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Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele TrevisaniIl potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance”. Franco Angeli editore, Milano.

Perché avere valori forti migliora la presa di decisione

Disporre di valori forti, di ideali e principi guida, è una delle principali fonti di energie mentali.

Il decision making (presa di decisione) è una delle attività più energicamente dispendiose e pertanto diventa necessario apprendere come ottimizzare le energie decisionali.

Correlare i due fattori (valori e decisione) permette di ridurre lo sforzo decisionale e attivare il commitment (massimo impegno e dedizione verso l’obiettivo, senza tentennamenti).

Principio 20 – Valori personali, commitment e decision making

Le energie mentali diminuiscono o si esauriscono quando:

  • l’individuo non ha valori guida che indirizzano le grandi scelte da prendere (vuoto di valori, crisi di senso, assenza di ideali);
  • l’individuo intraprende un’azione o obiettivo con riserve e non riesce a produrre il necessario commitment (impegno personale).

Le energie mentali aumentano quando:

  • l’individuo localizza (e viene supportato a farlo) grandi valori guida e ideali, che aiutano ad indirizzarne le grandi scelte;
  • le strategie e percorsi intrapresi vengono assunti con vigore e impegno (commitment), sino al compimento, o all’eventuale fallimento, dirottando successivamente le energie verso nuovi progetti e stimoli.

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Articolo estratto dal testo “Deep Coaching™, il metodo HPM™ per la crescita personale, il coaching in profondità e la formazione attiva” Copyright FrancoAngeli e dott. Daniele Trevisani.

Vogliamo fare alcune riflessioni che estendono questo ragionamento alla formazione aziendale, coaching e percorsi di sviluppo:

  1. Energie e competenze sono importanti, ma senza passione, senza il motore di una causa nobile, tutto è inutile. 
  2. “A cosa serve il mio sforzo?” è una domanda che deve trovare risposte.
  3. Tante persone sono come auto pronte al via, ma con il parabrezza talmente sporco da non consentire di vedere “verso dove”, andiamo. Auto senza un guidatore, viandanti senza una meta e senza un perché.
  4. Occorre stimolare e riscoprire gli ancoraggi profondi ai valori, e ad una causa, la sacralità di una missione, persino la sacralità dell’esistenza.
  5. Le performance, le nostre giornate, le nostre ore, sono piene di atti vuoti o sono ancorati ad un disegno superiore? Esiste una “spiritualità” delle performance o del fare, un “fuoco sacro” che alimenta energie e motivazione?
  6. Diamo un senso a quello che facciamo? Ci proviamo? Possiamo cogliere un motivo denso di significato?
  7. Anche la non-azione (come la meditazione) può essere piena di valore, così come un progetto tangibile.
  8. Credere in quello che si fa è determinante per l’auto-immagine. Se ci sentiamo inutili venditori di fumo non andremo mai da nessuna parte. Se troviamo invece il modo di essere di aiuto a qualcuno, di dare senso, o di lottare per qualcosa, diventiamo pieni di forze.
  9. Ancorare l’azione a ideali significa riconoscere il bisogno di esistere per un fine. Le performance sono destinate a svanire nell’istante, mentre invece una causa è eterna.
  10. Vi sono persone e atleti che sperimentano il contatto con una realtà superiore ogni volta che entrano nelle quattro mura di una palestra o di un Dojo, e sanno che il loro allenamento sarà una forma di preghiera e di contatto con il proprio Dio, o anche solo con le forze primordiali della natura. Lo stesso può accadere nell’impegnarsi in un progetto sociale, aziendale o personale.

La visione di una causa per cui lottare o di un senso in quanto facciamo è un motore potente. Quando questo collegamento denso di valori, mistico o sacro, accade, le energie si sprigionano, i miracoli sono dietro l’angolo.

La capacità di amare è una misura del Potenziale Umano: 
amare è essere pronti a rinunciare, senza che questa rinuncia ti pesi… amare è essere disposto a lottare, senza che questa lotta ti spaventi… amare è la passione che metti nel portare avanti il sogno che vuoi raggiungere… nonostante le barriere tra te e il tuo sogno.

Daniele Trevisani

Nel Metodo HPM, suggeriamo almeno una sessione all’anno di revisione del proprio “life purpose”, lo scopo di vita, il senso di missione, la spiritualità di una visione cui tendere. Un momento all’anno dedicato a riesaminare e “ricentrare” i nostri valori può cambiare un’intera vita e migliorarla.

Questo può essere fatto con l’aiuto di un coach, di un counselor, di un formatore o di un terapeuta, ma anche in alcuni casi, con il supporto di un Mentor (progetti di Mentoring HPM) o di un Maestro o guida spirituale.

Il lavoro integrato sulle sei celle del Metodo HPM, dal lavoro quotidiano sul corpo, passando per le competenze, sino alla progettualità e alla spiritualità, è un lavoro di coaching estremamente proficuo e profondo e pervade ogni cellula di chi lo pratica.

Quando pensiamo di non farcela, quando vediamo e sentiamo di avere obiettivi superiori nella vita ma questi ci sembrano irraggiungibili o non sentiamo di avere le risorse interiori per farcela, quando vediamo una luce ma ci sembra difficile raggiungerla, è questo il momento per avviare un Deep Coaching e avviare finalmente un lavoro su se stessi che ci porti a scoprire dove possiamo arrivare quando le nostre energie, le nostre competenze e la nostra progettualità siano alimentate da un lavoro costante di allenamento, di training, di potenziamento.

Non ci si libera di una cosa evitandola, ma soltanto attraversandola.

Cesare Pavese

Principio 2 – Attivazione di un Deep Coaching su più livelli (Metodo HPM)

Il cambiamento positivo viene favorito dai seguenti fattori:

  1. intervento di coaching sulle energie fisiche e sullo stato bioenergetico, orientato al fitness e wellness in ogni sua forma e declinazione;
  2. coaching sulle energie mentali (psicoenergetica), stimoli alla motivazione, riduzione dell’ansia, stato mentale positivo;
  3. coaching delle macro-competenze e dei saperi, con una visione olistica ed “enciclopedica”;
  4. coaching delle micro-competenze e dei dettagli in grado di fare la differenza (micro-skills);
  5. coaching della Progettualità e della capacità di fissare gli obiettivi da concretizzare (Goal Setting e SMART Goals);
  6. coaching della Spiritualità, evoluzione della mission, vision, dei valori e del Life Purpose (scopo di vita).

Per approfondire il Modello Deep Coaching™, il metodo HPM™ per la crescita personale, il coaching in e la formazione attivaqui trovi il link relativo al Libro del Dott. Daniele Trevisani edito da FrancoAngeli

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Articolo estratto dal testo “Deep Coaching™, il metodo HPM™ per la crescita personale, il coaching in profondità e la formazione attiva” Copyright FrancoAngeli e dott. Daniele Trevisani.

Approfondiamo le sei specifiche aree di lavoro di un percorso di crescita personale e professionale nel metodo HPM.

Approfondimento sulle sei aree di lavoro del Metodo HPM

Cella 1: Energie fisiche (stato bioenergetico) e autostima

Le energie corporee sono il substrato fondamentale necessario per mettere in atto qualsiasi percorso di crescita personale, qualsiasi azione o volontà, anche intellettuale o legata all’autostima. Sentire di avere un corpo vitale aiuta ad avere energia vitale. E per avere un corpo vitale bisogna allenarlo, ogni singolo giorno, anche con tecniche diverse.

Dobbiamo letteralmente usare ogni giorno una parte del nostro tempo per curare il corpo e potenziarlo, anche se questa sembri una strada periferica per il lavoro sulla crescita personale, sull’autostima, sullo sviluppo personale e professionale.

Iniziamo a battere nuove strade della vita, partendo dal corpo, e ne scorgeremo panorami prima impensabili.

Due strade divergevano nel bosco, ed io… io scelsi quella meno battuta e questo fece la differenza.

Robert Frost

Il corpo è la casa della nostra anima e del nostro pensiero. Persino il fatto di pensare, come pensiamo, e le attività mentali sia consapevoli che subconscie, sono processi che si basano su energie biologiche.

