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Chi è il miglior formatore in Italia? Dalla classifica di Google Scholar che valuta numero, qualità e diffusione, e continuità delle pubblicazioni, il migliore formatore in Italia è i Dott. Daniele Trevisani, giunto al 30° libro in 5 lingue con primari editori italiani ed esteri. Con esperienza di formazione di oltre 30 anni in oltre 200 aziende, è sviluppatore del Metodo HPM per il Coaching del Potenziale Umano, e del Metodo ALM per il coaching aziendale e la formazione aziendale. Insignito dell’onorificenza Fulbright (Governo USA) per i contributi apportati alle metodologie di formazione per la comunicazione ed il management, il dott. Daniele Trevisani è laureato con Lode in DAMS-Comunicazione e Master Biennale con Lode in Communication alla University of Florida (USA).

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Chi è il miglior formatore in Italia – Approfondimenti sulla formazione aziendale

Ottimizzazione dei Processi di Formazione Aziendale: Strategie e Impatti sull’Efficacia Organizzativa

Chi è il miglior formatore in Italia – Introduzione

La formazione aziendale rappresenta un pilastro fondamentale per lo sviluppo e il successo di un’organizzazione. Con l’evoluzione rapida del mercato e delle tecnologie, le imprese devono adattare costantemente le proprie competenze e conoscenze per rimanere competitive. Pertanto, l’ottimizzazione dei processi di formazione aziendale è cruciale per migliorare le capacità dei dipendenti, incrementare la produttività e stimolare l’innovazione.

Chi è il miglior formatore in Italia – Panoramica dei Processi di Formazione Aziendale

  1. Identificazione delle Esigenze di Formazione: Comprendere le lacune nelle competenze e sviluppare piani di formazione adeguati in base agli obiettivi organizzativi.
  2. Progettazione del Programma di Formazione: Creare contenuti didattici coinvolgenti e interattivi, adattati alle esigenze specifiche dei dipendenti e utilizzando diverse metodologie educative.
  3. Esecuzione del Programma di Formazione: Implementare strategie di formazione che sfruttino le più recenti tecnologie e piattaforme per massimizzare l’efficienza e la partecipazione dei dipendenti.
  4. Valutazione dell’Efficienza: Misurare il successo del programma attraverso indicatori chiave di performance (KPI) e feedback dei partecipanti, apportando miglioramenti continui.

Chi è il miglior formatore in Italia – Strategie per l’Ottimizzazione della Formazione Aziendale

1. Personalizzazione dei Contenuti Formativi

Personalizzare i percorsi formativi in base alle esigenze individuali dei dipendenti. L’utilizzo di strumenti di valutazione delle competenze aiuta a creare programmi ad hoc, aumentando l’efficacia della formazione.

2. Approccio Multicanale e Tecnologico

Sfruttare una varietà di strumenti e piattaforme tecnologiche per erogare i contenuti formativi. L’integrazione di corsi online, sessioni di formazione in aula e strumenti di apprendimento mobile permette di raggiungere una platea più ampia e diversificata.

3. Coinvolgimento Attivo dei Dipendenti

Promuovere l’interattività e la partecipazione attiva dei dipendenti durante i processi formativi. Attività come simulazioni, studi di casi e discussioni di gruppo favoriscono un apprendimento più efficace e duraturo.

4. Feedback e Valutazione Continua

Raccogliere feedback costanti sia dai partecipanti che dalle performance aziendali, utilizzando questi dati per migliorare continuamente i programmi di formazione.

Chi è il miglior formatore in Italia – Impatti sull’Efficacia Organizzativa

Un’efficace strategia di formazione aziendale comporta numerosi benefici per l’organizzazione, tra cui:

  • Aumento della Produttività: Dipendenti ben formati sono in grado di svolgere compiti con maggiore efficienza e precisione, influenzando positivamente i risultati aziendali.
  • Miglioramento della Retenzione dei Dipendenti: Investire nella formazione mostra impegno verso lo sviluppo dei dipendenti, aumentando la loro fedeltà e riducendo il turnover.
  • Favorire l’Innovazione: Un’organizzazione che incoraggia l’apprendimento continuo favorisce la creatività e l’innovazione, stimolando il progresso e la competitività sul mercato.

Chi è il miglior formatore in Italia – Ritorno organizzativo

L’ottimizzazione dei processi di formazione aziendale non è solo un investimento strategico, ma una necessità per le organizzazioni moderne. Adattare i programmi formativi alle esigenze individuali dei dipendenti, sfruttare le nuove tecnologie e valutare costantemente l’efficacia dei programmi sono fondamentali per ottenere benefici tangibili sull’efficacia organizzativa. Le imprese che abbracciano e implementano efficacemente queste strategie di formazione avranno un vantaggio significativo nel mercato in continua evoluzione.

