Tag

power of awareness

Browsing

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Negoziazione interculturale. Comunicare oltre le barriere culturali. Dalle relazioni interne sino alle trattative internazionali”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore

Le barriere linguistiche e culturali

Una delle prime scoperte di chi si avventura al di fuori dei propri contesti culturali, è che le regole comportamentali funzionanti nella propria cultura si dimostrano fragili e poco produttive quando trasposte in un contesto estraneo. 

Vediamo alcuni esempi brevi:

  • Nella tua casa: da un pò vorresti trattare con un tuo familiare un argomento, ma ogni volta che ci provi la persona sfugge. Cosa sta accadendo?
  • Nella tua nazione: un cliente vorrebbe acquistare (un progetto, un prodotto) ma tu sai che l’acquisto è sottodimensionato, il problema che egli vorrebbe risolvere è grande e il budget non è sufficiente per dargli un risultato vero, come riesci a farlo capire?
  • Pechino. Ore 9,30, Hotel Sheraton. La delegazione dell’impresa cliente non è ancora arrivata, l’appuntamento era alle 9,15. Possiamo interpretarlo come una mossa tattica, o un reale ritardo? Volevano ritardare, o è successo qualcosa?
  • Mosca. Proponiamo alla controparte l’esclusiva del nostro prodotto sul territorio Sovietico, il benefit aggiuntivo della formazione del personale di tutta la loro rete vendita, ma la controparte si offende e chiude le trattative. Cosa è successo?
  • Buenos Aires. Le trattative per accedere agli appalti del ministero dell’industria sono interminabili, incomprensibili, oscure. Come comportarci?
  • Gerusalemme. Rappresentanti dei culti ebraico, cattolico e musulmano, ministri e rappresentanti politici si incontrano per negoziare una pace possibile, siete chiamati a condurre il dibattito, come evitare un conflitto?
  • Budapest. La direzione di stabilimento non riesce ad abbattere i difetti di produzione, ogni tentativo di intervenire in profondità è vano. Cosa fare?

In ogni situazione esemplificativa esposta, siamo di fronte alla problematica della negoziazione interculturale.

La capacità negoziale interculturale è nelle mani di chi è più abile nel gestire la comunicazione sul campo, applicando la consapevolezza culturale (power of awareness) in ogni singolo contatto. 

Ma vediamo qualche altra situazione.

  • Bologna, inizi del terzo millennio: un bambino di nove anni non vuole più andare alla scuola di calcio che frequenta già da due anni, preferisce giocare con i propri amici nel campetto, e di scuola di calcio e campionato non vuole più sentire parlare. Perché?
  • Monaco di Baviera: un marito trentenne, libero professionista, litiga con la moglie (stessa età) perché lui vuole fare i figli solo quando avranno una solida base economica, mentre la moglie vuole farli presto. Cosa succede?
  • Casa tua: ti svegli alla mattina e sai di aver fatto un sogno che ti ha colpito ma non riesci a ricordare i particolari. Cosa è successo?
  • Nel tuo ufficio o azienda: con un collega non riesci a capirti da tempo, sembrate parlare due lingue diverse, più ti sforzi e più non vi capite, cominci ad essere veramente stanco della situazione. Cosa sta succedendo in realtà?

In tutti questi casi entra – a vari stadi – la dimensione interculturale. 

Un denominatore comune accomuna tutti questi casi: le barriere linguistiche non sono nulla rispetto alla diversa visione del mondo che le persone portano con se, e alle diversità che esiste tra sè e gli altri, nonostante le apparenze.

Non vogliamo svelare o proporre soluzioni facili o immediate per tutti questi diversi casi (al massimo, possiamo proporre ipotesi), ma vogliamo dare solo un indizio sul caso che sicuramente risulta più strano e difficile da inquadrare come comunicazione interculturale: il ricordo di un sogno. Ebbene, come evidenziano diverse ricerche nel campo, anche il dialogo interno alla stessa persona (dialogo interiore) assume tratti del dialogo interculturale. 

Quando diversi stati di coscienza hanno difficoltà a dialogare tra loro, es: lo stato razionale della veglia contro lo stato inconscio e subconscio del sonno, si produce incomunicabilità interna. Questi stati sono dominati da logiche estremamente diverse, e riescono a trovare momenti di comunanza solo in rare occasioni (come negli stati di confine, di dormiveglia, i momenti nei quali nessuno dei due riesce a dominare l’altro).

