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Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele TrevisaniIl potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance”. Franco Angeli editore, Milano.

Come funziona e che tipologie conosciamo

Il training psicoenergetico consiste nel lavoro mirato e finalizzato ad incrementare le energie psichiche.

Il confine tra training psicoenergetico e terapia è in alcuni casi molto evidente, in altri labile, in altri casi si evidenziano sovrapposizioni.

In ogni caso, il training psicoenergetico si prefigge di portare il soggetto ad una maggiore condizione di sane energie psicologiche, autorealizzazione, potenziamento, nella direzione di ciò che egli stesso considera “miglioramento”, o, come evidenzia Rogers, ad aumentare il livello di potere personale che deriva dalla riduzione della confusione interiore.

Il training psicoenergetico ha una forte componente terapeutica poiché si prefigge di rimuovere i blocchi e cambiare modalità di pensiero disfunzionali per il soggetto, e tuttavia non è assolutamente limitato alla terapia. Ad esempio può usufruire del training psicoenergetico un atleta di livello mondiale, ma anche di livello amatoriale, che non presenti problemi particolari o patologie di tipo psicologico o emozionale, ma sia comunque intenzionato a migliorare le proprie prestazioni ricorrendo ad migliore gestione delle energie psichiche.

Nessun essere umano è perfetto, e lo stesso concetto di perfezione è variabile e indefinito.

I livelli nei quali si può cominciare a parlare di terapia e non più di formazione o sviluppo non sono assolutamente fissi, ed è oramai consolidato (vedi Goffman) che la devianza sociale e la malattia psichica sono gran parte frutto di una valutazione sociale e culturale.

In tempi storici o culturali di iperproduttività, può essere considerato anomalo un soggetto che “si rilassa” o non produce reddito tutto il giorno, ma al contrario può succedere che una persona estremamente dedita al lavoro venga inquadrata come malata (workaholic), da parte di una cultura più spirituale o votata alla ricerca di maggiore equilibrio tra vita e lavoro (work-life balance).

La psicoenergetica quindi deve per quanto possibile evitare di imporre sovrastrutture rigide al percorso di sviluppo delle energie psichiche (es.: sii più produttivo, o al contrario, sii più rilassato, etc., come se questi messaggi andassero bene per tutti) ma aiutare il soggetto a crescere in una direzione di maggior benessere soggettivo, che deriva unicamente da un’analisi dell’in­dividuo, caso per caso. Esistono alcuni parametri universali, salute fisica rispetto di se e degli altri, che fanno comunque da sfondo a qualsiasi lavoro.

Liberare il potenziale dai blocchi crea maggiori capacità di sviluppare il proprio essere, in qualsiasi direzione esso sia: l’ambizione di voler essere un buon padre, un buon manager, un buon atleta, un buon insegnante, il desiderio di voler essere più rilassati, o più attivi e dinamici, o più lucidi mentalmente o e altri stati soggettivi definibili come condizione-target.

Il training psicoenergetico procede – come per il training bioenergetico – tramite sessioni ed esercizi.

Il training psicoenergetico allena diverse porzioni separate, con lo scopo di eliminare i blocchi prioritari responsabili del mancato raggiungimento del potenziale.

Possiamo quindi avere diversi tipi di training, ad esempio:

  • un training sulla cultura dei confini: imparare a dividere e separare le attività, concentrare le energie mentali nello spazio e nel tempo in modo diversificato, imparare a concentrarle su un obiettivo rimuovendo le distrazioni e distorsioni, imparare a riconoscere i propri ruoli multipli, a capire quando un ruolo deve rimanere “zitto” e lasciare spazio ad altri;
  • un training sulla riduzione dell’ansia: l’ansia, abbiamo visto, è un correlato tra livelli di attivazione elevata (arousal) e emozioni negative. Possiamo imparare a mantenere alto il grado di attivazione, spostando invece il baricentro emotivo verso le emozioni positive, ad esempio vivere con gioia una gara, un discorso in pubblico, un viaggio in aereo, e altre condizioni specifiche che per la persona producono ansia;
  • un training sulla gestione dello stress: imparare i meccanismi di riconoscimento del proprio grado di stress, imparare le tecniche di rilassamento, imparare le tecniche di dissipazione dello stress attraverso attività fisiche intense o blande, imparare a costruire e seguire una tabella di stile di vita (lifestyle) e stile di pensiero (thinkstyle) che abbassino i livelli di stress;
  • un training sulle action lines (costruire linee di azioni efficaci verso i propri obiettivi) che aumenti la lucidità tattica, le prioritization skills (tecniche per inquadrare le priorità): imparare tecniche per rivedere le priorità, ricentrare gli obiettivi, focalizzare bene le linee d’azione che possono creare risultato;
  • un training sulle capacità di percezione e timing, ovvero sulla capacità di percepire in modo aumentato e di intervenire nel momento giusto, sulle situazioni nelle quali si deve agire.

Ciascun tipo di intervento deve essere consolidato in uno sfondo scientifico (un modello di intervento) e deve essere portato allo stato della comprensione da parte del soggetto, amplificato nel senso, anche tramite metafore, aforismi, studio di casi. Le azioni ed attività elencate sono puramente indicative, ogni area che abbiamo menzionato, attiva nel produrre o ridurre energie mentali, è suscettibile di essere esercitata, allenata, lavorata, anche e soprattutto con l’aiuto di coach, trainer o counselor professionali.

Altri materiali su Comunicazione, Coaching, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

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Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele TrevisaniIl potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance”. Franco Angeli editore, Milano.

“No pain, no gain”

Accanto alla abilità di trasformazione del vissuto del dolore, e gestione delle proprie forze, troviamo la capacità di percepire finemente il tipo di dolore o fatica in corso e distinguerne le tipologie.

Il dolore (negativo) di una articolazione infiammata è completamente diverso dal dolore di un muscolo in fase di allenamento intenso.