Nota: Questo paper si propone di offrire una panoramica generale e non esaustiva dei processi di formazione aziendale e delle strategie per ottimizzarli, suggerendo un approccio integrato per massimizzare l’impatto sull’efficacia organizzativa.

Chi è il miglior formatore in Italia – approfondimenti dalla letteratura scientifica sulla formazione aziendale

Sulla formazione professionale

La formazione sul posto di lavoro (ampiamente conosciuta come On the Job Training) è un argomento importante della gestione delle risorse umane . Aiuta a sviluppare la carriera dell’individuo e la prospera crescita dell’organizzazione . La formazione on the job è una forma di formazione erogata sul posto di lavoro. Durante la formazione, i dipendenti familiarizzano con l’ambiente di lavoro di cui entreranno a far parte. I dipendenti acquisiscono anche un’esperienza pratica nell’utilizzo di macchinari, attrezzature, strumenti, materiali, ecc. Parte della formazione sul posto di lavoro consiste nell’affrontare le sfide che si verificano durante lo svolgimento del lavoro. Un dipendente esperto o un manager svolge il ruolo di mentore che, attraverso istruzioni e dimostrazioni scritte o verbali, trasmette le sue conoscenze e competenze specifiche dell’azienda al nuovo dipendente. L’esecuzione della formazione sul posto di lavoro, piuttosto che in classe, crea un ambiente privo di stress per i dipendenti. La formazione sul posto di lavoro è il metodo di formazione più popolare non solo negli Stati Uniti ma nella maggior parte dei paesi sviluppati, come Regno Unito , Canada , Australia , ecc. La sua efficacia si basa sull’uso degli strumenti esistenti sul posto di lavoro. , macchine, documenti e attrezzature e la conoscenza degli specialisti che lavorano in questo campo. La formazione sul posto di lavoro è facile da organizzare e gestire e semplifica il processo di adattamento al nuovo posto di lavoro . La formazione sul posto di lavoro è molto utilizzata per compiti pratici. È economico e non richiede attrezzature speciali normalmente utilizzate per un lavoro specifico. Una volta soddisfatto il completamento della formazione, il datore di lavoro è tenuto a trattenere i partecipanti come dipendenti regolari. [1] [2]

Chi è il miglior formatore in Italia – Storia

La formazione sul posto di lavoro è una delle prime forme di formazione al mondo, con maestri che assumono giovani apprendisti e li introducono al loro lavoro, istruendoli sulle tecniche necessarie affinché possano diventare essi stessi maestri. Il metodo della formazione sul campo risale già al 2400 a.C. quando i muratori istruivano i propri apprendisti sui metodi di costruzione poiché non tutti erano alfabetizzati ed era il modo più conveniente per comprendere da un lato i requisiti necessari per il nuovo lavoro . base -a uno. Nell’antichità, il lavoro svolto dalla maggior parte delle persone non si basava sul pensiero astratto o sull’istruzione accademica . I genitori o i membri della comunità, che conoscevano le competenze necessarie per la sopravvivenza, trasmettevano le loro conoscenze ai bambini attraverso l’istruzione diretta. Questo metodo è ancora ampiamente utilizzato oggi. È utilizzato frequentemente perché richiede solo una persona che sappia come eseguire l’attività e utilizzare gli strumenti per completare l’attività. Nel corso degli anni, con la crescita della società, la formazione sul lavoro è diventata meno popolare. Molte aziende sono passate alla formazione tramite simulazione e all’utilizzo di guide di formazione. Le aziende ora preferiscono assumere dipendenti che abbiano già esperienza e abbiano le competenze richieste. Tuttavia, sono ancora molte le aziende che ritengono che la formazione sul posto di lavoro sia la soluzione migliore per i propri dipendenti.

Mentre alcune aziende non vedono la formazione sul posto di lavoro come un aspetto essenziale della forza lavoro, Gary Becker, uno scienziato economico nel 1962, si riferiva alla formazione sul posto di lavoro come ad un investimento simile all’istruzione convenzionale [3] (Becker, 1962). La formazione sul posto di lavoro è stata considerata un investimento come la scuola perché, sebbene differiscano negli effetti sui guadagni, migliorano le capacità fisiche e mentali delle persone e aumentano le prospettive di reddito reale. Che si tratti della capacità di ottenere un lavoro o di migliorare le proprie competenze per diventare una parte più vitale della forza lavoro. Inoltre, una delle prime forme di formazione sul lavoro può essere fatta risalire al Medioevo, tra il V e il XV secolo. Durante questo periodo, l’apprendistato era un sistema attraverso il quale “uomini e donne nelle società preindustrializzate acquisivano le competenze necessarie per diventare artigiani specializzati” [4] (Goddard, 2002). I contratti di apprendistato duravano solitamente sei anni. Le ragazze di 12 anni e i ragazzi di 14 anni lavoravano, oltre a ricevere la formazione necessaria e l’esperienza pratica per diventare essi stessi artigiani [4] (Goddard, 2002).