La nostra vita e abilità, il nostro pensiero e azione, dipendono dalla qualità del sangue, dall’ossigeno, dai nutrienti, dal respiro, dai muscoli, da ogni nostro sistema organico – tutti fattori che incidono sulla lucidità e sul benessere fisico e anche mentale. 

Pensare, progettare, ideare, richiede energie elevate e una macchina biologica e corporea attiva, ben funzionante. Nessuno può liberarsi del proprio corpo, e quindi è meglio averlo come alleato anziché come nemico, come propulsore anziché come palla al piede, al massimo livello possibile. 

Le prestazioni prevalentemente intellettuali o manageriali tendono a snobbare il corpo e sottovalutare le energie corporee, così come le performance fisiche snobbano quelle mentali. Due gravissimi errori. 

Nel metodo HPM ci concentriamo su alcune domande: come entrano in scena le energie corporee nelle performance, anche in quelle intellettuali? Come è possibile aumentarle? Come agire sul proprio stato fisico, sulla condizione del corpo, sul suo stato di forma o condizione bioenergetica?

La linea guida fondamentale del metodo HPM suggerisce almeno una attivazione corporea o allenamento al giorno, ogni giorno, per tutta la vita, per tendere verso quello stato corporeo e bioenergetico (stato delle energie fisiche) che farà da propulsore ad ogni nostra volontà e da base solida per i nostri sogni.

Il futuro appartiene a coloro che credono
nella bellezza dei propri sogni.

Eleanor Roosevelt

Cella 2: Energie Mentali (stato psicoenergetico)

Sognare è bello. Concretizzare i sogni ancora meglio. Questo richiede però buone dosi di energie psichiche, motivazione, perseveranza.

Aiutare le persone a trovare le proprie migliori energie mentali è un compito arduo e allo stesso nobile, ed uno degli obiettivi primari del Deep Coaching.

Seminare nel terreno delle energie mentali e vederne i fiori crescere è una grandissima soddisfazione per qualsiasi coach e formatore serio.

Se la vita è solo un passaggio, 
in questo passaggio seminiamo almeno dei fiori.

Michel de Montaigne

Il “poter fare” dipende in larga misura dal livello di energie fisiche, mentre il “voler fare” richiede accesso alle energie mentali. È indispensabile quindi esaminare il fronte psicologico della prestazione e del benessere individuale. 

Quali sono i fattori che generano motivazione e demotivazione? Quali incidono sull’autostima e la migliorano, e quali invece la distruggono ed erodono? Possiamo fare nostro un piano di crescita delle nostre energie mentali? La risposta è si, e questo in particolare grazie al “training mentale”, una pratica del metodo Deep Coach in grado di produrre grandi miglioramenti nello stato mentale, testata su atleti campioni del mondo sino alla formazione di dirigenti, Generali ONU, comandanti di navi e leader d’azienda, così come con studenti e persone comuni.

Nel training mentale non importa quanto rapidi siano i cambiamenti, ma in genere lo sono, ed anche in modo molto evidente. Quello che conta è essere costanti, lavorare su un percorso.

Non importa quanto vai piano, l’importante è non fermarsi

Confucio

Quali interventi concreti sono possibili? Se riusciamo ad isolare variabili in grado di generare o ridurre le energie mentali avremo aperto una via determinante per capire meglio come funziona l’uomo e cosa si rompe nel funzionamento della persona e delle organizzazioni quando essi non riescono a raggiungere i propri obiettivi. 

Dobbiamo inoltre introdurre il concetto fondamentale della preparazione emotiva e del training emozionale. Questo viene realizzato in specifiche sessioni di Training Mentale con metodi frutto di un nostro lavoro di ricerca che distingue tra “emozioni Alfa” (emozioni legate al risultato, competitive, agonistiche, motivate alla vittoria o conclusione), e “emozioni Beta” (il piacere dell’azione in sé, il piacere del percorso, la scoperta delle sensazioni positive durante l’azione stessa). 

Il sostegno alle emozioni Beta, reso possibile dal training mentale, significa riappropriarsi anche del proprio vissuto e gustare le piccole azioni, nella vita, nello sport e nel management, una pratica indispensabile che rappresenta una nuova sfida e offre immense opportunità per incrementare benessere, autostima, fiducia in sé stessi e piacere del vivere, del lavorare, del fare progetti.

Nel Metodo HPM si suggerisce la pratica di almeno un esercizio di training mentale o di rilassamento al giorno, tutti i giorni, per tutta la vita.

Non permettete a nessuno di indurvi a beffeggiare i sognatori.

Napoleon Hill
Sviluppo del potenziale e delle performance

Cella 3: Micro-competenze

I dettagli fanno la perfezione e la perfezione non è un dettaglio.

Leonardo Da Vinci

Le micro-competenze sono date dai dettagli minimali in grado di fare la differenza in una performance. Nel Deep Coaching, non dobbiamo mai cadere nell’ossessività, bensì nella ricerca dell’eccellenza, e questo passa anche per la ricerca di dettagli allenabili che possono fare la differenza.

Le energie diventano utili e concrete quando le sappiamo tradurre in azione, e questo richiede competenze. 

Trasformare energie latenti in energie applicative richiede specifiche abilità. Dobbiamo quindi esaminare la realtà microscopica dei comportamenti e del pensiero, sviluppare tecniche di focusing per riuscire a scovare le abilità di dettaglio in grado di fare la differenza. Si tratta di una vera e propria “caccia” ai dettagli lavorabili ed allenabili, alle cose che altrimenti sfuggono. 

Chi vuole fare grandi cose deve pensare profondamente ai dettagli.

Paul Valéry

Come scoprire quindi i “dettagli che contano”, le “componenti allenabili” di una performance? Come attivare il “microscopio mentale” e il “microscopio comportamentale”? Quali spazi apre la “Mental Analysis” per capire quali sono i sistemi di pensiero e atteggiamenti mentali più efficaci nel liberarsi da blocchi e catene? 

E ancora, dobbiamo apprendere a “smontare” il flusso di pensiero in flussi analizzabili passo-dopo-passo (Mental Frame-by-Frame Analysis) e il flusso di comportamento in sotto-tracce analizzabili (Behavioral Frame-by-Frame Analysis). Nuove competenze, nuove sfide.

Nel Metodo HPM si suggerisce l’esame svolto assieme ad un coach per identificare quali sono i “centri di gravità” di una performance o di un progetto per poi individuare quali siano le competenze effettivamente allenabili. Questo vale sia per le performance sportive, dove dobbiamo scoprire quali siano i dettagli in grado di fare la differenza, che per le performance intellettuali o manageriali, come il public speaking e le tecniche di presentazione, le capacità di assegnare deleghe e compiti, di gestire una riunione o di essere leader.

La differenza tra qualcosa di buono e qualcosa di grande 
è l’attenzione ai dettagli.

Charles R. Swind

I dettagli di un singolo atto sono importanti, ma lo è anche possedere un buon ventaglio di conoscenze, una conoscenza chiamata “enciclopedica”, nel senso di “non limitata” ad uno spazio troppo stretto e angusto, solo iperspecialistico. 

Quello che facciamo e come lo facciamo crea in noi percorsi mentali che continuiamo a seguire ripetitivamente, spesso chiusi in una gabbia mentale che ci fa da prigione interiore. Quello che abbiamo studiato sinora, la nostra disciplina, il nostro lavoro, i nostri studi, le nostre abitudini, possono sembrare un soffice cuscino ma spesso diventano gabbie mentali e comportamentali perché non riusciamo a guardare oltre.

Se vuoi qualcosa che non hai mai avuto, 
devi fare qualcosa che non hai mai fatto.

Thomas Jefferson

Cella 4: Macro-competenze

Ampliare le macro-competenze significa uscire dalla gabbia mentale. È significativo il caso – visibile in un video specifico, di un’orsa liberata dopo 20 anni di cattività: continua a girare su sé stessa come fosse ancora in una gabbia virtuale[1]. La gabbia, prima fisica, è diventata mentale. La triste reazione dell’orsa Ina dopo essere stata curata e liberata dal Libearty Bear Sanctuary Zarnesti in Romania, dimostra che le azioni creano tracce mentali che tendiamo a seguire sempre e ripetitivamente, finché non ci appropriamo di nuovi territori del sapere e di nuove competenze.

