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Influenza sociale

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©Copyright. Articolo estratto con il permesso dell’autore dal libro di Daniele Trevisani: “Psicologia di Marketing e Comunicazione” Franco Angeli Editore, Milano

Partiremo nella nostra analisi da un modello comportamentale dove il soggetto viene assimilato, come evidenziato, ad un “processore” che elabora stimoli ed informazioni, producendo output decisionali e comportamentali.

Nel modello “comportamentale”, il consumatore è considerato un soggetto elaboratore di informazioni, dotato di sue caratteristiche peculiari, il quale reagisce a determinati stimoli, producendo, di conseguenza, delle risposte comportamentali (modello S-R: stimolo-risposta).

Il consumatore percepisce eventi e informazioni, elabora dati e reagisce agli stimoli esterni, che costituiscono variabili di input. In parte, gli stimoli esterni incidenti sul consumatore sono determinati dall’azienda offerente (marketing mix: caratteristiche del prodotto, caratteristiche del prezzo e formule di pagamento, promozione e pubblicità del prodotto e del marchio, distribuzione, punto di vendita e facilità di accesso al prodotto). Altri tipi di stimolo provengono dal macroambiente (fattori ambientali, politici, culturali, eventi sociali, offerta della concorrenza, comportamenti di altri consumatori che vengono assunti come riferimento ecc..).

Pertanto diversi individui possono produrre risposte comportamentali assolutamente diverse a fronte della stessa stimolazione o messaggio di marketing, dando luogo ad una interazione soggetto-messaggio.

Nella comunicazione aziendale, ad esempio, l’utilizzo di una leva pubblicitaria per un prodotto alimentare promosso come “dietetico” e ipocalorico avrà effetti positivi sulla decisione di acquisto per un soggetto che cerca riduzione di peso, e effetti altamente negativi su bodybuilder in fase di “massa”[1] o soggetti eccessivamente magri che cercano un rafforzamento fisico nell’alimentazione.

Il consumatore diviene processore di informazione, e le sue caratteristiche sociodemografiche (status, età, titolo di studio, professione) e psicografiche (valori, atteggiamenti, credenze politiche, religiose, stili di vita, cultura, bisogni) determinano il tipo di risposta che esso darà agli stimoli (output). Gli stimoli esterni interagiscono con gli stati emotivi e le caratteristiche psicografiche del soggetto, che costituiscono variabili intervenienti nella decisione (desideri, necessità, paure, bisogni). Comprendere le dinamiche di elaborazione dell’informazione attuate dal cliente assume forte valenza competitiva per l’azienda.


[1] periodo della preparazione atletica nel quale l’atleta ricerca l’aumento di peso.

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Semantica articolo. Le parole chiave di questo articolo sono:

Modello comportamentale

Stimoli

Informazioni

Output decisionali

Risposte comportamentali

Messaggio di marketing

Caratteristiche sociodemografiche

Stati emotivi

Competitività dell’azienda

Stimolo-risposta

Fattori psicologici

Influenza sociale

Motivazione

Percezione

Apprendimento

Attitudini

Personalità

Cultura

Norme sociali

Modello AIDA

Teoria del comportamento pianificato

Bias cognitivi

Decision-making

Coinvolgimento

Comportamento impulsivo

Fattori situazionali

Comportamento d’acquisto abituale

Heuristics

Processo decisionale complesso

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Diversi studi hanno evidenziato la presenza di un search cost effect (il costo della ricerca di informazioni): l’acquirente cercherà ulteriori informazioni solo fintanto che il costo marginale della ricerca non eccede il beneficio marginale ricavabile dall’informazione.

Le ricerche di informazioni, per una singola scelta, non possono durare tutta la vita. Ad un certo punto si fermeranno, considerato il tempo e costo necessario per la ricerca stessa, in comparazione a quanto vi sia in gioco in termini di acquisto.

Gli studi sul campo hanno confermato che lo sforzo di ricerca cresce in genere al crescere delle somme coinvolte. Le somme assumono tuttavia una valenza diversa a seconda di quanto l’esborso pesa sulle finanze della persona. Un investimento di 2000 dollari, se rappresenta il 70% delle risorse disponibili del soggetto, avrà una forte valenza emotiva, e vi sarà forte timore di sbagliare, mentre, se rappresenta lo 0,01% del totale disponibile, la preoccupazione di sbagliare avrà valenza emotiva inferiore (effetto di riduzione proporzionale della criticità economica dell’investimento).

Vi sono molti casi, tuttavia, di mancanza di equilibrio manageriale nel tempo dedicato a valutare la bontà delle proprie spese e decisioni, soprattutto in campo aziendale. A volte decisioni miliardarie o dagli effetti potenzialmente devastanti sull’azienda (in caso di errore) vengono prese senza perdere tanto tempo nella ricerca di informazioni indispensabili, mentre per decisioni tutto sommato stupide ed ininfluenti si perdono intere giornate in riunioni, o si investono somme ingenti in consulenza, in tempo manageriale e complesse ricerche.

Una Giunta comunale può dedicare enormi energie per la ricerca dei materiali e la scelta del colore del marmo di una futura fontana nella piazza del paese (che probabilmente non verrà mai costruita), e non predisporre, in compenso, un budget sufficiente (o non porsi il problema nemmeno) per la formazione professionale del personale dell’ente e lo sviluppo delle capacità manageriali (variabile da cui dipende praticamente tutto, in termini di efficienza e risultato gestionale).

I costi di ricerca possono essere analizzati secondo diversi parametri (disgiunti o congiunti):

I consumatori si trovano spesso, oggi, nell’incapacità di elaborare tutta l’informazione presente sui mercati, particolarmente nei settori caratterizzati da rapida innovazione e cambiamenti tecnologici.

Il commercio elettronico e i canali internet accrescono a dismisura il mercato di offerta e l’informazione disponibile, così che per un determinato acquisto, mentre in passato esisteva solo il negozio del paese (e non si poteva comprare altro che lì), oggi esistono innumerevoli potenziali punti di vendita e fonti informative. L’esito è un possibile overload informativo, un eccesso di dati che il soggetto non riesce più a manipolare. Questo confonde il consumatore e crea un senso di inadeguatezza.

I consumatori devono quindi apprendere nuove competenze:

Questo curriculum di studi dovrebbe essere presente in ogni percorso scolastico di base, intermedio e superiore. Se si pensa a quanto tempo si perde nelle scuole per apprendere informazioni che non si utilizzeranno mai, e quanto tempo non si impiega ad apprendere come acquistare bene (azione che si compie ogni giorno della propria vita) viene da chiedersi se non vi sia una regia occulta che determina questo stato di cose, o se si tratti semplicemente di ignoranza o incapacità politica.

