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Copyright. Articolo estratto dal libro “Direzione Vendite e Leadership. Coordinare e formare i propri venditori per creare un team efficace” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Saper inquadrare l’Obiettivo Operativo

Il goal-setting richiede la chiarificazione di cosa vogliamo ottenere, non in termini generici, ma di Obiettivi Operativi, obiettivi che siano concreti, pratici, realizzabili, comprensibili e raggiungibili.

Nel campo delle campagne di comunicazione aziendale, notiamo come molte di esse sfuggano al criterio di base di qualità del goal. 

Molte campagne che vorrebbero incidere sui comportamenti (nella comunicazione sociale, per esempio per la riduzione del fumo, o nella vendita per la conquista di nuovi clienti) non riescono nei propri obiettivi, poiché i goal non esistono o sono fumosi (deliberatamente o per incapacità).

Per facilitare il compito dei realizzatori, occorre predisporre goal chiari e ben comunicabili, abbinati ad apposite schede di rilevazione e checklist che permettono di svolgere una verifica adeguata.

Non possiamo, infatti, creare la situazione in qualcuno, al termine di un briefing, si trovi a dire: “molto bello, però adesso cosa devo fare?” 

Parlare chiaro al punto che le persone, ogni persona, sappia cosa deve fare e perché, è un fondamento della leadership.

I funzionari o professionisti che sanno tradurre un goal in una sequenza precisa di azioni da intraprendere sono abbastanza rari. Per questo motivo, le checklist consentono di avviare molto più rapidamente le operazioni.

La definizione dei goal nella direzione del team

Nel metodo ALM abbiamo individuato e predisposto diversi tipi di supporto per il goal-setting nelle campagne di comunicazione e marketing B2B :

  • Check-list riepilogative di campagna (CRC): predispongono i compiti (task) da assegnare ai diversi membri del team; riassumono i risultati di campagna.
  • Check-list riepilogative individuali per il team-member (CRI): predispongono e riassumono operazioni svolte da singoli membri del team.
  • Check-list riepilogative di analisi sul singolo prospect (CRP): predispongono azioni comunicative e riepilogano sotto forma di questionario la situazione rilevata nel singolo cliente attuale o potenziale (o altro destinatario di campagna).

Le “campagne d’azione” necessitano di goal specifici, differenziati dagli obiettivi generici. Per un punto vendita, aumentare il comfort del cliente non è un goal ma un obiettivo, mentre lo specifico goal può essere formulato come “ridurre i tempi medi di attesa del cliente da 10 a 2 minuti”.

Allo stesso modo, l’obiettivo “farsi conoscere dal pubblico” è certamente un risultato auspicabile per ogni azienda, ma per divenire obiettivo operativo deve essere tradotto in goal misurabili, come “portare a conoscenza i potenziali clienti della Regione X dell’apertura dei nostri punti vendita, generando un grado di conoscenza (awareness) di almeno il 70 % delle famiglie nella città A e il 40 % nella città B entro 6 mesi dall’apertura”.

Ogni goal deve essere delimitato nel tempo, nello spazio fisico-geografico, nel settore merceologico, nell’attività, nella tipologia di soggetti su cui agire, sino a identificare con estrema precisione i target.

La struttura aziendale, di fronte a input chiari, risponde solitamente con maggiore efficienza ed efficacia, e passa rapidamente allo sviluppo di soluzioni operative. 

Obiettivi confusi e poco traducibili in pratica creano invece demotivazione e portano a uno stato di generale frustrazione e malcontento nelle risorse umane.

Pertanto, la creazione di goal e la buona strutturazione della comunicazione rappresentano un importante momento che il management deve utilizzare per lanciare un messaggio chiaro alle risorse umane: “sappiamo cosa vogliamo”.

Principio– Precisione e qualità dei goal

La “qualità della vita” nei gruppi di lavoro e la performance dei gruppi stessi sono correlate al grado in cui i goal sono:

  • specifici, precisi nella definizione e chiari nelle attese;
  • misurabili in termini di risultato;
  • raggiungibili, sfidanti ma dotati di un fattore di sfida gestibile in base alle risorse del soggetto;
  • rilevanti rispetto alla missione aziendale e dotati di rilevanza individuale;
  • forniti con la tempistica adeguata
  • trasformati in Obiettivi Operativi e non solo generici.

Il leader svolge la funzione di fissazione dei goal, monitoraggio in itinere, feedback e rinforzo (positivo o negativo) rispetto all’agire del detentore del goal.

La possibilità di autodeterminazione progressiva dei goal da parte dei membri del team

La definizione dei goal nella direzione del team

Non possiamo omettere, e dovremo farlo molto spesso, di ricordare l’importanza di una buona formazione vendite, con almeno una sessione all’anno di due o tre giorni in full-immersion, più un coaching dedicato, per poter dire di fare qualcosa di serio sul proprio team. Ogni team preparato è in grado di cogliere occasioni che gli altri nemmeno vedono.

“L’occasione arriva solo a colui che è ben preparato.”

Baruch Spinoza

Idealmente, a mano a mano che il gruppo si forma, cresce e matura, i membri del gruppo divengono sempre più partecipi nella fissazione stessa del goal.

Il leader deve decidere e sperimentare progressivi allargamenti della partecipazione del team nella definizione stessa degli obiettivi, in relazione al grado di maturità di ciascun singolo individuo (attenzione individuale alla possibilità di autodeterminare i goal).

In ogni azienda e organizzazione possiamo avere diverse condizioni:

  • La situazione A (anarchia organizzativa) si produce in seguito alla mancata definizione di goal.
  • La situazione B vede il team-member in una situazione di estrema dipendenza dal leader in termini di tipologia di goal (cosa fare) e di modalità esecutiva (come farlo).
  • La situazione C permette di condividere, di costruire assieme, un goal tra leader e team-member. È una condizione di elevata maturità del gruppo, e di prevalenza di un SIM (Sistema Motivazionale) di forte cooperazione. Richiede inoltre una forte comprensione, nel team-member, della sequenza piramidale, e quindi una potente interiorizzazione della mission aziendale.
  • La situazione D rappresenta lo stato evolutivo avanzato nel quale il team-member riesca a fissare egli stesso i propri goal.

Un ciclo di vita della leadership dovrebbe partire dalla condizione B per poi passare progressivamente (con molta cautela) alla C e alla D.

La condizione D è per molti leader carismatici un punto di arrivo: la possibilità che il team-member stesso viva il gruppo con un grado di maturità, partecipazione (empowerment), senso del ruolo e competenze tecniche tali da metterlo in grado di assegnarsi le proprie priorità e goal in modo autonomo.

Altri leader vedono in tale autodeterminazione una minaccia, una possibile perdita di potere e controllo.

In questo vi è una certa dose di contraddizione, poiché la definizione dei goal avviene sempre e comunque entro un frame– quadro generale – deciso dal leader, e non può mettere in discussione la linea strategica (nel qual caso si determinerebbe una pericolosa invasione dei territori psicologici).

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Dr. Daniele Trevisani - Formazione Aziendale, Ricerca, Coaching