Continuare ad allenare un articolazione infiammata è distruttivo, avere questo tipo di dolore non è un obiettivo, è il dolore che porta alla distruzione. Il dolore muscolare positivo ha una sua riconoscibilità. L’atleta viene allenato e apprende a distinguere diversi tipi di dolore, quello che si accompagna ad un trauma, quello da fatica (es. acido lattico) e quello che fa crescere.

Lo stesso vale per la fatica mentale, la fatica che distrugge e quella che fa crescere hanno colori diversi e bisogna imparare a riconoscerle.

Esiste un dolore mentale legato al cambiamento di abitudini, e la psicoterapia porta spesso a momenti di dolore legato ad uno stacco dalle proprie abitudini consolidate.

Anche lo studio può portare fatica ma successivo appagamento.

Il dolore e la fatica possono anche riguardare l’intero corpo, e non zone specifiche, come in sport completi quali la boxe, il nuoto, il tennis e altri. Il senso generale di affaticamento pervade tutto il corpo. Vivere entro questo stato e continuare a lavorare entro lo stato è una competenza mentale.

La crescita di un bodybuilder si costruisce proprio tramite esaurimenti programmati. Avviene unicamente quando il muscolo viene portato ad esaurire le proprie energie sino (o vicino) al punto di cedimento, il punto in cui non si riesce più a muovere un certo carico allenante.

Questo sfinimento programmatico produce dolore, e il recupero successivo produce crescita.

Un celebre motto del pluricampione del mondo Arnold Schwarzenegger, in campo agonistico, recita “no pain, no gain”, cioè senza dolore non c’è crescita. Messaggio utile in alcune fasi di preparazione, ma pericoloso se applicato da incoscienti o preso come religione di vita da applicare in ogni campo e momento.

Attenzione: il fattore di crescita non è il dolore in sé. Non è il dolore a far crescere, ma il tipo di lavoro e di sforzo intenso necessario. Spesso questo sforzo si accompagna a stati dolorosi, soprattutto nella parte finale degli esercizi. Un coaching di qualità deve anche lavorare sulle training experience, le esperienze e sensazioni allenanti, e far capire il valore e il piacere che si può legare a questi momenti di fatica in cui però si genera crescita.

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Articolo estratto dal testo “Self Power, psicologia della motivazione e della performance“, copyright FrancoAngeli Editore e Dr. Daniele Trevisani Formazione Aziendale e Coaching, pubblicato con il permesso dell’autore.

Training e coaching atti a potenziare la corteccia

Si tratta della zona celebrale che ci mette in grado di elaborare le emozioni positive e cogliere il bello e il piacere degli elementi della vita e dell’ambiente che ci circondano. Se questa zona non viene allenata, come un muscolo in disuso, si riduce in termini di potenza e capacità, per cui rimaniamo in balia della sola corteccia prefrontale destra e di un continuo vissuto negativo.

Le neuroscienze ed il coaching basato sulle neuroscienze in questo sono di grande aiuto, pratico e concreto, con esercizi fattibili da chiunque. Per apprendere questi temi, la sola lettura non è sufficiente, ma serve la partecipazione ad allenamento speciali.

E anche la perseveranza non deve mancare. Se da un corso non traiamo niente, cambiamolo, senza troppe recriminazioni, finchè non troviamo qualcosa che funzioni su di noi. Se senti una pulsione verso una crescita vuol dire che quella voce va ascoltata, è una voce importante da non seppellire mai.

Ecco un paio di esempi di casi:

  • Esempio in ambito sportivo:
    Obiettivo: riprendere il gusto del ring, assaporare ogni attimo. Questo significa, per un atleta che ha già vissuto un intera vita nello sport, rinascere prima di tutto nelle emozioni, poi come atleta. Riscoprire come in ogni singolo colpo si attiva la catena muscolare dalle dita sino al capo, sentire il respiro dell’aria fresca usciti dalla palestra, il piacere del sudore, ascoltare i segnali del corpo. Far diventare il giorno della gara, tra luci e riflettori con telecamere di tv di tutto il mondo puntate addosso, come un momento di gioia, liberi dal giudizio, un momento di vita pura.
  • Esempio in campo manageriale:
    Per un dirigente riscoprire il gusto di fare un colloquio in profondità, anziché un rapido giro di telefonate. Conoscere le persone e sapere su chi poter contare cogliendo la felicità di chi sente di avere un potere di osservazione nuovo, potente e una dote nascosta finora mai usata. Divertirsi ad esaminare e se necessario smontare le argomentazioni e le riunioni, padroneggiare le riunioni anziché esserne dominato, guadagnarsi la leadership sul campo e non tramite pezzi di carta. Lavorare e vivere meglio.

In entrambi i casi, il lavoro sulla corteccia prefrontale sinistra è partito con osservazioni, di quanto ci fosse di piacevole nell’ambiente umano e fisico potenziale, per poi passare a esercizi di bioenergetica in acque termali, con esercizi di percezione aumentata dei segnali positivi circostanti, dati da immagini, suoni, luci, sensazioni interiori. Poi i role-playing, gli esercizi con “stop dell’azione” e osservazione aumentata, e tante altre fasi di training operativo e non solo teorico.

In tutti i casi si assiste ad un meccanismo unico: lo spalancarsi delle capacità di sentire, il percepire gli elementi e i momenti della vita, e un fantastico trascinamento positivo di questa capacità sia nell’azione che nella vita quotidiana.

Ri-allenare la corteccia prefrontale sinistra significa far assaporare ogni singolo boccone di vita e sentire ogni momento nella sua sacralità, anzichè vivere la giornata o una performance senza sentirne i profumi, i colori, il tatto, i suoni e le sensazioni interne che ti possono produrre.

Se non impari e ti alleni a cogliere le sensazioni positive enormi e immense nessun altro lo farà per te.