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Semantica articolo. Le parole chiave di questo articolo sono:

Costo della ricerca di informazioni

Sforzo di ricerca

Valenza emotiva

Costi cognitivi

Overload informativo

Wish list

Scala dei bisogni

Affidabilità della fonte

Ricerca delle fonti

Comportamento del consumatore

Processo decisionale

Ricerca di informazioni

Fattori psicologici

Motivazioni di ricerca

Percezione del rischio

Attitudine alla ricerca

Fonti di informazione

Comportamento di ricerca online

Influenza sociale

Esperienza d’acquisto

Conoscenza del prodotto

Fattori demografici

Segmentazione del mercato

Decisioni informate

Analisi delle preferenze

Coinvolgimento del consumatore

Marketing cognitivo

Fidelizzazione del cliente

Strategie di comunicazione

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Nell’ambito dei comportamenti del consumatore, una delle principali aree di studio riguarda la scelta tra prodotti concorrenti e la valutazione delle alternative. Ad un certo punto, durante una comparazione, avviene l’innesco della decisione di acquisto. Cosa accada in termini valutativi durante questi momenti (che possono essere brevi, pochi minuti, come nella scelta di un colore di rossetto su un banco, o lunghi, anche mesi o anni, come nella scelta di una abitazione) non è del tutto chiaro. Analizzeremo quindi alcuni modelli che permettono di far luce su tali dinamiche.

Una delle principali caratteristiche del comportamento del consumatore è l’avversione alla perdita (loss aversion). Diverse ricerche indicano che nel consumatore, in media l’avversione alla perdita è superiore alla propensione al guadagno[1]. Le persone spesso richiedono un compenso maggiore per privarsi di un oggetto, rispetto a quello che sarebbero disposte a pagare per esso (effetto denominato endowment effect)[2]. Inoltre, le persone si differenziano in termini di propensione al rischio. Ipotizziamo di trovarci di fronte ad una scelta tra alternative. In un gioco a testa o croce, ci vengono fatte due proposte tra cui dover scegliere: l’opzione (a) consente di guadagnare 1000 dollari se vinciamo o vincerne comunque 100 se perdiamo; l’opzione (b) implica perdere 200 se si perde o vincere 2000 se si vince. Cosa scegliereste? A o b? In base a scelte di questo tipo, è possibile misurare la propensione al rischio (risk-taking) delle persone e degli imprenditori. Chi ha un basso livello di risk-taking tenderà a scegliere (a), la scelta sicura, mentre chi possiede un livello alto di risk-taking tenderà a scegliere (b), meno sicura ma dai potenziali di guadagno più alti.

La loss aversion è anche un fattore sociale e culturale, oltre che personale. Vi sono culture che premiano il “non prendere rischi” e favoriscono il lavoro dipendente rispetto al lavoro autonomo o la creazione d’impresa[3].

La perdita, sul mercato, si configura ogniqualvolta il cliente ritenga di aver esborsato denaro o altre risorse avendone ricevuto una prestazione non corrispondente. Si basa quindi su un meccanismo di calcolo differenziale di guadagni e perdite che si instaurano in una transazione.

Quanto guadagno e quanto perdo se scelgo questa linea di azione? Cosa mi costa acquistare, cosa mi costa non farlo? Riceverò in cambio ciò che spero?

Per risolvere alcuni di questi problemi, le persone attuano meccanismi di ricerca di informazioni. Il fabbisogno di informazioni e la ricerca di informazioni (information seeking) è connaturato al tentativo del cliente di evitare una perdita potenziale. Esso rappresenta una condizione comune nei momenti di scelta, nella quale il terrore di avviarsi verso una perdita viene in un certo senso monitorato, previsto e contabilizzato.

Ogni processo di ricerca rappresenta un momento di uncertainty reduction (riduzione dell’incertezza decisionale), e si prefigge di raggiungere la condizione psicologica che permette di prendere una decisione con serenità, avendone valutato tutti i pro e contro, e sentendo di aver fatto il possibile per decidere al meglio.


[1] Vedi ad esempio Kahneman, D. & Tversky, A. (1979). Prospect theory: an analysis of decision under risk. Econometrica 47, 263-291.

[2] Thaler R. (1980). Toward a positive theory of consumer choice. Journal of Economic Behavior and Organization, 1, 39-60, cit. in van Dijk, E., & van Knippenberg, D. (1998). Trading wine: on the endowment effect, loss aversion, and the comparability of consumer goods. Journal of Economic Psychology, 19, 485-495.

[3] In uno studio sul campo realizzato dall’autore su studenti 18enni all’ultimo anno di scuola professionale, in un territorio ad alto grado di disoccupazione giovanile, la valutazione di un alto grado di rischio connesso all’imprenditoria veniva ulteriormente rinforzata dall’opinione che la famiglia reagirebbe più positivamente alla notizia che il proprio figlio/figlia trovi un lavoro dipendente, rispetto alla notizia che il giovane intende avviare un impresa autonoma.

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Scelta del prodotto

Analisi comparative

Decisione d’acquisto

Avversione alla perdita

Propensione al guadagno

Propensione al rischio

Risk-taking

Calcolo differenziale del guadagno

Ricerca di informazioni

Condizione psicologica

Comportamento del consumatore

Analisi del rischio

Tolleranza al rischio

Fiducia del consumatore

Influenza sociale

Innovazione e rischio

Percezione del rischio

Psicolgia del consumatore

Attitudine all’acquisto

Fattori motivazionali

Esperienza d’acquisto

Marketing persuasivo

Segmentazione del mercato

Vendita impulsiva

Consumo e rischio

Marketing emozionale

Modelli di acquisto

Strategia di mercato

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Stante la centralità del concetto di bisogno nel comportamento di acquisto, diviene necessario elaborare una teoria dei bisogni adeguata.

Lo psicologo Abrham Maslow ha realizzato una utile classificazione delle gerarchie di bisogno e motivazione, nota come piramide di Maslow, che comprende 5 classi[1]:


[1] Maslow, A.H. (1954). Motivation and personality. New York, Harper. Trad it: Motivazione e personalità, Roma, Armando, 1977.

In base a questa scala Maslow afferma che, una volta soddisfatti i bisogni di livello inferiore (fisiologici), l’individuo sia portato a spostare la propria attenzione su livelli sempre superiori, fino ai bisogni di autorealizzazione e successo.

