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Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele TrevisaniIl potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance”. Franco Angeli editore, Milano.

Le tecniche del metodo HPM per potenziare la memoria

La memoria è la capacità di immagazzinare informazione, fissare il flusso esperienziale e i dati, e avere accesso ad entrambi. La memoria è centrale per lo svolgimento della performance, in quanto, come evidenzia Baddeley:

senza la memoria saremmo incapaci di vedere, di udire o di pensare. Non avremmo un linguaggio per esprimere la nostra situazione, e di fatto neppure un senso della nostra identità personale. In breve, senza memoria saremmo dei vegetali, intellettualmente morti[1].

[1] Baddeley, A. (1990), La memoria, Laterza, Bari.

Vi sono migliaia di pubblicazioni e ricerche sulla memoria, un materiale sterminato impossibile da trattare in questa sede. Per i nostri fini vogliamo evidenziare alcuni tipi di memoria rilevanti per la performance e lo sviluppo delle energie mentali, sottolineando che non esiste una memoria singola ma molte tipologie di memoria.

  • Memoria a breve temine: mantenimento dell’informazione per pochi secondi dal suo ingresso.
  • Memoria a lungo termine: la funzione di immagazzinamento delle informazioni, superata la memoria a breve termine.
  • Memoria episodica: capacità di ricordare i dettagli di un evento, il ricordo di fatti particolari, come ciò che abbiamo mangiato a colazione il giorno precedente, o i dettagli di un evento anche remoto.
  • Memoria associativa: es.: ricordare i nomi delle persone vedendone il volto, associare un rumore ad una precisa auto.
  • Memoria semantica: creazione di significati associati a eventi o input. Fa parte della memoria semantica ad esempio la capacità di ricordare un certo odore e capire che si tratta di gomma bruciata.

Il movente scatenante energie mentali può essere associato alla memoria negativa o alla memoria positiva.

La memoria negativa riguarda eventi passati negativi e il tentativo di far si che non si ripetano, mentre la memoria positiva riguarda il ricordo di eventi positivi e il tentativo di far riaccadere quelle sensazioni.

Notiamo da questo passaggio, dal film: “Proposta Indecente” di Adrian Lyne, un esempio di associazione che crea movente per un comportamento:

Ricordo una volta quando ero giovane, e stavo tornando da non so dove, un cinema o forse qualcos’altro… c’era una ragazza che era seduta di fronte a me, indossava un vestito che era abbottonato quasi fin quassù… “era la cosa più bella che avessi mai visto”…

Allora ero timido, così quando lei mi guardava abbassavo gli occhi… poi dopo, quando ero io a guardarla li abbassava lei…

Arrivai dove dovevo scendere, e scesi, le porte si chiusero, e quando il treno stava ripartendo lei mi guardò negli occhi e mi fece un incredibile sorriso… fu terribile… volevo aprire per forza le porte… tornai ogni sera alla stessa ora… per 2 settimane… ma non l’ho più vista…

Questo è stato 30 anni fa… e non credo che passi giorno senza che io non rivolga un pensiero a lei…

Non voglio che succeda di nuovo!

Dal film: “Proposta Indecente”, frase recitata dall’attore Robert Redford

La memoria di lavoro (buffer mnemonico) consente il mantenimento di uno stimolo in ingresso per pochi secondi, necessari alla elaborazione mentale (cognitiva) dello stimolo stesso. È la memoria necessaria a ricordare un informazione per il tempo necessario allo svolgimento di un compito, per poi disfarsene poiché inutile. Tutti gli “scarti di lavorazione” della memoria (i vari sottoprodotti) verranno abbandonati e dispersi.

Lavorare sulla memoria è quindi importante non tanto per aumentarne la capacità, stiparla di informazioni come un magazzino sovraccarico, ma soprattutto per aiutare a consolidare i passaggi di vita, episodi positivi e negativi, da cui si può ricavare apprendimento.

La mente non è un vaso da riempire ma un legno da far ardere perché s’infuochi il gusto della ricerca e l’amore della verità.

Plutarco

Uno dei problemi della psicoenergetica è la perdita di focus su quali siano le informazioni utili e quali invece trattenere. Se sbagliamo, non presteremo attenzione a dati di reale utilità, trattati come rifiuti o sottoprodotti, e ci concentreremo invece su ciò che non serve. Ad esempio, in una negoziazione sarà indispensabile cogliere anche singole parole, memorizzarle e compararle ad altre emissioni verbali dette in seguito dalla persona, per far emergere eventuali dissonanze, e usarle nella nostra strategia.

