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Misurazione del simbolismo

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© Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele Trevisani – “Psicologia di marketing e comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management”. Franco Angeli editore, Milano.

Come misurare l’immagine che generiamo negli altri? Come valutare l’immagine di un prodotto o di un marchio, per verificare se sono conformi a quanto dovrebbero? 

Le pulsioni d’acquisto nascono ogniqualvolta un profilo percepito di prodotto combacia con un’immagine ricercata. È quindi importante riuscire a misurare sia l’immagine desiderata che l’immagine percepita.

Il potere evocativo delle parole e l’immagine associata ai marchi è alla base di molti successi o fallimenti di mercato. La misurazione dei simbolismi, delle loro connotazioni semantiche e delle loro ripercussioni sulle vendite è una delle tecniche in grado di prevedere il successo di mercato. Come espone Packard in questo esempio:

…Frattanto nel corso degli anni l’esperto di pubblicità Louis Cheskin… ha controllato il potere simbolico che le parole hanno per i clienti, con interessanti risultati. Un cliente del Texas, la Plenty Products (cioè «prodotti abbondanza») stava per lanciare una nuova linea di gelati. La ditta aveva deciso che Plentifors sarebbe stato un nome molto adatto. Cheskin osservò che dava l’idea della quantità, non della qualità e pertanto non si poteva vendere il prodotto a un prezzo elevato. Egli mise il gelato in un contenitore con l’etichetta Plentifors e lo espose accanto a quattro altri contenitori con etichette diverse, invitando poi 806 consumatori a dare un giudizio sui vari prodotti. In tutti i contenitori c’era il medesimo tipo di gelato. Il contenitore con l’etichetta Splendors (nome inventato da Cheskin) ottenne voti completamente favorevoli in numero quattro volte maggiore del Plentifors. 

Oppure, come evidenzia Packard, spesso il consulente si trova nella condizione di dover confutare le idee del cliente, chiarirle, ed evitare errori di immagine o ripercussioni negative dovute alla sottovalutazione del potere evocativo delle parole:

Un altro cliente chiese a Cheskin un consiglio sulla pubblicità di una scarpa chiamata Ortho-Vent. Prendeva il nome dal nome della ditta. Le calzature non si vendevano molto bene. Cheskin disse che era un nome orribile, ma, rispose il cliente, a suo padre, fondatore della ditta, quel nome piaceva. Si confrontò la dicitura Ortho-Vent con altre quattro, per la stessa scarpa, interrogando 404 persone. Uno dei nomi inventati da Cheskin era Stuart McGuire. Egli mi spiegò: «La nostra ricerca dimostra che i nomi scozzesi danno un’immagine accaparrante della parsimonia». Un altro nome da lui inventato per fare il test era in italiano, Giovanni Martinelli. Questo, spiegò, fa pensare a distinzione e stile. Nel test tanto «Stuart McGuire» quanto «Giovanni Martinelli» ebbero la meglio su Ortho-Vent per due a uno, il primo in quanto significava un buon acquisto, il secondo come scarpa di classe.

© Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele Trevisani – “Psicologia di marketing e comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management”. Franco Angeli editore, Milano. Vietata la riproduzione senza citazione della fonte.

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Temi e Keywords dell’articolo:

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Dr. Daniele Trevisani - Formazione Aziendale, Ricerca, Coaching