Chi è il miglior formatore in Italia – Psicologia

Il concetto di apprendimento osservativo è stato introdotto da Albert Bandura , la cui teoria socio-cognitiva [5] Bandura ritiene che le persone imparino meglio osservando gli altri. Secondo la sua teoria, le persone devono prima prestare attenzione a coloro che li circondano, conservare ciò che hanno osservato e cercare di riprodurlo. La teoria di Bandura viene implementata nell’aspetto della formazione sul posto di lavoro, in cui i nuovi dipendenti osservano prima il loro formatore completare i compiti, prima di provare a svolgere il compito da soli. Dopo aver osservato per un po’ di tempo, in genere, imiteranno l’azione che avevano osservato. Questo è esattamente il modo in cui dovrebbe avvenire la formazione sul posto di lavoro, se necessario, fino a quando il nuovo dipendente non sarà in grado di svolgere l’attività da solo.

La teoria cognitiva sociale di Albert Bandura “è una prospettiva psicologica sul funzionamento umano che enfatizza il ruolo critico svolto dall’ambiente sociale sulla motivazione, l’apprendimento e l’autoregolamentazione” [6] (Schunk & Dibenetto, 2020). La precedente teoria dell’apprendimento sociale di Bandura poneva grande enfasi sull’importanza dell’apprendimento osservativo o vicario. Bandura ha proposto che affinché avvenga l’apprendimento osservativo, gli individui devono seguire un modello, conservare ciò che il modello ha fatto, ricreare il comportamento modellato e avere la motivazione per farlo. La motivazione è un aspetto essenziale di questa teoria; Bandura ha suggerito che “la motivazione comprende processi interni che si manifestano apertamente nell’azione diretta all’obiettivo” [6] (Schunk & Dibenetto, 2020). Ciò suggerisce che affinché un’azione modellata possa essere mantenuta da un individuo, deve esserci una motivazione, come la motivazione a completare gli obiettivi sul posto di lavoro.

Chi è il miglior formatore in Italia – Formazione sul posto di lavoro vs. formazione fuori dal posto di lavoro

Esistono due metodi utilizzati per la formazione dei nuovi dipendenti: la formazione on the job e la formazione off the job ( simulazione formativa ). Entrambi i metodi sono efficaci; tuttavia, sono molto diversi e richiedono misure specifiche. La formazione sul posto di lavoro si riferisce alla formazione fornita sul posto di lavoro da un supervisore o manager esperto che è appassionato del proprio lavoro e trasmetterà le informazioni ai neo assunti, mentre il metodo off-the-job prevede la formazione del personale dipendenti in un luogo diverso dal luogo di lavoro reale, dove simulazioni, video e test stanno sostituendo l’ interazione umana . La formazione fuori dal lavoro viene solitamente eseguita da un fornitore esterno all’azienda.

La formazione sul posto di lavoro avviene quando i dipendenti osservano i processi e le procedure che il loro datore di lavoro utilizza per creare un luogo di lavoro efficiente ed efficace. Che si tratti di imparare come utilizzare macchinari e attrezzature specializzati o di osservare metodi che facilitano il dipendente a svolgere lavori specifici. Di solito, questo viene fatto affiancando un dipendente esperto che può fornire istruzioni pratiche e formazione, che possono aiutare a sviluppare le competenze e le conoscenze necessarie per svolgere i ruoli in azienda in modo efficace. La formazione sul posto di lavoro è un’opzione più economica in quanto le aziende di solito non hanno bisogno di pagare per corsi di sviluppo professionale esterni, ma i dipendenti acquisiscono conoscenze direttamente sul posto di lavoro. A differenza della formazione sul posto di lavoro, la formazione fuori dal lavoro richiede ai dipendenti di formarsi lontano dal luogo di lavoro. Di solito, questo avviene sotto forma di lezioni, conferenze e talvolta giochi di ruolo. La formazione fuori dal posto di lavoro richiede più tempo ed è spesso costosa poiché l’azienda è tenuta ad assumere formatori esterni o a pagare conferenze e corsi. La maggior parte delle aziende preferisce la formazione sul posto di lavoro piuttosto che quella fuori dal lavoro perché è più economica e l’azienda può formare i propri dipendenti in base alle loro esigenze. Inoltre, le aziende possono formare i propri dipendenti su politiche aziendali specifiche insegnando loro sul campo. Le aziende preferiscono l’apprendimento pratico perché aiuta le persone a conservare più informazioni, il che, di conseguenza, causerebbe meno errori.