Allargare le macro-competenze significa aprirsi al nuovo e rompere la gabbia mentale che ci imprigiona.

Per capire le “connessioni tra le cose” occorre conoscere più campi del sapere, e metterli in connessione. Ogni sfida richiede un profilo di competenze adeguato. Come fare una buona analisi delle competenze richieste da un ruolo che cambia? Dove sono i gap di competenze da anticipare (e non solo da colmare)? Siamo certi di sapere esattamente quali sono le nostre competenze importanti per il futuro che vorremmo o che sta arrivando? 

Se ci liberiamo dal male della presunzione, tutti noi possiamo diventare consapevoli di non sapere. Spesso gli incidenti personali di vita (critical incidents), le fasi di malessere, i test di realtà, le cadute, ci segnalano che qualcosa non va. Sia in questi casi, che nella vita quotidiana, chiediamoci cosa è bene imparare. Rimaniamo aperti. Howell[2], nell’introdurre il concetto di unknown incompetence (ciò che non sappiamo di non sapere) ha fatto un regalo ad ogni essere umano, stimolandolo ad andare a cercare i suoi punti ciechi nascosti. Quali sono quindi le cose che ci sfuggono di noi stessi? Quali sono invece i punti di forza personali su cui fare perno? Che tecniche di analisi utilizzare per scoprire dove indirizzarsi nel prossimo passo della propria formazione personale? 

L’analisi del livello macro ci porta inoltre a ragionare sul tema dell’entropia delle competenze, il degrado progressivo che subisce la nostra preparazione per via dell’ambiente che cambia ed evolve, e come fronteggiarlo.

Nel Metodo HPM si suggerisce di compiere ogni anno un investimento importante sulla propria formazione personale, anche e soprattutto in campi del sapere nuovi o limitrofi al nostro territorio professionale. Fare un corso all’anno non è una richiesta troppo impegnativa, ma anno dopo anno, se ci formiamo, cresceremo sempre.

Cella 5: Progettualità e concretizzazione

Abbiamo bisogno di desiderare, amare e avere progetti per essere ricompensati. È uno dei meccanismi della sopravvivenza.

Clara Sanchez

I progetti costruiscono. I progetti concreti aiutano a far diventare realtà una visione o un valore in cui crediamo. Dobbiamo quindi sempre lavorare sulla nostra capacità di tradurre la nostra missione e visione in qualche progetto concreto.

Stupende idee che non trovino mai soddisfazione e applicazione, energie mai tradotte in un progetto, ambizioni soffocate a lungo o per sempre, distruggono anziché costruire. 

Niente è più deleterio del rimanere costantemente in uno stato di tensione latente, di pulsione bloccata, un tendere a… sempre incompiuto.

Ogni idea forte o desiderio di attivazione incompleto produce danni, una vita castrata, un adagiarsi nella sofferenza senza che mai si provi un avvicinamento all’oggetto o condizione desiderata, ad uno stato superiore. 

Giorno dopo giorno soffoca chi non tenta di vivere una vita a pieno. Occorre quindi trovare sfogo applicativo, liberazione progettuale, determinazione, sviluppare le tecniche per canalizzare le energie in goals concreti. 

Nessuno può pretendere che ogni sogno si concretizzi, ma nemmeno accettiamo la castrazione di ogni nostro sogno. Che caratteristiche devono avere i progetti che puntano a conseguire risultati concreti? Vogliamo finalmente mettere mano alla nostra capacità di realizzare e concretizzare? 

Nessuno pretende record mondiali o progetti forzatamente fantastici, ma piccoli passi si, ricerca di significati si, ricerca di scopi praticabili sì. 

I progetti vanno rifiutati quando vuoti, e riprogettati come atti di espressione praticabili, concretizzabili, per generare attivazione. Ogni piccolo passo conta. Ogni micro-goal raggiunto ci fa pensare di poterne raggiungere un altro ancora e rinforza la nostra autostima.

Nel Metodo HPM consigliamo la realizzazione di almeno un progetto significativo a semestre, o altra cadenza per noi adeguata, e lavoriamo per incrementare la nostra capacità di progettazione e di realizzazione di progetti concreti.

Ricordo di aver detto al mio mentore, “Se avessi più soldi, avrei un progetto migliore”, Egli mi rispose rapidamente, “Direi piuttosto che se tu avessi un progetto migliore, avresti più soldi”. 
Vedi, non è l’importo che conta; è il progetto che conta.

Jim Rohn

Cella 6: Visione e ideali, spiritualità

La spiritualità è un quadro molto complesso e non comprende per forza l’essere religiosi. Si può essere spiritualmente attivi e ricchi anche nel contemplare la natura, un quadro, o nel come si intende il proprio lavoro.

Si può essere attivi sul piano dei valori anche la saggezza che usiamo come consumatori (vedi le ricerche sulla consumer wisdom), il modo con cui spendiamo i nostri soldi e risorse, utilizzando un senso di scopo e dando priorità ad acquisti orientati a promuovere la crescita personale, la salute e le relazioni[3].

Esiste una spiritualità interna di cui parla Schopenhauer, un “ciò che si è”, diverso dal ciò che si ha:

Quel che importa è sempre ciò che uno è e quindi possiede in se stesso: la sua individualità infatti lo accompagna sempre e ovunque ad essa dà il colore ad ogni sua esperienza. In tutto e per tutto egli gode primariamente se stesso; ciò vale già per i godimenti fisici, ma molto più per quelli spirituali.[4]

La visione di cui parliamo è connessa al quadro dei valori in cui crediamo, il futuro che vogliamo costruire, una causa alla quale vogliamo contribuire, una mission, una vision, ciò che riteniamo sia degno, qualcosa per cui lottare, la nostra capacità di connetterci a concetti spirituali e di trovare una spiritualità che ci alimenti.

L’aspetto della visione, dei valori e degli ideali è senza dubbio il più distante da un mondo massificato e materialistico. Il solo pensiero di aiutare e lasciare una piccola traccia verso un mondo migliore nobilita la nostra vita e la riempie di significati.

Cento volte al giorno ricordo a me stesso che la mia vita interiore e 
esteriore sono basate sulle fatiche di altri uomini, vivi e morti, e che io devo 
sforzarmi al massimo per dare nella stessa misura in cui ho ricevuto.

Albert Einstein

Tutto questo non è solo teoria, diventa pratica e azione nel momento in cui troviamo il “dove” e “come” provarci. Impegnarsi richiede focalizzazione.

Se vogliamo applicare l’analisi ad un Deep Business Coaching, lo schema da considerare è il seguente:

  1. Esiste uno scopo dell’azienda, un “perché esiste l’azienda” e questo deve diventare la mission aziendale. Ogni mission aziendale ben fatta identifica “chi aiutiamo a fare cosa”, e si basa su una relazione d’aiuto.
  2. Esistono dei valori su cui si basa il nostro agire e da cui derivano le nostre scelte. Il lavoro per far emergere questi valori non è banale ma anzi importantissimo.
  3. Esistono degli standard comportamentali. Esistono quindi dei comportamenti che si sposano bene con i valori, e altri che vi sono contrari. Di questi standard comportamentali attesi si nutre la modalità e stile di leadership, e persino la modalità di vendita e relazione con il cliente.
  4. Esiste una strategia, che identifica una posizione competitiva nel quadro di mercato ed alcune competenze peculiari e distintive. All’interno di ogni singola strategia, esiste una linea d’azione specifica da adottare, per ogni strategia, che sia coerente con i nostri valori e con la mission.

Il Modello Ashridge di Missione esplicita molto bene questo concetto nella sua applicazione aziendale[5], e si presta molto bene per avviare qualsiasi tipo di Deep Business Coaching.