Persino a livello interiore, quindi, troviamo sintomi di una condizione di dialogo interculturale.

Le barriere alla comunicabilità e i campi semantici

Abbiamo iniziato ad accennare, nel paragrafo precedente, al problema della diversa concezione del mondo prodotta dalla diversità culturale. 

Ma i problemi non si fermano qui. Nella comunicazione interculturale troviamo infatti una ulteriore barriera, in genere molto più evidente: una lingua diversa, un linguaggio diverso, un codice di comunicazione non comune, dei sottocodici (dialetti, linguaggi professionali) sconosciuti. 

È sufficiente sentir parlare tra di loro due astronomi o due fisici, mentre trattano un loro problema lavorativo, per sentirsi dopo pochi secondi completamente estranei, non riuscire a connettersi mentalmente con quanto essi stiano dicendo.

Anche in questo caso dobbiamo considerare un fenomeno importante: la diversità linguistica può essere evidente (macrodiversità: es., Cinese vs. Arabo), ma anche molto subdola e difficile da riconoscere, creando situazioni di microdiversità linguistica.

Esistono diversi linguaggi professionali all’interno della stessa lingua, e significati diversi applicati alle stesse parole.

Il problema della comunicazione non si limita alla traduzione tra lingue diverse, ma tocca anche il flusso di parole che intercorrono tra padre e figlio, cresciuti in due generazioni diverse, con modelli e linguaggi diversi, o tra dirigenti di diversi settori, i cui problemi e linguaggi divengono mondi separati.

Tradurre significa trasportare significati all’interno di altre lingue, ma anche, e soprattutto, consentire l’accesso ad un sistema di pensiero diverso.

Vediamo il seguente caso:

  • per gli Americani USA, “tomorrow” (domani, in italiano) significa dalla mezzanotte alla mezzanotte;
  • in Messico, “mañana” (sempre “domani” in italiano) significa “nel futuro”, ha senso posticipatorio generale, e non racchiude assolutamente un preciso arco di tempo.

Le due diverse concezioni non sono puramente linguistiche, ma si riferiscono ad una diversa percezione del tempo.

Quando due generazioni o due religioni dialogano tra di loro, il problema dell’interpretariato culturale si pone seriamente. Questo problema emerge anche nel dialogo tra due aziende, indipendentemente dalla lingua utilizzata.

La traduzione è in realtà un fenomeno molto più complesso. Ogni parola, ogni verbo, ha “campi semantici” (campi di significato) specifici e non traducibili esattamente nella lingua altrui. In alcuni casi, non esistono possibilità di traduzione – in molti casi, le parole e verbi non hanno alcuna corrispondenza esatta nelle culture e lingue altrui. 

Vediamo un esempio. Una società italiana si appresta ad avviare una attività produttiva in Cina. È alla ricerca di consulenze in loco per formare i quadri sui temi della leadership orientata alla qualità, l’impegno sui valori aziendali (commitment), la buona comunicazione interna. È alla ricerca quindi di formatori in comunicazione. Ma come farà a descrivere il proprio bisogno, quando la categoria “formatori in comunicazione” non è linguisticamente consolidata nella lingua cinese? E siamo sicuri che – qualora esista un termine similare – l’immagine mentale che in Italia corrisponde al “formatore” sia la stessa nella mente del ricevente cinese? Pensare che le immagini mentali tra due soggetti possano combaciare perfettamente è una pura illusione.

Esistono problemi interculturali anche quando si parla di comunicazione tra sessi. Se solo riflettiamo su quanta diversità esista tra un uomo e una donna latini sul concetto di “avere una relazione”, o “fare l’amore”, e altri concetti simili, possiamo capire che la dimensione interculturale sia presente in ogni istante quotidiano.

Ma torniamo alla nostra dimensione italo-cinese. Di quale forma di comunicazione stiamo parlando? In Cinese esistono almeno due termini (ideogrammi) per descrivere la “comunicazione”, ed almeno tre parole che possono vagamente avvicinarsi al senso del termine “formatore”. Siamo certi di poter tradurre correttamente o che il traduttore lo faccia?

Anche lingue molto simili (italiano e spagnolo) possono dare origine a problemi di traduzione, a volte proprio per la similarità del sound o della parola. 