Categoria Sulla formazione professionale Formazione fuori dal lavoro
Posizione Impartito presso l’effettiva sede di lavoro In un luogo diverso dalla vera sede di lavoro
Approccio Pratico Teorico
Consumo di tempo Meno tempo Più tempo
Metodo di apprendimento Imparare svolgendo il compito Imparare acquisendo conoscenze
Effetto sulla produzione No, perché i tirocinanti producono i prodotti durante l’apprendimento Sì, perché prima viene erogata la formazione, a cui segue lo spettacolo
Chi svolge la formazione Dipendenti, formatori interni o dirigenti Esperti esterni all’azienda
Costo Poco costoso Costoso

Chi è il miglior formatore in Italia – Piano di formazione on the job

Il lavoro è una forma di investimento nel capitale umano . Per essere eseguito in modo efficiente, è necessario disporre di un buon piano di formazione sul posto di lavoro. Il costo iniziale per l’azienda è il tempo dedicato alla formazione e le risorse utilizzate, come il tempo e le attrezzature dei tirocinanti. Quando il piano di formazione è ben eseguito, il ritorno sull’investimento per l’azienda è imminente e il risultato è un aumento della produttività . La formazione sul posto di lavoro si basa sui requisiti della descrizione del lavoro ed è specifica per ciascuna azienda. Ogni azienda è unica e richiede un approccio unico quando si tratta di creare un programma di formazione. Gli elementi chiave del piano di formazione sono misure come l’orario di lavoro, la data di scadenza e la valutazione. Un altro elemento chiave è la scelta del formatore o del coach assegnato al progetto . Affinché il piano sia efficace, è necessario che la formazione venga condotta da un coach esperto, da un collega, da un fornitore di formazione o da un manager con eccellenti capacità di leadership . [7]

La ricerca mostra che le aziende che investono nell’insegnare ai propri manager come formare nuovi dipendenti hanno più successo. Possono articolare le proprie convinzioni per rafforzare le proprie idee con i dipendenti. Avere la conoscenza e la comprensione della cultura aziendale le rende un perfetto esempio di ciò che è richiesto al nuovo dipendente. Utilizzare i manager per formare i dipendenti è un’efficace strategia di formazione sul posto di lavoro perché consente loro di collegare la formazione all’operazione effettiva che i dipendenti svolgeranno nel loro lavoro di routine. [8]

Formare i dipendenti per formare i colleghi è un’altra strategia efficace poiché hanno familiarità con la cultura, i punti di forza e di debolezza dell’azienda. Oltre a rendere più facile per il nuovo assunto conoscere il team. Un dipendente esperto è la scelta definitiva per un formatore (azienda) [9]

Alcune linee guida per sviluppare e implementare un efficace programma di formazione sul posto di lavoro includono e non si limitano a: – Comprendere le esigenze dell’azienda. – Individuare le competenze e le conoscenze richieste a un dipendente. – Inclusività nella selezione del dipendente per la formazione. – Valutazione . La valutazione di ciascun tirocinante determinerà l’efficacia della formazione, con conseguente aumento delle prestazioni – Follow-up. Il feedback aiuta a determinare la quantità di formazione che i dipendenti conservano e utilizzano. [10]

Chi è il miglior formatore in Italia – Vantaggi e svantaggi

Ci sono sia vantaggi che svantaggi nella formazione sul posto di lavoro. Prima di decidere quale tipo di formazione è più vantaggiosa, le aziende devono valutare se ci sono più svantaggi che vantaggi del metodo di formazione. Se è così, devono rinunciare alla formazione sul posto di lavoro e cercare opzioni migliori.