Scopo, Valori, Standard Comportamentali, Strategia Azienda

La nostra sfida diventa anche la capacità di trasporre questo modello nella nostra visione di vita, nei nostri valori personali, nel senso della vita (Life Purpose) che va ben oltre la nostra professione e tocca la persona nella sua completezza, ed è appunto una pulsione spirituale, valoriale e una vision profonda che ci ispira.

Quando il nostro agire è spinto da valori profondi positivi, solidi ed interiorizzati, smettiamo allo stesso tempo di preoccuparci dell’opinione altrui, certi e fermi delle nostre convinzioni e dei nostri valori, per cui la ricerca dei valori di ancoraggio sui valori cui fare riferimento è un valore immenso di per sé stesso.

Ciò che pensi di te stesso è molto più importante di quanto pensano gli altri di te.

Preoccupati di ciò che pensano gli altri e sarai sempre loro prigioniero.”

Lau Tzu
Figura 3 - Modello Ashridge Persona

Possiamo ricavare da questo modello un principio guida per il Deep Coaching:

Principio 1 – Attivazione di un Deep Coaching centrato sullo Scopo:

Il cambiamento positivo viene favorito dai seguenti fattori:

  1. riuscire a focalizzare e rifocalizzare bene il proprio scopo di vita (Life Purpose) e/o la mission aziendale per l’impresa, facendolo diventare un faro e una guida per le azioni e le scelte personali;
  2. localizzare i nostri valori guida, le nostre credenze più profonde sino agli atteggiamenti quotidiani e abitudini che applichiamo consciamente o inconsciamente alla nostra giornata, al nostro lavoro, al nostro modo di vivere;
  3. localizzare e fissare gli standard comportamentali siano essi generali oppure legati ai comportamenti quotidiani, alle abitudini da far entrare nella propria vita, sino ai modi di comunicare ad ogni livello comunicativo;
  4. definire le nostre strategie generali e quelle operative in grado di far emergere e valorizzare le nostre competenze, i nostri scopi, i nostri valori, trasformando lo scopo generale in progetti concreti;
  5. localizzare le dissonanze tra scopi, valori, standard comportamentali e strategie, facendo emergere tali dissonanze per poter effettuare un ricentraggio importante di queste variabili.


[1] Campbell, Andrew; Devine, Marion, & Young, David. (1995). Il senso della missione. Biblioteca di Financial Times, Jackson libri, Milano.

[1]https://www.ilmessaggero.it/animali/orsa_gira_su_se_stessa_cerchio_gabbia_video_gennaio_2021-5718005.html – Venerdì 22 Gennaio 2021, articolo di Remo Sabatini

[2] Howell, William S. (1982). The empathic communicator. University of Minnesota: Wadsworth Publishing Company.

[3] Mick, D. G., Bateman, T. S., & Lutz, R. J. (2009). Wisdom: Exploring the pinnacle of human virtues as a central link from micromarketing to macromarketing. Journal of Macromarketing, 29(2), 98-118.
Mick, D. G., & Schwartz, B. (2012). Can consumers be wise? Aristotle speaks to the 21st century. In D. G. Mick, S. Pettigrew, C. C. Pechmann, & J. L. Ozanne (Eds.), Transformative consumer research for personal and collective well-being (pp. 663-80). Taylor & Francis/Routledge.

[4] Schopenhauer, Arthur (1980). Aforismi sulla saggezza del vivere. Milano, Longanesi. Pag. 19, cap. “Di ciò che si è”. Titolo originale “Aphorismen zur Lebensweisheit

[5] Campbell, Andrew; Devine, Marion, & Young, David. (1995). Il senso della missione. Biblioteca di Financial Times, Jackson libri, Milano.

Per approfondire il Modello Deep Coaching™, il metodo HPM™ per la crescita personale, il coaching in e la formazione attivaqui trovi il link relativo al Libro del Dott. Daniele Trevisani edito da FrancoAngeli

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La Customer Satisfaction: verso il prodotto Ideale

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Psicologia di marketing e comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore

Gli ideali nel modello di customer satisfaction

Progettare la customer satisfaction significa anche saper creare condizioni future in cui l’azienda sia in grado di erogare maggiore soddisfazione dei concorrenti, lungo tutte le leve del marketing mix.

Questo richiede di affrontare il tema delicato di cosa costituisca (1) il prodotto ideale, (2) il servizio ideale, (3) la distribuzione ideale, (4) la comunicazione ideale, (5) il pricing ideale. 

Nella letteratura classica sull’argomento è possibile identificare un “mainstream”, un approccio prevalente alla customer satisfaction che ha finora dominato la pratica di ricerca e manageriale: il “modello di disconferma delle aspettative”.

Questo modello concentra la propria attenzione sulla distanza tra (1) prestazione del prodotto e (2) attese iniziali (aspettative) del consumatore.

Per diversi motivi questa impostazione è riduttiva. È necessario proporre un approccio più evoluto basato sul concetto di esperienza totale di acquisto/esperienza totale di prodotto. 

Il modello attese-prestazioni (modello di disconferma delle aspettative) sostiene che la customer satisfaction è tanto superiore quanto più la prestazione ottenuta dal prodotto supera la prestazione che il cliente si attendeva prima dell’utilizzo. 

Questa visione, seppur utile per introdurre alcuni concetti di base, non è sufficiente per spiegare il fenomeno. 

È infatti possibile avere insoddisfazione da parte del consumatore anche quando le aspettative vengono raggiunte, come ad esempio nell’acquisto di un prodotto di scarsa qualità, le cui caratteristiche negative siano note, ma che venga scelto ad esempio per via di una scarsa disponibilità economica o per mancanza di alternative. 

L’inconsistenza logica del modello emerge quindi in tutta la sua chiarezza, in quanto esso predice ad esempio che quando il consumatore si attende una prestazione pessima ed invece questa risulta scarsa (cioè solo poco più di pessima), egli sia comunque soddisfatto. Se un guidatore si attende una scarsa tenuta di strada da un auto, non potrà comunque accettare questa scarsa prestazione ed essere felice pensando “credevo di uscire di strada 6 volte nel tornare a casa con la pioggia ed invece sono uscito di strada solo 2 volte, sono proprio contento”.

Un primo passo in avanti, nella direzione di comprendere a pieno la portata della customer satisfaction, proviene dalla considerazione della limitatezza del concetto di attesa del consumatore come base per realizzare il benchmarking della customer satisfaction. 

Il concetto di prestazione attesa, alla base della teoria classica, significa essenzialmente “ciò che il cliente pensa di ottenere dal prodotto”, “ciò che il cliente ritiene sarà la prestazione reale del prodotto”, o, come nel caso dei sevizi, le attese sulla qualità del servizio (conformità, puntualità, attenzione).

Il concetto di attese non include un importante area della psicologia del consumo, quella degli ideali. Se tutti i concorrenti riescono a fornire lo stesso livello prestazionale, come può nascere vantaggio competitivo? L’unica possibilità è quella di ricorrere all’analisi degli ideali del consumatore, dei sogni nascosti, senza fermarsi a ciò che il mercato offre attualmente. E senza nemmeno fermarsi a ciò che il consumatore considera “ideale” in prima battuta. 

Sono necessarie diverse introspezioni profonde per raggiungere concetti che una persona non ha mai esplorato. Tra questi concetti vi è proprio quello di “prodotto ideale”, che è sempre e comunque specifico e relativo ad un bisogno sottostante (ad esempio: utilizzare proficuamente il proprio denaro, il bisogno di non perdere, il bisogno di sicurezza economica, ecc..).

Questo significa far luce sulle “prestazioni ideali” o “desideri latenti” del consumatore. 

Il nostro modello include quindi tale componente: la prestazione ideale, la caratteristica auspicata, ciò che si colloca nei sogni del consumatore e non è ancora realtà. Ma proprio per questo, proprio per la sua natura di sogno, rappresenta una formidabile arma per l’azienda che la sappia trasformare in realtà, o immettere almeno parzialmente nel proprio value mix. 