Abbiamo rielaborato questa scala, con alcune modificazioni, per costruire un modello finalizzato al marketing, identificando 5 tipologie, che rispetto al modello originale sviluppano alcune differenze.

La più forte di queste variazioni consiste nel dividere nettamente i bisogni d’immagine interna (autoimmagine) dai bisogni di immagine esterna (immagine sociale). Questo è necessario, secondo l’autore, per meglio categorizzare i relativi prodotti e il loro “appeal” per il cliente.

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Gerarchie di bisogno

Autorealizzazione

Prestigio

Bisogni fisiologici

Senso di appartenenza

Sicurezza

Bisogno di sicurezza

Bisogno di amore e appartenenza

Bisogno di stima

Motivazione all’acquisto

Teoria di Maslow

Piramide dei bisogni

Stimoli emozionali

Influenza sociale

Necessità primaria

Desiderio secondario

Appagamento personale

Valore percepito

Beneficio funzionale

Appello emotivo

Fattori psicologici

Condizionamento culturale

Marketing motivazionale

Esperienza del consumatore

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L’influenza dei valori sul consumo è un fenomeno osservato anche dalla ricerca in psicologia economica.

Allen e Ng (1999)[1] evidenziano come i valori culturali e umani possano aver una influenza diretta o indiretta sulla scelta dei prodotti, di direzione sia positiva che negativa.


[1] Allen, M.W, & Ng, S.H. (1999). The direct and indirect influences of human values on product ownership. Journal of Economic Psychology, 20, 5-39.

Una influenza valoriale diretta avviene quando il prodotto viene accettato o respinto soprattutto per ciò che esso simboleggia. Le scelte dirette direzionano tutto ciò che ha una valenza prevalentemente simbolica, ad esempio la propensione maggiore o minore a dotarsi di status symbol.

Un esempio di influenza diretta negativa (nel senso di ridurre la propensione all’acquisto) è dato dal rifiuto di acquistare carni da animali d’allevamento per motivi di disprezzo delle condizioni di sofferenza in cui essi sono tenuti (scelta valoriale, e non legata alla valutazione qualitativa del prodotto). Quando a questa si assomma una valutazione anche a livello indiretto (le carni d’allevamento sono piene di ormoni, scadenti, ecc..) si produce un ulteriore riduzione dell’intenzione d’acquisto.

Un esempio di influenza diretta positiva che genera incremento della propensione all’acquisto è l’acquisto solidale. Esso viene svolto tramite società (spesso non profit) che instaurano rapporti diretti con paesi del terzo mondo (scambio equo) con lo scopo di lottare contro lo sfruttamento dei paesi poveri.

In questi casi il valore sociale del bene – più che quello funzionale –  determina la scelta: il cliente vi trova una forma di adesione ad una corrente di pensiero, e l’acquisto simboleggia suoi valori sociali ed umani.

I valori umani possiedono anche una influenza valoriale indiretta sul consumo, stabilendo quali siano le caratteristiche salienti dei prodotti, i fattori che devono essere maggiormente considerati in un confronto.

Esempi di influenza indiretta sono diversi. Es: chi sente fortemente il valore del nazionalismo darà priorità al fattore “paese di provenienza” del prodotto (es: per un paio di scarpe, per un utensile) e ad altri fattori in cui si possa concludere che l’atto d’acquisto, in qualche modo, avvantaggia il proprio paese. Questo dato andrà ad inserirsi tra le diverse valutazioni del prodotto, ma non sarà l’unico elemento valutativo. Se tra i prodotti nazionali non si trovano le caratteristiche ricercate, la scelta potrà anche andare a prodotti esteri.

Allo stesso modo, la scelta di una normale lampadina viene influenzata indirettamente dai valori umani, quando fattori come l’ambientalismo e il risparmio energetico entrano fortemente in gioco nella scelta (piuttosto che la semplice potenza d’illuminazione o durata dei filamenti). Questi elementi valoriali ed al temo stesso prestazionali porteranno a scegliere lampade a risparmio energetico, piuttosto che lampade tradizionali. Lo stesso valore spingerà i soggetti a ricercare soluzioni energetiche per la casa (riscaldamento ambientale, riscaldamento dell’acqua, illuminazione) tramite fonti le più possibili naturali (es: energia solare). E per farlo, il consumatore sarà anche disposto a pagare un extra-price, un prezzo superiore alla soluzione tradizionale.

Esistono rapporti stretti tra valori, atteggiamenti e credenze. Mentre le credenze possono cambiare, l’atteggiamento, essendo frutto di numerose credenze, è più stabile, in quanto richiede il cambiamento di molte variabili.

I sistema dei valori è stabile e si modifica nel tempo solo lentamente (o a seguito di forti traumi o input molto incisivi). Gli sforzi aziendali saranno tanto più forti quanto più in profondità si vuole agire per cambiare l’atteggiamento verso un prodotto. In altre parole,  se non è facile modificare le credenze del consumatore, e ancora più difficile modificarne radicalmente gli atteggiamenti, è decisamente arduo (anche se non impossibile) trasformarne i valori.

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Influenza dei valori

Decisioni di acquisto

Simbologia del prodotto

Status symbol

Scelta valoriale

Intenzione d’acquisto

Acquisto solidale

Scambio equo

Credenze del consumatore
Motivazioni d’acquisto

Cultura aziendale

Valori personali

Brand loyalty

Etica del consumo

Responsabilità sociale

Sostenibilità

Comportamento del consumatore

Influenza sociale

Esperienza d’acquisto

Fiducia nel brand

Marketing etico

Prezzo e qualità

Impatto ambientale

Recensioni dei prodotti

Pubblicità mirata

Fedeltà al marchio

Innovazione

Emozioni d’acquisto

Soddisfazione del cliente

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Per risolvere alcune problematiche di marketing è possibile ricorrere alle tecniche di misurazione quantitativa con supporto statistico. Per altre problematiche, e soprattutto quando l’informazione ricercata è al di fuori delle percezioni conscie del consumatore, è necessario il ricorso a tecniche diverse, ad esempio tecniche qualitative non numeriche.

Ogni tecnica di ricerca ha le proprie vocazioni specifiche, le quali la rendono maggiormente adatta allo studio di alcune variabili e non di altre.

