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©Copyright. Articolo estratto con il permesso dell’autore dal libro di Daniele Trevisani: “Psicologia di Marketing e Comunicazione” Franco Angeli Editore, Milano

Lo sviluppo del metodo non è ancora terminato. Come abbiamo sottolineato, il metodo ALM è graficamente riassumibile nella sequenza grafica a cinque punti che apre ogni capitolo.

In questa sequenza, il punto centrale evolve, da questo momento in poi, in Value Mix, che sostituisce il Marketing Mix, per sottolineare con forza ancora maggiore l’esigenza di produrre valore lungo tutte le leve del marketing (nel prodotto, nel servizio, nelle relazioni, nel pricing, nella distribuzione, nella comunicazione).

Vediamo quali saranno gli argomenti approfonditi nei prossimi lavori.

1. Algebra mentale

I modelli di algebra mentale permettono di decostruire le valutazioni del consumatore, traducendone il pensiero in modelli matematici. Vedremo le opportunità offerte da tali modelli sia per il buyer che per il marketing.

2. Tipologie di acquisto

Un processo di acquisto legato al dono possiede caratteristiche diverse rispetto ad un acquisto realizzato per se stessi. Ed ancora, le influenze altrui possono produrre acquisti “politici” o di networking, diversi rispetto agli acquisti personali o funzionali. Vedremo queste ed altre differenze di tipologia di acquisto attraverso un modello attualmente in fase di sviluppo.

3. Psicologia del tempo e leve di vendita

Come si rapporta una soluzione, un prodotto, un servizio, un’idea, all’orizzonte temporale del soggetto? Proseguendo l’analisi sul tema della psicologia del tempo, cercheremo in quest’area risposte importanti per approfondire temi drasticamente rilevanti, primari, nel marketing. Tra questi, la tecnica di chiusura della trattativa e delle negoziazioni, la proiezione del valore nel futuro del soggetto, e le leve del messaggio in campo pubblicitario.

4. Dalla vendita terapeutica alla vendita consulenziale

Nel momento stesso in cui un venditore diventa veramente empatico, capace di esplorare e capire in profondità gli spazi psicologici altrui, riesce a trasformare la propria identità in quella di analista e consulente. Vedremo quindi i confini che separano la vendita dalla terapia cognitiva, e le implicazioni e contaminazioni per entrambe le professioni.

5. Variabili sociali e scelte di acquisto

Quest’obiettivo futuro riguarda l’esplorazione dell’accettabilità sociale delle scelte di consumo, la rilevazione del dialogo interiore dell’individuo, la valutazione della propensione ad adattarsi alle pressioni dei gruppi, e come queste variabili influenzano la scelta di acquistare o meno, e di cosa acquistare.

6. Mosse relazionali e linee d’azione strategica

Proporremo un’analisi incentrata sul concetto di “mossa relazionale” e anticipazione delle sue conseguenze, fino a determinare in anticipo la probabilità di successo di un corso di azione. La tecnica verrà applicata soprattutto agli ambiti di interazione di vendita.

7. Comunicazione visuale strategica

In questo capitolo, ci occuperemo di capire come i singoli elementi di comunicazione visuale possano generare impressioni positive o negative su un cliente, tramite un approfondimento del metodo di analisi denominato visibility line analysis (VLA), creato dall’autore. Ne verranno mostrate le fondamenta teoriche e le applicazioni pratiche (anche informatizzate) in diversi contesti (es: marketing turistico, look personale, moda e abbigliamento, oggettistica personale, comunicazione di interfacce computerizzate, web psychology e altri contesti di comunicazione).

8. Tecniche di communication training

Il tema tratta la formazione dell’uomo di vendita e del manager. Esporremo diversi modelli proprietari sviluppati dall’autore per l’esercitazione alla psicologia della comunicazione. Tra questi:

9. Pianificazione psicologica del messaggio

Passando all’analisi delle comunicazioni strategiche, verranno esposti i modelli che permettono ai creativi di sviluppare messaggi pubblicitari a valenza psicologica (e non semplicemente creativa fine a se stessa). Questi modelli permettono ai venditori e funzionari commerciali di sviluppare scripts di vendita (sequenze di messaggi strategicamente organizzati), per realizzare planning psicologico della comunicazione. La loro applicabilità si estende sino alla realizzazione di campagne di comunicazione sociale e pedagogica.

10. T-Chart e planning psicologico

Svilupperemo un modello di planning psicologico del messaggio pubblicitario basato sulla teoria del t-chart (teoria in fase di sviluppo dall’autore), la quale permette di realizzare planning psicologico della comunicazione sulla base dei vissuti emotivi[1].


[1] Vedi in proposto i materiali inseriti in www.medialab-research.com/t-chart/

11. Distanze comunicative e matrici di incomunicabilità

Tra i molti problemi non risolti nel marketing e nella comunicazione, vi è quello dell’incomunicabilità. A volte ogni sforzo persuasivo e informativo sembra fallire, senza capire perché.

Diversi studi sono stati prodotti nel campo dell’incomunicabilità. La loro valenza per gli esperti in marketing e comunicazione è semplicemente enorme.

Affronteremo alcuni di questi studi e presenteremo due modelli sviluppati dall’autore per approfondire questo tema comunicativo e iniziare la ricerca di strategie comunicative nuove.

In particolare i due modelli riguardano:

12. Web psychology e comunicazione aziendale sul web

Analizzeremo come le dinamiche della comunicazione ed interazione si estendono ai rapporti che l’azienda instaura con i clienti via internet. Quali sono le problematiche della Web Experience (l’esperienza del navigatore sul sito aziendale) ai fini del marketing? Come progettare un’esperienza che metta in grado di utilizzare efficacemente il canale web per erogare prodotti, servizi, ma soprattutto per creare valore aggiunto? Definiremo in particolare le strategie web per il cliente attuale, le strategie acquisitive e persuasive sul nuovo cliente, la progettazione strategica di marketing dei siti, la diagnosi tecnica e comunicazionale del sito, e le tecniche di site-promotion finalizzate a raggiungere i target aziendali via web.

Come si può osservare, il lavoro che ci attende è notevole. Tuttavia, i benefici che se ne possono trarre, le strategie aziendali e le implicazioni pedagogiche e formative che ne emergeranno, meritano un ulteriore sforzo di ricerca.

©Copyright. Articolo estratto con il permesso dell’autore dal libro di Daniele Trevisani: “Psicologia di Marketing e Comunicazione” Franco Angeli Editore, Milano

Semantica articolo. Le parole chiave di questo articolo sono:

Marketing mixInizio moduloFine modulo

Creazione di valore

Valutazioni del consumatore

Tipologie di acquisto

Psicologia del tempo

Vendita consulenziale

Variabili sociali

Decisione d’acquisto

Mossa relazionale

Comunicazione visuale

Psicologia della comunicazione

Psicologia del messaggio

T-Chart

Planning psicologico

Incomunicabilità

Comunicazione interculturale

Distanza comunicativa

Web experience

Marketing persuasivo

Pianificazione strategica

Analisi SWOT

Posizionamento di mercato

Segmentazione del mercato

Targeting

Customer insights

Brand positioning

Value proposition

Competitor analysis

Product lifecycle management

Pricing strategy

Distribution strategy

Communication strategy

Customer relationship management (CRM)

Digital marketing

Market research

Key performance indicators (KPI)

Marketing ROI

Strategic alliances

©Copyright. Articolo estratto con il permesso dell’autore dal libro di Daniele Trevisani: “Psicologia di Marketing e Comunicazione” Franco Angeli Editore, Milano

In questo volume, abbiamo analizzato la differenza tra pulsioni conscie, subconscie e inconscie (cap. 1), definendo in seguito il tema delle leve temporali del prodotto (cap. 2). Abbiamo trattato gli aspetti fisiologici della percezione dei prodotti e (cap. 3), da cui abbiamo derivato nuovi concetti di marketing percettivo (cap. 4). In seguito, abbiamo affrontato la psicologia degli atteggiamenti verso il prodotto e la misurazione dell’immagine di marchio, di prodotto e personale (cap. 5), ed inoltre il rapporto tra valori, scelte di prodotto e simbolismi in grado di generare pulsioni d’acquisto (cap. 6). È stato affrontato il rapporto tra bisogni umani e moventi d’acquisto (cap. 7), con una riformulazione della scala dei bisogni di Maslow. Siamo poi passati ad affrontare il tema dei budget mentali (cap. 8), e della concorrenza psicologica tra prodotti (cap. 9).

Nel capitolo 10 abbiamo prodotto una riformulazione e un allargamento del concetto di customer satisfaction rispetto al modello prevalente nella letteratura attuale (modello di “distanza dalle aspettative”), introducendo un modello “prestazioni-aspettative-ideali” che coinvolge l’intero sistema di marketing mix.

Questo ha prodotto nuove linee guida per la misurazione della customer satisfaction (price satisfaction, relationship satisfaction, channel-&-distribution satisfaction, information satisfaction, communication satisfaction) per determinare un approccio manageriale più produttivo ed efficace nella soddisfazione totale del cliente.

©Copyright. Articolo estratto con il permesso dell’autore dal libro di Daniele Trevisani: “Psicologia di Marketing e Comunicazione” Franco Angeli Editore, Milano

Semantica articolo. Le parole chiave di questo articolo sono:

Pulsioni inconscie

Leve temporali del prodotto

Percezione dei prodotti

Marketing percettivo

Psicologia degli atteggiamenti

Immagine di marchio

Scelte di prodotto

Pulsioni d’acquisto

Budget mentali

Concorrenza psicologica

Customer satisfaction

Distanza dalle aspettative

Marketing mix

Misurazione della customer satisfaction

Approccio manageriale

Pianificazione strategica

Leadership

Delegazione

Comunicazione efficace

Team building

Problem solving

Decision making

Motivazione del personale

Performance management

Controllo di gestione

Gestione del cambiamento

Analisi SWOT

Balanced scorecard

Management by objectives (MBO)

Valutazione delle competenze

Coaching e mentoring

Gestione delle risorse umane

Cultura organizzativa

Sviluppo professionale

Innovazione manageriale

©Copyright. Articolo estratto con il permesso dell’autore dal libro di Daniele Trevisani: “Psicologia di Marketing e Comunicazione” Franco Angeli Editore, Milano

Occorre inquadrare il senso e la struttura di quest’opera –  che per brevità chiameremo ALM2 – all’interno del percorso di ricerca di cui costituisce parte integrante. La sigla ALM è acronimo di Action Line Management, il metodo creato dall’autore del quale quest’opera è sia prosecuzione che parte organica.