Per approfondimenti vedi:

Anteprima editoriale esclusiva per i lettori del blog, realizzata dall’autore del libro, articolo condivisibile, si prega di citare sempre la fonte. Per ricevere altri articoli appena escono, iscriversi al blog https://studiotrevisani.it sulla destra in alto, inserire la mail e fare clic su “segui il blog”.
© Daniele Trevisani, Volume “L’ascolto Attivo: Metodi e Strumenti per l’ascolto attivo ed empatico”. Anteprima editoriale, Franco Angeli editore Milano, 2019.

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Non parlerò subito del cellulare, ma di un tema che aiuta a capire perchè questo cellulare è importante, e cosa c’è dietro.

Il tema è l’ascolto, l’ascolto di se stessi, la percezione olistica di sè e degli altri, un’attività fondamentale.

Facciamo un esercizio in 3 fasi. Localizzare

  1. aspetti che ci caratterizzano,
  2. i nostri “tag”,
  3. i nostri “target”
    Se ascoltare bene gli altri è difficile, ancora di più lo è ascoltare se stessi.

Possiamo avvicinarci all’ascolto di noi stessi in tanti modi.

Il primo è un modo meditativo, stendersi e da sdraiati ascoltare le voci o meglio il dialogo intrapsichico, quello che “ronza” nella nostra testa, soprattutto quando ci poniamo la domanda “chi sono io”.

Sono tecniche molto valide ma vanno guidate da un Maestro, coach o counselor.

Un’alternativa possibile è un lavoro più “attivo”. In questo ci poniamo domande su:

  1. la mia identità personale, il “chi sono io”
  2. “Tag” descrittivi della mia identità, le parole o aggettivi o frasi che caratterizzano la mia identità,
  3. gli “altri significativi” o ” significant others”, le persone che contano per me e alle quali voglio comunicare la mia identità.

Esempio

  • Chi sono io? (definire o completare questa domanda)
  • Quali keywords mi caratterizzano, connesse all’identità? Che keyword metterei per descrivere me stesso? (definire o completare questa domanda)
  • Gli altri significativi percepiscono questi tag o stati della mia identità o no? (definire o completare questa domanda)
  • Quale è il mio Target Audience? Singolo o multiplo? Verso chi voglio comunicare? Verso chi voglio produrre degli effetti comunicativi, effetti derivanti dal mio mix di comunicazione olistica, di messaggi che emano? (definire o completare questa domanda)
  • Riusciamo a creare percezione di verità, e quindi affidabilità? (definire o completare questa domanda)

Tag: etichette che comunicano

Esaminiamo la questione dei “tag” o etichette. Cosa vede di noi un robot?

Questo è un esempio dei tag rilevati da un motore di ricerca rispetto a tutti i miei video del mio canale YouTube principale.

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E’ una visione – parziale, riduttiva, sintetica – nella quale io tuttavia mi ritrovo. Parla di me.

Questa mappa di significati raccoglie elementi persino dell’ultimo video appena caricato, nel quale compare persino il tag “significato dei tatuaggi”, e che mi piaccia o meno, così mi vede il software, così mi caratterizza, e molto probabilmente, queste sono le “cose” che pensano di me le persone che non mi conoscono soprattutto tramite YouTube.

A distanza di 3 settimane, ripeto l’analisi e trovo questi tag, in parte coincidenti, in parti no.

daniele trevisani, coaching, libertà, comunicazione, formazione, vita, crescita personale, emozioni, formazione vendite, formazione aziendale, master in coaching, empatia, psicologia umanistica, export, creatività italiana, leadership e valori, formazione in leadership, formazione coaching, formazione formatori, coscienza, valori umani, personal coaching, analisi esistenziale, psicologia del ruolo, ruolo, missione aziendale, missione personale, senso della vita, business coaching, direzione, ruoli aziendali, autorealizzazione, vivere, risveglio, ascolto empatico, ascolto modellizzato, psicologia, ascolto attivo, counseling, corsi vendite

Anche questa versione parla di me, ma è più aggiornata, riflette maggiormente i temi che ho trattato nelle ultime settimane, compare ad esempio la parola “empatia”, e “ascolto attivo”.

La domanda ora diventa difficile: riesco io con il mio ascolto a cogliere il variare di me stesso?

Se ci guardiamo allo specchio ogni singolo giorno, probabilmente non ci vedremo cambiare. Ma se prendiamo una foto di 20 anni fà, ci vedremo cambiati eccome.

Ecco, l’ascolto di sè vuole potenziare la nostra facoltà nel leggere noi stessi e le nostre variazioni.

Rispetto al mondo esterno, il fattore che vogliamo chiederci è invece quanto l’ascolto di noi stessi trovi riscontro all’esterno.

Siamo per gli altri la stessa persona che vediamo in noi stessi?

Curiosamente, e molto probabilmente, no, o almeno ci saranno 20 immagini diverse di noi in una stanza con 20 altre persone che ci osservano.

Dobbiamo quindi concentrarci, e farlo sulla nostra “credibilità percepita”.

Che io sia percepito come una fonte autorevole (alta source credibility) o scarsamente autorevole (bassa source credibility) influenza in modo determinante il “processing” del messaggio che voglio far passare, la sua elaborazione, la sua ricezione, e l’effetto di persuasione alto o invece basso o nullo.

L’elaborazione del messaggio avviene non tanto in base al messaggio che io “penso” di avere dato ma in base alla ricezione olistica di tutti i messaggi che trasudano da me, dal mio essere, dalla mia identità, dai miei “segni distintivi”.

Al di là di chi cerca di fregare il prossimo, la “percezione di verità” è uno degli effetti che i comunicatori cercano, oltre il messaggio, il fatto di essere percepiti come persone che comunicano in modo “vero”. Queste percezioni caratterizzano il mio modo di comunicare e lo alterano, a seconda che io ci riesca o meno.

Non potendo avere una macchina del tempo per sapere chi ero veramente prima e la mia storia vera, i riceventi del messaggio vanno avidamente a caccia di dissonanze comunicative, incongruenze, segnali di stress vocale, di imbarazzo, di segni e simboli concordanti o discordanti che io come comunicatore “emano”, persino della mia macchina o del mio pc o del mio telefono.