Ad esempio,  per ottenere un profilo comparativo d’immagine tra il marchio Porsche e il marchio Ferrari, è preferibile ricorrere al differenziale semantico (tecnica prevalentemente quantitativa), mentre l’esplorazione dell’orizzonte psicologico di un cliente, la valenza sociale ed emotiva di un prodotto, la sua percezione profonda, richiede l’utilizzo di strumenti qualitativi sviluppati in psicologia, antropologia e semiotica. Tra le diverse tecniche qualitative utilizzabili:

Il motivo del ricorso a tecniche qualitative è legato alla locazione, più profonda, dell’informazione ricercata. Mentre il questionario è ottimo come rilevatore di dati di superficie e consapevoli, e questi sono spesso sufficienti a far luce sul quadro di ipotesi che il ricercatore di marketing affronta, le implicazioni psicologiche profonde richiedono metodi più introspettivi.

Se vogliamo capire cosa evoca la Porsche nella mente del potenziale acquirente, quali sono le implicazioni profonde del marchio a livello subconscio ed inconscio, non possiamo aspettarci di poterlo fare con un questionario somministrato per via postale.

Se vogliamo capire il movente sottostante l’acquisto di un viaggio in Egitto (capire perché proprio l’Egitto, e non New York o Cuba), dobbiamo analizzare i bisogni psicologici percepiti dal cliente nel momento della scelta, e come le diverse alternative sul mercato si rapportano a questi bisogni psicologici.

Un ricercatore di marketing esperto in metodi quantitativi potrà realizzare qualche tentativo di ricerca in profondità delle motivazioni psicologiche non espresse. Ad esempio, è possibile praticare ricerca dei moventi tramite matrici di correlazione. Ma queste non potranno mai dire al ricercatore se, per caso, la Porsche venga associata all’immagine di Diabolik ed Eva Kent, o se l’intenzione d’acquisto di un viaggio in Egitto sia correlata all’influsso subconscio della lettura, fatta da bambino, di una favola avventurosa, o al bisogno di immortalità, o al bisogno profondo di autorealizzazione e recupero di un orizzonte temporale. Questi dati sono localizzati oltre la consapevolezza dell’individuo.

La necessità di ricorrere alle tecniche in profondità si ritrova nella ricerca pubblicitaria. Le reazioni ai messaggi pubblicitari possono essere rilevate con questionari, ma esprimeranno la verità solo quando trattano di temi realmente percepibili e consapevoli (ricordo di uno spot, gradimento, conoscenza del marchio, ecc.). Capire e progettare le implicazioni profonde del messaggio pubblicitario, la sua interazione con il vissuto psicologico della persona, richiede l’intervento delle tecniche in profondità.

In fase di pretest e costruzione del messaggio pubblicitario, ad esempio, le tecniche in profondità ed associative permettono di evidenziare quali siano le modalità ricettive del messaggio, e le sue probabilità di successo. Il rischio di non realizzare queste analisi è elevato. Come espone Packard

Una fabbrica di valigie in materia plastica accertò in laboratorio che i suoi prodotti erano praticamente indistruttibili. I suoi agenti pubblicitari, in un momento d’entusiasmo, convinsero la ditta a proclamare che il prodotto era così solido da poter sopravvivere perfino al lancio dall’aereo. Sennonché, quando la valigia cominciò a precipitare, precipitarono anche le vendite. Gli analisti dei moventi, chiamati d’urgenza, giunsero alla conclusione che lo slogan sconcertava e turbava il pubblico. La fantasia del consumatore non tardava ad evocare spiacevoli immagini di disastri aerei, e il poveretto non traeva alcuna consolazione dal fatto che, in caso di un incidente del genere, il suo bagaglio gli sarebbe facilmente sopravvissuto.

Il vissuto psicologico del prodotto riguarda i rapporti soggettivi della persona con il prodotto. Il vissuto psicologico è un fattore individuale. Lo stesso prodotto può avere vissuti psicologici estremamente diversi da individuo ad individuo.

Come evidenziano Grayson e Shulman (2000)[1], la valenza psicologica del prodotto arriva sino al punto di creare lo stato di irreplaceable possession (possesso non rimpiazzabile, bene o oggetto insostituibile):

un pensionato fa tesoro del libro che sua moglie gli ha dato nel giorno del matrimonio. Uno studente di college custodisce lo scontrino del biglietto di un recente concerto. Il proprietario di un ristorante mette in cornice il primo dollaro guadagnato nella sua azienda. Un professore universitario conserva una bottiglia di champagne che uno studente appena laureato gli ha regalato.

Le spiegazioni per cui un prodotto assume elevata valenza psicologica sono diverse, dalla “rappresentazione simbolica” di un evento passato, del presente o del futuro (come nel caso del pensionato)[2], alla “autosignificazione” come nel caso del biglietto del concerto[3], sino alla rappresentazione simbolica di un legame, come nel caso della bottiglia di champagne.


[1] Grayson, K., & Shulman, D. (2000). Indexicality and the verification function of irreplaceable possessions: a semiotic analysis. Journal of Consumer Research, 27.

[2] Vedi anche Hill, R. P. (1991), Homeless women, special possessions, and the meaning of ‘Home’: an ethnographic case study. Journal of Consumer Researchh, 18. p. 308.

[3] Vedi Kleine, S.S., Kleine R E III, & Allen, C.T. (1995). How is a possession ‘MÉ or ‘Not Me’? Characterizing types and antecedents of material possession attachment. Journal of Consumer Research, 22 p. 341.

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Tecniche di misurazione quantitativa

Valutazione dei dati consapevoli

Modelli previsionali

Ricerca dei significati

Differenziale semantico

Orizzonte psicologico del cliente

Vissuto psicologico

Valenza del prodotto

Esperienza dell’utente

Percezione del valore

Soddisfazione del cliente

Qualità percepita

Fedeltà al marchio

Emozioni del consumatore

Bisogni psicologici

Comportamento d’acquisto

Attaccamento al prodotto

Aspettative del consumatore

Immagine del marchio

Coinvolgimento del cliente

Esperienza d’acquisto

Valore simbolico

Identità del consumatore

Apprezzamento del prodotto

Influenza sociale

Decisione d’acquisto

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L’equilibrio interno della persona, in termini psicologici (tra opinioni possedute ed espresse, tra azioni e atteggiamenti, e tra i diversi atteggiamenti concatenati), è una necessità  per la stabilità emotiva e per la qualità della vita.

Ogni persona ha la necessità di possedere un equilibrio psicologico, anche in relazione alle valutazioni e alle scelte di acquisto. La presenza di valutazioni miste, cioè la compresenza di valutazioni sia positive che negative – può portare il soggetto ad uno stato di dissonanza interna – teorizzato nella letteratura psicologica classica come dissonanza cognitiva.