Il primo volume sul metodo ALM, “Competitività Aziendale, Personale, Organizzativa: Strumenti di Sviluppo e Creazione del Valore”[1] crea le fondamenta del metodo e delinea un piano di lavoro per lo sviluppo della competitività. Acronimo del primo volume è ALM1.


[1]Franco Angeli Editore, Milano, 2000.

1. Il vantaggio competitivo interno-esterno

I concetti cardine della competitività sviluppati in ALM1 sono basati su un presupposto fondamentale: non esiste competitività esterna senza creazione del vantaggio competitivo interno. In altre parole: (a) non esistono scorciatoie ed alternative ad un serio lavoro di costruzione di skills manageriali evolute, e (b) i risultati esterni sono sempre preceduti da risultati interni (organizzativi, nel campo aziendale, e formativi/attitudinali, nel campo del personale). Il modello di vantaggio competitivo esposto in ALM1 veniva riassunto nello schema seguente:

2. La sequenza manageriale del metodo ALM

Uno schema a 5 stadi caratterizza il metodo ALM. I cinque punti sono esposti nello schema grafico riproposto in apertura di ogni capitolo:

Ciascuna fase, nel metodo ALM, è propedeutica ed interconnessa alla successiva. Ad esempio “gestire un obiezione” è sicuramente una problematica front-line frequente nelle imprese. Sia nel business-to-business (nei colloqui e trattative di vendita), che nel business-to-consumer, ogni azienda impegna forze ed energie notevoli per vendere, proporre, illustrare, pubblicizzare, i propri prodotti e servizi. Una attività spesso irta di ostacoli.

Quale venditore non ha mai ricevuto un’obiezione? Quale consumatore non ha mai avuto un dubbio prima di acquistare? Questa fase, strategica per ogni azienda, è riconducibile alla vasta gamma delle problematiche di comunicazione front-line (fase 5).

Tuttavia, dobbiamo chiederci: può esistere una regola assoluta, per gestire un’obiezione, che prescinda da chi abbiamo di fronte? Che possa essere astratta dalla valenza strategica del soggetto che pone l’obiezione? Chi mi pone quell’obiezione? Il mio cliente più importante o un cliente inutile e anzi dannoso? Che centralità ha quel cliente per il piano di sviluppo aziendale? Che contributo reale fornisce quel cliente al mio parco clienti?

Queste valutazioni fanno immediatamente emergere un punto: la necessità di impostare a priori un “progetto-cliente”, una linea di azione, appunto, che ne definisca il peso, la priorità, e imposti le regole di comportamento specifiche verso quel tipo di cliente. Senza di essa, le risposte del front-line saranno vuote, stereotipate, decontestualizzate e prive di personalizzazione. Inoltre, dovranno essere create di volta in volta ex novo. Non esisterà un repertorio comunicazionale cui attingere, e questo riduce la prontezza di riflessi del comunicatore. In altre parole, il successo della fase 5 (comunicazione frontale) dipende dalla corretta impostazione della fase 4 (la linea di azione cliente), il suo inquadramento strategico.

Nella definizione della modalità di comunicazione aziendale front-line, è necessario sviluppare modelli condivisi di action-lines, regole di base cui attenersi, griglie di analisi ed inquadramento delle problematiche che si possono verificare nei rapporti con il cliente. Le persone addette alla vendita e al front-line devono sapere se e quanto possono deviare da queste regole, perché e con chi. Sanno come massimizzare la propria creatività comunicativa perché dispongono di un alveo di regole comunicazionali che li guida.

Il sistema di regole comportamentali richiede l’acquisizione nelle risorse umane front-line di un insieme di competenze comunicative di base (core competences: competenze centrali e condivise) unite alla capacità di adattare tali competenze alla singola occorrenza comunicazionale (Situational Communication Development, o gestione strategica della comunicazione istantanea).

Procedendo a ritroso, notiamo che per definire una linea di azione sul singolo cliente o sulla singola “occorrenza comunicazionale”[1] è necessario avere impostato a priori il marketing mix per il segmento di appartenenza del cliente. In altre parole, devono essere state impostate le strategie di prodotto, di prezzo, di distribuzione e di comunicazione per quel target specifico di clienti (fase 3: Marketing Mix), in seguito ad una attività di segmentazione.

Il mix, a sua volta, si ispira – quale strumento operativo – alla mission aziendale (fase 2). Il Mktg Mix infatti traduce la mission in obiettivi pluriennali e annuali.

Procedendo in questo percorso a ritroso, notiamo che gli obiettivi possono essere determinati efficacemente solo se analizziamo attentamente gli scenari economici, competitivi, di mercato, tecnologici, ecologici, sociali e culturali (fase 1: analisi di scenario).

Il metodo ALM consente di attuare una pianificazione a ritroso (Backward Planning), in grado di fornire i migliori risultati reali (approccio radicale) e non unicamente esiti passeggeri o sintomatici (approccio superficiale).


[1] Singolo evento o mossa relazionale dell’interlocutore.

Usando una metafora “biologica”, non è possibile parlare senza pensare, ma pensare richiede energie, quindi bisogna nutrirsi. Per nutrirsi occorre sapersi procurare il cibo, e questo significa imparare a cacciare, e via così. Questo percorso a ritroso di pianificazione dell’azione (Backward Planning) rappresenta il cardine filosofico del metodo ALM: occorrono radici organizzative e manageriali solide per sviluppare azioni frontali efficaci.

Secondo lo stesso principio, capire la natura delle pulsioni d’acquisto è indispensabile per praticare marketing, comunicazione ed educazione al consumo.

Il principio del Backward Planning (pianificazione a ritroso, partendo dagli obiettivi sino al quotidiano) esposto in ALM1, si ripresenta con la stessa convinzione in quest’opera.

Così come per fornire prestazioni eccellenti nel front-line occorre formazione e pianificazione, per progettare prodotti di valore e strategie comunicative di successo occorre comprendere le radici delle pulsioni d’acquisto. Occorre capire perché la gente acquista, quali sono i moventi consci ed inconsci di acquisto.

3. Marketing relazionale e flussi di valore

L’analisi dei flussi di valore, strumento sviluppato in ALM1, stimola l’entrata in scena in campo aziendale di concezioni di sviluppo d’impresa basate sul networking, cioè sulla capacità di creare relazioni di valore. Il metodo identifica otto macro-flussi, visualizzati di seguito:

Il modello ALM distingue tra flussi materiali (flussi di tipo A) e immateriali (flussi di tipo B). L’analisi mette in primo piano la necessità di massimizzare le componenti intangibili dell’offerta aziendale (flussi di tipo B: sicurezza, garanzie, immagine, affidabilità, comunicazione, commitment, networking) in grado di “fare la differenza” su un mercato sempre più affollato, ed uscire dalla pura concorrenza di prezzo.

Il modello di analisi dei flussi di valore identifica otto aree di azione strategica per l’intervento sulla competitività, che danno luogo a specifici principi di sviluppo competitivo.

Le ulteriori quattro leve competitive identificate nel metodo ALM sono basate sulla gestione del rapporto con il cliente.

©Copyright. Articolo estratto con il permesso dell’autore dal libro di Daniele Trevisani: “Psicologia di Marketing e Comunicazione” Franco Angeli Editore, Milano

Semantica articolo. Le parole chiave di questo articolo sono:

Vantaggio competitivo interno ed esterno

Scenari

Mission

Marketing mix

Action line

Front line

Problematiche di comunicazione

Personalizzazione prodotto-cliente

Regole comportamentali

Competenze comunicative

Backward planning

Pulsioni d’acquisto

Relazioni di valore

Analisi dei flussi di valore

Relazione con il cliente

Scelta dei fornitori

Gestione operativa

Ottimizzazione dei processi

Efficienza produttiva

Lean management

Just-in-time

Miglioramento continuo

KPI (Key Performance Indicators)

Analisi delle prestazioni

Riduzione dei costi

Innovazione dei processi

Qualità totale

Workflow management

Gestione della supply chain

Agile management

Automazione industriale

Benchmarking

Strategie competitive

Time-to-market

Customer satisfaction

©Copyright. Articolo estratto con il permesso dell’autore dal libro di Daniele Trevisani: “Psicologia di Marketing e Comunicazione” Franco Angeli Editore, Milano

Nei capitoli precedenti abbiamo definito il processo di acquisto – e l’esperienza successiva di prodotto – come un insieme di interazioni tra il sistema azienda e il sistema percettivo e valoriale del consumatore.

Partendo da questa definizione, vogliamo ulteriormente migliorare l’analisi delle strategie di customer satisfaction indirizzandole verso una ulteriore evoluzione: (1) la prima modifica consiste nella addizione delle componenti relazionali al  “fattore prodotto” (servizio, post-vendita) (2) la seconda si prefigge di includere nel customer satisfaction management l’intero sistema del marketing mix, tramite i concetti di price satisfaction, distribution satisfaction e communication satisfaction.

Si tratta di un allargamento del campo che permette di definire come le strategie di impresa possano giungere alla creazione della overall mix satisfaction, uno stadio ottimale di soddisfazione del consumatore che si espande a tutte le componenti del mix.

Per ciascuna leva andrà analizzato (a) il grado di attese esplicite, (b) la percezione delle prestazioni, e (c) cosa, per quella specifica caratteristica, può essere considerato l’ideale (inclusione della componente “ideali”).

In altre parole, non è più sufficiente ragionare in termini di qualità del prodotto e nel servizio, ma occorre chiedersi se l’impresa stia erogando qualità e rispondendo ad aspettative anche nelle politiche di prezzo e in come queste vengono comunicate ai diversi clienti, ed ancora se si stia producendo comunicazione di qualità, o qualità nella modalità di distribuire il prodotto e renderlo fruibile al cliente.