Un telefono non emana solo radiazioni, ma anche informazioni sul possessore. Solo ieri, vicino ad una gelateria, ho trovato un telefono abbandonato. Sono stati sufficienti 50 centesimi di secondo, una percezione istantanea, per capire che apparteneva ad una ragazzina, in base alla farfallina rosa adesiva, alle scritte sulla cover, e altri piccoli dettagli, senza nemmeno aprirlo.

L’ho portato alla gelateria, dicendo che probabilmente una ragazzina lo aveva dimenticato e sarebbe venuta a cercarlo. Possibilità di errore? Meno dell’1%.

Le persone utilizzano, in altre parole, un sistema di comunicazione olistica e ascolto olistico, giudicano e ricostruiscono in base a pochi segnali indicatori “trigger”, e la probabilità di una percezione vicina alla realtà è abbastanza alta, almeno se conosciamo il “sistema dei segni” o ambiente semiotico nel quale ci stiamo muovendo.

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Anteprima editoriale esclusiva per i lettori del blog, realizzata dall’autore del libro, articolo condivisibile, si prega di citare sempre la fonte. Per ricevere altri articoli appena escono, iscriversi al blog https://studiotrevisani.it sulla destra in alto, inserire la mail e fare clic su “segui il blog”.
© Daniele Trevisani, Volume “L’ascolto Attivo: Metodi e Strumenti per l’ascolto attivo ed empatico”. Anteprima editoriale, Franco Angeli editore Milano, 2019.

 

https://youtu.be/SdYCohi9fQY

Comunicazione olistica: il comunicatore viene prima della comunicazione.

Copyright dott. Daniele Trevisani https//studiotrevisani.it

Esercizio in 3 fasi. Localizzare aspetti che caratterizzano

1) la mia identità personale, il “chi sono io”

2) Tag descrittivi della mia identità, le parole o aggettivi o frasi che caratterizzano la mia identità,

3) gli “altri significativi” o ” significant others”, le persone che contano per me e alle quali voglio comunicare la mia identità

  1. Chi sono io?
  2. Quali keywords mi caratterizzano, connesse all’identità? Che keyword metterei per descrivere me stesso?
  3. Gli altri significativi percepiscono questi tag o stati della mia identità o no?
  4. Quale è il mio Target Audience? Singolo o multiplo?
  5. Verso chi voglio produrre degli effetti comunicativi, effetti derivanti dal mio mix di comunicazione olistica, di messaggi che emano?
  6. Riusciamo a creare percezione di verità, e quindi affidabilità?

Esaminiamo la questione dei “tag” o etichette. Cosa vede di noi un robot? Questo è un’esempio dei tag rilevati da un motore di ricerca rispetto a tutti i miei video youtube

comunicazione, formazione, coaching, emozioni, daniele trevisani, libertà, formazione vendite, formazione aziendale, crescita personale, analisi della comunicazione, counseling, psicologia, analisi della comunicazione umana, dott. daniele trevisani, incomunicabilità, sfondi emotivi, comunicazione umana, comunicare in pubblico, sviluppo personale, corsi di comunicazione, formazione in comunicazione, potenziale espressivo, parlare in pubblico, public speaking, ansia, benessere, evoluzione culturale, stati emotivi, pulizia mentale, mappe mentali, memetica, abbigliamento, aspetto esteriore, tatuaggi, canali, consapevolezza aumentata, emanazione del sè, comunicazione degli ambienti, ambienti, corpo

E’ una visione – parziale, riduttiva, sintetica – nella quale io tuttavia mi ritrovo. Parla di me.

Questa mappa di significati raccoglie elementi persino dell’ultimo video appena caricato, nel quale compare il tag “significato dei tatuaggi”, e che mi piaccia o meno, così mi vede il software, così mi caratterizza, e molto probabilmente, queste sono le “cose” che pensano di me le persone che non mi conoscono altro che tramite YouTube.

Che io sia percepito come una fonte autorevole (alta source credibility) o scarsamente autorevole (bassa source credibility) influenza in modo determinante il “processing” del messaggio, la sua elaborazione, la sua ricezione, e l’effetto di persuasione alto o invece basso o nullo. L’elaborazione del messaggio avviene non tanto in base al messaggio che io “penso” di avere dato ma in base alla ricezione olistica di tutti i messaggi che trasudano da me, dal mio essere, dalla mia identità, dai miei “segni distintivi”.

La “percezione di verità” è uno degli effetti che i comunicatori cercano, al di la del messaggio, il fatto di essere percepiti come persone che comunicano in modo “vero”. Queste percezioni caratterizzano il mio modo di comunicare e lo alterano

Non potendo avere una macchina del tempo per sapere chi ero veramente prima e la mia storia vera, i riceventi del messaggio vanno avidamente a caccia di dissonanze comunicative, incongruenze, segnali di stress vocale, di imbarazzo, di segni e simboli concordanti o discordanti che io come comunicatore “emano”.

La comunicazione olistica risponde a molte più domande rispetto al “cosa dico con la voce”.

