la formazione.

Raggiungere la capacità d’uso della mente come spazio integrato, in cui le sette dimensioni cooperano alla generazione di progetti (immagini, idee, procedure, pianificazioni), è possibile e fa parte dello sviluppo umano, sia del singolo, sia del genere.

La virtualità, ossia  la speranza del futuro – pre-vedere

Il futuro, nello spazio mente, non fa parte del tempo: nella mente le immagini sono sempre al presente, lì e in quel momento; possono essere archiviate nella memoria, possono subire metamorfosi, ma sono sempre “presenti”.

Del resto, ogni progetto presuppone un tempo in cui potrà, dovrà essere realizzato.

E’ una necessità del progetto implicare la speranza di un futuro in cui il progetto stesso sarà possibile, verrà generato e oggettivato.

Ogni progetto è un investimento su un possibile futuro che gli è dato e dovuto se vuole esserci. Se vuole passare dal possibile al “fattibile” e al realizzabile – realizzato.

Il giudizio di fattibilità indica la potenza del progetto. Fa parte, ancora, della virtualità, che è il modo di essere dello spazio mentale a sette dimensioni, la matrice del progettare.

Lo spazio mentale è uno spazio vuoto. Ma matriciale: è un vuoto gravido di infinite epifanie di immagini: emozioni e idee, segni e simboli, progetti. In questo consiste la virtualità di ogni progetto.

Nel progettare, la mente investe e ipoteca il futuro, lo pre-vede, in un gioco virtuale: “Supponiamo che…”

Un progetto possibile, perché ha investito sulla speranza del tempo futuro, non necessariamente è fattibile a breve, come dimostrano i tanti progetti leonardeschi e i “sogni”, le aspirazioni progettuali di tutti gli uomini.

La mancata realizzazione di tanti progetti dipende, dal punto di vista logico, probabilmente dal fatto che, nello spazio virtuale della mente, ogni progetto partecipa delle sette dimensioni che lo generano, mentre, quando lo si deve realizzare, si opera una violenta riduzione alle tre dello spazio fisico o alle quattro della “realtà” storica.

La tecnologia si sforza di elaborare progetti che ottemperino alla prevedibilità scientifica e, perciò, siano fattibili, in sé diligentemente ricorsivi, algoritmici.

Si tratta, in tutti i modi, di operare una serie di adattamenti e di adeguamenti, di “riduzioni” dimensionali, sino al punto che un progetto può venire “snaturato”, come si dice comunemente.


[1] Per queste riflessioni si sono seguiti i seguenti autori  “sistemici”:

G. Bateson, Una sacra unità, Adelphi, Milano 1997, G. Bateson, Mente e natura, Adelphi, Milano 1984, E. Marconi, Spazio e linguaggio, IPL, Milano 1990, K. R. Popper, Congetture e confutazioni, Il Mulino, Bologna 1972, L. Irigaray, Etica della differenza sessuale, Feltrinelli, Milano 1990.

Autore: Daniele Trevisani. Estratto dal volume “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, Milano, 2009, Copyright

2.4. Ricerca dei drivers motivazionali

Come si può notare, il tema esistenziale (meaninglessness vs. ricerca dei significati) è centrale non solo per il fronte psicoenergetico, ma anche per la costruzione di una Vision e di una progettualità.

Perché questo? Perché la mancanza di un senso può produrre effetti devastanti, dalla carenza di scopi personali al senso di inutilità dell’agire, sino a bloccare la ricerca di nuovi orizzonti esterni (ricerca esteriore) o interni (ricerca interiore). La mancanza di senso produce il limitarsi delle energie mentali alla pura sopravvivenza, e spesso nemmeno a quella.

Kinnier e altri autori individuano dieci credenze dominanti che fungono da ancoraggi o interpretazioni della vita[1]:

1. La vita è gioire della vita e vivere l’esperienza della vita

2. la vita è amare, aiutare, servire gli altri

3. La vita è un mistero

4. La vita è senza significato                      

5. La vita è servire Dio e prepararsi all’aldilà

6. La vita è fatica

7. La vita è contribuire a qualcosa più grande di noi stessi

8. La vita è auto-realizzarsi

9. Ognuno deve creare da solo un senso personale della vita

10. La vita è assurda o è uno scherzo.

Ciascuno di questi driver (motori profondi) interagisce con la cultura individuale e con la propria personalità.

In un soggetto possono scatenare una forte produzione psicoenergetica alcuni di questi (es.: 1, 2, 7, 8) mentre altri sono in grado di distruggere o minare la sua voglia di vivere (10, 6, 4), e per ciascuno esistono sfumature diverse. Naturalmente, ogni analisi vale nel tempo in cui è svolta, e il quadro può cambiare, anzi, deve cambiare in seguito ad un buon coaching o ad una formazione di qualità, in cui la revisione di priorità è risultato positivo e ricercato. Purtroppo, sul piano della relazione con se stessi, non conoscere quali sono i driver che ci attivano, è una lacuna gigantesca.

Ogni coach professionale deve localizzare quali sono i driver del cliente o del team in grado di accrescerne le energie mentali, e riuscire inoltre nell’operazione difficoltosa di inserire nuovi driver all’interno dei costrutti mentali già esistenti.

Questa operazione di arricchimento delle fonti di energia psicologica e motivazionale è di straordinario interesse e notevole complessità tecnica.

Operazioni di arricchimento sono possibili su più piani.

Es.: Per un atleta… tu non gareggi più solo per i soldi che guadagni ma anche per… un contributo ad una causa, per scoprire i tuoi limiti, per dimostrare chi sei, per riscattarti da quello che eri…

Per un praticante di fitness… tu non ti alleni più per dimagrire, il grasso e la pancia sono i falsi nemici, il tuo nemico vero è la noia, l’apatia, la tristezza, la vita dimezzata di uno che vive in catalessi nella pigrizia…

Per un operatore sociale… tu non stai accudendo un anziano, stai dando un senso alla tua esistenza…

Per un agonista…voglio che quando esci dal campo tu sia orgoglioso di come hai giocato, non dei punti che hai fatto…

Per un manager… voglio che, quando qualcuno ti chiede cosa hai fatto quest’anno nella tua zona, tu possa dire “ho costruito una buona squadra, ne sono orgoglioso”…

Per un ricercatore… tu scrivi, ma ricordati… non stai facendo una pubblicazione, a nessuno frega niente della tua pubblicazione, se non stai facendo qualcosa che serve veramente agli altri più che a te, stai sprecando tempo… se non è qualcosa di cui essere orgoglioso fai a meno… allora, cosa vuoi fare…?


[1] Kinnier, Richard T., Kernes, Jerry L., Tribbensee, N., Van Puymbroeck, Ch. M. (2003), What Eminent People Have Said About The Meaning Of Life, Journal of Humanistic Psychology, Vol. 43, No. 1, Winter.

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Copyright, Articolo estratto con il permesso dell’autore, dal volume di Daniele Trevisani “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, Milano.2009. Pubblicato con il contributo editoriale di Studio Trevisani Communication Research, Formazione e Coaching.