Vediamo alcune di queste tematiche in maggiore dettaglio anche grazie ad alcuni esempi.

1. Livelli di soddisfazione di prezzo

La price satisfaction comprende il sistema di attese e di ideali relativi ai seguenti fattori:

Un esempio di come le aziende possano determinare customer satisfaction tramite il pricing è dato dalle tariffe fisse telefoniche. Negli ideali di diversi consumatori ed aziende, esiste il desiderio di sapere in anticipo quanto si dovrà pagare al mese, fissando una soglia massima che includa ogni costo telefonico, urbano e nazionale, incluso il traffico internet illimitato. In questo caso il prodotto/servizio rimane invariato (connettività telefonica), ma la formula di pricing per il soggetto è percepita come “liberatoria”, soprattutto perché toglie nel soggetto l’ansia del tempo. L’azienda venditrice potrà poi definire quale sia il suo break-even point (punto di pareggio ricavi-costi) e fissare il prezzo.

Un esempio negativo di price satisfaction è evidente nella seguente trascrizione da un’intervista sul mercato delle telecomunicazioni di fine millennio:

Quelli della Telecom non li capisco. All’inizio volevano un sacco di soldi per l’abbonamento ad internet. Poi è arrivata Tiscali con il suo accesso gratuito, e improvvisamente anche Telecom ha dato l’accesso gratuito. Ma allora prima ci guadagnavano e basta. Non vedo l’ora che finisca questo monopolio anche sui telefoni di casa. E poi vedo le loro pubblicità, fatte con gli attori più famosi del mondo, e penso che le sto pagando io con la mia bolletta di casa. Non voglio dargli più una lira. È ora di finirla. Ma devo poter scegliere da chi comprare le cose oppure no? Allora, il fatto è questo… io non voglio più dare soldi dalla Telecom, non una lira. Punto e basta. Se questo non è possibile in un servizio così indispensabile come la telefonata da casa, allora siamo in monopolio. Non ci sono storie. Semplicemente, non voglio più fatture della Telecom in casa mia. È chiaro?

Come si vede dall’esempio, l’effetto dell’insoddisfazione si riverbera da un prodotto specifico all’intera azienda, si espande a tutta la linea di prodotti, e richiama l’attenzione anche su fatti che probabilmente non avrebbero destato indignazione (utilizzo di attori testimonials di fama mondiale ultrapagati), ma che per l’effetto dell’insoddisfazione vengono osservati con una lente di sospetto, rabbia e frustrazione.

2. Livelli di soddisfazione della distribuzione

La distribution satisfaction comprende il sistema di attese e di ideali relativi ai seguenti fattori:

Dal punto di vista dell’azienda, ogni fattore sopra esposto deve diventare un elemento del proprio piano di qualità. Ma non solo. La capacità di adattarsi ad esigenze distributive non palesate, non intuitive, permette di conseguire vantaggio competitivo ulteriore. Vediamo la seguente trascrizione:

Lavorando come freelance grafica, ho sempre fatto dei progetti per l’editoria. Finora li consegnavo su supporto cartaceo e dischetto, in formato di testo. Ma poi spesso mi dovevano richiamare, perché il cliente richiede un formato diverso, e la tipografia un altro ancora, ed era sempre una rincorsa, io non trovavo loro, loro non trovavano me, saltavano le scadenze. Un inferno. Adesso, mi sono dotata dei software che i clienti stessi utilizzano, e li converto io, qui in studio. Metto in Cd il progetto in diversi formati già pronti per essere consegnati. Le agenzie hanno fatto letteralmente i salti di gioia per questo, perché gli ho tolto un sacco di problemi. Se poi servono delle modifiche, invio tramite la posta elettronica il lavoro come file, e devo dire che tutto funziona meglio.

Non dobbiamo dimenticare il potere enorme messo a disposizione da Internet alle imprese che intendano valorizzarne la potenzialità per creare customer satisfaction distributiva e comunicazionale. Attraverso il web è possibile fornire aggiornamenti istantanei ai prodotti nei quali è presente qualche forma di software, fornire notizie in tempo reale, rispondere a quesiti, fornire assistenza, sviluppare addizioni di prodotto (prodotto aumentato).

In termini di prodotto aumentato, una banca può vendere un servizio base di gestione titoli, ma corredarla di un sistema automatico di segnalazione ai propri clienti che il titolo in loro possesso ha raggiunto il target price di vendita (segnale di stop-gain). Questo diventa vero valore aggiunto, nel momento stesso in cui una nuova forma distributiva fa risparmiare al consumatore il carico di doversi spostare per ottenere la prestazione.

3. Livelli di soddisfazione della comunicazione

La communication satisfaction comprende il sistema di attese e di ideali relativi ai seguenti fattori:

In riferimento al tema della consonanza d’immagine, qualora l’immagine di prodotto si discosti o sia in opposizione alla immagine di sé ideale, può nascere dissonanza cognitiva rispetto all’intenzione di acquisto del prodotto.

Ad esempio, un autovettura fuoristrada può essere pubblicizzata tramite uno spot in cui essa venga utilizzata per un safari di caccia africano, visualizzando l’inseguimento dell’animale e la sua uccisione, con foto finale del trofeo di caccia e presenza dell’auto come sfondo. Tale immagine (accostamento tra il modello e la caccia) potrebbe essere del tutto antitetica rispetto all’immagine di Sé ideale (ideal self-image) che un naturalista ha di se stesso. Un naturalista o ambientalista che intenda acquistare il fuoristrada come strumento di lavoro o mezzo per raggiungere le proprie mete di visitazione cercherà un marchio non connotato semanticamente dalla pubblicità in questa direzione negativa.

La vicinanza dell’immagine di marchio (brand image) al Sé Ideale del target diviene un fattore di successo della comunicazione aziendale. Al contrario, l’associazione di un’immagine indesiderata o di comportamenti controvaloriali rispetto al target è in grado di deprimere persino l’intenzione di acquisto di prodotti-servizi giudicati dal consumatore intrinsecamente, qualitativamente e tecnicamente buoni.

Ad esempio, scarpe da fitness che il consumatore ritenga prodotte da bambini-schiavi difficilmente verranno acquistate da un soggetto socialmente attento consapevole di ciò – non importa quanto poco possano costare, quanto belle siano o quali incredibili prestazioni possano dare.

Un tema caldo tra quelli trattati è la trasparenza dell’informazione. Un esempio di scarsa trasparenza è dato dal trovare difformità tra prezzo comunicato e prezzo rilevato, anche se la comunicazione è formalmente veritiera. A parte le difformità fraudolente, esistono infatti anche difformità celate. Ad esempio, una compagnia telefonica può affermare che le proprie telefonate costano x al minuto, ma questo è assolutamente fuorviante se poi viene addebitato uno scatto alla risposta e l’Iva. Lo scatto produce una curva di costo iperbolica che aumenta esageratamente il costo reale delle telefonate brevi, e questo viene taciuto. La comunicazione perciò in questo caso è veritiera ma lacunosa, e ciò genera insoddisfazione.

4. Livelli di soddisfazione relazionali

In ogni tipo di esperienza di acquisto è possibile individuare due componenti: una componente tecnica legata alla prestazione in sé, e una componente relazionale costituita dal rapporto umano (diretto o indiretto, momentaneo o duraturo) che si instaura tra acquirente e venditore.

Di particolare importanza risulta la distinzione tra elementi tangibili del prodotto e elementi intangibili (la qualità del servizio, l’assistenza, i rapporti interpersonali), poiché la soddisfazione del consumatore non si limita alla soddisfazione circa gli attributi (caratteristiche fisiche) del prodotto, ma comprende anche la soddisfazione verso gli aspetti relazionali e di servizio che accompagnano l’acquisto.

In altre parole, la soddisfazione verso il prodotto si trasforma in soddisfazione verso l’esperienza di acquisto, intesa nella sua globalità: look e feeling del prodotto, prestazioni del prodotto percepite durante l’utilizzo, chiarezza delle istruzioni, capacità di rassicurazione da parte della forza vendita, rinforzi positivi nel post-vendita, garanzie, rapporto interpersonale con i rappresentanti dell’azienda, price satisfaction.

A livello di prodotto è possibile identificare quindi due componenti:

Le relazioni umane hanno alto impatto emotivo. In molte situazioni di acquisto ad alto coinvolgimento (high-involvement), il consumatore rimane più colpito dalle componenti relazionali del venditore che non dalle componenti tecniche del prodotto. Un atto di grave scortesia o di malafede del venditore difficilmente verrà rimediato da una buona prestazione di prodotto.

Prodotti molto simili dal punto di vista del contenuto – come la benzina o il caffè in tazza al bar – risentono ancora maggiormente del peso della componente relazionale – un elemento in grado di fare la differenza.

Nel consumare un caffè, l’avventore del bar non si limita a ricercare unicamente il liquido nero che ingerisce, ma spesso respira le atmosfere del locale, è alla ricerca di un momento di svago o di socializzazione, o di un rapporto umano, oppure intende far sapere agli avventori di essere “lì” in quel bar, che – essendo frequentato da una certa classe sociale – fornisce uno scenario piacevole e un’immagine ai suoi frequentatori.

Proprio a causa della crescente uniformità tecnica di fondo, la competizione si sposta dalla differenza sul prodotto alla differenza sulla comunicazione e sulla relazione venditore-cliente. Caratteristiche relazionali come affidabilità, trasparenza, sicurezza, competenza, capacità di recupero di situazioni critiche, capacità di ascolto, assumono un peso sempre maggiore nella scelta di un fornitore. La capacità empatica di avvicinamento all’altro, per l’erogatore di un servizio, costituisce un elemento di fondamentale importanza.

Realizzare prodotti “discreti” o accettabili non rappresenta più un traguardo per l’impresa che punti al top della competitività. Il traguardo si sposta verso l’immissione nel prodotto/servizio di caratteristiche in grado di avvicinarlo al “prodotto/servizio ideale” e di componenti relazionali – uno stato di qualità basato su caratteristiche nuove, che a volte il consumatore nemmeno riesce a proiettare in maniera consapevole, eppure centrali rispetto al BSS reale.