Le persone con cui sono in contatto estraggono significati dagli elementi più disparati, come:

  • che musica ascolti
  • quanto è congruente il tuo genere musicale preferito con le identità che gli altri percepiscono
  • l’aspetto esteriore generale
  • il taglio dei capelli e la loro cura (sfumature, gel, accessori di capigliatura)
  • tatuaggi, loro dimensione, tipologia, simbolismi
  • tono della voce
  • stress vocale
  • abbigliamento, esempio il grado di “casual” vs “professionale”
  • l’adesione o meno al “dress code” che la situazione sociale impone (esempio, non mettere la cravatta in un colloquio formale è una forma di messaggio di “indipendenza”)
  • il corpo, muscolarità, toni muscolari, forme corporee, posture
  • cosa comunicano i “tuoi ambienti”, cosa c’è alla parete, come è l’arredamento della tua casa. La comunicazione degli ambienti, come ogni altra forma di comunicazione olistica, diventa una “emanazione del Sè”
  • l’orologio che hai, la sua tipologia (orologio da “avventura” ripieno di funzionalità, barometro, altimetro, profondimetro, bussola etc) vs orologio classico a lancette d’oro o d’acciaio
  • gli occhiali, la loro forma e marca, il fatto che siano occhiali – per forma e montatura – “tattici” o “poco vistosi” indici di “understatement
  • che film guardi, che programmi preferisci, quali social usi, come appari sui tuoi profili social se ti osserva qualcuno che non ti conosce o qualcuno che invece ti conosce
  • le “infiltrazioni mentali informative” o “infiltrazioni memetiche” che possediamo, esempio sapere una notizia che occupa la nostra ram mentale senza volerlo avere intenzionalmente appreso, sapere che “George Clooney è scivolato in modo in Sardegna ma non si è fatto male” senza mai essere andati a cercare quella notizia (ci dice che hai frequentato ambienti pubblici, come un bar)
  • la forza e convinzione con cui esprimi un messaggio
  • la tua pelle, il suo stato, i segni che ha e non ha, il grado di cura, la “parola del corpo”.
  • I “nomi” che dai alle cose o animali o oggetti, densi di significati connotativi che riverberano il tuo modo di essere e la tua personalità e la applicano agli oggetti, animali e cose che ti circondano.

La comunicazione olistica ci porta ad una consapevolezza aumentata della enorme varietà di mezzi, canali e strumenti che emettono messaggi, per essere più consapevoli di tutti gli strumenti che abbiamo e a volte non usiamo, o delle fonti da cui arriva la percezione, e dicono qualcosa di chi siamo noi.

Copyright dott. Daniele Trevisani http;//www.studiotrevisani.it

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Testo estratto da Eckhart Tolle, nel video seguente, con approfondimenti sugli Stati di Coscienza trattti dal testo “Psicologia della Libertà: Liberare le potenzialità delle persone“. Edizioni Mediterranee, Roma.

Secondo Tolle:

“La responsabilità è una parola strana, se la prendi alla lettera, si associa alla parola “risposta”, all’abilità di rispondere, ma questa interpretazione è abbastanza scorretta. Il punto è prendersi la responsabilità di cosa?

Di cosa ti puoi prendere la responsabilità, o per cosa ti puoi prendere la responsabilità? La responsabilità primaria che puoi assumerti è prenderti la responsabilità per il tuo stato di coscienza, il quale determina il tipo di mondo che crei. Tu sei l’umanità, l’umanità è un concetto astratto, non esiste, l’umanità è l’essere umano.

Tu sei l’umanità, quindi per far prendere le proprie responsabilità all’umanità, devi prima tutto essere responsabile del tuo stato di coscienza”.

Eckhart Tolle

Eckhart Tolle

Approfondimenti sugli Stati di Coscienza tratti dal testo “Psicologia della Libertà: Liberare le potenzialità delle persone“.

 

La mappa dei nostri stati di coscienza e gli stati alterati: conoscerla per stare bene e non ammalarsi, e imparare a recuperare

Esiste un indicatore primario, la Scala di Fisher, che rappresenta il “numero di giri” del nostro motore, ma per usarlo bisogna averlo visto, e qualcuno deve averti formato ad usarlo.

La scala o mappa degli stati di coscienza, evidenzia la posizione di una qualsiasi persona, nel continuum mentale tra agitazione e rilassamento, sino agli estremi della meditazione profonda (sulla destra) e dell’isteria (sulla sinistra), passando per stati come la percezione quotidiana, l’ansia, la creatività e altri.

È uno strumento molto importante.

Figura 7 – Mappa di Fisher (mappa degli stati di coscienza)[1]

Ad ogni posizione lungo la scala corrisponde una precisa frequenza cerebrale, scientificamente misurabile.

Fisher in questo lavoro pionieristico ci mette in guardia: siamo sempre più bombardati da informazioni, ma in taluni contesti, ulteriori incrementi si rischia la saturazione: ulteriori incrementi nel contenuto dei dati possono non trovare corrispondenza adeguata in un adeguato tasso elaborazione di questi dati.

In altre parole, quando le informazioni in ingresso sono tante, talmente tante che la nostra capacità di elaborarle tutte progressivamente cala, rischiamo di scivolare verso gli stati schizofrenici[2]. Questo era stato evidenziato negli anni 70, figuriamoci ora con l’incremento dei canali e dei social media disponibili.

Dalla scala si evince che per la salute quotidiana, ogni brano significativo di vita trascorso in stato di “agitazione” o nervoso, dovrebbe essere accompagnato da uno stato di recupero, tranquillità e meditazione. Sicuramente dopo, ma persino prima in alcuni casi come momento di preparazione mentale (es, preparazione ad una gara o ad un esame).

La scala di Fisher e i suoi tanti insegnamenti possibili sta diventando un fattore di salute personale. Tutti dovremmo conoscerlo, quantomeno per fare una mappatura quotidiana di come stiamo e riaggiustare il tiro sulle situazioni di vita in cui siamo.

Ma di questo, non si parla.

Molto facile invece è andare incontro anche nelle TV nazionali e pubbliche, ad oroscopi di ogni tipo.

Un altro indicatore del fatto che la nostra Semiosfera è ricca di porcherie e povera di significati e conoscenza che ci servirebbe veramente.

Il nostro potere personale sta nel riprendere in mano i contenuti della nostra Semiosfera personale, lavorarla, metterci dentro quello che è utile, buttare fuori l’inutile. È ora di lottare, è ora di battersi per questi concetti, per noi e per tutte le persone cui teniamo, e per una umanità più libera e pulita.

[1] Roland Fischer (1971), A Cartography of the Ecstatic and Meditative States. In Science, Vol 174  Num 4012 26 November 1971.