Un altro aspetto mnemonico interessante è la capacità di ricordo dei sogni, che se recuperati ed analizzati consentono di avere accesso ad una preziosissima fonte di rappresentazioni delle paure (blocchi, ansie, timori, preoccupazioni) e desideri inconsci dell’individuo.

È stato evidenziato da ricerche sulla comunicazione interculturale che il difficile ricordo del sogno è un problema di comunicazione tra stati di coscienza. Lo stato della vigilanza parla un linguaggio diverso rispetto allo stato del sonno, e i due non possono comunicare bene tra di loro. La memoria dei sogni richiede l’acquisizione di uno stato intermedio (una sorta di terza lingua) tra lo stato di coscienza del sonno e lo stato della veglia.

Nel metodo HPM si utilizzano tecniche di meditazione consapevole praticate in fasi specifiche del training, ma anche immediatamente dopo il risveglio, per poter portare allo stato cognitivo lucido aspetti del sogno e dell’inconscio che andrebbero altrimenti dispersi (tecniche ReMeA: recupero e metabolizzazione in stato alfagenico). Lo stato alfagenico è uno stato di rilassamento nel quale l’individuo produce onde cerebrali alfa, è tranquillo e rilassato, ed è in grado di generare un pensiero più libero, creativo e associativo.

Tra le tecniche alfageniche si colloca anche la pratica di generare ricordi guidati di eventi positivi, anche durante la giornata, riservandosi spazi appositi (tecniche RSP: Training Mentale di Ricordo Selettivo Positivo).

Queste tecniche sono l’esatto contrario dei tentativi di fuga dai ricordi spiacevoli, o dello scorrere sopra gli eventi positivi anziché sentirli a fondo. Occorre la consapevolezza che non serve a nulla fuggire da un ricordo finché non lo si è capito e accettato. Allo stesso tempo, serve capacità per cogliere gli aspetti positivi della vita, che altrimenti ci scorrono accanto inosservati, poco gustati o assaporati. A forza di non notare ciò che di positivo ci accade o esiste, le nostre capacità si atrofizzano, e il pensiero si chiude.

Le tecniche si prefiggono di analizzare i vissuti quotidiani, i problemi occorsi in passato, i momenti positivi, e metabolizzarli in una condizione alfagenica (di rilassamento), nella quale essi possano esprimersi meglio, essere affrontati, elaborati, assaporati, metabolizzati, e portati a livello cosciente.

In questo modo i problemi non verranno lasciati alla sola metabolizzazione notturna, riducendo il carico di lavoro mentale e liberando il sonno da una dose di affanno elaborativo. Allo stesso tempo, l’individuo apprende a gustare eventi che altrimenti rischiano di andare persi e dimenticati per sempre.

Le tecniche possono andare anche verso la rivisitazione degli eventi positivi della giornata o di un periodo specifico, es., la settimana, per consolidare elementi del vissuto positivo che altrimenti verrebbero dispersi, ridotti, dati per scontati (tecniche di concentrazione sugli eventi positivi e consolidamento mnemonico di episodi positivi).

Oltre a questo beneficio, le tecniche di Training Mentale consentono di entrare nell’esperienza passata con un maggiore grado di introspezione assimilandone aspetti più profondi.

Un ulteriore problema di psicoenergetica è la connessione tra flusso di esperienza e memorizzazione selettiva. Possiamo ricordare – di una esperienza di lavoro o di vita – solamente alcuni episodi caratterizzati da fatti curiosi, oppure possiamo cercare di far uscire dalla memoria i nostri errori (ricerca selettiva), ed ancora far uscire dalla memoria, estrapolare, i comportamenti e atteggiamenti che sono stati produttivi e positivi.

Senza questa attività di ricerca, elaborazione e fissazione, il flusso di esperienza ha valore minore e diventa meno utile per l’apprendimento.

Sempre rispetto alla memorizzazione selettiva, notiamo che essa può travalicare il punto della semplice selezione e giungere alla distorsione (immettere infor­ma­zioni che non c’erano) nel quadro memonico.

Questo avviene soprattutto come meccanismo di auto-protezione dalla dissonanza (“devo aver fatto questo, altrimenti non sarei stato io”, “mi avrà certamente detto così, altrimenti non avrei reagito in quel modo”, e altre distorsioni di questo tipo). Le persone arrivano tranquillamente ad inventare aspetti dell’esperienza inesistenti e distorcere involontariamente (senza coscienza di farlo) interi brani di realtà, pur di mantenere in piedi i castelli di carta mentali che le sorreggono.