Il modello consente un allargamento del concetto di customer satisfaction alle intere aree del mix. Ne consegue che anche la politica della qualità, così come viene contemplata oggi dalle imprese, abbisogna di una sostanziale trasformazione, passando da un focus attuale – molto orientato al prodotto, a tubi, cavi e bulloni –  per dirigersi verso un nuovo modello basato sulla percezione del consumatore.

Una conferma scientifica sperimentale della esistenza di altre variabili, incidenti sul processo di formazione della customer satisfaction, come previsto dal nostro modello, viene da Spreng, MacKenzie e Olshavsky (1996)[1]. Il modello testato dagli autori – introducendo il concetto di information satisfaction del consumatore (similare al nostro concetto di communication satisfaction) – ha trovato significative evidenze scientifiche sul rapporto esistente tra qualità della comunicazione di marketing e customer satisfaction del cliente.


[1] Spreng, R., MacKenzie, S.B., & Olshvsky, R.W. (1996). A reexamination of the determinants of consumer satisfaction. Journal of Marketing, vol 60 (July 1996), 15-32.

©Copyright. Articolo estratto con il permesso dell’autore dal libro di Daniele Trevisani: “Psicologia di Marketing e Comunicazione” Franco Angeli Editore, Milano

Semantica articolo. Le parole chiave di questo articolo sono:

Strategie di customer satisfaction

Mix valoriale

Marketing mix

Aspettative del cliente

Adeguatezza del prezzo

Ambienti psicologici

Prodotto aumentato

Qualità relazionale

Qualità dell’informazione

Trasparenza commerciale

Brand image

Esperienza di acquisto

Aspetti intangibili del prodotto

Qualità della relazione

Competitività

Percezione del consumatore

Soddisfazione del cliente

Qualità del servizio

Feedback del cliente

Customer loyalty

Fidelizzazione del cliente

Valutazione del prodotto

Miglioramento del prodotto

Innovazione del prodotto

Personalizzazione del prodotto

Customer journey

Customer support

Recensioni dei clienti

Servizi aggiuntivi

Valore percepito

Brand reputation

Retention del cliente

Sondaggi di soddisfazione

Analisi dei dati clienti

©Copyright. Articolo estratto con il permesso dell’autore dal libro di Daniele Trevisani: “Psicologia di Marketing e Comunicazione” Franco Angeli Editore, Milano

Gli strumenti minimi sinora visionati consentono, soprattutto nei servizi interattivi e nell’acquisto di beni complessi (attrezzature industriali, servizi avanzati), di giungere ad un livello di chiarificazione con il cliente che elimini possibili stati di insoddisfazione.

Tuttavia il processo di ricerca della customer satisfaction non dovrebbe limitarsi alla gestione del quotidiano. Progettare la customer satisfaction significa anche saper creare condizioni future in cui l’azienda sia in grado di erogare maggiore soddisfazione dei concorrenti, lungo tutte le leve del marketing mix.

Questo richiede di affrontare il tema delicato di cosa costituisca (1) il prodotto ideale, (2) il servizio ideale, (3) la distribuzione ideale, (4) la comunicazione ideale, (5) il pricing ideale.

1. Le aspettative della soddisfazione del cliente

Nella letteratura classica sull’argomento è possibile identificare un “mainstream”, un approccio prevalente alla customer satisfaction che ha finora dominato la pratica di ricerca e manageriale: il “modello di disconferma delle aspettative”.

Questo modello concentra la propria attenzione sulla distanza tra (1) prestazione del prodotto e (2) attese iniziali (aspettative) del consumatore.

Per diversi motivi questa impostazione è riduttiva. È necessario proporre un approccio più evoluto basato sul concetto di esperienza totale di acquisto/esperienza totale di prodotto.

Il modello attese-prestazioni (modello di disconferma delle aspettative) sostiene che la customer satisfaction è tanto superiore quanto più la prestazione ottenuta dal prodotto supera la prestazione che il cliente si attendeva prima dell’utilizzo.

Questa visione, seppur utile per introdurre alcuni concetti di base, non è sufficiente per spiegare il fenomeno.

È infatti possibile avere insoddisfazione da parte del consumatore anche quando le aspettative vengono raggiunte, come ad esempio nell’acquisto di un prodotto di scarsa qualità, le cui caratteristiche negative siano note, ma che venga scelto ad esempio per via di una scarsa disponibilità economica o per mancanza di alternative.

L’inconsistenza logica del modello emerge quindi in tutta la sua chiarezza, in quanto esso predice ad esempio che quando il consumatore si attende una prestazione pessima ed invece questa risulta scarsa (cioè solo poco più di pessima), egli sia comunque soddisfatto. Se un guidatore si attende una scarsa tenuta di strada da un auto, non potrà comunque accettare questa scarsa prestazione ed essere felice pensando “credevo di uscire di strada 6 volte nel tornare a casa con la pioggia ed invece sono uscito di strada solo 2 volte, sono proprio contento”.

Un primo passo in avanti, nella direzione di comprendere a pieno la portata della customer satisfaction, proviene dalla considerazione della limitatezza del concetto di attesa del consumatore come base per realizzare il benchmarking della customer satisfaction.

Il concetto di prestazione attesa, alla base della teoria classica, significa essenzialmente “ciò che il cliente pensa di ottenere dal prodotto”, “ciò che il cliente ritiene sarà la prestazione reale del prodotto”, o, come nel caso dei sevizi, le attese sulla qualità del servizio (conformità, puntualità, attenzione).

Il concetto di attese non include un importante area della psicologia del consumo, quella degli ideali. Se tutti i concorrenti riescono a fornire lo stesso livello prestazionale, come può nascere vantaggio competitivo? L’unica possibilità è quella di ricorrere all’analisi degli ideali del consumatore, dei sogni nascosti, senza fermarsi a ciò che il mercato offre attualmente. E senza nemmeno fermarsi a ciò che il consumatore considera “ideale” in prima battuta.

Sono necessarie diverse introspezioni profonde per raggiungere concetti che una persona non ha mai esplorato. Tra questi concetti vi è proprio quello di “prodotto ideale”, che è sempre e comunque specifico e relativo ad un bisogno sottostante (ad esempio: utilizzare proficuamente il proprio denaro, il bisogno di non perdere, il bisogno di sicurezza economica, ecc..).

Questo significa far luce sulle “prestazioni ideali” o “desideri latenti” del consumatore.

Il nostro modello include quindi tale componente: la prestazione ideale, la caratteristica auspicata, ciò che si colloca nei sogni del consumatore e non è ancora realtà. Ma proprio per questo, proprio per la sua natura di sogno, rappresenta una formidabile arma per l’azienda che la sappia trasformare in realtà, o immettere almeno parzialmente nel proprio value mix.

I desideri o prestazioni ideali sono caratteristiche del prodotto e della prestazione che “idealmente” il prodotto dovrebbe possedere, ma che per motivi diversi (tecnologia non ancora matura, o, semplicemente, perché nessuno l’aveva ancora pensato), non fanno parte del prodotto attuale. In altre parole, il prodotto ideale è quel prodotto che soddisfa maggiormente il BSS (bisogno sottostante servito). Questo prodotto ideale è assolutamente soggettivo, diverso da persona a persona. Esso sarà tanto più sofisticato ed elevato, tanto più lontano dal presente, quanto più elevata è la competenza tecnica, la creatività, il livello evolutivo ed intellettuale del consumatore, in relazione al bisogno espresso.

Tutte queste componenti si congiungono per formare il livello prospettico del consumatore, ovvero la capacità del consumatore di percepire la limitatezza attuale del prodotto e sviluppare desideri evoluti su nuove caratteristiche e forme di soluzione. Consumatori di ridotto livello prospettico vedranno il prodotto ideale all’interno delle possibilità tecnologiche attuali, mentre consumatori di alto livello prospettico sapranno indicare caratteristiche anche nuove e estranee alle tecnologie attuali, tuttavia centrali rispetto al bisogno sottostante servito. Saranno inoltre più consci della limitatezza del prodotto rispetto ad un ipotetico prodotto ideale.

La stimolazione del livello prospettico del consumatore, tramite campagne informative e di sensibilizzazione, costituisce quindi un importante risultato sociale – sia per lo sviluppo di una cultura di consumo intelligente che per la funzione di stimolo che il consumatore evoluto può apportare all’impresa.

Realizzando un esempio nel settore auto, un guidatore di basso livello prospettico potrebbe indicare come vettura ideale “un’auto onesta che consumi poco”. Un consumatore più evoluto prospetticamente potrebbe indicare “un’auto che utilizzi fonti di energia alternative, con elevati livelli di comfort e sicurezza”. Un consumatore di livello prospettico ancora superiore potrà invece indicare come prodotto ideale:

un oggetto sul quale impostare la destinazione, in grado di portarmi presso essa automaticamente, mentre consumo la colazione o dò un’occhiata al giornale. Viaggiando spesso per lavoro, questo oggetto dovrebbe potermi portare in un qualunque luogo in Europa in massimo 1 ora, più o meno, ed essere molto confortevole, consentendomi di arrivare fresco e riposato sul luogo di lavoro o di riunione. Posso  immaginare una sorta di automobile che si eleva dal piano terreno, viaggia in “corridoi aerei sopraelevati” e raggiunge la destinazione tramite un sistema di guida automatica controllato da computers. Mi piacerebbe moltissimo volare, ma senza tutti gli svantaggi dell’aereo, doverlo prenotare, i ritardi, gli aeroporti. Vorrei un aeromobile personale grande quanto un’auto. E quando intendo destinazione non penso ad una stazione di approdo centralizzata, ma esattamente l’indirizzo specifico presso il quale devo arrivare. Ogni metro più in là è dispersione di tempo. Perciò mi piacerebbe che questa auto mi depositasse presso una piattaforma di attracco sullo stesso piano dell’ufficio dove devo recarmi, ed andasse a parcheggiarsi automaticamente. Finiti gli impegni di lavoro, chiamo la vettura con un telecomando e mi raggiunge, aprendosi comodamente ed offrendo il sedile che fuoriesce dall’abitacolo per facilitare l’accesso. E poi spingo il pulsante “casa” e mi guardo un pò il panorama dall’alto. Sarebbe stupendo.