La dissonanza cognitiva è uno stato mentale che avviene ogniqualvolta una persona prova pulsioni tra di loro contrastanti, emozioni di opposta natura, desideri tra di loro antitetici, o si trova a doversi comportare in modo difforme dai propri valori. Le scelte di acquisto sono tra i comportamenti che più sottostanno alle leggi della dissonanza e dell’equilibrio cognitivo.

Non è possibile acquistare tranquillamente un prodotto se questo è fortemente contrastante con i valori della persona. Un prodotto può avere alcune componenti gradevoli ed altre assolutamente indesiderabili. Ad esempio, un ecologista che consideri di acquistare un profumo per lui o lei molto gradevole, si trova in dissonanza cognitiva se viene a conoscenza del fatto che esso è stato testato su animali.

Ancora, può accadere che il gradimento e le preferenze di acquisto di un individuo vadano in direzione opposta alle aspettative dei gruppi di riferimento, le persone per lui importanti: la famiglia, o gli amici, o i colleghi di lavoro, o altri gruppi sociali che contano nella sua vita. Anche questi casi creano dissonanza cognitiva. Ogni azione, comportamento, valore, atteggiamento, ha connessioni con altre azioni, valori, comportamenti, atteggiamenti. Mantenere equilibrio in un reticolo così complesso (che nella figura è mostrato un modello semplificato) è un compito difficile.

Tra le aree di più forte interesse nel campo della dissonanza, vi è quella delle contraddizioni tra pulsioni primarie (istintuali, non inibite, impulsive, di natura spesso inconscia) e le pulsioni secondarie, frutto dei doveri, delle norme, della cultura radicata nell’individuo[1].

I lavori di Heider (1946, 1958)[2] nell’area della dissonanza e dell’equilibrio cognitivo hanno prodotto modelli di ampia portata, utilizzabili anche nello studio dei processi di acquisto.

È possibile in particolare determinare i nodi presenti in una struttura decisionale, il grado di equilibrio che emerge in tale struttura, e i rapporti di sentimento (es: “piace”, “disprezza”, “apprezza” o “condanna”) tra gli elementi.

La forma di analisi grafica che presenteremo deriva – in forma semplificata – dalle “teorie dei grafi” utilizzate dagli psicologi cognitivi per l’analisi dell’equilibrio dei rapporti interpersonali, e – più in generale – per lo studio dell’equilibrio tra entità psichiche.

Gli elementi della triade fondamentale contengono il soggetto (colui che può esperire la dissonanza) e almeno altri due elementi mentali di valutazione:  altre due persone, o due caratteristiche diverse di un prodotto, o due opinioni diverse, o una persona e un prodotto, o ancora due idee diverse. La dissonanza può riguardare sia i rapporti oggettuali (con oggetti tangibili, prodotti fisici) che i rapporti intangibili (valori, opinioni, pensieri, desideri, idee).


[1] In questa sede tratteremo le pulsioni culturali subconscie all’interno delle pulsioni secondarie, in quanto sistemi normativi per il soggetto che non fanno parte della componente istintuale.

[2] Heider, F. (1946). Attitudes and cognitive organization. Journal of Psychology.

Heider, F. (1958). The psychology of interpersonal relations. New York, Wiley. Trad It. Psicologia delle relazioni interpersonali. Bologna: il Mulino, 1972.

Nello studio di tali relazioni, Heider sottolinea la naturale tendenza umana alla ricerca di un equilibrio:

“Il postulato fondamentale vuole che i rapporti sentimentali e i rapporti di unità tendano verso una situazione di equilibrio….se non esiste uno stato di equilibrio, sorgeranno allora forze tendenti al raggiungimento di tale stato. Se il mutamento non è possibile, lo stato di squilibrio produrrà tensione” (Heider, 1958, trad. it. 273).

La tensione di cui parla Heider è stata sperimentata da tutti noi, ogniqualvolta ci siamo confrontati con scelte difficili relative ad un acquisto. Ad esempio, acquistare un abito desiderato ma troppo costoso a discapito di altri utilizzi del denaro, oppure un acquisto che sia in grado di generare discordia: l’acquisto di una minigonna eccessivamente corta da parte di una adolescente, ben sapendo che essa sarebbe stata mal digerita dalla famiglia. Oppure l’acquisto aziendale di beni da un fornitore sgradito, ma imposto da equilibri politici della direzione.

Tra le strategie aziendali di riduzione della dissonanza ha un posto importante la comunicazione post-vendita, che deve tranquillizzare l’acquirente della bontà della scelta effettuata. Ogni atto di vendita importante deve essere seguito da messaggi rassicuranti, affinché venga meno la dissonanza post-vendita.

Croyle & Cooper (1983)[1] hanno dimostrato l’esistenza di un effetto fisiologico sull’organismo degli stati di dissonanza cognitiva (aumento dello stato di arousal e maggiore conduttività epidermica, sudorazione). Abraham (1999)[2] ha evidenziato come la dissonanza possa nascere anche nelle situazioni lavorative in cui i soggetti – spinti da esigenze aziendali – sono portati a fare dichiarazioni in cui non credono (conflitto tra emozioni espresse forzatamente, in cui non si crede, ed emozioni provate realmente).

Le applicazioni di marketing della teorie sulla dissonanza trovano un terreno applicativo enorme nella ponderazione dell’acquisto svolta dal cliente e nelle dinamiche che avvengono durante la trattativa di vendita.

Quando si determinano dissonanze interne nel cliente, l’individuo cercherà di ridurre lo stato di tensione, che è sempre in qualche misura doloroso.

Il problema della dissonanza si ritrova specialmente nell’acquisto di beni e servizi ad alto tasso di innovazione, i quali non rientrano negli schemi precostituiti. In questo tipo di acquisto, affinché avvenga un innesco della decisione di acquisto è necessario che si provochi in precedenza uno stato di dissonanza, un’alterazione degli equilibri, che vengono in seguito ricomposti dall’atto di acquisto stesso.


[1] Croyle, R. T., & Cooper, J. (1983). Dissonance arousal: Physiological evidence. Journal of Personality and Social Psychology, 45, 782-791.

[2] Abraham, R. (1999). Negative affectivity: moderator or confound in emotional dissonance-outcome relationships? Journal of Psychology, 133(1), 61-72.