Principio 11 – Relazione tra memoria ed energie mentali

Le energie mentali diminuiscono o si esauriscono quando:

  • l’individuo coglie dal piano della realtà meno informazioni rilevanti di quante ve ne siano (lacune e gap di percezione selettiva) e non le utilizza per arricchire la propria esperienza;
  • l’individuo non dedica tempo sufficiente all’elaborazione del flusso di esperienza per ricercarne elementi di positività (auto-feedback positivo) ed elementi di errore (auto-feedback negativo) per ricavarne apprendimento ed immetterlo poi immetterli in una memoria di lavoro permanente;
  • l’individuo possiede un ricordo alterato di eventi e situazioni, e se lo auto-rappresenta in modo distorto (memorizzazione selettiva e distorsiva);
  • l’individuo non riesce a praticare ponti mnemonici tra stati di coscienza (soprattutto sonno-veglia, ma anche tra stati coscienti, subcoscienti e inconscio) che gli consentano di recuperare informazioni preziose sui propri desideri, aspirazioni, paure, sfondi pulsionali;
  • l’individuo possiede in memoria eventi episodici ed emotivi non sufficientemente analizzati e metabolizzati, al fine di ridurne l’impatto negativo o ampliare quello positivo.

Le energie mentali aumentano quando:

  • l’individuo apprende a cogliere numerose informazioni dal piano di realtà (ricchezza percettiva) e a gestirle correttamente;
  • viene dedicato tempo sufficiente all’elaborazione del flusso di esperienza per ricercarne lezioni e apprendimenti (lessons learned), elementi di positività (auto-feedback positivo) ed elementi di errore (auto-feedback negativo) per poi immetterli in una memoria di lavoro permanente;
  • i propri successi e positività sono percepiti e consolidati (visualizzazione della propria storia di successi) e non banalizzati;
  • viene speso tempo per il recupero di elementi positivi dalla memoria, facilitando il ricordo positivo (rivisitazione positiva degli eventi), aumento della capacità di osservare e percepire positività;
  • l’individuo sa praticare ponti mnemonici tra stati di coscienza (sonno-veglia, tra stati coscienti, subcoscienti e inconscio) che gli consentano di recuperare informazioni preziose sui propri desideri, aspirazioni, paure, sfondi pulsionali;
  • l’individuo apprende a riconoscere ed elaborare le proprie sensazioni, gli stati sentiti a livello emozionale, fisico, umano e sentimentale, disambiguare le sensazioni, capire meglio le sensazioni provate e vissute (focusing ed experiencing).

Un coaching finalizzato a lavorare sul funzionamento della memoria emotiva dovrà utilizzare tecniche particolari di allenamento di componenti specifiche della memoria stessa.

Ad esempio, un “diario delle positività” aiuterà la persona a fissare quali aspetti della giornata, anche minimi, sono degni di maggiore attenzione e possono diventare qualcosa da apprezzare, piuttosto che materiale mnemonico da non trattenere o al quale non prestare nemmeno attenzione.

L’esperienzialità (experiencing) va catturata, in caso contrario la vita rischia di scorrerci via senza sentirla a pieno in noi.

Per scopi di approfondimento, è possibile ricorrere alle tecniche di focusing sviluppate da Gendlin, centrate sull’elaborazione della “sensazione sentita” soprattutto sul piano fisico, sino a sviscerarla completamente in ogni sua sfumatura.

Il lavoro di Gendlin sul focusing e sull’experiencing (esperienzialità) è decisamente importante è ha una nutrita letteratura[1]. Ricordiamo tuttavia che queste tecniche partono da una scuola e volontà psicoterapeutica, mentre nel nostro caso le tecniche di training mentale ed esperienziale hanno volontà di crescita del potenziale umano in senso ampio, e non sono centrate solo su aspetti terapeutici.

Non occorre stare male per forza per praticare focusing ed experiencing, anzi, ne avremo un beneficio anche partendo da condizioni di benessere o medianità e in azioni quotidiane, non solo competitive o manageriali. Le competenze psicologiche esistenziali devono diventare competenze sociali diffuse in tutte le persone, perché ogni persona merita di vivere a pieno e fino in fondo. Quale che sia la condizione di partenza, nello spirito del metodo HPM ogni piccolo passo ha senso. La stasi, invece, uccide.


[1] Tra le opere, la pubblicazione divulgativa più nota è edita solo nel 2001: Gendlin, E.T (2001), Focusing. Interrogare il corpo per cambiare la psiche, Astrolabio, Roma. Le pubblicazioni  in lingua inglese del metodo del focusing sono invece sintetizzabili nelle seguenti:

Gendlin, E.T. (2007). Focusing. [Reissue, with new introduction]. New York: Bantam Books.