Questa descrizione visionaria contiene molti dei benefits e plus che le autovetture moderne cercano di introdurre nei loro modelli – stanti naturalmente le limitazioni delle tecnologie correnti.

Come si vede, ciò che cambia è il quantum di scollamento tra prodotto attuale e prodotto ideale, la visione di nuove modalità per meglio risolvere il BSS (spostarsi fisicamente). Osserviamo però, che spostarsi fisicamente è in realtà una delle tante possibilità esistenti per realizzare un “incontro con altre persone”. Se  questo BSS può essere risolto da altri strumenti (es: una videoconferenza multimediale può risolvere la componente dello scambio informativo) –  e in futuro forme di comunicazione olografica potranno risolvere questo bisogno ancora meglio – siamo in presenza di una forma di potenziale concorrenza allargata.

Per quanto futuribili appaiano queste considerazioni, non v’è dubbio, tuttavia, che conoscere le “aspirazioni” dei consumatori in merito al “prodotto ideale” aiuta a comprendere la direzione di sviluppo del prodotto, il percorso che meglio soddisfa il bisogno sottostante servito, costituendo una utile guida, un faro per direzionare gli sforzi di ricerca e di innovazione di prodotto.

Porzioni del “prodotto ideale”, prese e inserite nella produzione corrente, possono determinare forti vantaggi competitivi. Si pensi ad esempio ad un sistema di guida sicura in condizioni di scarsa visibilità, ai sistemi di navigazione satellitare, ai sistemi per migliorare la tenuta di strada, a sistemi di self-parking, a funzioni di evitazione attiva di incidenti (correzione automatica di manovra) e altre innovazioni di alto valore per il cliente.

Riportiamo di seguito i risultati di un focus-group su 12 giovani dai 18 ai 23 anni, finalizzato a delineare i componenti dell’”auto-ideale” da cui emergono numerosi spunti sia pratici (il da farsi) che progettuali (mete per il futuro di medio periodo) e analitici (cercare di capire “perché le persone hanno inserito questa richiesta?”).

2. L’asse evolutivo del prodotto

Per progettare customer satisfaction competitiva, ogni azienda dovrebbe porsi il problema oggi di come sarà il proprio prodotto futuro tra 20, 50 o 100 anni. Ieri avevamo le carrozze, oggi le auto, e domani? Quali percorsi di sviluppo avranno i prodotti? E come potremo indirizzare la ricerca e sviluppo se non sappiamo prevederlo? Ed ancora, ieri esistevano i segnali di fumo, i piccioni viaggiatori, i messi a cavallo, oggi i telefoni, e la telefonia diventa sempre più miniaturizzata e portatile. Come evolveranno domani i prodotti e le tecnologie della comunicazione? Possiamo permetterci di non fare riflessioni sul futuro?

Qualcuno potrebbe dire: basta aspettare. Questo, tuttavia, solo per l’azienda di scarse o nulle ambizioni. Le aziende che vogliono godere di un vantaggio competitivo domani, devono saper prevedere oggi quali saranno le evoluzioni più probabili alla luce della psicologia del consumatore, ed indirizzare lì gli sforzi di ricerca. E sottolineiamo psicologia del consumatore, e non tecnologia, in quanto nessuna tecnologia fine a se stessa può avere successo di mercato, se non si innesta su qualche bisogno umano reale.

I bisogni delle persone plasmano la direzione di sviluppo di qualsiasi tecnologia, ed anche le più sofisticate innovazioni tecniche possono valere nulla sul mercato se non si indirizzano ai bisogni di un bacino sufficiente di consumatori.

È necessario capire, quindi, l’asse evolutivo del prodotto, delineare le diverse ipotesi e procedere verso quelle che si verificheranno con maggiore probabilità, sino a capire quale sarà il futuro del prodotto.

L’analisi del futuro si realizza tramite ipotesi di scenario e permette di delineare quali saranno i terreni nei quali l’azienda sarà chiamata a muoversi, quali saranno le nuove sfide, cosa faranno i concorrenti, cosa possiamo fare noi prima di loro.

Le possibili evoluzioni del modo di soddisfare il BSS si basano sul concetto di prodotto ideale, cioè sui sogni dei consumatori, i quali evolvono con il progredire del tempo. Il prodotto ideale è un concetto psicologico, non tecnologico.

Per capire quale tipo di futuro attende il prodotto, l’impresa deve porsi nell’ottica della valutazione della distanza tra il prodotto attuale e il prodotto ideale, analizzando cosa i consumatori intendono per “prodotto ideale”. Questo richiede il ricorso a tecniche di ricerca “in profondità” sui bisogni umani.

Il gap tra prodotto attuale e prodotto ideale costituisce il percorso di innovazione e miglioramento da attuare per l’azienda, lungo un ipotetico asse delle prestazioni.

Nel tempo anche l’immagine del “prodotto ideale” si evolve, cambia e si adegua alle culture individuali e sociali, prefigurando nuove mete e nuovi orizzonti. Il processo di evoluzione della consapevolezza del consumatore ne accresce infatti la criticità e le attese. In altre parole, il prodotto ideale è un concetto in continua evoluzione che pone continue sfide all’impresa. Il concetto di miglioramento è da intendere in senso continuo.

L’ideal product check (il momento in cui l’impresa fotografa il prodotto ideale nella mente del consumatore target) deve essere ciclico e ripetersi con una cadenza stabilita (almeno ogni 5 anni, ma anche prima se le tecnologie del settore sono in rapida evoluzione).

Il prodotto ideale abita spesso in un territorio situato oltre la consapevolezza del consumatore, eppure esiste, e ad un certo punto (momento sociale, momento psicologico) emerge per guidare il consumatore nella  comparazione tra ciò che egli ha (o gli viene offerto dal mercato) e ciò che egli sogna di avere o vorrebbe avere. Quando questo avviene, si determina una immediata riformulazione degli standard di mercato, e ciò che costituiva prodotto soddisfacente ieri diviene vecchio ed obsoleto oggi.

Ricorriamo di nuovo all’esempio riportato nel capitolo 4 di ALM1[1] ed analizziamo come la dinamica di evoluzione delle aspettative possa applicarsi in un contesto reale. L’esempio fa riferimento ad una cuffia acustica in grado di limitare i rumori forti ma lasciar passare il parlato, rendendo così possibile il lavoro di gruppo in condizione ambientali sfavorevoli.

Prodotti in Vetrina: Cuffia ULTRA 9000® ad attivazione acustica di rete

La cuffia ULTRA 9000® è di tipo non lineare in quanto la protezione offerta dipende dal livello di rumore circostante. In altre parole, grazie al sistema di valvole brevettate, quanto più alto è il livello del suono, tanto più alto è il livello di riduzione del rumore, il che non solo garantisce un alto grado di protezione ma permette all’utente di udire le normali comunicazioni e i rumori di basso livello senza dover ricorrere all’aiuto di sistemi elettronici. La caratteristica acustica del condotto favorisce la trasmissione del parlato e dei suoni di basso livello senza dover ricorrere all’aiuto di sistemi elettronici. I suoni superiori ai 120 dB però subiscono un maggiore grado di resistenza e quindi di protezione. Adatta per i poligoni di tiro, per i supervisori aziendali, particolarmente per coloro che devono poter conversare con gli operai, e ovunque vi siano impulsi sonori e rumori di alto livello e sia necessario poter comunicare……

In tale esempio possiamo notare l’asse evolutivo del prodotto, consistente nel passaggio da blocco del rumore in ingresso a filtratura selettiva dei rumori. Questa evoluzione genera una maggiore taratura verso il BSS.

Rispetto alla nostra analisi, è interessante notare come ciò che contraddistingue il prodotto migliorato rispetto al primo consiste proprio nella maggiore centratura rispetto al BSS. Il vero BSS di una cuffia da lavoro infatti consiste nella eliminazione dei rumori dannosi, e non nella eliminazione del suono in generale, poiché alcuni suoni, come il parlato, sono utili.

L’azienda che intuisce il vettore di sviluppo del prodotto e si sforza di realizzare nuove soluzioni acquista vantaggio competitivo.


[1] Trevisani, D. (2000). Competitività aziendale, personale, organizzativa. Milano, Franco Angeli.

3. La ricerca di prodotti straordinari

I prodotti straordinari sono quelli che stupiscono il consumatore, in quanto dotati di proprietà e caratteristiche innovative e tuttavia intrinsecamente legate alla risoluzione del BSS. Spesso si tratta di caratteristiche alle quali nemmeno il consumatore stesso aveva mai pensato, in quanto troppo lontane dal proprio sistema prospettico, o perché ritenuti irrealizzabili tecnicamente.

Le prime proiezioni nelle sale cinematografiche facevano fuggire gli spettatori per l’incredibile novità rappresentata dal vedere un treno in movimento proprio di fronte ai loro occhi. Oggi questo non stupisce più. I primi modelli di auto dotate di navigatore satellitare GPS e sintesi vocale hanno stupito gli utilizzatori proprio per l’incredulità verso l’esistenza di un’auto che “parla”, indica quando curvare e quale direzione prendere per raggiungere la meta, avvisando di essere giunti a destinazione esattamente quando ci si trova di fronte all’indirizzo ricercato. Lo stesso percorso evolutivo del prodotto è rilevabile in questo esempio:

Alimenti più sicuri. La pellicola della salute

Semplicemente avvolgendo una fetta di carne in una particolare pellicola di plastica potremo sapere se il cibo è contaminato da batteri nocivi. L’involucro, costruito da un’azienda canadese, la Toxin Alert, è formato da sottilissimi strati di plastica separati l’uno dall’altro. Lo strato più interno, a contatto con il cibo, contiene pori che catturano i batteri costringendoli a passare nel secondo strato. Qui una serie di anticorpi immersi in un gel nutriente intrappolano e colorano i microrganismi che vengono poi diffusi verso l’esterno. Nell’ultimo strato sono presenti anticorpi specifici per i diversi tipi di batteri responsabili di infezioni come la salmonella, l’Escherichia coli e il Campylobacter. Questi anticorpi sono disposti a formare una X che diventa visibile, colorandosi, quando i batteri vengono intrappolati. Secondo Gord Furzer, vicepresidente della Toxin Alert, l’involucro sarà in commercio alla fine di quest’anno e costerà circa il 25% in più di una normale pellicola per alimenti.[1]

Il modello che propongo prevede che la straordinarietà dei prodotti derivi dalla distanza percepita tra prestazioni e ideali, sottraendo le prestazioni prevedibili. Minore è la distanza rispetto al prodotto ideale, maggiore sarà la straordinarietà. Ma allo stesso tempo, la straordinarietà deriva dal superamento delle attese prevedibili, e dalla capacità di colpire il consumatore con innovazioni inattese.