[2] Dal testo originale “further increase in data content may not be matched by a corresponding increase in the rate of data processing

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Copyright dal testo “Psicologia della Libertà: Liberare le potenzialità delle persone“.

“The Call”: La chiamata, viaggio verso la luce

Articolo Copyright. Dal libro Psicologia della libertà. Liberare le potenzialità delle persone di Daniele Trevisani, edizioni Mediterranee, Roma

https://youtu.be/ev8TXCo9Xiw

Ispirato al modello HPM di Sviluppo del Potenziale Umano, dal testo Il potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance, Franco Angeli editore, Milano

La notte oscura dell’anima è un viaggio verso la luce, un percorso dall’oscurità verso la forza e le risorse nascoste dell’anima. Attraversare la notte oscura richiede dialogo interiore, contemplazione, preghiera, tempo trascorso in silenzio, e condivisione con chi comprende la natura profonda della trasformazione interiore…. è un viaggio per imparare a vedere il mondo da mistici attraverso una lente senza tempo che percepisce al di la della ragione.

Carolin Myss.

Tante volte sentiamo una “chiamata” che ci dice “fai qualcosa per te”, prenditi tempo per te stesso, dedicati uno spazio speciale, trasformati e lavora sulle tue energie, cerca il meglio di te dovunque sia “nascosto”.

Il problema è che la risposta a questa “chiamata” viene soffocata dal vivere quotidiano, dallo stress, o dal non trovare “compagni di viaggio” e veri Maestri per affrontare un percorso di trasformazione in un clima piacevole e sereno, o dal non sapere letteralmente come farlo e dove farlo.

Altre volte, ancora peggio, l’orgoglio e la rabbia chiudono questa voce e la soffocano. La voglia di vedere che cosa può esserci oltre il muro, oltre a ciò che facciamo, rimane soffocata, ma pulsa, ed esige ascolto per non diventare malattia.

Quando siamo arrivati in fondo, o ci sentiamo in un momento di svolta e vogliamo cambiare pagina, vogliamo un percorso di cambiamento totale, un percorso che ci metta in grado di conoscere noi stessi e il nostro potenziale,  che sino ad ora abbiamo messo a disposizioni di altri, di tutti tranne che per noi stessi.

Quando avremo deciso di non essere più disposti a vivere a pieno sentiremo la chiamata, e capiremo che non siamo più disposti a vivere un altro giorno senza “me stesso” al centro della mia vita, nella bellezza, nella gioia e nell’armonia.

The Call™ è un percorso formativo che ho sviluppato per chi vuole iniziare un percorso di conoscenza e di profondo cambiamento e, con l’aiuto di seri professionisti, fare passi avanti.

The Call si basa su un metodo scientifico bioenergetico e di neuroscienze, e non richiede di “crederci” o di “non divulgare ciò che si fa” ma anzi al contrario si invitano tutti a leggere, studiare, capire ciò che si fa e perché lo si fa, e divulgarlo. Questa è la differenza tra una “Scuola del Potenziale Umano” e una setta.

Il metodo del potenziale umano alla base del lavoro è supportato da un’enorme letteratura e ai partecipanti vengono fornite letture, ma le sole letture e concetti, senza esperienza applicativa, sono nulla.

In particolare, l’interno Modello di Potenziale Umano HPM è esposto nel volume  “Il Potenziale Umano” di Daniele Trevisani.

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Ciascuna di queste “celle” o stati viene esplorata e potenziata con azioni allenanti specifiche.

Gli ingredienti per un’esperienza trasformativa, così ben esposti da Myss, sono oggetto di questo approccio esperienziale.

Articolo Copyright. Dal libro Psicologia della libertà. Liberare le potenzialità delle persone di Daniele Trevisani, edizioni Mediterranee, Roma

La natura regala momenti indimenticabili, se solo sappiamo fermarci, anche 60 secondi diventano ricchi di significato.

http://www.youtube.com/watch?v=OH_t6-vl26Y

Ps. Se lo apprezzi, ISCRIVITI AL CANALE YOUTUBE GRAZIE!… Ecco il video 2, sul “Canto dell’acqua”, Ispirato al libro “Psicologia della Libertà” e al pensiero di Eckhart Tolle.

Materiale per ritagliarsi 60 secondi di natura, pace, silenzio interiore, ascoltando una cosa così semplice e pura come l’acqua. Un piccolo stacco, grandi risonanze.

Eckart Tolle ci invita a fare “micromeditazioni”. Esercizi di osservazione, ovunque siamo, e nella natura, ancora meglio. Avendo pratica di esercizi meditativi lunghi e a volte noiosi, ho trovato questo concetto davvero importante. Allenare la mente si può fare in ogni luogo, giorno, e situazione. Desidero condividere allora questo video, ASSUME SIGNIFICAO.

Esercizio speciale, trovare le differenze con gli altri “canti” (per ora, 5 in tutto che sto pubblicando con calma, ci vuole tempo!) raccolti nello stesso luogo a distanza di pochi minuti e pochi metri di distanza. Allenare la percezione, l’ascolto, è fondamentale.

Se ti va di seguirmi su Facebook, qui c’è la mia pagina pubblica

https://www.facebook.com/humanpotentialcoaching/

Scrivo molti libri, spero ne potrai leggere qualcuno. Qui vedi tutti i libri che ho scritto https://www.ibs.it/libri/autori/Daniele%20Trevisani

Per ogni tema che vedi nel libro tengo dei corsi di counseling in azienda su richiesta, coaching personalizzati, o presentazioni, in Italiano e in Inglese
Se ti fa piacere ti invito alla presentazione del prossimo libro – per riceverla puoi iscriverti alla mia rivista online gratuita http://eepurl.com/b727Pv

Ho appena messo alcuni nuovi video sul canale youtube http://www.youtube.com/c/dottDanieleTrevisani – se ti vorrai iscrivere, sei benvenuto

(ps. se cerchi Daniele Trevisani su google, vedrai tanti altri contenuti)
Un caro saluto Daniele.