  Gendlin, E.T. (1997). Language beyond postmodernism: Saying and thinking in Gendlin’s philosophy. Edited by David Michael Levin. Evanston: Northwestern University Press.

  Gendlin, E.T. (1997). A process model. New York: The Focusing Institute.

  Gendlin, E.T. (1996). Focusing-oriented psychotherapy. A manual of the experiential method. New York: Guilford.

  Gendlin, E.T. (1991). Thinking beyond patterns: Body, language and situations. In B. den Ouden & M. Moen (Eds.), The presence of feeling in thought, pp. 21-151. New York: Peter Lang.

  Gendlin, E.T. (1986). Let your body interpret your dreams. Wilmette, IL: Chiron.

  Gendlin, E.T. (1962). Experiencing and the creation of meaning. A philosophical and psychological approach to the subjective. New York: Free Press of Glencoe. Reprinted by Macmillan, 1970.

Altri materiali su Comunicazione, Coaching, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

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© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

I livelli delle domande: domande interiori e domande esterne

La fase di analisi ed ascolto richiede il ricorso a:

  • domande aperte,
  • domande chiuse,
  • domande di precisazione,
  • riformulazioni e verifiche di comprensione,
  • riepiloghi, sommari,
  • rispecchiamento dei contenuti.

Le domande devono essere poste solo dopo che si sia creato lo spazio psicologico per farle, chiedendo il permesso al cliente di porgli alcune domande che servono per poter realizzare proposte sensate.

Durante la fase di analisi è essenziale il ricorso alla carta e penna per prendere appunti, sotto forma di parole chiave, ed un precedente allentamento alle tecniche di memorizzazione, intervista e Analisi della Conversazione (Conversation Analysis, CA).

Tutti noi abbiamo curiosità e dubbi, che però raramente esprimiamo. 

A volte non lo facciamo per pudore (quante volte fai sesso in un mese? = invasione dello spazio psicologico altrui), altre volte per titubanza strategica (vorrei chiedergli quanto sono disposti a pagare ma non lo faccio per timore che mi dicano una bugia sulla quale poi non saprei come argomentare), e per tante altre ragioni.

Un’operazione fondamentale è distinguere tra:

  • domanda interiore: la domanda reale che ci stiamo ponendo e a cui vorremmo risposta (es: quanti soldi avete a disposizione?), quello che vorremmo davvero sapere, quello che abbiamo bisogno di sapere, i bisogni informativi di base
  • domanda esteriore: la domanda che è adeguata e consentita ad un certo stato di relazione, in base al grado di familiarità con il soggetto, di trasparenza comunicativa, di tempo disponibile (es: avete già fissato un budget per questa iniziativa?), le mosse conversazionali che poniamo in essere, i modi con i quali arriviamo ad ottenere quelle informazioni.

Ogni mancata informazione è un rischio

Ogni volta che il decisore non dispone di informazioni si apre un rischio.

Ogni mancata informazione è un rischio potenziale. 

Si richiede pertanto il il ricorso a domande mirate:

domande latenti – fabbisogno informativo – cui è necessario dare risposte e rischi correlati al non sapere le risposte.

Il management scientifico non può permettersi soglie di rischio irragionevoli. Questo non vuol dire chiudersi in una roccaforte, o non accettare una componente di rischio imprenditoriale e di vendita, ma capire in quale terreno ci stiamo muovendo, cioè muoversi con consapevolezza.

Empatia e tecniche di ascolto empatico

L’ascolto è una delle abilità più critiche della negoziazione e della vendita. Lo stereotipo classico del venditore intento a “parlare sull’altro”, a “vincere nella conversazione”, ad avere sempre l’ultima parola, è sbagliato.

L’approccio empatico prevede una concezione opposta: ascoltare in profondità per capire la mappa mentale del nostro interlocutore, il suo sistema di credenze (belief system), e trovare gli spazi psicologici per l’inserimento di una proposta.