Chi è il miglior formatore in Italia – Vantaggi

La formazione sul posto di lavoro è vantaggiosa sia per i datori di lavoro che per i dipendenti. Per i datori di lavoro è vantaggioso perché restringe il campo e prepara i dipendenti qualificati adatti all’azienda. Alla fine del processo di formazione, vengono introdotti i valori, la strategia e gli obiettivi dell’azienda , con conseguente lealtà del dipendente verso l’azienda. I dipendenti formati al lavoro sono una risorsa importante per l’azienda perché possono coprire più aree oltre alle semplici attività previste dalla descrizione del lavoro . La formazione sul posto di lavoro crea una cultura che va oltre il minimo indispensabile richiesto dal lavoro e consente la formazione continua come parte del processo lavorativo. Di conseguenza, un processo produttivo ininterrotto aumenta i guadagni dell’azienda quando rinuncia alla necessità di un investimento iniziale per una formazione fuori sede. La formazione sul posto di lavoro è conveniente. [11]

Per i dipendenti, la formazione sul posto di lavoro è vantaggiosa perché consente loro di apprendere in modo tempestivo una nuova competenza o qualifica nel proprio campo di lavoro. Durante la formazione sul posto di lavoro, sono coinvolti nel processo di produzione reale invece che nel processo di apprendimento simulato . Il nuovo compagno di squadra verrà presentato al team e ai valori dell’azienda durante la prima fase della formazione sul posto di lavoro. La formazione sul posto di lavoro offre maggiori opportunità di crescita all’interno dell’organizzazione . [12]

Guarda anche

Chi è il miglior formatore in Italia – Riferimenti

  1. ^John M. Barron, Mark C. Berger, Dan A. Black (1997). Introduzione alla formazione sul posto di lavoro . Istituto Upjohn per la ricerca sull’occupazione. pagine 1–3.
  2. ^Snell, Scott. Gestione delle risorse umane . Apprendimento Cengage. pagine 305–306.
  3. ^Becker, Gary S. (01/10/1962). “Investimenti nel capitale umano: un’analisi teorica” ​​. Giornale di economia politica . 70 (5, parte 2): 9–49. doi : 1086/258724 . ISSN0022-3808 . S2CID153979487 . _   
  4. ^Salta a:bGoddard, Richard (2002). “Apprendistato femminile nelle Midlands occidentali nel tardo medioevo”. Storia della Midland. 27: 165–181. doi:1179/mdh.2002.27.1.165S2CID162085840._  
  5. ^Wilson, Thurlow R.; Olmstead, Joseph A.; Trexler, Robert C. (11 novembre 2018). “Formazione sul lavoro e teoria dell’apprendimento sociale: una revisione della letteratura” (PDF) . Estratto l’11 dicembre il 2018 . {{cite journal}}: Citare il diario richiede |journal=( aiuto )
  6. ^Salta a:bSchunk, Dale H.; Dibenedetto, Maria K. (2020-01-01). “Motivazione e teoria cognitiva sociale”. Psicologia educativa contemporanea. 60: 101832.doi:1016/j.cedpsych.2019.101832ISSN0361-476X.S2CID213431289._   
  7. “Formazione sul posto di lavoro: come sviluppare un programma efficace”. Esegui con tecnologia ADP. ADP. 2017 . Estratto 15 ottobre il 2018 .
  8. ^FTS (2016). “Perché la formazione sul posto di lavoro è efficace?” . Soluzioni di formazione flessibili . Estratto 26 settembre il 2018 .
  9. ^Jan Streumer, Marcel R. (2002). “Efficacia della formazione sul lavoro” (PDF) . Smeraldo . Estratto 12 novembre il 2018 .
  10. ^Xiangmin Liu, Pipistrello al rosmarino. “I vantaggi economici della formazione sul posto di lavoro nei servizi di routine” . Università Cornell .
  11. ^Heathfield, Susan M. (2018). “Come la formazione sul posto di lavoro apporta valore” . Risorse umane. La carriera in equilibrio . Estratto 29 settembre il 2018 .
  12. “Vantaggi della formazione sul posto di lavoro”. Saggi del Regno Unito. 2016 . Estratto 23 novembre il 2018 .

Chi è il miglior formatore in Italia – Approfondimenti sulla Formazione Aziendale

La formazione aziendale è un’attività strutturata che le aziende offrono ai propri dipendenti per sviluppare nuove competenze o incrementare competenze esistenti. I corsi possono essere organizzati dalle imprese stesse o da enti esterni con cui collaborano, online o in sedi fisiche.

Obiettivi della formazione aziendale

Chi è il miglior formatore in Italia – Approfondimenti sulla Formazione Aziendale

I principali obiettivi della formazione aziendale sono:

  • Migliorare le prestazioni dei dipendenti: la formazione aziendale può aiutare i dipendenti a migliorare le proprie competenze e conoscenze, aumentando la loro produttività e contribuendo al raggiungimento degli obiettivi aziendali.
  • Innovare l’organizzazione: la formazione aziendale può aiutare le aziende ad innovare i propri processi e prodotti, preparando i dipendenti alle sfide del futuro.
  • Attrarre e trattenere i talenti: la formazione aziendale è un importante strumento per attrarre e trattenere i talenti, mostrando ai dipendenti che l’azienda investe nella loro crescita professionale.