[1] Newton, 6/2000.

Il cardine di ogni processo di sviluppo competitivo straordinario, come si osserva, è l’investigazione dei sogni del consumatore o cliente (dreams), attorno ai quali far ruotare tutto il marketing e la ricerca e sviluppo aziendale.

Come produrre queste innovazioni inattese? Certamente non aspettando che lo facciano i concorrenti, ne depositino i brevetti e ne ricavino leadership per anni. Essere leader in innovazione richiede attivazione – propulsione manageriale, orientamento alla ricerca e ad un grado ottimale di risk-taking. Questo significa realizzare periodiche sessioni di creatività, progetti di ricerca, analisi delle evoluzioni prospettiche del consumatore, laboratori di interazione azienda-utilizzatore, e altre forme di ricerca.

Questo approccio richiede sinergia tra le attività di marketing e le aree tecnologiche e produttive nell’impresa, con l’inserimento in azienda dei sogni del cliente come motore dello sviluppo. L’azienda, organismo attuativo, deve tradurre questi sogni in strategia e darsi un’organizzazione appropriata.

Deve essere attivato quindi un processo di Ricerca e Sviluppo per l’evoluzione del prodotto fino alla revisione del concetto stesso di prodotto.

Dalla discussione di cui sopra, emerge la necessità di introdurre un nuovo modello di customer satisfaction denominabile come “modello di disconferma delle aspettative e distanza di desiderio”, o “prestazioni-aspettative-ideali” (P-A-I).

©Copyright. Articolo estratto con il permesso dell’autore dal libro di Daniele Trevisani: “Psicologia di Marketing e Comunicazione” Franco Angeli Editore, Milano

Semantica articolo. Le parole chiave di questo articolo sono:

Progettare la customer satisfaction

Soddisfazione del cliente

Marketing mix

Disconferma delle aspettative

Esperienza di prodotto

Attesa del consumatore

Ideali di consumo

Prestazione ideale

Sviluppo del prodotto

Evoluzione di prodotto

Innovazioni inattese

Differenziazione

Risk-taking

Innovazione prodotto

Design centrato sull’utente

Customer-centric design

Feedback continuo

Prototipazione rapida

Metodologie Agile

User experience (UX)

Test di usabilità

Metriche di soddisfazione

Co-creazione

Customer journey mapping

Net Promoter Score (NPS)

Progettazione iterativa

Analisi di mercato

Design thinking

Valutazione delle prestazioni

Voice of the Customer (VoC)

Customer experience management (CEM)

Product-market fit

Segmentazione clienti

©Copyright. Articolo estratto con il permesso dell’autore dal libro di Daniele Trevisani: “Psicologia di Marketing e Comunicazione” Franco Angeli Editore, Milano

Esistono, come abbiamo notato, una molteplicità e varietà di bisogni del consumatore, di modi di acquistare, di moventi, che partono spesso dalla presenza di pulsioni contrastanti. Questo rende gli sforzi aziendali per generare customer satisfaction (la soddisfazione del consumatore) alquanto ardui. Anche perché i moventi e gli scenari cambiano velocemente.

Per raggiungere l’obiettivo della soddisfazione del consumatore, dobbiamo ricorrere ad una lettura psicologica del concetto di valore, alla ricerca di qualche elemento di stabilità cui ancorare solide strategie operative.

Il marketing mix si compone notoriamente di quattro leve di marketing: il prodotto, il prezzo, la distribuzione e la promozione/comunicazione.

Il passaggio cruciale è spostare l’attenzione aziendale dal concetto di marketing mix (incentrato sull’organizzazione interna), al concetto di value mix (il mix di valore), in cui le leve di marketing vengono analizzate unicamente quali strumenti di creazione del valore per il cliente.

Ciascuna leva deve essere considerata occasione per creare valore nel consumatore, e non semplice adempimento organizzativo o manageriale. Creare valore è possibile attraverso lo studio delle caratteristiche del prodotto, ma anche attraverso forme di pricing innovative e maggiormente vicine alle attese del cliente, forme distributive semplicemente più funzionali, forme di comunicazione aziendale e assistenza di superiore qualità.

Per ciascuna delle quattro leve di marketing, è necessario fare un passo in avanti decisivo, valutando cosa costituisca valore in essa. Il valore, come abbiamo notato, deriva dalla capacità di una caratteristica di corrispondere ai bisogni consci, inconsci e subconsci dell’individuo. Al centro della progettazione della customer satisfaction, quindi, devono entrare i concetti di prestazione ideale, prodotto ideale, distribuzione ideale, pricing ideale, e comunicazione ideale.

In questo capitolo evidenziamo i possibili sviluppi della customer satisfaction, nella convinzione che in quest’area, come in molte altre, diversa strada sia ancora da percorrere.

Partiamo dalla delineazione di alcuni strumenti minimi, per passare in seguito alle evoluzioni più complesse.

1. Wish List: orientare l’offerta

La prima necessità operativa e immediata in una gestione orientata alla competitività è quella di ottenere la wish-list del cliente (lista dei desideri).

La wish-list può essere considerata un’elencazione della situazione desiderata, ciò che si deve verificare in seguito all’acquisto/utilizzo/fruizione del prodotto o del servizio. La wish-list permette di regolare di conseguenza l’offerta aziendale, e costituisce il primo strumento operativo della customer satisfaction.

Sviluppare la wish-list risulta particolarmente indispensabile nei rapporti consulenziali e nel business-to-business, ove diventa necessario fare assoluta chiarezza sui risultati attesi e sui tempi e modi realizzativi. La fase di intervista al cliente, la sua capacità di far emergere le esigenze, assume un valore  determinante per far esplodere il bisogno sottostante e articolarlo. Senza comprensione anticipata dei desideri non vi può essere soddisfazione del cliente.

2. Modello XY: dal desiderio al cambiamento

Nella wish-list è insito, a livello psicologico, il desiderio di cambiamento. In ogni acquisto si cela un desiderio di modificare uno stato di cose. Una mela per cambiare il senso di fame. Una cravatta per cambiare il look, un computer per cambiare la propria produttività, ecc. Acquistare significa cambiare qualcosa in qualche stato psicologico del cliente. Perché acquistare se tutto va bene e nessun bisogno appare all’orizzonte futuro?

In che direzione deve avvenire il cambiamento? Se al tempo zero, prima dell’acquisto e utilizzo del prodotto/servizio, la situazione era “X”, la situazione che si deve determinare grazie al prodotto/servizio è la “Y”. Il venditore deve assolutamente capire in quale direzione il cliente vuole cambiare le cose. E soprattutto, su quali specifiche situazioni si vuole agire.

Il modello XY è pervasivo e si applica ad ogni bisogno umano.

Ad esempio, in campo medico la X è la presenza di una malattia, la Y è la eliminazione della malattia. Oppure – nel caso di una consulenza di vendita – la situazione X rappresenta un calo di vendite in corso la cui natura non è stata ben decifrata, la situazione Y consiste nella comprensione scientifica delle cause e nello sviluppo di indicazioni operative sul da farsi.

Ed ancora, per quanto riguarda il campo aziendale, può verificarsi la consapevolezza che attualmente il sistema informatico dell’azienda sia dispendioso, lento, fonte di elevati costi di manutenzione e di difficoltà d’uso (stato X: alto TCO – Total Cost of Ownership e bassa efficienza). La situazione desiderata è una maggiore efficienza, velocità, e capacità d’uso degli strumenti informatici in azienda da parte degli operatori, con riduzione del TCO (stato Y: riduzione TCO e aumento di efficienza del sistema).

A questo punto, il consulente o venditore informatico dovrà predisporre un quadro di possibili soluzioni per la trasformazione da X a Y. Ma questo può essere svolto solo in seguito ad una analisi accurata, che faccia luce sulle false Y e sulle false X – nascoste nello stato di cose, nel dal caos aziendale, o da una scarsa consapevolezza nella mente del cliente.

3. Analisi e chiarificazione degli obiettivi

Il cliente spesso non ha ben chiara la Y, ma percepisce la necessità di un cambiamento, di un miglioramento, di un risultato (goal). Aiutare il cliente a chiarificare la Y è dovere del venditore. Anzi, è proprio su questo campo che si misura la vera abilità del consulente o venditore.

Questo significa sviluppare la capacità di discriminare tra falsi risultati e veri risultati. Non sono rari i casi in cui gli obiettivi reali del cliente sono schermati da uno strato di confusione organizzativa e mentale, che ne sfoca il quadro.

Un esempio di risultato apparente, è dato dal “volere un corso di informatica per il proprio personale”, mentre il vero risultato sottostante è “l’aumento dell’efficienza organizzativa tramite strumenti tecnologici”. I due risultati possono sembrare simili, ma così non è. Infatti, l’aumento dell’efficienza organizzativa richiede non solo maggiore capacità nell’uso del PC ma anche la conoscenza di alcune regole di time-management e di comunicazione organizzativa interna, senza le quali si crea scarsa produttività.

Conoscere la “Y”, oltre le apparenze, rappresenta quindi uno degli obiettivi della wish-list, che può essere utilizzata sia come strumento per conoscere le attese del cliente, che come strumento per la gestione strategica delle aspettative.

Parafrasando alcune domande: «Dimmi qual’è la vera situazione attuale», è il tema della X. «Dimmi dove vuoi arrivare veramente», è il tema della Y.

4. Analisi della situazione attuale

Errori di progettazione in grado di minare la soddisfazione provengono da una eventuale cattiva identificazione della posizione di partenza (la x), dalla quale discendono errori a catena.