I desideri o prestazioni ideali sono caratteristiche del prodotto e della prestazione che “idealmente” il prodotto dovrebbe possedere, ma che per motivi diversi (tecnologia non ancora matura, o, semplicemente, perché nessuno l’aveva ancora pensato), non fanno parte del prodotto attuale.

Il prodotto ideale è quel prodotto che soddisfa maggiormente il BSS (bisogno sottostante servito).

Questo prodotto ideale è assolutamente soggettivo, diverso da persona a persona. Esso sarà tanto più sofisticato ed elevato, tanto più lontano dal presente, quanto più elevata è la competenza tecnica, la creatività, il livello evolutivo ed intellettuale del consumatore, in relazione al bisogno espresso.

Tutte queste componenti si congiungono per formare il livello prospettico del consumatore, ovvero la capacità del consumatore di percepire la limitatezza attuale del prodotto e sviluppare desideri evoluti su nuove caratteristiche e forme di soluzione. Consumatori di ridotto livello prospettico vedranno il prodotto ideale all’interno delle possibilità tecnologiche attuali, mentre consumatori di alto livello prospettico sapranno indicare caratteristiche anche nuove e estranee alle tecnologie attuali, tuttavia centrali rispetto al bisogno sottostante servito. Saranno inoltre più consci della limitatezza del prodotto rispetto ad un ipotetico prodotto ideale. 

La stimolazione del livello prospettico del consumatore, tramite campagne informative e di sensibilizzazione, costituisce quindi un importante risultato sociale – sia per lo sviluppo di una cultura di consumo intelligente che per la funzione di stimolo che il consumatore evoluto può apportare all’impresa.

Realizzando un esempio nel settore auto, un guidatore di basso livello prospettico potrebbe indicare come vettura ideale “un’auto onesta che consumi poco”. Un consumatore più evoluto prospetticamente potrebbe indicare “un’auto che utilizzi fonti di energia alternative, con elevati livelli di comfort e sicurezza”. Un consumatore di livello prospettico ancora superiore potrà invece indicare come prodotto ideale:

un oggetto sul quale impostare la destinazione, in grado di portarmi presso essa automaticamente, mentre consumo la colazione o dò un’occhiata al giornale. Viaggiando spesso per lavoro, questo oggetto dovrebbe potermi portare in un qualunque luogo in Europa in massimo 1 ora, più o meno, ed essere molto confortevole, consentendomi di arrivare fresco e riposato sul luogo di lavoro o di riunione. Posso immaginare una sorta di automobile che si eleva dal piano terreno, viaggia in “corridoi aerei sopraelevati” e raggiunge la destinazione tramite un sistema di guida automatica controllato da computers. Mi piacerebbe moltissimo volare, ma senza tutti gli svantaggi dell’aereo, doverlo prenotare, i ritardi, gli aeroporti. Vorrei un aeromobile personale grande quanto un’auto. E quando intendo destinazione non penso ad una stazione di approdo centralizzata, ma esattamente l’indirizzo specifico presso il quale devo arrivare. Ogni metro più in là è dispersione di tempo. Perciò mi piacerebbe che questa auto mi depositasse presso una piattaforma di attracco sullo stesso piano dell’ufficio dove devo recarmi, ed andasse a parcheggiarsi automaticamente. Finiti gli impegni di lavoro, chiamo la vettura con un telecomando e mi raggiunge, aprendosi comodamente ed offrendo il sedile che fuoriesce dall’abitacolo per facilitare l’accesso. E poi spingo il pulsante “casa” e mi guardo un pò il panorama dall’alto. Sarebbe stupendo.

Questa descrizione visionaria contiene molti dei benefits e plus che le autovetture moderne cercano di introdurre nei loro modelli – stanti naturalmente le limitazioni delle tecnologie correnti.

Come si vede, ciò che cambia è il quantum di scollamento tra prodotto attuale e prodotto ideale, la visione di nuove modalità per meglio risolvere il BSS (spostarsi fisicamente). Osserviamo però, che spostarsi fisicamente è in realtà una delle tante possibilità esistenti per realizzare un “incontro con altre persone”. Se  questo BSS può essere risolto da altri strumenti (es: una videoconferenza multimediale può risolvere la componente dello scambio informativo) –  e in futuro forme di comunicazione olografica potranno risolvere questo bisogno ancora meglio – siamo in presenza di una forma di potenziale concorrenza allargata. 

Per quanto futuribili appaiano queste considerazioni, non v’è dubbio, tuttavia, che conoscere le “aspirazioni” dei consumatori in merito al “prodotto ideale” aiuta a comprendere la direzione di sviluppo del prodotto, il percorso che meglio soddisfa il bisogno sottostante servito, costituendo una utile guida, un faro per direzionare gli sforzi di ricerca e di innovazione di prodotto.

Porzioni del “prodotto ideale”, prese e inserite nella produzione corrente, possono determinare forti vantaggi competitivi.

Si pensi ad esempio ad un sistema di guida sicura in condizioni di scarsa visibilità, ai sistemi di navigazione satellitare, ai sistemi per migliorare la tenuta di strada, a sistemi di self-parking, a funzioni di evitazione attiva di incidenti (correzione automatica di manovra) e altre innovazioni di alto valore per il cliente.

L’asse evolutivo del prodotto (R&D)

Per progettare customer satisfaction competitiva, ogni azienda dovrebbe porsi il problema oggi di come sarà il proprio prodotto futuro tra 20, 50 o 100 anni. Ieri avevamo le carrozze, oggi le auto, e domani? Quali percorsi di sviluppo avranno i prodotti? E come potremo indirizzare la ricerca e sviluppo se non sappiamo prevederlo? Ed ancora, ieri esistevano i segnali di fumo, i piccioni viaggiatori, i messi a cavallo, oggi i telefoni, e la telefonia diventa sempre più miniaturizzata e portatile. Come evolveranno domani i prodotti e le tecnologie della comunicazione? Possiamo permetterci di non fare riflessioni sul futuro?

Qualcuno potrebbe dire: basta aspettare. Questo, tuttavia, solo per l’azienda di scarse o nulle ambizioni. Le aziende che vogliono godere di un vantaggio competitivo domani, devono saper prevedere oggi quali saranno le evoluzioni più probabili alla luce della psicologia del consumatore, ed indirizzare lì gli sforzi di ricerca. E sottolineiamo psicologia del consumatore, e non tecnologia, in quanto nessuna tecnologia fine a se stessa può avere successo di mercato, se non si innesta su qualche bisogno umano reale.

I bisogni delle persone plasmano la direzione di sviluppo di qualsiasi tecnologia, ed anche le più sofisticate innovazioni tecniche possono valere nulla sul mercato se non si indirizzano ai bisogni di un bacino sufficiente di consumatori. 

È necessario capire, quindi, l’asse evolutivo del prodotto, delineare le diverse ipotesi e procedere verso quelle che si verificheranno con maggiore probabilità, sino a capire quale sarà il futuro del prodotto.

L’analisi del futuro si realizza tramite ipotesi di scenario e permette di delineare quali saranno i terreni nei quali l’azienda sarà chiamata a muoversi, quali saranno le nuove sfide, cosa faranno i concorrenti, cosa possiamo fare noi prima di loro.

Le possibili evoluzioni del modo di soddisfare il BSS si basano sul concetto di prodotto ideale, cioè sui sogni dei consumatori, i quali evolvono con il progredire del tempo.

Il prodotto ideale è un concetto psicologico, non tecnologico. 

Per capire quale tipo di futuro attende il prodotto, l’impresa deve porsi nell’ottica della valutazione della distanza tra il prodotto attuale e il prodotto ideale, analizzando cosa i consumatori intendono per “prodotto ideale”. Questo richiede il ricorso a tecniche di ricerca “in profondità” sui bisogni umani.

Il gap tra prodotto attuale e prodotto ideale costituisce il percorso di innovazione e miglioramento da attuare per l’azienda, lungo un ipotetico asse delle prestazioni

Nel tempo anche l’immagine del “prodotto ideale” si evolve, cambia e si adegua alle culture individuali e sociali, prefigurando nuove mete e nuovi orizzonti. Il processo di evoluzione della consapevolezza del consumatore ne accresce infatti la criticità e le attese. In altre parole, il prodotto ideale è un concetto in continua evoluzione che pone continue sfide all’impresa. Il concetto di miglioramento è da intendere in senso continuo. 