La parola “imbarazzata” in italiano ha un significato (all’incirca, essere a disagio), mentre in spagnolo la parola “embarazada” significa essere incinta. La stessa similarità nella radice della parola genera problemi nel parlante americano che si rapporta ad un parlante spagnolo dicendo “I am embarrassed” (sono imbarazzato), che può essere decodificato come “sono incinto”.

Il problema interculturale non parte solo dalla distanza chilometrica, ma può prodursi nel raggio di pochi metri. 

Ogni dialetto è pieno di parole che non possono essere tradotte nella lingua ufficiale.

Le distanze psicologiche e comunicative

Sentire la “distanza” tra persone è un fatto comune, quotidiano. Sentirsi lontani anche quando si è vicini fisicamente, cercare un contatto e non trovarlo, non capire le mosse di avvicinamento altrui, i desideri di un rapporto più profondo, o i segnali che gli altri ci lanciano. È un aspetto comune della vita.

Possiamo però, ed è questo il gioco interessante – cercare di ridurre queste distanze, se e quando lo desideriamo interiormente – nel caso delle amicizie e rapporti intimi. 

In questi casi, o quando sia importante in termini di business, è possibile mettere in atto dei dispositivi che ci permettano di cercare l’avvicinamento, ridurre la distanza e allontanare l’incomprensione.

Tra i principali errori della comunicazione vi è quello di illudersi che le persone siano tutto sommato simili in termini di opinioni, linguaggi, atteggiamenti, valori di fondo, visioni del mondo

Questa presunzione porta a considerare la trasmissione di un’idea o concetto che noi consideriamo ovvio e semplice, un fatto quasi “automatico”, mentre nella realtà le cose non stanno così.

Una ulteriore illusione è che la comunicazione interculturale richieda poco sforzo o impegno. Alcuni pensano di risolvere i rapporti con mogli, mariti figli, colleghi, parlando ad un cellulare per pochi minuti. Fossero anche ore, la qualità comunicativa rimarrà comunque inadatta al problema.

La vera negoziazione interculturale richiede tempo, impegno, dedizione, contatti interpersonali e ampio “lavoro di rapporto” che non si conclude con un email o una telefonata.

Se vogliamo essere efficaci sul piano interculturale dobbiamo utilizzare i tempi adeguati e i mezzi di contatto adeguati.

I critical incidents (casi critici, positivi o negativi) sono di estremo aiuto per scoprire alcuni meccanismi di relazione che non funzionano, comportamenti e atteggiamenti che creano difficoltà nei rapporti e nelle negoziazioni, dove non sia stato dedicato il tempo sufficiente a lavorare sul rapporto, a chiarire le diversità, o non siano stati utilizzati i mezzi di contatto più efficaci, da parte nostra o dagli altri.


Altri materiali su Comunicazione, Coaching, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Siti in sviluppo

Le parole chiave di questo articolo Le barriere comunicative e le distanze psicologiche sono :

  • Barriere comunicative
  • Barriere culturali
  • Barriere linguistiche
  • Campi semantici
  • Comunicazione interculturale
  • Consapevolezza culturale
  • Contesto culturale
  • Critical incidents
  • Dialogo interculturale
  • Dialogo interiore
  • Distanze psicologiche
  • Diversità culturale
  • Immagine mentale
  • Microdiversità linguistica
  • Negoziazione interculturale
  • Power of awareness
  • Problema interculturale
  • Regole comportamentali
  • Visione del mondo

 

Articolo estratto dal testo “Negoziazione Interculturale. Comunicazione oltre le barriere culturali“, copyright FrancoAngeli Editore e Daniele Trevisani, pubblicato con il permesso dell’autore.

__________

La dimensione temporale e la percezione che ognuno di noi ha del tempo comunicativo variano su base culturale. Per questo motivo è importante analizzare attentamente questa tematica e imparare ad utilizzare con efficienza i tempi comunicativi negoziali.

La negoziazione è una sequenza di attività comunicative nella quale i partecipanti si impegnano per raggiungere un risultato reso possibile solo da una forma di accordo tra le parti. Trovare l’accordo che soddisfi entrambi, e capirsi bene, sono quindi fattori di successo evidenti, e impegnano il tempo comunicativo.

Ogni negoziazione si può considerare interculturale quando i soggetti che vi partecipano provengono da culture diverse, sono portatori di un bagaglio di esperienze diverse o utilizzano linguaggi diversi.