Copyright. Estratto dal libro

Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse

Con commenti e note inedite dell’autore

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Prima di proporrre qualsiasi soluzione, è bene capire il quadro.

Soluzioni che si basano su analisi sbagliate rischiano di fare solo guai.

Questo, sia nelle relazioni aziendali, nella vendita consulenziale, nelle relazioni di aiuto, e nella vita di ogni giorno.

Oltre a tecniche di osservazione aumentata, lo strumento a disposizione esiste. Sono le domande. 

La fase di analisi e ascolto richiede il ricorso a:

  • domande aperte,
  • domande chiuse,
  • domande di precisazione,
  • riformulazioni e verifiche di comprensione,
  • riepiloghi, sommari,
  • rispecchiamento dei contenuti.

Le domande devono essere poste solo dopo che si sia creato lo spazio psicologico per farle, chiedendo il permesso al cliente di porgli alcune domande che servono per poter realizzare proposte sensate.

Durante la fase di analisi è essenziale il ricorso alla carta e penna per prendere appunti, sotto forma di parole chiave, ed un precedente allentamento alle tecniche di memorizzazione, intervista e Analisi della Conversazione (Conversation Analysis, CA).

I due livelli delle domande: domande interiori e doman­de esterne

Tutti noi abbiamo curiosità e dubbi, che però raramente esprimiamo. A volte non lo facciamo per pudore (quante volte fai sesso in un mese? = invasione dello spazio psicologico altrui), altre volte per titubanza strategica (vorrei chiedergli quanto sono disposti a pagare ma non lo faccio per timore che mi dicano una bugia sulla quale poi non saprei come argomen­tare), e per tante altre ragioni.

Un’operazione fondamentale è distinguere tra:

  • domande interiori: quello che vorremmo davvero sapere, quello che abbiamo bisogno di sapere;
  • domande esteriori: le mosse conversazionali che poniamo in essere, i modi con i quali arriviamo ad ottenere quelle informazioni.

Le attività connesse alle due domande:

  • domanda interiore: bisogni informativi di base, la domanda reale che ci stiamo ponendo e a cui vorremmo risposta (es.: quanti soldi avete a disposizione?);
  • domanda esteriore: la domanda che è adeguata e consentita ad un certo stato di relazione, in base al grado di familiarità con il soggetto, di trasparenza comunicativa, di tempo disponibile (es.: avete già fissato un budget per questa iniziativa?)

Esempio di domande che vorremmo porre. Immaginiamo di trattare con il soggetto X con il quale si ipotizza di fare un progetto formativo.

  • Si tratta di concorrenti diretti o soggetti con cui è possibile invece attivare una sinergia? Vogliono avere un programma gratis o è una richiesta vera?
  • Quanto dura il progetto? Durata del progetto, tempi?
  • Chi fattura a chi?
  • Dove avete avuto le informazioni sulla nostra azienda, dove ci avete trovato, qualcuno vi ha consiglia-to? Ci avete trovato in internet?
  • Quale tipo di formazione marke-ting, tra i tanti, desidera il cliente?
  • Ha avuto occasione di leggere qualcuno dei libri da noi prodotti?
  • Avete contattato altre realtà o nostri competitors?
  • Ci sono indicazioni rispetto al budget disponibile? Che disponi-bilità economi¬ca esiste?
  • Quante persone vanno formate, in quali popolazioni aziendali?
  • Sede preferita per il corso? Modalità (aula, outdoor, ecc)?
  • Tempi e vincoli temporali. Quando si vuole fare il progetto? Quanto può o deve durare. Con che cadenza?
  • Tipo di audience e soggetti da formare?
  • Fabbisogni formativi?
  • Settore merceologico dell’azienda che richiede il servizio, e ogni altro dato di profilazione aziendale
  • Fatturato e dipendenti
  • Cultura aziendale
  • Se il cliente ha avuto o meno altre esperienze di formazione in marke¬ting, e se ne è rimasto soddi¬sfatto o meno, motivi dell’eventua¬le insoddisfazione

Ogni mancata informazione è un rischio

Tab. 1 – Domande latenti cui è necessario dare risposte, e rischi correlati al non sapere le risposte

 

Domanda latente, fabbisogno informativo Rischio correlato al non avere la risposta
·       Si tratta di concorrenti diretti o soggetti con cui è possibile invece attivare una sinergia? Vogliono avere un programma gratis o è una richiesta vera? Regalare progetti a nostri concorrenti diretti, lavorare gratis per aiutare un concorrente che non aveva un know-how e ha cercato di acquisirlo gratis.
·       Quanto dura il progetto? Durata del progetto, tempi? Investire tanta progettualità in un piccolo progetto, spreco di energie e di risorse.

Difficoltà nel pianificare.

·       Chi fattura a chi? Trovarsi in una disputa legale

Perdere molto più tempo dopo, rispetto a faccende che erano da chiarire subito.

Problema di confusione dei ruoli.

·       Dove avete avuto le informazioni sulla nostra azienda, dove ci avete trovato, qualcuno vi ha consiglia­to? Ci avete trovato in internet? Perdere un’informazione preziosa su quali sono i canali che funzionano nel portare i clienti.
·       Quale tipo di formazione marke­ting, tra i tanti, desidera il cliente? Dare al cliente il prodotto sbagliato.

Creare insoddisfazione.

Aprire le porte a problemi di incoe­renza tra domanda e offerta.

·       Ha avuto occasione di leggere qualcuno dei libri da noi prodotti? Perdita di informazione preziosa. Non sapere che leva contrattuale si può applicare. Sapere se cerca un fornito­re qualsiasi o il metodo da noi prodot­to.
·       Avete contattato altre realtà o nostri competitors? Non capire la modalità di acquisto in corso (gara, richiesta mirata, o altre). Non sapere contro chi si sta concor­rendo.
·       Ci sono indicazioni rispetto al budget disponibile? Che disponi­bilità economi­ca esiste? Lanciarsi in sconti non necessari.