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Equilibrio interno

Stabilità emotiva

Qualità della vita

Dissonanza cognitiva

Pulsioni contrastanti

Scelte di acquisto

Pulsioni primarie

Comunicazione post-vendita

Trattativa di vendita

Segmentazione comportamentale

Analisi del consumatore

Psicologia del consumatore

Motivazioni di acquisto

Influenza sociale

Norme sociali

Abitudini di consumo

Processi decisionali

Fattori culturali

Stili di vita

Teoria dell’autoconcetto

Teoria della congruenza

Teoria dell’equità

Conformità sociale

Innovazione tecnologica e comportamento

Scelte razionali vs emotive

Fattori demografici

Percezione del rischio

Teoria della motivazione

Comportamenti di fidelizzazione

©Copyright. Articolo estratto con il permesso dell’autore dal libro di Daniele Trevisani: “Psicologia di Marketing e Comunicazione” Franco Angeli Editore, Milano

Abbiamo notato come le credenze su un determinato oggetto o prodotto si inseriscono all’interno del sistema di credenze di cui dispone il soggetto (belief system), che rappresenta «l’universo totale delle credenze di una persona riguardanti il mondo fisico, sociale, e il self».

Dobbiamo considerare che le attività di persuasione aziendale, o l’autopersuasione di un consumatore  – magari successiva alla prova di un prodotto – costituiscono atti di riorganizzazione del belief system, cioè veri e propri mutamenti nel sistema di credenze della persona, a volta anche dolorosi.

Non possiamo influenzare l’atteggiamento di un investitore estremamente cauto, conservatore economicamente e timoroso del rischio, direzionandolo verso un singolo titolo azionario, senza capire che quel titolo – qualsiasi titolo –  fa parte di un’area mentale del soggetto in cui si collocano i tipi di investimento considerati rischiosi. Se nel sistema di credenze individuale tutti i titoli azionari sono visti come intrinsecamente pericolosi, è necessario agire sull’intero belief system del soggetto. Ad esempio, iniziando a valutare dati oggettivi sulla sicurezza comparativa delle diverse forme di investimento, o altre forme di sviluppo della fiducia verso l’intero comparto. Altrimenti, rimarrà sempre un dubbio, un’obiezione latente, pronta ad emergere.

Questa modifica, se avviene, causerà una forte riorganizzazione cognitiva, il cui costo è elevato in termini di sforzo persuasivo per l’individuo, il quale dovrà iniziare a “vedere il mondo” attraverso un sistema diverso di credenze. Il cambiamento di credenze non è di per se negativo, se il sistema di credenze iniziali conteneva bias, errori di valutazione che autolimitano la crescita del soggetto.

Iniziare a percepire il mondo attraverso una luce diversa, con l’eliminazione dei filtri autoimposti o creati artificialmente dall’ambiente sociale, è del resto uno degli obiettivi della terapia cognitiva e di alcune scuole psicoterapeutiche (scuole Rogersiane[1]), le cui applicazioni alla vendita aziendale sono oggetto di studio da parte dell’autore e altri ricercatori.

La forza coesiva e la resistenza al cambiamento dei belief systems è tale che molti soggetti preferiscono rifiutare nuova informazione, pur di conservare il sistema di credenze in atto. Ad esempio, un razzista etnico sarà tentato a pensare che il ragazzo nero, il quale ha salvato una bambina da un annegamento, lo ha fatto “per ottenere una ricompensa” e non per volontà individuale. Questi meccanismi di “errore di attribuzione” che avvengono per non modificare le proprie strutture concettuali, sono stati dimostrati dalla ricerca sociale sulla comunicazione interculturale, inizialmente per comprendere i meccanismi di comprensione/incomprensione tra culture, ed in seguito per capire alcune valutazioni di prodotto nel marketing internazionale.

In questi contesti, infatti, è stato dimostrato che le aziende di paesi ad alta reputazione in un certo settore industriale (moda italiana, meccanica tedesca, elettronica giapponese, ecc.), godono in quel settore di un vantaggio competitivo di immagine del prodotto. Ciò avviene grazie al belief system stereotipico del consumatore, che attribuisce ai prodotti di quel paese, in quel settore industriale, un grado di qualità di partenza superiore.

Questo effetto, determinato country-of-origin effect, è studiato estensivamente[2]. Ricerche nel campo dimostrano che il fattore “paese di origine” viene utilizzato dal consumatore in condizioni di scarsità di tempo di elaborazione (quando, cioè, non esiste tempo sufficiente per testare realmente le prestazioni e compararle tra prodotti).

La comunicazione per l’export, quindi, deve anche preoccuparsi di rassicurare il consumatore sulla reputazione che il paese di origine ha, rispetto al settore merceologico del bene venduto[3]. Si tratta, come avremo modo di osservare, di capire i diversi livelli di vendita necessari per giungere all’obiettivo: (1) vendita del bisogno stesso, (2) vendita della categoria di prodotto, (3) vendita del marchio, (4) vendita dell’impresa, (5) vendita del venditore stesso, (6) vendita del sistema di appartenenza dell’impresa – paese o area – ed in ultimo, (7) vendita del prodotto.

Non dobbiamo né possiamo basare una strategia di marketing sulle credenze che il cliente “dovrebbe avere”, ma su quelle che effettivamente ha, per quanto sbagliate o distorte siano. Fare il contrario significherebbe ottenere risultati opposti o controproducenti, sia nella comunicazione sociale e pedagogica, che nella comunicazione di mercato.

Sono proprio le credenze del momento ciò che l’individuo pensa, gli elementi in base ai quali agisce. Il fatto che le credenze siano distorte, al di là della verità oggettiva, non cambia le cose. Quindi le credenze assumono un peso maggiore rispetto alla “verità” di fatto.


[1] Autore di riferimento: Carl Rogers, psicologo e psicoterapeuta creatore della Client-centered therapy. Vedi Rogers (1951). Per approfondimenti sulle applicazioni rogersiane al marketing e comunicazione aziendale vedi www.medialab-research.com/tecniche/rogersiane/

[2] Vedi Gurhan-Canli, Z. & Maheswaran, D. (2000). Determinants of Country-of-origin evaluations Journal of Consumer Research, 27.