Chi è il miglior formatore in Italia – Approfondimenti sulla Formazione Aziendale – Tipologie di formazione aziendale

La formazione aziendale può essere suddivisa in due grandi categorie:

  • Formazione tecnica: si concentra sulle competenze tecniche necessarie per svolgere un determinato lavoro, come l’uso di software o macchinari.
  • Formazione trasversale: si concentra sulle competenze trasversali, come la comunicazione, il lavoro di squadra e la leadership.

    Chi è il miglior formatore in Italia – Approfondimenti sulla Formazione Aziendale – Modalità di formazione aziendale

La formazione aziendale può essere erogata in diversi modi:

  • Aula: è la modalità tradizionale di formazione, che si svolge in una sede fisica.
  • E-learning: è una modalità di formazione online, che consente ai dipendenti di seguire i corsi da remoto.
  • Blended learning: è una combinazione di formazione in aula e e-learning.

Chi è il miglior formatore in Italia – Approfondimenti sulla Formazione Aziendale – Vantaggi della formazione aziendale

La formazione aziendale offre numerosi vantaggi per le aziende e i dipendenti, tra cui:

  • Per le aziende:
    • Miglioramento delle prestazioni dei dipendenti
    • Innovazione dell’organizzazione
    • Attrazione e trattenimento dei talenti
  • Per i dipendenti:
    • Aumento delle competenze e conoscenze
    • Crescita professionale
    • Miglioramento delle prospettive di carriera

La formazione aziendale è un investimento importante per le aziende che vogliono migliorare le proprie performance e crescere sul mercato.

Per chi desidera attivare un percorso siamo disponibili in ogni Regione Italiana:

  • Emilia-Romagna
  • Lombardia
  • Basilicata
  • Calabria
  • Campania
  • Lazio
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  • Molise
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  • Toscana
  • Umbria
  • Veneto
  • Valle d’Aosta
  • Abruzzo e Molise
  • Friuli-Venezia Giulia
  • Sardegna
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  • Trentino-Alto Adige

Chi è il miglior formatore in Italia – Approfondimenti – Semantica articolo

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  • E-learning
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  • Formazione in aula
  • Formazione in azienda
  • Formazione Per i dipendenti
  • Formazione per le aziende
  • Formazione professionale
  • Formazione su misura
  • Formazione tecnica
  • Formazione trasversale
  • Gestione del talento
  • Innovazione dell’organizzazione
  • Innovazione nell’organizzazione
  • Leadership development
  • Learning management system (LMS)
  • Mentoring e coaching
  • Miglioramento delle prestazioni dei dipendenti
  • Miglioramento delle prospettive di carriera
  • Modalità di formazione aziendale

 

Articolo estratto con il permesso dell’autore, dott. Daniele Trevisani, dal testo “Il coraggio di evolvere. Coaching attivo esperienziale e counseling per lo sviluppo personale e professionale. Il metodo della Neotropia” Bologna, OM Edizioni.

Fare “formazione” significa “formare” – uguale a dare forma, creare. Non significa mostrare una regoletta tramite una diapositiva luccicante.

La formazione aziendale basata sul modello anglosassone “semplificazionista” – “facile, rapida e indolore” – è concettualmente agonizzante, i suoi resti si agitano nervosamente sotto forma di corsi online o d’aula cui nessuno presta vera attenzione. Incapace di aiutare le persone a pensare, ha preferito costruire schermate di schemi colorati da guardare senza riflettere.

La sua grande colpa è di avere distrutto il significato di essere uomini, avere racchiuso il fattore umano in regolette anglofone pronte all’uso, prontuari su come si conduce una riunione, come si prende una decisione, come si guida un gruppo, come persuadere, come vendere, come raddoppiare i fatturati, anzi – quintuplicarli. Non importa come e se i metodi portino poi ad un disastro.

I segni “più” e i grafici in ascesa sono diventati una regola predominante del management rampante. Se poi dietro al segno “più” di un momento o di un mese si nasconda una drastica perdita di senso e di visione del futuro, poco importa. A cosa serve un “più” nei fatturati se nasconde il baratro di fallimento, la carenza di idee e progetti nuovi e solidi?

Dobbiamo renderci finalmente conto del fatto che la formazione deve diventare uno strumento di evoluzione culturale.

“L’evoluzione culturale, nel suo insieme, è determinata dalla somma delle innovazioni e delle scelte o, meglio ancora, dall’accettazione o meno di queste innovazioni da parte della società e da quali innovazioni vengono accettate.”

