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©Copyright. Articolo estratto con il permesso dell’autore dal libro di Daniele Trevisani: “Psicologia di Marketing e Comunicazione” Franco Angeli Editore, Milano

Gli individui non sono uguali tra loro in merito a posizioni specifiche su diversi argomenti: ad esempio, riguardo alla pena di morte, alcuni hanno posizioni negative molto forti e radicate, altri ugualmente forti, ma in senso favorevole, altri ancora moderatamente a favore o contro, altri ancora non avranno alcun’opinione specifica. Lo stesso vale rispetto ai prodotti.

Ciascun individuo possederà diverse tipologie di atteggiamento nei riguardi di diverse entità di valutazione. La struttura dei diversi atteggiamenti può essere visualizzata lungo un continuum. Grazie al seguente diagramma di posizionamento degli atteggiamenti, visualizziamo la situazione in cui un soggetto possiede i seguenti dati: un forte atteggiamento positivo verso l’imprenditorialità (per via della famiglia di imprenditori da cui proviene); non vede di buon occhio, ma è comunque tollerante, verso le discoteche; è avverso all’immigrazione in qualsiasi sua forma; non è sportivo ma ha una certa, seppur debole, simpatia verso la squadra di calcio della sua città; non ha assolutamente una propria opinione personale rispetto al tema “procreazione assistita (non ha mai incontrato nella sua vita il problema).

L’atteggiamento positivo verso l’imprenditorialità si collega, nel soggetto, ad un valore personale della tradizione familiare, in cui tutti sono stati imprenditori. Si lega inoltre alla cultura sociale del territorio, nella quale il lavoro pubblico è visto come declassante, e la conduzione di un’attività autonoma è segno di coraggio e virtù. In questo sistema mentale, il pianeta pubblico viene visto come il mondo della corruzione e del lassismo, il regno dei nullafacenti al quale non bisogna associarsi.

Per ogni atteggiamento, esistono ancoraggi valoriali e culturali, a volte chiari e decodificabili immediatamente, altre volte inconsci e subconsci.

È naturale che un qualsiasi tentativo di modificare queste situazioni preesistenti (tentativo di persuasione) si confronterà con la modifica dei valori sottostanti, e porrà problemi di diversa natura.

In generale si può affermare che quanto maggiore è la forza di un atteggiamento, e radicato il suo collegamento con altri atteggiamenti forti e valori elevati, tanto più alta è la difficoltà di cambiarlo. Atteggiamenti molto forti e radicati nel tempo sono difficili da cambiare. Là dove non esiste alcun atteggiamento specifico (ad esempio un tema sul quale l’individuo non ha mai focalizzato la propria attenzione) la creazione di un atteggiamento specifico risulta più semplice.

©Copyright. Articolo estratto con il permesso dell’autore dal libro di Daniele Trevisani: “Psicologia di Marketing e Comunicazione” Franco Angeli Editore, Milano

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Intenzionalità e processi cognitivi tra mente umana e intelligenza artificiale forte

Il termine mente è nel vocabolario comune associato all’insieme di attività che riguardano la parte superiore del cervello, tra le quali la coscienza, il pensiero, le sensazioni, la volontà, la memoria e la ragione. Oggigiorno la neurofisiologia si occupa dello studio e del funzionamento delle unità che compongono il nostro cervello: i neuroni e le reti neurali. Assieme alle cellule della neuroglia e al tessuto vascolare, compongono il nostro sistema nervoso. Grazie alle sue caratteristiche chimiche, fisiche e biologiche, i neuroni sono in grado di elaborare e trasmettere impulsi nervosi. Un errore da non commettere è quello di confondere la mente con il pensiero: quest’ultimo riguarda l’elaborazione di informazioni ottenute tramite l’esperienza (ovvero tramite gli organi sensoriali) vissuta dal soggetto da parte della mente stessa. Il pensiero è quindi solamente una delle tante attività che riguardano la mente, e che ha luogo nel cervello.

L’intenzionalità e i processi cognitivi nella mente umana

L’intenzionalità umana è definita come la caratteristica del pensiero umano che tende a qualcosa come ad un oggetto specifico. Come abbiamo precisato precedentemente, non ha a che vedere con il concetto di volontà e nemmeno con l’agire intenzionalmente. L’origine del termine deriva dalla filosofia scolastica ed è stato ripreso successivamente da Franz Brentano: per intenzionalità della coscienza intendeva infatti l’idea che essa sia sempre diretta verso un contenuto. Brentano ha considerato l’intenzionalità all’origine dei fenomeni psichici, distinguendoli così dai fenomeni fisici. In questo modo ogni tipo di attività mentale, che vada dal pensare, al desiderare, al credere, ha un oggetto di riferimento. Il concetto presentato da Brentano è irriducibile, è l’elemento fondamentale per la comprensione dei fenomeni mentali, ed è ciò che costituisce la stessa coscienza umana. Successivamente è stato l’allievo Edmund Husserl ad approfondire il concetto dell’intenzionalità, fino a definirlo come ciò che caratterizza la coscienza, oltre a definire gli stati mentali come Erlebnisse intenzionali o più semplicemente atti. Gli studi di filosofia della mente, nel corso del tempo, hanno contribuito a portare  la coscienza e l’intenzionalità ad avere un ruolo di primaria importanza per la comprensione delle attività celebrali. Proprio a partire dalla mente e tramite i processi cognitivi l’uomo ha la possibilità di formare ed aumentare le proprie conoscenze, le quali sono fortemente influenzate anche dal contesto culturale e dalle esperienze a cui il soggetto è sottoposto. Le esperienze ci permettono di avvicinarci a nuove situazioni diverse da quelle proposte dall’ambiente circostante quotidiano, e permettono un confronto con queste ultime.

In tal senso l’apprendimento parte proprio da questo confronto e può essere considerato come un processo di rinnovamento delle proprie conoscenze a partire dalle nuove esperienze. I metodi di apprendimento sono molteplici e non riguardano solamente l’ambito umano, ma anche piante, animali e alcune “macchine”. Vorrei qui approfondire la questione e differenziare le meccaniche di apprendimento in ambito umano e animale da quelle nell’ambito delle intelligenze artificiale. Per come si presenta la situazione al giorno d’oggi le macchine non possono pensare, ma è lecito chiedersi se esse possano imparare da noi, o da altre intelligenze artificiali. Anticipo che sì, sono in grado di farlo, ma prima di esaminare questo aspetto, concentriamoci sull’ambito del “naturale”.


Estratto dalla tesi di Laurea in Filosofia, Teorie e sistemi dell’intelligenza artificiale, a cura di Federico Malpighi. Alma Mater Studiorum Università di Bologna.

Dr. Daniele Trevisani - Formazione Aziendale, Ricerca, Coaching