Nel metodo ALM distinguiamo alcuni tipi principali di empatia, in base agli angoli di osservazione:

  • Empatia comportamentale: capire i comportamenti e le loro cause, capire il perché del comportamento e le catene di comportamenti correlati.
  • Empatia emozionale: riuscire a percepire le emozioni vissute dagli altri, capire che emozioni prova il soggetto (quale emozione è in circolo), di quale intensità, quali mix emozionali vive l’interlocutore, come le emozioni si associano a persone, oggetti, fatti, situazioni interne o esterne che l’altro vive.
  • Empatia relazionale: capire la mappa delle relazioni del soggetto e le sue valenze affettive, capire con chi il soggetto si rapporta volontariamente o per obbligo, con chi deve rapportarsi per decidere, lavorare o vivere, quale è la sua mappa degli “altri significativi”, dei  referenti, degli interlocutori, degli “altri rilevanti” e influenzatori che incidono sulle sue decisioni, con chi va d’accordo e chi no, chi incide sulla sua vita professionale (e in alcuni casi personale).
  • Empatia cognitiva (o dei prototipi cognitivi): capire i prototipi cognitivi attivi in un dato momento del tempo, le credenze, i valori, le ideologie, le strutture mentali che il soggetto possiede e a cui si ancora.

Elementi positivi e distruttivi dell’empatia

L’empatia viene distrutta o favorita da specifici comportamenti comunicativi e atteggiamenti.

Favorisce l’empatiaDistrugge l’empatia
CuriositàDisinteresse
Partecipazione reale all’ascolto, non finzioneFingere un ruolo di ascolto solo per dovere professionale
Riformulazione dei contenutiGiudizio sui contenuti, commenti
Pluralità di approcci di domanda (domande aperte, chiuse, di precisazione, di focalizzazione, di generalizzazione)Monotonia nel tipo di domande
Centratura sul vissuto emotivoCentratura esclusiva sui fatti
Segnali non verbali di attenzioneBody Langage che esprime disinteresse o noia
Segnali paralinguistici di attenzione, incoraggiamento ad esprimersi, segnali “fàtici” (segnali che esprimono il fatto di essere presenti e attenti)Scarsa dimostrazione di interesse e attenzione al flusso di pensieroAssenza o scarsità di segnali “fàtici” e di contatto mentale

La comunicazione d’ascolto e la qualità dell’ascolto, comprendono la necessità di separare nettamente le attività di comprensione (comunicazione in ingresso) dalle attività di espressione diretta (comunicazione in uscita).

Regole per un ascolto di qualità

Durante le fasi di ascolto è necessario:

  • non interrompere l’altro;
  • non giudicarlo prematuramente;
  • non esprimere giudizi che possano bloccare il flusso espressivo altrui;
  • non distrarsi, non pensare ad altro, non fare altre attività mentre si ascolta (tranne prendere eventuali appunti), usare il pensiero per ascoltare, non vagare;
  • non correggere l’altro mentre afferma, anche quando non si è d’accordo, rimanere in ascolto;
  • non cercare di sopraffarlo;
  • non cercare di dominarlo;
  • non cercare di insegnargli o impartire verità, trattenere la tentazione di immettersi nel flusso espressivo per correggere qualcosa che non si ritiene corretto;
  • non parlare di sè;
  • testimoniare interesse e partecipazione attraverso i segnali verbali e il linguaggio del corpo;

Di particolare interesse risultano gli atteggiamenti di:

  • interesse genuino e curiosità verso la controparte: il desiderio di conoscere ed esplorare la mente di un’altra persona, attivare la curiosità umana e professionale;
  • silenzio interiore: creare uno stato di quiete emozionale (liberarsi da emozioni negative e pregiudizi) per ascoltare l’altro e rispettarne i ritmi.

Differenza tra empatia e simpatia: applicare l’empatia e non la simpatia

Empatia e simpatia non sono sinonimi

Empatia significa capire (es: capire perché un cliente posticipa un acquisto o vuole un prodotto di basso prezzo, o ci parla di un certo problema). 

Simpatia significa invece apprezzare, condividere, essere daccordo. 

La vendita richiede l’applicazione dell’empatia e non necessariamente della simpatia.

L’ascolto attivo e l’empatia non vanno confuse con l’accettazione dei contenuti altrui o dei loro valori. 

Le regole di ascolto attivo non sono regole di accettazione del contenuto, ma metodi che permettono di far fluire il pensiero altrui più liberamente possibile per ricavarne apertura e informazioni utili.

La fase di giudizio interiore su quanto ascoltiamo, inevitabile durante la negoziazione, deve essere “relegata” alla nostra elaborazione interna, tenuta per fasi successive della contrattazione, e non deve interferire con la fase di ascolto.

Quando il nostro scopo è ascoltare dobbiamo ascoltare.

Per farlo dovremo:

  • sospendere il giudizio,
  • dare segnali di assenso (segnali di contatto, segnali fàtici),
  • cercare di rimanere connessi al flusso del discorso,
  • fare domande ogniqualvolta un aspetto ci sembra degno di approfondimento,
  • non anticipare (es: sono certo che lei…) e non fare affermazioni,
  • limitarsi a riformulare i punti chiave di quanto detto dall’altro,
  • non interrompere inopportunamente.