La diversità immette nel campo negoziale ampi margini di errore e fraintendimento: ogni messaggio che funziona nella propria cultura rischia di essere frainteso nelle culture diverse dalla propria. Una delle dimensioni di maggiore variabilità culturale è il “senso del tempo” e la gestione del tempo (time management), e questo lo ritroviamo anche nei tempi della negoziazione.

Ogni cultura ha i propri “tempi negoziali” e prassi negoziali latenti, così come il tempo ha valori e strutture diverse: per un negoziatore italiano, per esempio, può essere necessario concentrarsi sulla storia di chi ha di fronte, valutare la sua credibilità, e fare dei test, dei piccoli passi di avvicinamento prima di concludere qualcosa di grosso; mentre per un negoziatore statunitense avremo una diagnosi del potenziale del soggetto, una valutazione di quanto l’accordo con questo soggetto può rendere, e un immediata concretizzazione.

Teniamo sempre in considerazione che questi timelines sono estremamente variabili anche all’interno della stessa cultura, e che nulla garantisce che un brasiliano chiunque altro si comporti secondo il timeline stereotipico e sia “maschera” della propria cultura.

Quando la negoziazione interculturale prende piede, i diversi modi di concepire il contatto rischiano di trasformarsi in scontro, o in disagio per entrambe le parti.

Ogni volta che un diverso sistema culturale (valori, credenze, pensieri, convinzioni, modi di espressione) viene a contatto, abbiamo un certo grado di interculturalità, e la diversità è spesso molto più ampia di quanto pensiamo.

Il contatto tra culture è una dimensione sia di stress che di crescita formidabile per l’essere umano. I risultati della diversità possono produrre creatività ed eccitazione, ma anche incomprensione e disaccordo.

Uno dei suggerimenti più importanti per i negoziatori interculturali è quello di cercare di condividere un timeline negoziale, cercare un’intesa sul metodo per collaborare efficacemente, ed evitare disaccordo e incomprensione.

Le radici del disaccordo sono da ritrovare sia (1) nell’incomprensione, nel non capire i segnali lanciati dall’altro, decodificarli erroneamente, o (2) nelle divergenze ideologiche di fondo.

Le radici dell’incomprensione stanno invece nella complessità dello scambio informativo umano, nella dimensione tecnica della comunicazione.

Le persone che operano nella stessa cultura sanno muoversi all’interno di un timeline condiviso, sono generalmente in grado di comprendere le sottili differenze sottostanti l’uso delle parole, i segnali non verbali, i gesti, le espressioni corporee, mentre chi non condivide questo bagaglio ne è spesso al di fuori.

Queste diverse basi di partenza, se non ben comprese da entrambi gli interlocutori, generano una situazione interculturale latente che può portare all’inefficacia della relazione (nei casi migliori) o al conflitto (nel caso peggiore).

In ogni conversazione o negoziazione, idealmente, gli interlocutori devono essere consapevoli delle diversità culturali in gioco.

Il grado di comprensione della dimensione interculturale dovrebbe essere – a livello ottimale – presente in entrambi gli interlocutori. È sufficiente tuttavia che anche solo uno di questi avvii una consapevolezza aumentata affinché aumentino le chance di migliorare la comunicazione.

Da un lato, quindi, la consapevolezza delle dimensione interculturale è un fattore positivo per il rapporto. Da un altro lato, essa diviene leva di potere. Il potere della conoscenza (power of knowledge) delle dinamiche di comunicazione interculturale si traduce nel vantaggio pratico del capire – meglio dell’altro interlocutore – “cosa sta succedendo qui”, e determina quindi potere della consapevolezza (power of awareness).

Il tempo soggettivo inoltre può scorrere attraverso un libero fluttuare dell’esperienza, o – sul lato opposto – entro schemi rigidi e strutturati.

Per concludere quindi possiamo affermare che, per quanto riguarda i tempi negoziali, la comunicazione efficace richiede:

  • La capacità di dare struttura ai tempi negoziali, identificando le fasi attraverso le quali si intende procedere.
  • La capacità di immettere nelle strutture dei tempi negoziali sia una struttura adeguata ai nostri goals, che un grado di adattamento alla cultura della controparte.
libro "Negoziazione Interculturale" di Daniele Trevisani

Per approfondimenti vedi:

Dr. Daniele Trevisani - Formazione Aziendale, Ricerca, Coaching