Articolo estratto con il permesso dell’autore, dott. Daniele Trevisani, dal testo “Il coraggio di evolvere. Coaching attivo esperienziale e counseling per lo sviluppo personale e professionale. Il metodo della Neotropia” Bologna, OM Edizioni.
Fare “formazione” significa “formare” – uguale a dare forma, creare. Non significa mostrare una regoletta tramite una diapositiva luccicante.
La formazione aziendale basata sul modello anglosassone “semplificazionista” – “facile, rapida e indolore” – è concettualmente agonizzante, i suoi resti si agitano nervosamente sotto forma di corsi online o d’aula cui nessuno presta vera attenzione. Incapace di aiutare le persone a pensare, ha preferito costruire schermate di schemi colorati da guardare senza riflettere.
La sua grande colpa è di avere distrutto il significato di essere uomini, avere racchiuso il fattore umano in regolette anglofone pronte all’uso, prontuari su come si conduce una riunione, come si prende una decisione, come si guida un gruppo, come persuadere, come vendere, come raddoppiare i fatturati, anzi – quintuplicarli. Non importa come e se i metodi portino poi ad un disastro.
I segni “più” e i grafici in ascesa sono diventati una regola predominante del management rampante. Se poi dietro al segno “più” di un momento o di un mese si nasconda una drastica perdita di senso e di visione del futuro, poco importa. A cosa serve un “più” nei fatturati se nasconde il baratro di fallimento, la carenza di idee e progetti nuovi e solidi?
Dobbiamo renderci finalmente conto del fatto che la formazione deve diventare uno strumento di evoluzione culturale.
“L’evoluzione culturale, nel suo insieme, è determinata dalla somma delle innovazioni e delle scelte o, meglio ancora, dall’accettazione o meno di queste innovazioni da parte della società e da quali innovazioni vengono accettate.”
Luigi Luca Cavalli-Sforza
Se come teorizzano molti guru aziendali, “contano solo i risultati”, allora vogliamo ritorcere contro questa regola e queste semplificazioni una domanda: quali risultati? Vogliamo o no immettere tra i risultati il fatto che l’azienda stia coltivando un sano patrimonio di capitale umano e intellettuale sul quale contare?
La ricerca umanistica di un’organizzazione, il bisogno di senso, il significato di quello che facciamo, è la base dei comportamenti.
Un certo modo anglosassone e americano di interpretare le Risorse Umane (HR) come rotelle di ingranaggi, è basato sulla banalizzazione che pretende di fare bilanci sull’uomo con la stessa sensibilità psicologica ed esistenziale di un registratore di cassa da supermercato.
Nel campo della formazione, un approccio che “colma le lacune” o semplifica tutto, offrendo a chi lavora ricette facili e pronte all’uso, si è finalmente reso evidente per ciò che è: spazzatura professionale.
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