È necessario riservare il nostro giudizio o fare puntualizzazioni solo dopo avere ascoltato in profondità e all’interno di un frame negoziale adeguato.

L’obiettivo delle tecniche empatiche è quello di favorire il flusso del pensiero altrui, e di raccogliere quanto più possibile le “pepite informative” che l’interlocutore può donare. L’empatia, se ben applicata, produce “flusso empatico”, un flusso di dati, informazioni fattuali, sentimentali, esperienziali, di enorme utilità per il negoziatore.

Il comportamento contrario (giudicare, correggere, affermare, bloccare) spezza il flusso empatico, e rischia di arrestare prematuramente la raccolta di informazioni preziose. 

Esiste un momento nel quale il negoziatore deve arrestare il flusso del discorso altrui (momento di svolta, turning point) ma in generale è bene lasciarlo fluire, finche non si sia compreso realmente con chi si ha a che fare e quali sono i veri obiettivi, e tutte le altre informazioni necessarie.

Le tecniche empatiche sono inoltre d’aiuto per frenare la tendenza prematura alla disclosure informativa di sè: il dare informazioni, il lasciar trapelare dati inopportunamente o prematuramente su di noi. 

Dare al cliente informazioni e dati che potrebbero risultare controproducenti genera un effetto boomerang. Ogni informazione deve essere fornita con estrema cautela. 

L’atteggiamento empatico è estremamente utile per concentrare le energie mentali del negoziatore sull’ascolto dell’altro e frenare le nostre disclosure inopportune.


Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

potere della comunicazionecomunicazione, impression management

Articolo Copyright. Estratto dal volume Self Power, di Daniele Trevisani.

Sul Potere della comunicazione che tu eserciti verso gli altri servirebbe un intero libro. Tu sei un “agente di vita” in ogni contatto con il prossimo. Puoi darla o distruggerla, nutrire o intossicare gli altri, semplicemente con il tuo modo di fare.

E se qualcuno non lo merita, non fargli del male. Rifletti su questo. A volte lo si fa inavvertitamente, e non lo vorremmo. A volte vorremmo rispondere a tono ad un attacco ingiusto, e non lo facciamo. Perchè?

Questo dipende dalla consapevolezza che abbiamo su come stiamo comunicando, e di quali sono le nostre modalità nel comunicare (aggressiva, analitica, empatica, ottimista, pessimista, e tante altre opzioni).

Per prendere coscienza e lavorare sulla nostra comunicazione, si può lavorare su diversi temi, di cui faccio un elenco solo parziale:

  1. scegliere le parole (power words) e i verbi appropriati (action verbs);
  2. quando vogliamo essere chiari e persuasivi, usare metafore ed esempi;
  3. fare frasi corte, parlare con un linguaggio adatto al tuo pubblico: la tua capacità di gestione del sistema linguistico;
  4. gestire il paralinguistico: toni, ritmi della comunicazione, dare enfasi alle parti del messaggio che vuoi sottolineare:
  5. conoscere e gestire il non-verbale: posture, mimica facciale, microespressioni, movimento del corpo;
  6. dare valore e gestire le tue “produzioni e prodotti comunicativi“, es., le tue presentazioni (cartacee o su pc), ma anche le email o anche solo un post-it, e ancora,
  7. riconoscere il valore e il peso dei tuoi accessori di scena e scenografia ambientale: acconciatura, capelli, pelle, trucco, collane, orologi, abbigliamento, scarpe, persino il luogo dove avviene l’incontro; tutto comunica un’identità e contribuisce al cosiddetto Impressions Management (gestione delle impressioni che generiamo negli altri);
  8. percepire ed esaminare il tuo interlocutore. Con chi sto parlando? (Target Audience Analysis). Quali temi lo possono toccare? Quali vulnerabilità possono esserci? Su quali aspetti il messaggio può “rimbalzare contro” (Reattanza – Reactance). Perchè il tuo messaggio possa essere compreso quali corde emotive deve toccare?
  9. la capacità di percepire “il non detto” della comunicazione, andare oltre le parole, applicare la Percezione Aumentata, capire le interrelazioni tra le parti, afferrare che tutto converge in una unica “sensazione” che produciamo. Tecnicamente, la comunicazione olistica, e la Gestalt della comunicazione;
  10. Il contenuto e la struttura del messaggio: aspetti da esaminare riguardano se un messaggio ha una buona struttura (buona apertura, corpo, buona conclusione), se è credibile, se tocca le emozioni e il futuro della persona, ha probabilità di riuscita. Se suscita paura, in certi casi può averne. Se suscita speranza ne ha. Se lascia indifferenti, non ne ha.