Puntare troppo al prezzo anche quando le esigenze del cliente non sono di fare economia.

·       Quante persone vanno formate, in quali popolazioni aziendali? Sottovalutare l’entità dello sforzo.
·       Sede preferita per il corso? Modalità (aula, outdoor, ecc)? Difficoltà nel computare i costi aggiuntivi, logistici e altri possibili costi immateriali di tempo.
·       Tempi e vincoli temporali. Quando si vuole fare il progetto? Quanto può o deve durare. Con che cadenza? Farsi assillare da urgenze non necessarie, o non capire l’urgenza di un progetto, o i margini di manovra. Assegnare urgenze e priorità sbagliate.
·       Tipo di audience e soggetti da formare? Sbagliare la tecnica didattica e l’approccio didattico.

Sottovalutare o sopravvalutare il target.

·       Fabbisogni formativi? Portare contenuti sbagliati o poco centrali o poco utilizzabili.
·       Settore merceologico dell’azienda che richiede il servizio, e ogni altro dato di profilazione aziendale portare esempi poco centrali, non riuscire a centrare le esigenze del mercato di riferimento.
·       Fatturato e dipendenti Non aver ben chiara la dimensione del soggetto con sui si tratta.
·       Cultura aziendale Non capire il grado di libertà con il quale immettere contenuti innovativi e metodi innovativi.
·       Nominativo dell’azienda Offrire qualcosa a qualcuno che sia già nostro cliente.
·       Se il cliente ha avuto o meno altre esperienze di formazione in marke­ting, e se ne è rimasto soddi­sfatto o meno, motivi dell’eventua­le insoddisfazione Capire se si tratta di un primo acquisto di categoria o di sostituzione di un fornitore.

Capire cosa ha apprezzato o non ap­prezzato il cliente in passato. Capire meglio come ragiona il cliente (la sua algebra mentale e meccanismi di valutazione).

 

Ogni volta che il decisore non dispone di informazioni si apre un rischio. Ogni mancata informazione è un rischio potenziale.

Copyright. Estratto dal libro

Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse

Dal libro “Psicologia di Marketing e Comunicazione” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore

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La Gestalt e la comprensione del valore del prodotto/servizio

Il cliente può avere difficoltà, o non percepire immediatamente, il valore che si nasconde dietro la soluzione o il prodotto. Tra gli errori più gravi del venditore vi è senza dubbio la “presunzione della chiarezza del valore”.. Compiere questo errore significa supporre che il cliente debba cogliere il valore di una proposta automaticamente. Significa pretendere che tutti debbano vedere e capire ciò che noi vediamo e capiamo perfettamente.

La psicologia cognitiva ci aiuta a capire questo fenomeno. È per tutti scontato che nell’insieme di chiazze sottostanti sia presente qualcosa?

Fig. 3.16 – Principio dell’emergenza nella percezione. Cosa vedi qui?

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L’immagine dimostra il “principio dell’emergenza” nella percezione. Le regioni locali dell’immagine non contengono sufficiente informazione per formulare un’ipotesi di contenuto, ma non appena l’immagine viene riconosciuta come quella di “un cane”, i contorni percettivi della figura iniziano a prendere forma, riempiendo i perimetri visuali in regioni nelle quali i contorni sono assenti nello stimolo reale.

Certamente, il dalmata che annusa la strada diventerà una normalità per chi è abituato a vederlo, ma non necessariamente per un osservatore casuale.

Lo stesso processo di percezione si applica all’impresa e ai suoi servizi. Ad esempio, per l’impresa che propone servizi internet o formazione aziendale, il potenziale e il valore delle soluzioni offerte sono chiari, palesi, e “parlano da soli”. Per il cliente no.

In questo, ed in altri casi, il cliente va “aiutato a capire”, il che è possibile solamente adottando un approccio centrato sul cliente. Adottare un approccio di vendita e di marketing “centrato sul cliente” significa riconoscere due cose: (1) il cliente non è né un “pollo da spennare”, un soggetto al quale chiedere tanto per poi dare poco, né (2) il padrone dell’azienda o del venditore.

Il cliente è semplicemente una persona, un soggetto, con il quale dobbiamo stabilire un rapporto di business franco, diretto, personale. La base delle relazioni di successo è la trasparenza reciproca. Il cliente è un soggetto che deve essere capito in profondità, ma che al tempo stesso deve essere stimolato a rapportarsi verso l’azienda con la stessa volontà di comprendere.

Questa differenziazione emerge ad esempio nel modo di gestire le obiezioni o di fissare il prezzo. Le scuole tradizionali di vendita insegnano a fissare il prezzo partendo da un punto superiore (target price) per poi scendere a prezzi più bassi man mano che prosegue la trattativa, sino al punto di cedimento (soglia inferiore del range negoziale).

Un approccio centrato sul cliente produrrebbe invece una modalità di comunicazione del prezzo di questo tipo, di fronte ad un’obiezione: «abbiamo analizzato in profondità i tuoi obiettivi, abbiamo capito che l’azienda è a questo punto del suo ciclo di vita, e vuole fare un salto di qualità. Abbiamo analizzato assieme cosa occorre per fare questo salto, quali sono le risorse necessarie. Se mi chiedi di tagliare il prezzo devi però dirmi cosa vuoi tagliare, quali obiettivi non vuoi più raggiungere, o se vuoi impiegare risorse di qualità più scarsa. È questo che vuoi? Proviamo a ripercorrere assieme cosa succede nel caso A, e cosa può succedere nel caso B …. Tu dove vuoi arrivare veramente?». Il marketing moderno non è il “regno del più furbo”, ma il regno delle relazioni. Soltanto chi riuscirà a stabilire relazioni forti, empatiche e reciprocamente umane con il cliente può aspirare a qualche forma di successo.

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Copyright Studio Trevisani Formazione Aziendalee Franco Angeli editore