In molti casi di intervento consulenziale realizzati dall’autore, è stato posto come requisito indispensabile un’analisi dello stato dell’arte (situation analysis), realizzabile tramite diversi strumenti. L’obiettivo dell’analisi è quello di andare oltre l’intenzione espressa per identificare il reale quadro di partenza, nella consapevolezza che solo una diagnosi dello stato X permette di assicurare il conseguimento della Y secondo tempi e modalità concordabili e rispettabili dai contraenti.

Tra gli strumenti utilizzati per la Situation Analysis figurano:

Oltre a questi metodi tradizionali, vengono utilizzati altri strumenti e tecniche proprietarie sviluppate dall’autore – visualizzabili online al sito www.studiotrevisani.it – a cui si rimanda per approfondimenti.

5. Analisi degli scostamenti tra situazioni attuali ed obiettivo

Una delle skills più forti del consulente di vendita (e del professionista di marketing in generale) sta nel saper identificare correttamente sia le Y reali (obiettivi da perseguire), che le X reali (situazione di partenza).

Nei casi in cui lo stato iniziale su cui si vuole agire sia stato male identificato, e l’obiettivo risulti impreciso, falsato o poco chiaro, i rischi di errore e insoddisfazione reciproca sono elevatissimi.

Far emergere la X significa determinare la situazione attuale del cliente, identificare la natura delle pulsioni sottostanti, i bisogni che spingono il cliente verso il cambiamento. Solo così potrà essere determinato il divario esistente tra X (situazione attuale) e Y (situazione desiderata dal cliente), e quindi lo sforzo da attuare per raggiungere l’obiettivo. Il venditore o il consulente agiscono in questo caso utilizzando criteri di Gap-management, un approccio duale concentrato sugli scostamenti tra situazioni attuali e situazioni obiettivo, e sul ruolo del prodotto/servizio come strumento di cambiamento.

6. Le 3 componenti della wish-list

La wish-list contiene una triplice componente:

Oltre a far emergere la Y di risultato, è necessario sapere come e quando la Y debba realizzarsi pienamente, ovvero tempistica di realizzazione desiderata. Allo stesso tempo è necessario capire se esistono eventuali limitazioni o vincoli sulle “modalità realizzative”.

Molti casi di insoddisfazione reciproca derivano dal fraintendimento tra acquirente e offerente in merito alla esatta definizione della prestazione da realizzare (Y di risultato), ai tempi (Y temporale) o ai metodi utilizzati (Y metodologica).

Far emergere entrambe le componenti è assolutamente necessaria per prevenire l’insoddisfazione, ed evitare problemi ad entrambi i soggetti (venditore/consulente e cliente).

7. Dalla wish-list al risultato desiderato

Cosa desideri? Quali sono i tuoi obiettivi? Cosa ti aspetti? Questo tipo di domanda sottostà la definizione della wish-list di risultato. Un fraintendimento a questo livello causa effetti devastanti.

Ad esempio, poniamo il caso di un consulente cui sia stato richiesto di “realizzare una ricerca di mercato in merito all’iniziativa NewProduct presso 20 top-aziende della regione”. Farà egli un buon lavoro se consegnerà un report accurato sulla propensione d’acquisto rilevata sul campo? Dipende. Se il committente stava cercando 20 clienti per il NewProduct, e intendeva l’incarico come “reperimento di 20 clienti” (risultato atteso A), il suo lavoro sarà considerato pessimo. Se il suo incarico sottintendeva il “sondaggio delle intenzioni su 20 potenziali clienti” (risultato atteso B), avrà fatto un ottimo lavoro. Reperimento di clienti e sondaggio di intenzioni sono due obiettivi estremamente diversi. In generale, in caso di fraintendimenti, le responsabilità possono essere a due livelli:

Il problema deve essere affrontato sin dall’inizio, secondo il seguente principio:

Il venditore deve assolutamente informare il cliente se percepisce che le risorse messe in campo siano insufficienti per soddisfare la wish-list di risultato e metodologica: in questo caso, o si modificano le attese e si produce una wish-list meno ambiziosa, o si incrementano le risorse (i miracoli non esistono).

Anche su prestazioni che sembrano abbastanza predefinite, la wish-list di risultato rappresenta uno strumento utile. Nell’esempio di una ricerca di mercato, il fornitore del servizio potrebbe dare per scontato che il cliente si aspetti una indagine su un campione, utilizzando un questionario semistrutturato, fornendo al cliente dati, grafici e tabelle (risultato A). Può accadere che invece dall’altra parte, il cliente si attenda una serie di indicazioni operative sul da farsi, e sia assolutamente non interessato ad avere dati, grafici e tabelle. Questo cliente vuole “indicazioni su come muoversi” (risultato B).

I due risultati sono in realtà assai diversi, e rappresentano due diverse wish-list: in un caso “ricevere informazioni utili alle decisioni da prendere”, che comunque spetteranno all’azienda, nell’altro caso “ricevere una serie di indicazioni operative e ottenere soluzioni”. Nel caso A il cliente acquista “dati”, nel caso B acquista “strategie”, due prestazioni estremamente diverse.

Se il cliente non riesce o non vuole mettere per iscritto la propria wish-list in una lettera d’incarico, è assolutamente indispensabile evitare di avviare una collaborazione, poiché, nel caso, si aprirebbe la strada al diverbio sul risultato, o al mancato pagamento, e al rischio di lavorare senza sapere con quale fine.

8. Definire il metodo

La wish-list metodologica riguarda le modalità realizzative, gli strumenti da utilizzare per produrre il risultato atteso.

Possono esistere preferenze non espresse in merito alla wish-list metodologica, che vengono date per scontate dal cliente o dal fornitore, mentre l’altra parte non ne è a conoscenza.

Osserviamo il caso di un cliente che orienta la propria wish-list non solo al risultato, ma anche al metodo: ipotizziamo che un cliente desideri svolgere una verifica di efficacia della rete distributiva, analizzando il comportamento sul punto di vendita tramite uno specifico metodo: la ghost customer research. La specifica del metodo “ghost customer” vincola il realizzatore ad una precisa modalità esecutiva. Queste indicazioni devono essere conosciute a priori, pena la creazione di ampi spazi di insoddisfazione reciproca e malintesi.

9. Modelli di rilevazione della wish-list

Proponiamo di seguito alcuni esempi e modelli di wish-list da sottoporre al cliente.

Il primo modello (wish-list generale) ha lo scopo di inquadrare la problematica, sviluppare il tema dell’intervento. Qual’è il problema al centro dell’intervento? La situazione attuale come si può definire? Qual’è la situazione desiderata? Esistono vincoli di realizzazione? Che budget è disponibile per realizzare l’intervento? È adeguato?

Il secondo modello proposto è maggiormente dettagliato. Esso cerca di comprendere la componente anticipatoria, omeostatica e preventiva dell’intervento, le restrizioni metodologiche, le scadenze intermedie e finali.

Include anche la valutazione del budget, e se esso risulta adeguato all’obiettivo atteso; se siano state affrontate e risolte tutte le problematiche, se la natura del rapporto sia stata chiarificata.

Un ottimo test della chiarificazione del rapporto si ottiene quando le aspettative reciproche possono essere messe per iscritto, formulando un incarico chiaro e preciso, nel quale entrambe le parti si identificano.

Fintanto che non vi è sufficiente chiarezza, o focalizzazione degli obiettivi, i margini di errore e insoddisfazione sugli esiti del rapporto saranno molto ampi.

Se si è al punto di non riuscire a scrivere – nero su bianco – quali siano le aspettative reciproche (prestazione da un lato, tempi e modalità di pagamento dall’altro), un rapporto business-to-business non dovrebbe essere nemmeno iniziato.

10. Dal generale al particolare

In generale, la customer satisfaction evidenzia l’esigenza di realizzare un processo di narrowing-down, cioè di restrizione di possibilità e focusing dal generale al particolare, fino alla determinazione delle specifiche richieste dall’intervento, dal prodotto o dal servizio.

Le specifiche di prodotto/servizio esprimono in maggior dettaglio le attese del cliente rispetto a tempi, modi, obiettivi della prestazione. Naturalmente, il livello di dettaglio deve essere ragionevolmente finalizzato: gli eccessi porterebbero ad una riduzione degli spazi creativi, mentre un difetto renderebbe difficile la misurazione dell’accuratezza realizzativa del progetto.

Le specifiche possono riguardare aspetti tecnici, ad esempio la dimensione delle viti da utilizzare in un macchinario, o aspetti di macro-risultato, ad esempio la potenza che un utensile dovrà erogare in Watt e il numero di ore giornaliere per il quale l’utensile dovrà operare senza presentare problemi.

Anche nel campo del servizio le specifiche costituiscono una componente importante della wish-list. Ad esempio, in un corso formativo la wish-list dovrà indicare il risultato atteso in termini di cambiamento e di effetti da conseguire. Le specifiche dovranno invece approfondire aspetti metodologici rilevanti, tra cui il numero di partecipanti, l’articolazione oraria dei moduli formativi, l’utilizzo di modalità formative specifiche, sedi e orari, ecc..

Sia la wish-list che le specifiche costituiscono un importantissimo momento di focalizzazione e di dialogo tra cliente e fornitore, un dialogo nel quale il prodotto o servizio viene “costruito assieme”, una forma di co-progettazione a vantaggio della chiarezza del rapporto e dei risultati.

Riportiamo alcuni esempi di griglie di rilevazione.

©Copyright. Articolo estratto con il permesso dell’autore dal libro di Daniele Trevisani: “Psicologia di Marketing e Comunicazione” Franco Angeli Editore, Milano

Semantica articolo. Le parole chiave di questo articolo sono:

Soddisfazione del cliente

Creazione del valore

Marketing mix

Psicologia del valore

Bisogni inconsci

Competitività

Anticipazione dei desideri

Gestione strategica delle aspettative

Time management

Benchmarking

Skills

Vision

Mission aziendale

Gap management

Vincoli realizzativi

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©Copyright. Articolo estratto con il permesso dell’autore dal libro di Daniele Trevisani: “Psicologia di Marketing e Comunicazione” Franco Angeli Editore, Milano

La cultura incide sia su macro-comportamenti di consumo (scelte di categoria) che su micro-comportamenti, quali le modalità di utilizzo o le valutazioni relative a singole caratteristiche del prodotto. All’aumentare della distanza culturale aumenta la probabilità di incomprensione reciproca e si modificano i significati di oggetti e comportamenti. La distanza culturale deve entrare a far parte delle valutazioni strategiche, anche alla luce della crescente internazionalizzazione e globalizzazione dei mercati.