L’ideal product check (il momento in cui l’impresa fotografa il prodotto ideale nella mente del consumatore target) deve essere ciclico e ripetersi con una cadenza stabilita (almeno ogni 5 anni, ma anche prima se le tecnologie del settore sono in rapida evoluzione).

Il prodotto ideale abita spesso in un territorio situato oltre la consapevolezza del consumatore, eppure esiste, e ad un certo punto (momento sociale, momento psicologico) emerge per guidare il consumatore nella  comparazione tra ciò che egli ha (o gli viene offerto dal mercato) e ciò che egli sogna di avere o vorrebbe avere. Quando questo avviene, si determina una immediata riformulazione degli standard di mercato, e ciò che costituiva prodotto soddisfacente ieri diviene vecchio ed obsoleto oggi.

L’azienda che intuisce il vettore di sviluppo del prodotto e si sforza di realizzare nuove soluzioni acquista vantaggio competitivo. 

Principio 18 – Del vettore di sviluppo del prodotto

  • La competitività è correlata alla capacità aziendale di identificare il vero vettore di sviluppo del prodotto/servizio
  • Il vettore di sviluppo rappresenta il percorso evolutivo che porta il prodotto sempre più vicino al Bisogno Sottostante Servito (BSS)
  • La competitività si correla al grado di centratura del marketing e della produzione sul vettore di sviluppo e alla sua capacità di implementazione in progetti concreti
  • Si correla positivamente alla considerazione del marketing come strumento di comprensione e anticipazione del bisogno nel mercato, opposta ad una concezione di marketing come strumento di promozione dell’esistente.

La ricerca dei prodotti straordinari

I prodotti straordinari sono quelli che stupiscono il consumatore, in quanto dotati di proprietà e caratteristiche innovative e tuttavia intrinsecamente legate alla risoluzione del BSS. Spesso si tratta di caratteristiche alle quali nemmeno il consumatore stesso aveva mai pensato, in quanto troppo lontane dal proprio sistema prospettico, o perché ritenuti irrealizzabili tecnicamente.

Le prime proiezioni nelle sale cinematografiche facevano fuggire gli spettatori per l’incredibile novità rappresentata dal vedere un treno in movimento proprio di fronte ai loro occhi. Oggi questo non stupisce più. I primi modelli di auto dotate di navigatore satellitare GPS e sintesi vocale hanno stupito gli utilizzatori proprio per l’incredulità verso l’esistenza di un’auto che “parla”, indica quando curvare e quale direzione prendere per raggiungere la meta, avvisando di essere giunti a destinazione esattamente quando ci si trova di fronte all’indirizzo ricercato.

Il modello che propongo prevede che la straordinarietà dei prodotti derivi dalla distanza percepita tra prestazioni e ideali, sottraendo le prestazioni prevedibili. Minore è la distanza rispetto al prodotto ideale, maggiore sarà la straordinarietà. Ma allo stesso tempo, la straordinarietà deriva dal superamento delle attese prevedibili, e dalla capacità di colpire il consumatore con innovazioni inattese.

Il cardine di ogni processo di sviluppo competitivo straordinario, come si osserva, è l’investigazione dei sogni del consumatore o cliente (dreams), attorno ai quali far ruotare tutto il marketing e la ricerca e sviluppo aziendale.

Principio – Principio di straordinarietà dei prodotti/servizi

  • La straordinarietà del prodotto/servizio emerge come differenziazione tra innovazioni/caratteristiche migliorative prevedibili e innovazioni/caratteristiche non prevedibili ma centrali rispetto ai BSS (customer dreams).

Come produrre queste innovazioni inattese? Certamente non aspettando che lo facciano i concorrenti, ne depositino i brevetti e ne ricavino leadership per anni. Essere leader in innovazione richiede attivazione – propulsione manageriale, orientamento alla ricerca e ad un grado ottimale di risk-taking. Questo significa realizzare periodiche sessioni di creatività, progetti di ricerca, analisi delle evoluzioni prospettiche del consumatore, laboratori di interazione azienda-utilizzatore, e altre forme di ricerca. 

Questo approccio richiede sinergia tra le attività di marketing e le aree tecnologiche e produttive nell’impresa, con l’inserimento in azienda dei sogni del cliente come motore dello sviluppo. L’azienda, organismo attuativo, deve tradurre questi sogni in strategia e darsi un’organizzazione appropriata.

Principio – Sinergia marketing/produzione/utilizzatore

  • La competitività dipende dal livello di sinergia tra marketing, produzione e utilizzatore/cliente nella fase di progettazione del prodotto o servizio.
  • Il principio ispiratore di ogni settore aziendale deve essere l’orientamento a meglio soddisfare i BSS, prevedendo e anticipando le caratteristiche più vicine alle evoluzioni delle aspettative ed ideali del cliente (presenti e latenti)
  • Il coinvolgimento del consumatore nella ricerca sul prodotto ideale e l’investigazione in profondità delle sue aspirazioni e desideri sono un prerequisito per la creazione di prodotti competitivi.

Deve essere attivato quindi un processo di Ricerca e Sviluppo per l’evoluzione del prodotto fino alla revisione del concetto stesso di prodotto. 

Dalla discussione di cui sopra, emerge la necessità di introdurre un nuovo modello di customer satisfaction denominabile come “modello di disconferma delle aspettative e distanza di desiderio”, o “prestazioni-aspettative-ideali” (P-A-I).


 

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Le parole chiave di questo articolo La ricerca del prodotto ideale sono :

  • Analisi degli ideali del cliente
  • Aspettative 
  • Asse delle prestazioni
  • Asse evolutivo del prodotto
  • Bisogno sottostante servito
  • Customer dreams
  • Customer satisfaction
  • Desiderio latente
  • Ideal product check
  • Ideali
  • Livello prospettico del consumatore
  • Modello prestazioni-aspettative-ideali
  • Prestazione ideale
  • Prestazioni
  • Processo di Ricerca e Sviluppo
  • Processo di sviluppo competitivo straordinario
  • Prodotto ideale
  • Prodotto straordinario
  • Vantaggio competitivo
  • Vettore di sviluppo del prodotto

https://youtu.be/GQRPPljf8do

Per fare Formazione Personale, Crescita Personale e Sviluppo Personale serve un modello scientifico di riferimento. Il modello HPM (Human Potential Model) risponde a questa esigenza.

Il Potenziale Umano non è un concetto generico e si compone di diversi strati o “celle”, che ne racchiudono una porzione. Ogni strato o piano del potenziale personale richiede tecniche specifiche di sblocco e amplificazione.

Localizzare queste celle e le azioni specifiche è uno dei compiti primari di questo lavoro. Nel sistema HPM – Human Performance/Potential Model, qui sviluppato, le azioni di Coaching sono collegate ad uno schema che fa da sfondo concettuale:

Figura  – Coaching, modello HPM

HPM ModelTM, Copyright

Dr. Daniele Trevisani www.danieletrevisani.com

Possiamo parlare, per la maggior parte degli esseri viventi, di un potenziale compresso. Un insieme di energie che deve ancora dispiegarsi, o esisteva, ma non ha trovato terreno fertile ed è in stasi, oppure, a volte, è persino regredito.