E’ un campo talmente sterminato che non lo esaurirò qui, ma vale la pena comunque avviare la riflessione.

E’ sufficiente per ora considerare che “tutto è messaggio”, anche la scelta di un tipo braccialetto o di un altro, e che la comunicazione è “olistica”, i vari messaggi che lanci si intrecciano uno con l’altro.

Vi sono persone che si lasciano impressionare dalle tue apparenze esterne (abiti firmati e costosi, o poveri) altri che esaminano i tuoi valori profondi, e non vi sono “regolette facili”.

Per cui come regola di base, cerca di credere prima di tutto in quanto dici, cerca i motivi dentro di te per cui quanto dici sia importante. E secondo, usa tutti i canali comunicativi in modo diretto, dallo sguardo, ai messaggi, alle metafore, tutto deve convergere in un messaggio che non dia dissonanze.

Rispetto al “come comunicare”… ricorda che spesso chi ha più soldi diventa arrogante, dimenticando che i soldi non danno diritto all’arroganza. Il filo che ci unisce alla vita è sottile, ogni giorno ne trovo prova, e la sacralità di ogni attimo ci deve impedire di trattare le persone in base al loro denaro ma di usare invece il criterio dei valori umani che quella persona esprime.

Articolo Copyright. Estratto dal volume Self Power, di Daniele Trevisani.

di: dott. Daniele Trevisani, www.studiotrevisani.it 2011, published in European Marketing Psychology Journal (EMPJ), Aug 2011

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Per molti beni e servizi il consumatore oggi può scegliere la modalità di acquisto. Questo produce una maggiore gamma di concorrenza, amplia le scelte, e crea da un lato maggiore libertà, ma dall’altro maggiore confusione, maggior tempo necessario ad orientarsi. In molte scelte di mercato il cliente deve oggi porsi diverse domande:

  • La concorrenza tra prodotti e marchi: brand competition. Esempio: voglio una bibita, scelgo una Pepsi o una Coca?
  • La concorrenza tra luoghi di acquisto: point-of-sale competition. Esempio: ho già deciso di acquistare un computer portatile marcato XYZ, ma devo scegliere se comprarlo presso il negozio informatico all’angolo, o in un grande ipermercato, considerando fattori quali le distanze dalla mia abitazione, i prezzi dei diversi punti vendita, le garanzie e numerosi altri elementi.
  • La concorrenza tra modalità di acquisto: way-of-buying competition. Esempio: voglio dedicare un pomeriggio allo shopping. Andrò al mercato o in un grande centro commerciale? Questo stato di concorrenza riguarda il tipo di relazione di acquisto e di esperienza di acquisto ricercata.

Fig. 6 – Analisi del comportamento di acquisto in funzione delle modalità

In termini di way-of-buying, per molti beni siamo di fronte alla possibilità di compiere l’acquisto in luoghi diversi: dal supermercato al mercatino locale, dall’acquisto in un sito di e-commerce alla visita diretta presso il produttore.
La concorrenza in questo stadio riguarda prevalentemente i vissuti d’acquisto (relational competition). È basata sulle relazioni umane, sul modo desiderato di vivere il tempo, sulla natura delle relazioni personali che desidero avere durante l’esperienza stessa di acquisto
Nel caso della concorrenza sul way-of-buying, entrano in gioco elementi altamente personali, quali:

  • Il bisogno di informazione: quale grado di assistenza desidero nell’acquisto? Sono completamente autonomo e dispongo di tutti gli elementi per scegliere correttamente, oppure vorrei disporre di un consulente che mi aiuti e guidi nel momento di acquisto, dandomi informazioni e consigli? Se sono in un negozio di scarpe sportive, il commesso è in grado di aiutarmi a scegliere il modello che tecnicamente si adatta al mio bisogno? Es: corro sullo sterrato, a velocità medio-alte, pesando 80kg – qual è la scarpa adatta per me? Una qualsiasi? No. Il commesso sa diventare consulente? Ma sa anche capire se in quel momento desidero assistenza o preferisco fare da solo? Sa percepire il cliente? Possiede abilità di diagnosi relazionale istantanea, abilità di customer perception?
  • Lo scenario e l’ambiente: ciò che contorna l’atto di acquisto stesso. Ad esempio, acquistare abbigliamento per Andrea non è equivalente ad “approvvigionarsi”, ad Andrea piace fare acquisti in piazza, ama il centro storico e il passeggio, desidera incontrare persone, vedere e farsi vedere. Paola invece non sopporta l’esibizionismo d’acquisto (fare “shopping in centro”, per lei, è un’ostentazione insopportabile), preferisce un negozio specializzato in un grande centro commerciale, dove l’elemento fondamentale sia il prezzo ridotto e la gamma ampia. Paola non fa shopping. Paola si rifornisce di ciò che le serve.
  • L’elemento umano e socializzante: le persone che voglio o non voglio incontrare durante l’acquisto. Preferisco un acquisto che mi permetta anche di dialogare e socializzare con un venditore/consulente, oppure preferisco non avere alcuna interazione sociale – o il minimo possibile – durante l’acquisto? Preferisco fare un ordine su un sito web o catalogo postale, o mi piace la possibilità di vivere relazioni sociali? Voglio essere “lasciato in pace”, o voglio essere “coccolato, curato e custodito”?