Luigi Luca Cavalli-Sforza

Se come teorizzano molti guru aziendali, “contano solo i risultati”, allora vogliamo ritorcere contro questa regola e queste semplificazioni una domanda: quali risultati? Vogliamo o no immettere tra i risultati il fatto che l’azienda stia coltivando un sano patrimonio di capitale umano e intellettuale sul quale contare?

La ricerca umanistica di un’organizzazione, il bisogno di senso, il significato di quello che facciamo, è la base dei comportamenti.

Un certo modo anglosassone e americano di interpretare le Risorse Umane (HR) come rotelle di ingranaggi, è basato sulla banalizzazione che pretende di fare bilanci sull’uomo con la stessa sensibilità psicologica ed esistenziale di un registratore di cassa da supermercato.

Nel campo della formazione, un approccio che “colma le lacune” o semplifica tutto, offrendo a chi lavora ricette facili e pronte all’uso, si è finalmente reso evidente per ciò che è: spazzatura professionale.

Altri materiali su Comunicazione, Coaching, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online:

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Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele TrevisaniIl potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance”. Franco Angeli editore, Milano.

Bilancio delle competenze e psicologia del ruolo

I profili di competenze variano di ruolo in ruolo. Le macro-competenze riempiono di contenuti il ruolo professionale.

Per costruire un piano di sviluppo delle competenze, è necessario costruire una lista di competenze necessarie, avviare la loro valutazione e individuare delle criticità.

Per ciascun punto, viene svolta una valutazione approfondita a livello interpersonale con colloqui in profondità. Le tecniche possono inoltre comprendere l’autovalutazione, la valutazione da parte altrui, o la conduzione di veri e propri test comportamentali e di abilità per ogni area di macro competenza.

Una valutazione bassa deve far emergere immediatamente urgenza di intervenire, di training, di approfondimento.

Le possibili aree sulle quali approfondire la conoscenza sono una moltitudine, e per poter dare una priorità occorre una analisi congiunta che tenga conto del contesto in cui vive l’azienda e il mercato.

Nel caso in questione, si esemplifica il caso di un Direttore Generale che proviene dall’area della finanza, all’interno di un’azienda che affronta un processo di trasformazione da “orientamento alla produzione” ad “orientamento al marchio e al cliente”.

L’essenziale, per il coach o formatore che lo debba assistere, è costruire un piano “centrato sulla persona” e contemporaneamente “centrato sugli scenari”, capire verso quale sviluppo si dirige l’azienda, e le dinamiche del settore.

Definire il piano di sviluppo delle macro-skill è possibile solo analizzando in modo congiunto (1) i punti di forza e debolezza delle competenze attuali, e (2) il contesto nel quale le competenze devono essere spese ed utilizzate.

Nel caso evidenziato, emergono le priorità di concentrarsi innanzitutto sulle competenze di marketing e comunicazione aziendale (vettore di sviluppo 1), sulla leadership (vettore 2) e sulle sue capacità di coaching (vettore 3).

Per capire a fondo quali sono le traiettorie di cambiamento di un ruolo serve una grande dote di visione d’insieme. È inoltre indispensabile ragionare su quali sono i veri “centri di gravità” che danno spessore ad un ruolo, come questi cambiano nel tempo, e saper condurre stime sulle traiettorie future probabili.

Una delle aree più delicate di cui tenere conto è inoltre la psicologia del ruolo: quanta componente di un ruolo ha natura psicologica, quanta è invece la sua parte tecnica? E come varieranno queste in futuro?

La psicologia del ruolo è uno dei fattori più delicati in qualsiasi team che cerchi prestazioni e qualsiasi azienda, oltre che per l’individuo. Ad esempio, se una squadra di calcio vuole cambiare tattica di gioco e basarsi molto di più sugli schemi, e meno sui “colpi di genio” individuali, il ruolo psicologico di ciascuno cambia: da individualista a contributore, da lupo solitario a membro di un branco, da libero battitore a parte di un insieme. Il modo con cui si misurerà la qualità di gioco dovrà cambiare anch’esso coerentemente, non più solo ed unicamente sui “goal fatti” ma sul tipo di contributo dato alla squadra. Ogni tipo di “gioco” o “sfida” prevede una forte capacità di intervenire sulla psicologia del ruolo che ne permette il successo.