Osserviamone alcuni contenuti:

  • Sviluppo Personale – Il Coaching delle energie fisiche e corporee o Coaching bioenergetico. Quest’area permette di focalizzare il lato del potenziale personale che si connette alle componenti organiche, fisiche, forza, resistenza, flessibilità, benessere fisiologico, potere del corpo di compiere azione e prestazione. Consente di avviare il lavoro sulle energie fisiche e potenziamento del corpo. Es.: tecniche di allenamento corporeo, tecniche alimentari, tecniche legate allo stile di vita, tecniche di recupero fisico, tecniche di allenamento psicofisico, tecniche di overreaching allenante (alternanza di fasi di allenamento di alta intensità e riposo adeguato). È l’area più fisica, tangibile e corporea del modello.
  • Sviluppo Personale – Coaching per le energie mentali e motivazionali. Tecniche per sbloccare la volontà, alimentare la passione, localizzare blocchi emozionali e quelli legati ai ruoli, le contratture mentali, i colli di bottiglia dei ragionamenti, dei sistemi di credenze, e, più in generale, l’azione sulla psicologia individuale. La cella delle “energie mentali” o energie psicologiche permette di avviare un lavoro sul potenziale insito nelle energie del pensiero. Es.: training mentale, Coaching analitico, analisi in profondità dei ruoli personali e professionali; analisi delle reti di relazioni, della dispersione o ricarica di energie relazionali durante la giornata, il mese, l’anno, i cicli di vita, analisi dei sistemi di credenze su se stessi e sul campo di operazioni nel quale si deve agire, e, ancora più in profondità, analisi esistenziale. Rappresenta l’area più intrinsecamente psicologica del modello.
  • Sviluppo Personale – Coaching per le macro-competenze: utilizza tecniche di analisi e di formazione legate all’obiettivo di sviluppare “copertura” o collimazione (coverage o fit) tra le diverse skills che una performance richiede, e il portfolio di competenze individuali. Comprende quindi la localizzazione di dove sia bene agire distinguendo tra interventi su (1) saperi, (2) saper fare, (3) saper essere o atteggiamenti, per migliorare in modo strategico l’estensione e vastità del piano di competenze. Prevede azioni di formazione con un approccio enciclopedico e non solo iperspecialistico, e saper cogliere i diversi piani di una performance (es.: storico, politico, morale, culturale, scientifico, sociale, strategico) e non esserne puramente esecutore meccanico ignorante o passivo. Comprende quindi un lavoro formativo sulle macro-competenze. Es.: aggiornare competenze in rapporto ai ruoli che si intendono giocare, la formazione, il Coaching professionale, le azioni di allargamento del repertorio personale. Tanto più ampia è la copertura, tanto maggiori sono i margini di sicurezza e di manovra che la persona potrà affrontare, al variare delle condizioni esterne o al verificarsi di imprevisti. Rappresenta nel modello la parte più legata ai processi formativi classici.
  • Sviluppo Personale – Il Coaching sulle micro-competenze: azioni per aumentare la padronanza di esecuzione di atti specifici di performance, gesti operativi, o operazioni mentali specifiche e necessarie per ottenere buoni risultati. Le micro-competenze non mettono in discussione l’intero assetto del ruolo o del profilo professionale, ma entrano nei dettagli operativi. L’azione di Coaching sulle microcompetenze intende elevare il grado di profondità e progressione nell’acquisizione di una specifica competenza, i suoi dettagli più fini, stimolando la scalata dal livello di principiante al livello di mastery (completa e totale padronanza). Il lavoro sulle micro-competenze permette di evidenziare e avviare la ricerca di elementi minimali e particolari significativi, l’analisi al “microscopio comportamentale” degli dettagli che danno luogo alle performance, e l’analisi al “microscopio mentale” dei sistemi di pensiero o sistemi cognitivi che entrano in gioco nelle performance. Mentre l’analisi delle macro-competenze ci parla di una “estensione” o ampiezza di competenze, le micro-competenze ci parlano della “profondità” con cui una certa abilità entra nel nostro repertorio sino a diventarne addirittura parte inconscia. Rappresenta la parte del modello più legata ai fenomeni di percezione e di conseguenza alla formazione attiva esperienziale (active training).
  • Sviluppo Personale – Il Coaching per la progettualità e concretizzazione: agisce sulla cella della “concretizzazione”, per aumentare la capacità di essere concreti e operativi, intervenendo sulla capacità di dare corpo a progetti e piani, la pianificazione di obiettivi concretizzabili ed eseguibili, il lavoro sulla fissazione dei goal, es.: saper sviluppare un progetto, capire che risorse servono, come organizzarle, saper gestire il tempo in relazione ai propri progetti; riconoscere le dispersioni di energie in tempi inutili o controproducenti. Rappresenta la parte più manageriale del modello.
  • Sviluppo Personale – Il Coaching valoriale, spirituale e morale. Agisce sulla cella dei valori, Visione e missione, per recuperare il “motore morale”, il senso dello scopo, o causa, il senso della missione, dei valori più forti che spingono e muovono una performance, ma anche il vissuto quotidiano e l’impegno verso qualsiasi cosa. Comprende il lavoro di scavo e rafforzamento per localizzare verso cosa valga la pena spendere energie o attivarle, localizzare e alimentare valori, Visioni, ideali. Generalmente si tratta di una porzione della performance e del potenziale personale assolutamente trascurata, e per questo rappresenta l’area più difficile, in quanto obbliga a trattare fenomeni delicati come lo spessore morale, il “muoversi verso” qualcosa di superiore alla propria esistenza limitata, il voler contribuire a una causa o progetto importante, trovare o riscoprire motivi di esistere non unicamente materialistici, trovare un senso per l’esistenza, scoprire e riscoprire i propri valori ancestrali, lavorare a nuove forme di esistenza, lavorare per nuove forme di energie, lavorare per curare o migliorare le condizioni di vita delle persone. In questa cella si colloca la volontà di trovare ancoraggi a ideali da perseguire e da collegare a specifici progetti. Comprende azioni di scavo motivazionale, di mappatura dei valori personali, di localizzazione dei blocchi e contratture che impediscono di credere e volere, di alimentare la passione per un progetto o un’idea. Costituisce l’area del modello più legata a concetti di filosofia, religione, e morale.

 

Nel complesso, ogni piano di CoachingSviluppo Personale può essere più o meno “caricato” su una o più delle diverse aree.

Avremo quindi piani di Coaching più fisici, altri di tipo psicologico e motivazionale, altri più legati a costruire progetti, altri ancora legati a migliorare l’esecuzione dell’esistente, e via così.

Ciò che conta è che si sappia bene cosa si sta facendo, consapevoli del fatto che un Coaching totale non può prescindere da tutte le aree. Se si decide di focalizzare un Coaching solo su una area o su aree limitate, questa deve essere una scelta tattica consapevole e non un atteggiamento di miopia verso la vastità dei possibili piani di intervento.

Cambiare o migliorare un singolo gesto può immettere energia in tutto il sistema. Cambiare o migliorare un singolo pensiero o credenza può immettere equilibrio. Nessuno sforzo di miglioramento è mai vano.

 

Mantieni i tuoi pensieri positivi

Perché i tuoi pensieri diventano parole

Mantieni le tue parole positive

Perché le tue parole diventano i tuoi comportamenti

Mantieni i tuoi comportamenti positivi

Perché i tuoi comportamenti diventano le tue abitudini

Mantieni le tue abitudini positive

Perché le tue abitudini diventano i tuoi valori

Mantieni i tuoi valori positivi

Perché i tuoi valori diventano il tuo destino

(Mahatma Gandhi)

E’ importante andare avanti, anche quando la massa rimane ferma in un acquario di stupidità, anche quando sembra di essere strani e ci si sente soli. La solitudine è accettabile e a volte persino inevitabile, quando accompagna momenti di profonda crescita e cambiamento.
E dopo aver cambiato noi stessi, siamo certi che le persone che ci circonderanno o si uniranno a noi, saranno migliori. Sperimenteremo un’unione con dei valori, forti e saldi, che non ci faranno mai sentire soli, un’unione con chiunque abbia sostenuto e stia sostenendo un viaggio di crescita personale, sperimenteremo un’unione con persone e idee e le sentiremo vicine, non importa quanto distanti nel tempo e nello spazio. Daniele Trevisani, dal libro in costruzione.

