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Articolo estratto dal testo “Parliamoci Chiaro: il modello delle quattro distanze per una comunicazione efficace e costruttiva” copyright Gribaudo Editore e Daniele Trevisani, pubblicato con il permesso dell’autore.

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Continuando a parlare di distanza del Self, ci immergiamo oggi nei territori psicologici, cercando di capire come creare e invaderne i confini, sempre nel rispetto dell’altro e pronti ad affrontarne le conseguenze.

Il tentativo di controllo dell’identità altrui è uno dei fattori di incomunicabilità e conflitto più forti. Voler prendere e pretendere il possesso del territorio psicologico altrui è una forma di sopruso che si accetta solo quando costretti. Quando uno dei due soggetti, senza interpellare l’altro, decide in autonomia quale sia l’area di interessi comune o la sfera condivisa, si apre un possibile conflitto.

È vero che qualcuno deve “fare la prima mossa”, ma si tratta di un insieme di mosse cooperative, di un “sondarsi reciprocamente”, e non di un imporsi reciprocamente.  L’imposizione negoziale richiede un potere contrattuale enorme e non è la formula ideale per la crescita di un rapporto. 

L’imposizione è possibile solo sotto forma di proposta, che può sembrare una comunicazione dura, ma è invece una comunicazione in stile “parliamoci chiaro” e offre spazio per dire che le cose non devono essere esattamente così. Si chiariscono in questo modo i punti fondamentali, esplicitando la propria visione delle cose e la propria prospettiva dell’area condivisa e, nello stesso tempo, si offre la necessaria marginalità discrezionale (fosse anche solo un prendere o lasciare, nel caso peggiore).  Vi è quindi una ricerca della zona comune, dove si esplorano i possibili confini e l’area condivisa può essere negoziata.

La mancanza di esplicitazione è un problema molto forte che crea conflitto e incomunicabilità. Caso diverso è quello in cui qualcuno menta, dichiari il falso, o anche solo affermi ciò che non sa. Questo discorso è diverso e ci porta verso il tema del riconoscimento delle bugie (lie detection), che richiede forte abilità sia a livello percettivo che di comunicazione non verbale. 

Quello che preme, adesso, è evidenziare che nessuno ha il potere di imporre l’identità di qualcun altro, perciò bisogna chiedersi: “la sfera d’interessi comune tra persone che negoziano è stata sufficientemente esplorata?”

Esiste chiaramente anche un’area della propria sfera di interessi o di ruolo che non si vuole condividere con l’interlocutore e viceversa, e questo va bene! Nel tempo, le cose potrebbero variare, l’area condivisa potrebbe allargarsi, ma la cosa essenziale in una relazione e in un parlarsi chiaro, è che la mia vita è mia e ne condivido la parte che voglio, la tua vita è tua e ne condividi la parte che vuoi. Se qualcuno obbliga l’altro, ci devono essere ottimi motivi per farlo, e potrebbe in ogni caso non funzionare. 

Mosse di invasione e mosse di rispetto

Una qualsiasi delle nostre affermazioni o risposte può assumere il valore di “mossa relazionale” se in qualche modo va ad alterare lo scacchiere delle forze in corso tra due persone. 

Una mossa di invasione dei territori psicologici è l’uso dell’imperativo, anche se usato in tono pacato. Questo rende subito la comunicazione di tipo top-down, da superiore ad inferiore, e non è assolutamente detto che funzioni se l’altro non si percepisce tale.

Una mossa di rispetto dei territori psicologici è invece: “se puoi, mentre vai a fare le fotocopie, potresti fare anche questa per me? A buon rendere ovviamente!”. Tale approccio, oltre ad essere più “leggero”, si pone come comunicazione da pari a pari. E non è detto che questo vada bene, se invece la comunicazione deve essere da capo a subordinato. 

L’essenziale è capire il valore relazionale e strategico che una mossa comunicativa porta con sé. Ogni parola, gesto del corpo, lettera, messaggio, ha valore di azione e come tale ha valore strategico.

Quando si applicano mosse di invasione o appropriazione impropria dello spazio dell’interlocutore, possono innescarsi sistemi di reazione basati sulla fuga e l’allontanamento, ma anche sul contro-attacco e  sull’aggressione.  

L’invasione dei territori psicologici consiste appunto nel percepire un ingresso indebito nella sfera dei propri interessi senza che questo ingresso sia voluto né gradito. Ma anche la mancata consultazione su una materia di nostra pertinenza, quando dovuta, è una forma di non rispetto del territorio psicologico. 

Mancata cultura dei confini

I limiti di autonomia sono uno dei fattori più incisivi sul piano delle comunicazioni aziendali interne. Quando questi limiti sono poco chiari, l’invasione dei territori psicologici diventa continua, alimentata da una scarsa cultura dei confini, da un’assenza di cultura della definizione degli spazi. 

Nella comunicazione assertiva, è possibile applicare un meccanismo che possiamo denominare “fino a qui” e “non oltre qui”, che definisce chiaramente qual è l’area entro la quale l’altro potrà giocare e qual è l’area in cui non accettiamo invasioni di campo. Come è evidente, senza applicare questo metodo, non si produrrà alcuna comunicazione assertiva. E a forza di ingurgitare invasioni di campo, si rischia il botto finale, l’esplosione di rabbia dovuta a tanta, troppa sopportazione. Meglio segnalare le mosse quando non vanno, che aspettare di esplodere. Questo è un principio sacro del “parlarsi chiaro”. 

Conclusioni

Per concludere, la comunicazione efficace richiede: 

  • comprensione di quali siano i territori psicologici altrui; 
  • comprensione di quali territori psicologici siano determinati dalla cultura di appartenenza della controparte (etnica, religiosa, professionale);
  • atteggiamenti iniziali di rispetto e limitazione degli ingressi nei territori altrui ove non si siano creati gli spazi di relazione adeguati; 
  • difesa attiva dei propri territori psicologici e dei propri confini e margini di decisionalità, quando il non farlo minacci la sovranità del proprio spazio psicologico. 
libro "Parliamoci Chiaro" di Daniele Trevisani

Per approfondimenti vedi:

Dr. Daniele Trevisani - Formazione Aziendale, Ricerca, Coaching