[3] Per il marketing internazionale, vedi: Aulakh, Preet S., Masaaki Kotabe and Arvind Sahay (1996), “Trust and Performance in Cross-Border Marketing Relationships: A Behavioral Approach,” Journal of International Business Studies, Special Issue, p. 1005-1032. Austin, James E. (1990), Managing in Developing Countries: Strategic Analysis and Operating Techniques, New York:The Free Press. Calof, Jonathan L. and Paul W. Beamish (1994), “The Right Attitude for International Success,” Business Quarterly, Vol. 59 No. 1 (Autumn), p. 105-110. Chan, Peng S. and Anna Wong (1994), “Global Strategic Alliances and Organizational Learning,” Leadership and Organizational Development Journal, Vol. 15, No. 4, p. 31-36. Harich, Katrin R. and Douglas W. LaBahn (1998), “Enhancing International Business Relationships: A Focus on Perceptions of Salesperson Role Performance Including Cultural Sensitivity,” Journal of Business Research, Vol. 42 No. 1, p. 87-101.  Moran, Robert T. and William G. Stripp (1991), Dynamics of Successful International Business Negotiations, Houston: Gulf Publishing Company.

©Copyright. Articolo estratto con il permesso dell’autore dal libro di Daniele Trevisani: “Psicologia di Marketing e Comunicazione” Franco Angeli Editore, Milano

Semantica articolo. Le parole chiave di questo articolo sono:

Attività di persuasione

Sistema di credenze

Cambiamento di credenze

Bias

Resistenza al cambiamento

Immagine del prodotto

Fattore paese di origine

Influenza sociale

Condizionamento persuasivo

Teoria del cambiamento comportamentale

Costruzione dell’identità del consumatore

Leva psicologica

Framing persuasivo

Psicologia della persuasione

Effetto del messaggio persuasivo

Autorità nel marketing

Scarsità come leva persuasiva

Consenso sociale

Teoria della dissonanza cognitiva

Fattori motivazionali nell’influenza persuasiva

Regola del reciproco

Effetto della testimonianza

Principi di persuasione di Cialdini

Bias cognitivi nel marketing persuasivo

Teoria del self-perception

Ruolo dell’emozione nella persuasione

Analisi delle credenze del consumatore

©Copyright. Articolo estratto con il permesso dell’autore dal libro di Daniele Trevisani: “Psicologia di Marketing e Comunicazione” Franco Angeli Editore, Milano

Gli atteggiamenti sono un concetto fondamentale della psicologia sociale. Il loro utilizzo nelle ricerche psicologiche e nel marketing è ampio e permea diverse funzioni: comunicazione, ricerca di mercato, test dei prodotti, segmentazione del mercato, risorse umane e formazione aziendale.

Forniamo innanzitutto una prima definizione di Thurstone e di Allport.

Come sottolineano Eiser e van der Pligt (1991)[1], gli atteggiamenti non sono vaghi stati d’animo o sensazioni, ma forme di esperienza che (a) si riferiscono a specifici oggetti, eventi, persone o problemi, e (b) sono di natura essenzialmente valutativa, cioè implicano dei giudizi di buono-cattivo, positivo-negativo, giusto-sbagliato.

La relazione tra atteggiamento e obiettivi aziendali è forte e immediata. Gli atteggiamenti verso il prodotto, verso il marchio o impresa, e verso il venditore, generano o eliminano la propensione all’acquisto. Darley, Gluksberg, Kamin e Kinchla (1986)[2] collegano direttamente il concetto di atteggiamento alla problematica della persuasione:

“Si spendono miliardi per tentare di convincere le persone che la marca X è migliore, meno cara, e più efficace della marca Y o Z”, e questo porta immediatamente a chiedersi “quali sono i fattori della comunicazione che fanno cambiare gli atteggiamenti?”

La psicologia degli atteggiamenti applicata al marketing è in grado di fornire numerosi contributi di grande rilevanza per la comprensione di come le persone valutano i prodotti. L’importanza del concetto di atteggiamento proviene dalla sua stretta correlazione con il comportamento. Gli atteggiamenti sono precursori dei comportamenti. In altre parole, la creazione di atteggiamenti positivi (1) verso il prodotto, (2) verso il venditore e (3) verso il marchio, è indispensabile per conseguire successo di vendita.

La ricerca evidenzia che l’atteggiamento individuale non è l’unica causa del comportamento, altri fattori situazionali (ad esempio la pressione degli amici o della famiglia, o tagli alla disponibilità economica, tanto per fornire un dato concreto) possono bloccare l’azione, o dirigerla verso altre mete.


[1] Eiser, J.R., & van der Pligt, J. (1991). Atteggiamenti e decisioni. Bologna, Il Mulino. Edizione originale: Attitudes and Decisions. London, Routledge, 1988.

[2] Darley, J.M., Glucksberg, S., Kamin, L.J, Kinchla, R.A., (1984). Psicologia. Bologna: Il Mulino. Edizione originale: Psychology. Englewood Cliffs: Prentice-Hall, 1984.

In generale, possiamo affermare che nel marketing l’atteggiamento individuale verso un prodotto o un comportamento è il risultato di una serie di valutazioni specifiche, e si forma come sommatoria delle opinioni e credenze (convinzioni) relative alle componenti del prodotto. L’atteggiamento verso un comportamento emerge come risultato delle varie credenze riguardanti l’esito del comportamento stesso.

L’atteggiamento può avere una valenza positiva o negativa. Inoltre, ciascun atteggiamento avrà una certa “forza”, cioè un livello più o meno alto di radicamento nel soggetto. Perciò potremo identificare atteggiamenti fortemente positivi o fortemente negativi, moderatamente positivi o moderatamente negativi, oppure atteggiamenti neutri o inesistenti, verso qualsiasi tipo di prodotto.

La forza di un atteggiamento verso il prodotto si determina grazie ad un ragionamento moltiplicatorio: è il risultato delle credenze soggettive sul fatto che il prodotto possegga una certa proprietà per la valutazione (positiva o negativa) di quella proprietà.

Ad esempio, il mio atteggiamento verso l’ “oggetto mentale” Internet sarà dato (1) dalle proprietà positive che io vi attribuisco (ritengo che Internet renda possibile una ricerca veloce di informazioni; considero anche indispensabile, oggi, poter scambiare dati con altre persone senza spostarmi fisicamente) e (2) da quanto risulta per me importante quella proprietà (per me la velocità nelle ricerche di informazioni è molto importante, così come poter risparmiare tempo negli spostamenti). Queste valutazioni spingeranno il soggetto ad avere un atteggiamento complessivamente positivo.