Il fattore culturale deve essere tenuto tanto più presente quanto più distante è la cultura dell’acquirente da quella dell’offerente. Specialmente a livello internazionale (marketing internazionale), operando sui mercati esteri o con clienti stranieri, le differenze possono essere sostanziali e necessitano di conoscenza, adeguamenti e strategie specifiche. Si determina quindi la nascita di una nuova forma di marketing – il marketing interculturale – ovvero un insieme di strategie finalizzate ad implementare il fattore culturale nel marketing mix: nel prodotto, nelle formule di prezzo, nelle strategie distributive, e nelle modalità di comunicazione ai mercati culturalmente distanti.[1]


[1] Per una valutazione delle problematiche di marketing e persuasione interculturale, vedi Aaker, J.L. (2000). The Influence of Culture on Persuasion Processes and Attitudes: Diagnosticity or Accessibility? Journal of Consumer Research. -Volume 26, N. 4, Marzo 2000.

©Copyright. Articolo estratto con il permesso dell’autore dal libro di Daniele Trevisani: “Psicologia di Marketing e Comunicazione” Franco Angeli Editore, Milano

Semantica articolo. Le parole chiave di questo articolo sono:

Macro-comportamenti di consumo

Modalità di utilizzo

Valutazione delle caratteristiche del prodotto

Distanza culturale

Valutazioni strategiche

Globalizzazione dei mercati

Fattore culturale

Marketing interculturale

Marketing mix

Marketing culturale

Prodotto

Prezzo

Promozione

Distribuzione

Targeting culturale

Segmentazione culturale

Adaptation marketing

Global marketing

Branding culturale

Strategia di posizionamento

Comunicazione interculturale

Pubblicità localizzata

Packaging culturale

Esperienza del cliente

Valore percepito

Cultura del consumatore

Eventi culturali

Sponsorizzazioni culturali

Analisi del contesto culturale

©Copyright. Articolo estratto con il permesso dell’autore dal libro di Daniele Trevisani: “Psicologia di Marketing e Comunicazione” Franco Angeli Editore, Milano

Qualsiasi scelta di acquisto ha un margine di errore (che il consumatore cercherà in vari modi di ridurre) e produce timori di perdita in chi la compie.

Le perdite possono distinguersi in perdite assolute e in perdite relative. Una perdita assoluta accade quando la prestazione ricercata non viene ottenuta affatto. Ad esempio, acquisto un nuovo sistema operativo per il mio PC per ottenere più stabilità, e ottengo meno stabilità (prima si bloccava due volte al giorno, adesso quattro). Una perdita relativa si ottiene quando, successivamente all’acquisto, il consumatore si accorge che era possibile trovare lo stesso prodotto, ma ad un prezzo migliore, o a condizioni migliori, o che un prodotto concorrente offriva prestazioni migliori allo stesso prezzo, oppure ancora il prodotto fornisce una prestazione inferiore alle aspettative. Ad esempio, scopro che un negozio della stessa città offriva quelle scarpe speciali da escursione, che stavo cercando, con uno sconto del 40%. Oppure ottengo un miglioramento nella velocità di connessione molto basso rispetto all’investimento fatto per acquistare la nuova linea di telecomunicazione.

Il consumatore ricercherà sia l’evitazione di una perdita assoluta  (acquistare un prodotto che non risolve il problema), che l’evitazione di una perdita relativa (situazione in cui il prodotto raggiunge solo parzialmente il suo scopo, o vi è la percezione che il problema potesse essere risolto con minore esborso di risorse). Per farlo, ricercherà informazioni diagnostiche utili ad orientarsi. Accumulate le informazioni necessarie, quindi, deciderà.

Pertanto, il modello di decisione formalizzato è sostanzialmente basato sul processo di input-elaborazione-output.

Kotler, in un classico del marketing[1], evidenzia uno schema di acquisto così composto:


[1] Kotler, P. (1993). Marketing management. Torino, Isedi.

Sottolineiamo che questo modello funziona soprattutto negli acquisti maggiormente razionali o consci, là dove il soggetto è consapevole di quali siano le variabili in gioco, e si dia una strategia di acquisto. Il che non accade molto spesso.

©Copyright. Articolo estratto con il permesso dell’autore dal libro di Daniele Trevisani: “Psicologia di Marketing e Comunicazione” Franco Angeli Editore, Milano

Semantica articolo. Le parole chiave di questo articolo sono:

Scelta di acquisto

Rischio della perdita

Aspettative del cliente

Evitare la perdita

Modello decisionale

Consapevolezza delle variabili

Strategia di acquisto

Decisione d’acquisto

Analisi dei bisogni

Ricerca di informazioni

Ricerca di informazioni

Valutazione delle alternative

Acquisto

Post-acquisto

Coinvolgimento del cliente

Customer journey

Marketing mix

Comportamento del consumatore

Funnel di vendita

Brand loyalty

Customer satisfaction

Esperienza d’acquisto

Strategia omnicanale

Targeting

Segmentazione del mercato

Lead generation

Conversion rate

Retargeting

©Copyright. Articolo estratto con il permesso dell’autore dal libro di Daniele Trevisani: “Psicologia di Marketing e Comunicazione” Franco Angeli Editore, Milano

Siamo quindi in grado di formulare un secondo modello di valore del prodotto all’interno del metodo ALM, basato sulla numerosità dei bisogni risolti e sul grado di profondità risolutiva che il prodotto riesce a fornire.

Nel modello, il valore proviene sia (1) dal numero di stati categorici di bisogno sui quali incide il prodotto, che (2) dalla forza o potere del prodotto nell’incidere sul singolo stato del bisogno, e (3) dalla rilevanza della categoria per il soggetto (priorità soggettiva della categoria di bisogno).

Un valore elevato di prodotto può essere ricercato sia (1) ampliando il numero di stati attaccati, che (2) aumentando le proprietà risolutive sul singolo stato di bisogno, e (3) convogliando le risorse per generare potere risolutivo sui tipi di bisogno prioritari per l’individuo.

Prodotti che incidono fortemente su un singolo stato saranno inferiori a prodotti che incidono fortemente su più stati (proprietà sommatoria del valore).

Prodotti che incidono fortemente su uno stato critico saranno superiori a prodotti che agiscono su più stati di bisogno (elevata dotazione funzionale), ma con azione poco rilevante (proprietà localizzativa del valore).

©Copyright. Articolo estratto con il permesso dell’autore dal libro di Daniele Trevisani: “Psicologia di Marketing e Comunicazione” Franco Angeli Editore, Milano

Semantica articolo. Le parole chiave di questo articolo sono:

Bisogni risolti

Profondità risolutiva

Stato del bisogno

Potere del prodotto

Proprietà del valore

Efficacia risolutiva

Marketing strategico

Proposta di valore

Creazione di valore

Customer experience

Innovazione

Customer journey

Brand equity

Segmentazione di mercato

Targeting

Posizionamento

Differenziazione

Value proposition

Marketing mix

Comunicazione integrata

Content marketing

Digital transformation

Analisi del cliente

Fidelizzazione del cliente

Strategia di prezzo

Sostenibilità del business

©Copyright. Articolo estratto con il permesso dell’autore dal libro di Daniele Trevisani: “Psicologia di Marketing e Comunicazione” Franco Angeli Editore, Milano

Una domanda importante a questo punto diviene la seguente: le proprietà dei prodotti sono da attribuire ad un’unica categoria o possono esistere prodotti con funzione multipla? La creazione di valore può seguire due percorsi: la creazione di valore diffuso o la creazione di valore localizzato, cioè concentrato in una singola categoria.

I prodotti possono soddisfare contemporaneamente diverse tipologie di bisogno inserite nella scala di Maslow.

Nel mercato dell’auto, una autovettura qualsiasi soddisfa il bisogno di spostamento di un padre di famiglia, ma un’autovettura prestigiosa potrà soddisfare anche – contemporaneamente – il bisogno di affermare uno status, così come un’autovettura a forte connotazione sportiva potrà risolvere (almeno in parte) anche la necessità di avvolgere la propria immagine di un’aura dinamica, vincente e aggressiva.

Nelle aree “alte” della piramide, si può notare come la funzione di consumo e fruizione di prodotto assuma connotazioni di “cerimonia di consumo” con funzione di ostentazione presso gli altri o anche presso sé stessi.

Il prodotto può assumere una duplice valenza: (1) funzionale e (2) cerimoniale, al tempo stesso. Si pensi ad esempio alle modalità teatrali di fumare che alcuni mettono in atto, o al modo con cui un cocktail può essere bevuto in una discoteca, con funzioni di proiezione d’immagine.Questo livello di analisi richiede attenzione ai fenomeni di microcomportamento, analizzati in dettaglio da Goffman (1975 e 1969), ed, in Italia, da ricercatori e sociologi qualitativi tra cui Bercelli (1999 e 1999 bis).

Esistono quindi prodotti che dispongono di funzioni singole e prodotti che realizzano funzioni multiple (vedi figura successiva).

Un prodotto con funzione multipla non assume più valore automaticamente, soprattutto se “attacca” numerose categorie, ma poco in profondità. Diversamente, un prodotto che “attacchi” una sola categoria, ma molto profondamente, con alto potere risolutivo o preventivo, avrà valore elevato per l’individuo.

©Copyright. Articolo estratto con il permesso dell’autore dal libro di Daniele Trevisani: “Psicologia di Marketing e Comunicazione” Franco Angeli Editore, Milano

Semantica articolo. Le parole chiave di questo articolo sono:

Creazione di valore

Strategie di marketing

Gamma dei bisogni

Status

Autoaffermazione

Funzione di consumo

Funzione del prodotto

Marketing

Brand equity

Proposta di valore

Segmentazione

Targeting

Posizionamento

Differenziazione

Customer experience

Fedeltà del cliente

Customer journey

Innovazione

Comunicazione di marketing

Content marketing

Digital marketing

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Dr. Daniele Trevisani - Formazione Aziendale, Ricerca, Coaching