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Riflessioni e spunti per la formazione aziendale, il coaching e i percorsi di sviluppo, tratti dal volume “Il Potenziale Umano” di Daniele Trevisani
  1. Energie e competenze sono importanti, ma senza passione, senza il motore di una causa nobile, tutto è inutile. Il tuo team, e ogni persona del team, deve distinguere il valore della vostra missione.
  2. Tante persone sono come auto pronte al via, ma con il parabrezza talmente sporco da non consentire di vedere “verso dove”, andiamo. Auto senza un guidatore, viandanti senza una meta e senza un perché.
  3.  Occorre stimolare e riscoprire gli ancoraggi profondi ai valori, e ad una causa, la sacralità di una missione, persino la sacralità dell’esistenza.
  4. Le performance, le nostre giornate, le nostre ore, sono piene di atti vuoti o sono ancorati ad un disegno superiore? Esiste una “spiritualità” delle performance o del fare, un “fuoco sacro” che alimenta energie e motivazione?
  5. Diamo un senso a quello che facciamo? Ci proviamo? Possiamo cogliere un motivo denso di significato?
  6. Anche la non-azione (come la meditazione) può essere piena di valore, così come un progetto aziendale o sportivo.
  7. Credere in quello che si fa è determinante per l’auto-immagine. Se ci sentiamo inutili venditori di fumo non andremo mai da nessuna parte. Se troviamo invece il modo di essere di aiuto a qualcuno, di dare senso, o di lottare per qualcosa, diventiamo pieni di forze.
  8. Ancorare l’azione ad ideali significa riconoscere il bisogno di esistere per un fine. Le performance sono destinate a svanire nell’istante, mentre invece una causa è eterna.
  9. Vi sono persone e atleti che sperimentano il contatto con una realtà superiore ogni volta che entrano nelle quattro mura di una palestra o di un Dojo, e sanno che il loro allenamento sarà una forma di preghiera e di contatto con il proprio Dio, o anche solo con le forze primordiali della natura. Lo stesso può accadere nell’impegnarsi in un progetto sociale, aziendale o personale.
  10. Quando questo collegamento denso di valori, mistico o sacro, accade, le energie si sprigionano, i miracoli sono dietro l’angolo.

Nessuna operazione di un team arriverà mai al successo se non si accende il motore del “fuoco sacro” che lo alimenta.
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Il significato di un uomo non va ricercato in ciò che egli raggiunge, ma in ciò che vorrebbe raggiungere.

(K. Gibran)

 

Chi si occupa di potenziale umano e di performance con fini professionali ha in mente sicuramente traguardi veri e forti di miglioramento, per sé e gli altri. Se così non fosse saremmo veramente fuori strada. Chi svolge questo tipo di missione con fare burocratico o apatico ne stravolge realmente il senso.

Ne deforma il senso anche chi confonde le performance di superficie (più eclatanti ed evidenti) con le performance profonde (crescita personale, evoluzione spirituale), e investe solo sule prime e poco sulle ultime.

Facciamo un esempio pratico rispetto al coaching educativo e al ruolo di un learning coach. Far sì che un ragazzo/a dia il meglio di sé nella scuola o università è il motore morale corretto, e soprattutto che trovi equilibrio tra studio e attività fisica, senza scompensi che lo danneggino nel lungo termine. Essere i primi della classe ma non amare lo studio è pura distorsione.

Le società iper-competitive che premiano solo chi arriva in alto, chi primeggia, i vincenti forzati , creano mostri. Confondono il contributo con la posizione. La domanda che qualcuno, al termine dei nostri giorni, dovrebbe porci, non è “dove sei arrivato”, ma “a cosa hai contribuito veramente”?

Questo è un nuovo metro di misura da adottare. Per un manager, per un trainer, per un politico, per un ricercatore, e per ogni essere vivente, vivere a pieno non significa “smarcare” le proprie giornate arrivando a sera in qualche modo. Significa assumersi in pieno il ruolo di “contributori”.

Dare il meglio di sè non equivale a primeggiare. Significa invece essere parte di un ideale, e concretizzarlo in piccoli cambiamenti di atteggiamento.

Nello studio, non sarà il singolo voto a contare, ma l’avvio di un nuovo atteggiamento di amore verso lo studio o verso una materia. Sarà un nuovo senso di sfida positiva, o il piacere dell’apprendere, a dirci se siamo o meno sulla strada giusta. Ancora una volta: dare il meglio di sé non è studiare per il singolo voto ma studiare per apprendere.

La pura performance (il voto), è secondaria, è una cartina di tornasole di cosa succede dentro, ma non è il dentro, e, addirittura, se fosse regalato o frutto di copiatura non ci direbbe niente sullo stato di avanzamento della persona. Proponiamo questa libera riflessione di Madre Teresa di Calcutta, come stimolo di riflessione, aperto sia a critiche che apprezzamenti:

 

Il meglio di te

 

L’uomo è irragionevole,

illogico, egocentrico:

non importa, amalo

 

Se fai il bene,

diranno che lo fai

per secondi fini egoistici:

non importa, fa’ il bene.

 

Se realizzi i tuoi obiettivi,

incontrerai chi ti ostacola:

non importa, realizzali.

 

Il bene che fai

forse domani verrà dimenticato:

non importa, fa’ il bene.

 

L’onestà e la sincerità

ti rendono vulnerabile:

non importa, sii onesto e sincero.

 

Quello che hai costruito

può essere distrutto:

non importa, costruisci.

La gente che hai aiutato,

forse non te ne sarà grata:

non importa, aiutala.

 

Dà al mondo il meglio di te,

e forse sarai preso a pedate:

non importa, dà il meglio di te.

 

Queste parole non sono vuote, possono essere concretizzate.

Coach e formatori impegnati e seri lavorano per rendere concreta l’es­pres­sione di sé e dei potenziali.

Un coaching analitico ricerca la crescita della persona e non la crescita di un lato della persona a scapito dell’equilibrio complessivo. Spremere un frutto e gettarlo non è il nostro fine. Il nostro fine è coltivare la pianta.

Dare il meglio non significa bruciare se stessi o gli altri, spremersi sino a distruggersi. Anche in un coaching sportivo vale lo stesso principio. Operare per rendere un atleta una persona d’onore, seria, impegnata, continuativa, deve essere il motore psicologico di un coach sportivo. Vincere una stagione e bruciarla per il resto della vita non è coaching, è uccidere la persona.

Lo stesso nel TeamCoaching. Fare di una squadra un gruppo con dei valori e degli ideali, un gruppo che quando va in campo dà il meglio di sé, un gruppo che vuole esprimersi ed essere sempre orgoglioso di come ha giocato e dello spirito che ha, è lo scopo di uno team-coach.

Stesso discorso sul piano aziendale. Un coach aziendale, un formatore o consulente serio, puntano alla realizzazione delle potenzialità (nel coaching manageriale). O, nel lavoro sulla leadership, avremo successo quando un leader smette di fingere a se stesso e agli altri, procede verso una direzione di autenticità e maturità prima di tutto come persona.

Nella consulenza, avremo obiettivi diversi, come il trovare nuovi equilibri solidi, e non necessariamente aumenti di fatturato “di facciata”, se possono nascondere drammatiche crisi di solidità aziendale vera.

Ed ancora, un formatore aziendale non è felice solo per come finisce la gior­nata formativa, ma per lo spirito che lo anima, e con cui entra: si entra nel­l’aula con anima combattiva (o missionaria), voglia di incidere, creare pensiero e crescita. Questo significa aiutare il gruppo che ha davanti a sè a riflettere su come pensa e come lavora, fargli fare esperienze impattanti ma soprattutto utili, portargli stimoli e concetti che allargheranno il loro patrimonio professionale o ne rimuovano incrostazioni.

Un trainer serio non si accontenta di “smarcare” una giornata, dire o fare qualsiasi cosa faccia divertire il pubblico e gli dia punteggi elevati sulle “valutazioni” di fine corso.

Per far emergere il meglio delle persone bisogna anche essere disposti ad andare controcorrente, a rischiare, a difendere un concetto in cui crede.

Un ulteriore commento: dare il meglio di sé è un atteggiamento che si può apprendere, è stimolabile e generabile tramite un buon modeling, e fare da esempio agli altri, ove possibile, è una nostra precisa responsabilità.

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Copyright, dal Volume: “Il Potenziale Umano”

Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance

Dr. Daniele Trevisani - Formazione Aziendale, Ricerca, Coaching