Ad ogni scelta si associano concezioni della vita specifiche. La concezione della vita (Weltanschauung) è un concetto cardine dell’antropologia culturale, e si riferisce al modo di concepire se stessi, gli altri, l’ambiente che ci circonda.
L’antropologia di marketing deve quindi considerare come centrale anche il modo di acquistare (way-of-buying), e le valenze culturali che vi si associano.

1.1.1.             Implicazioni aziendali

La prima forte implicazione per le aziende è la seguente: non dobbiamo sottovalutare il fatto che il cliente finale o il buyer aziendale sono sempre più attenti alla componente relazionale dell’atto di acquisto.
Quando cresce la concorrenza di prodotto, il cliente è molto più sensibile al modo con il quale viene ascoltato, al grado con cui viene seguito (se questo è un suo desiderio), alle informazioni che accompagnano l’acquisto, alle esperienze di acquisto, a come vuole trascorrere il tempo durante l’acquisto.
Anche a livello aziendale – nel business-to-business – il buyer analizza inconsciamente il fornitore cercando di capire se il venditore sia adatto a sostenere una relazione di qualità, ancor prima di divenire apportatore di prodotti e servizi. Nel vissuto psicologico del buyer agisce un pensiero: “Non cerco merce, cerco un fornitore”. Sono due cose diverse. Per il cliente, è essenziale capire con chi sta avendo a che fare.
Alcune domande latenti che il buyer si pone nei riguardi del rapporto con un potenziale fornitore:

  • Mi creerà problemi? Hanno creato problemi ad altri? Che tipo di azienda è?
  • Sarà un piacere lavorare con quest’azienda? Come lavorano?
  • Scapperanno o saranno presenti quando avrò bisogno?
  • Posso presentare tranquillamente questi fornitori ai miei superiori e ai colleghi? Mi faranno fare bella figura?

Prima dell’analisi del prodotto, prima dell’analisi del prezzo, il buyer attua un’analisi del soggetto stesso, dell’esperienza di acquisto che il soggetto gli propone, del tipo di rapporto che dovrà vivere. Questa componente relazionale è intrinsecamente correlata alla natura dell’essere umano, al suo bisogno di evitare problemi e trovare un equilibrio nelle relazioni personali.
Le aziende che sapranno cogliere la nuova dimensione del way-of-buying marketing avranno un deciso vantaggio competitivo sulla concorrenza e produrranno un elevato grado di soddisfazione per i propri clienti. Sapranno inoltre scegliere attivamente i propri clienti, in base all’adattabilità reciproca.

Principio 1 – Capacità di differenziazione nei contenuti della relazione azienda/cliente
Il successo aziendale dipende:
  • dalla capacità di capire i desideri del cliente-target in merito all’esperienza di acquisto ideale e di relazione ideale che il cliente apprezza;
  • dalla capacità di differenziarsi rispetto al way-of-buying, offrendo una relazione di alta qualità, diversa rispetto a quella che altri impongono o propongono al cliente, maggiormente incentrata sul clima di acquisto che il cliente desidera;
  • dalla capacità di capire cosa stia realmente cercando il cliente (ascolto profondo, deep listening) e quale grado di personalizzazione erogare (tailoring);
  • dalla capacità di selezionare clienti in grado di apprezzare la differenza relazionale (capacità di selezione e attrazione di un parco clienti “scelto” e non “subìto”) – clienti con i quali si possa creare sintonia sul modo di operare.
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Articolo copyright by Dott. Daniele Trevisani, www.studiotrevisani.it 2011, published in European Marketing Psychology Journal (EMPJ), Aug 2011