In ogni prodotto è possibile percepire sia componenti positive che negative, le quali vengono soppesate secondo un sistema di bilanciamento che è estremamente individuale e soggettivo. Posso personalmente ritenere che Internet contenga anche informazioni errate ed inutili, e questo possa generare dispersività, ma questo fatto è per me poco incisivo, in quanto sento di padroneggiare bene lo strumento e di poter gestire facilmente il problema. Tutto sommato, quindi, il mio atteggiamento complessivo verso Internet sarà positivo (sommatoria di forti valutazioni positive, con qualche debole valutazione negativa).

Nell’individuo, le diverse informazioni e valutazioni (positive e negative) compongono un quadro di atteggiamento verso il prodotto. Questo sistema complesso di valutazioni deve essere capito se si vuole sperare di ottenere una buona probabilità di successo di mercato. Il quadro, inoltre, può variare da persona a persona. Ad esempio, verso Internet un soggetto diverso (es: un imprenditore) può aver formulato il seguente quadro (negativo).

In questo caso, il soggetto (l’imprenditore) formula il suo atteggiamento sulla base di quattro credenze, di cui tre fortemente negative (per lui): (1) la possibilità che il personale perda tempo in siti inutili, (2) il fatto di vedere il sistema internet come qualcosa di complicato che egli non capisce (e quindi diminuisce il suo potere in azienda), e (3) un aggravio di costi. Tra le sue credenze vi è anche un elemento valutativo positivo, (4) la possibilità di ricercare velocemente informazioni. Tuttavia il soggetto ritiene che vi siano tante altre fonti alternative, e perciò questo dato influisce solo debolmente. Il valore complessivo dell’atteggiamento che emerge dal quadro, è negativo.

In termini numerici, l’atteggiamento può essere ridotto e sintetizzato ad un singolo punteggio (ad esempio, 65 su una scala da 1 a 100), ma le dimensioni sottostanti devono essere comunque sviscerate. Per un’azienda, non è sufficiente sapere che la valutazione del proprio marchio su una scala di atteggiamento, da parte di un campione di clienti, sia di 65/100, ma occorre comprendere in base a quali criteri sottostanti avviene la valutazione (perché, ad esempio, è 65 e non 90, quali elementi hanno “tirato giù” la valutazione, quali l’hanno spinta in alto). Solo così sarà possibile capire i propri punti di forza e di debolezza. Questo consente di migliorare la propria offerta, la progettazione di prodotto, e la comunicazione al cliente.

©Copyright. Articolo estratto con il permesso dell’autore dal libro di Daniele Trevisani: “Psicologia di Marketing e Comunicazione” Franco Angeli Editore, Milano

Semantica articolo. Le parole chiave di questo articolo sono:

Atteggiamento valutativo

Esperienza di prodotto

Problematica della persuasione

Comunicazione persuasiva

Valutazione del prodotto

Successo di vendita

Forza dell’atteggiamento

Credenze soggettive

Psicologia

Atteggiamento

Acquisto

Comportamento del consumatore

Motivazioni

Preferenze

Percezioni

Decisioni di acquisto

Fattori psicologici

Influenza sociale

Processi decisionali

Aspettative

Credenze

Valori personali

Risposte emotive

Rappresentazioni mentali

Mentalità del consumatore

Biases cognitivi

Teoria del comportamento pianificato

Condizionamento comportamentale

©Copyright. Articolo estratto con il permesso dell’autore dal libro di Daniele Trevisani: “Psicologia di Marketing e Comunicazione” Franco Angeli Editore, Milano

La funzione di risposta del mercato definisce il tipo di reazione che il consumatore o cliente sviluppa a fronte di un certo stimolo. Nel nostro lavoro, è necessario collegare questa funzione ad alcuni meccanismi che avvengono nella percezione umana, in particolare il fenomeno delle soglie percettive.

La psicologia della percezione identifica due tipi di soglie – soglia assoluta e soglia differenziale – le quali generano altrettanti tipi di prestazione (prestazione assoluta e prestazione differenziale).

La soglia assoluta identifica la quantità minima di stimolazione sensoriale necessaria affinché un particolare stimolo (una vibrazione, un oggetto, un colore) sia percepito da un individuo.

La soglia differenziale fa riferimento al differenziale di stimolazione sensoriale che determina per l’individuo la consapevolezza di un cambiamento, l’accorgersi di una mutazione nello stato precedente. È quindi basata sul concetto di percezione della differenza di intensità.

Questi fattori percettivi devono entrare al centro del processo imprenditoriale di gestione della customer satisfaction. Ad esempio, produrre un miglioramento nelle vibrazioni di un volante (riduzione di vibrazioni) quando non esiste un margine per ottenere un miglioramento percepibile (condizione di ceiling-effect) è un intervento che non supera la soglia differenziale, e sostanzialmente uno spreco di investimenti.

Nel caso evidenziato, lo sforzo dell’azienda per l’incremento di prestazioni tecnico/ingegneristiche (passare dal punto A al punto B) produce anche un incremento della prestazione percepita nel cliente. Lo sforzo viene premiato. Nel passaggio da B a C, l’incremento della prestazione reale (tecnico-ingegneristica) è ancora più elevato, ma la prestazione percepita dal cliente migliora di poco. Lo sforzo è poco premiato. Nel passaggio da C a D, invece, la prestazione ingegneristica migliora ma non avviene alcun effetto percettivo nel cliente. Lo sforzo non viene per niente premiato. Quindi sostanzialmente si tratta di denaro sprecato, a meno che l’azienda non si impegni in attività di comunicazione in grado di valorizzare l’investimento e renderlo più percepibile, più visibile, più tangibile per il cliente.

Gli incrementi prestazionali non sono tali, dal punto di vista di marketing, se non superano la soglia di sensibilità del fruitore.

Lo sviluppo del prodotto, pertanto, dovrebbe essere guidato dalla ricerca di miglioramenti percepibili, in cui l’investimento produca effetti tangibili.

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Semantica articolo. Le parole chiave di questo articolo sono:

Customer satisfaction

Psicologia della percezione

Risposta del mercato

Reazione del consumatore

Soglia percettiva

Stimolazione sensoriale

Stimolo percepito

Consapevolezza di cambiamento

Differenza di intensità

Processo imprenditoriale
Percezione

Differenziale

Psicologia cognitiva

Interpretazione

Bias cognitivi

Effetto contrasto

Teoria della prospettiva

Psicologia sociale

Framing

Selezione percettiva

Processi decisionali

Influenza sociale

Credenze distorte

Attribuzione

Teoria della gestalt

Esposizione selettiva

Filtri percettivi

Fattori culturali

Contesto situazionale

Schemi mentali

Dr. Daniele Trevisani - Formazione Aziendale, Ricerca, Coaching