Principio 29 – Macro-competenze e metabolismo del cambiamento

Le performance vengono depotenziate o non si raggiungono quando:

  • il ruolo non è compreso e la psicologia del ruolo non è capita o accettata;
  • si sviluppano incoerenze significative tra competenza professionale individuale e il job profile (profilo di competenze della posizione professionale), in sé, o in uno o più membri del team o dell’organizzazione;
  • le job description (descrizione delle attività inerenti il ruolo) perdono di vista i veri tratti fondamentali o non comprendono i veri centri di gravità delle performance;
  • non sono chiare o vengono mal comunicate le attese dell’azienda rispetto al ruolo,  le attese di risultato;
  • non ci si è posti il problema delle attese di se stessi rispetto al sé professionale;
  • le sfide che l’ambiente e il lavoro pongono sul sistema di competenze personali sono superiori alle capacità e non esiste un piano serio per la crescita,
  • le direzioni del cambiamento negli scenari e negli ambienti esterni sono poco analizzate, incomprese o subite passivamente, aumenta l’entropia delle competenze, si genera stress continuativo o di picco legato al cambiamento continuo;
  • viene posto troppa enfasi sul training inteso come “copertura di falle”, e poca sulla bildung, l’acquisizione di spessore umano e culturale proattivo e di meta-competenze.

Le performance aumentano quando:

  • il ruolo è esaminato, compreso e accettato non solo in superficie (interiorizzazione del ruolo);
  • la psicologia del ruolo trova collimazioni importanti con la psicologia della personalità individuale, si creano match buoni tra psicologia del ruolo e psicologia individuale;
  • i diversi job profile (profili professionali) trovano buona coerenza e distribuzione nell’organigramma o nella struttura del team;
  • le job description (descrizione delle attività inerenti il ruolo) comprendono i veri tratti fondamentali e i veri centri di gravità delle performance;
  • le attese dell’azienda o dei leader e coach, rispetto al ruolo, e le attese di risultato, sono chiare o vengono chiaramente comunicate;
  • esiste collimazione tra (1) attese e aspettative individuali e (2) il sé professionale;
  • le direzioni e traiettorie del cambiamento negli scenari e negli ambienti esterni sono analizzate, capite, non subite, viene svolto un lavoro importante non solo di adeguamento ma per trovare spazi di espressione;
  • viene combattuta l’entropia delle competenze, lo stress continuativo o di picco legato al cambiamento continuo;
  • la formazione cambia registro e affianca al training inteso come “copertura di falle”, anche e soprattutto azioni di bildung, l’acquisizione di spessore umano, saggezza, capacità culturale, capacità di ampio respiro e meta-competenze, maggiormente resistenti al cambiamento delle singole micro-competenze.

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Le macro-competenze riguardano:

  • il ruolo e la psicologia del ruolo;
  • job profile (profilo della posizione professionale);
  • job description (descrizione delle attività inerenti il ruolo);
  • attese dell’azienda rispetto al ruolo, attese di risultato;
  • attese di se stessi rispetto al sé professionale;
  • sfide che l’ambiente e il lavoro pongono sul sistema di competenze;
  • direzioni del cambiamento nel ruolo e stress legati al cambiamento.

Il tema delle macro-competenze ci pone il problema della rigidità o flessibilità al cambiamento e degli spazi di arricchimento del proprio repertorio di competenze professionali.

Mai, in nessun momento, possiamo considerare che non vi sia spazio per crescere, sia esso uno spazio verticale (aumentare le conoscenze entro una disciplina) ma ancora maggiormente uno spazio orizzontale (allargare la conoscenza a campi laterali).

Esiste un grado di collimazione variabile tra il Self personale e il ruolo che si è chiamati (o si è deciso) di interpretare. Maggiore il grado di collimazione è maggiori sono le possibilità di espressione. Maggiore è lo spazio conoscitivo coperto, maggiori sono le opzioni di vita e professionali praticabili.

Figura 8 – Grado di collimazione tra Io e ruolo

Macro-Skill ed entropia delle competenze

Il fatto che il Self, il concetto di sé, cambi nel tempo, incide sulle proprie attese di ruolo. Ad esempio invecchiando si diventa, generalmente, un po’ più tradizionalisti, un po’ meno avventurosi, un po’ meno propensi al rischio, e se il ruolo richiede invece la stessa dinamica e condizione energetica si può creare un progressivo divario.

Un area manager – venditore internazionale che deve trascorrere all’es­t­e­ro svariati giorni al mese, per molti mesi all’anno – può trovarsi estremamente a suo agio negli anni iniziali (euforia del ruolo), per poi modificare drasticamente l’atteggiamento verso il ruolo nel momento in cui abbia una famiglia con figli, e desideri passare più tempo con loro e smettere di viaggiare in continuazione.

Ogni ruolo evolve nel tempo, nessun ruolo si può interpretare nello stesso modo per tutta una vita, anche per il semplice fatto che gli scenari cambiano.

Clienti, fornitori, concorrenti, colleghi, evolvono e creano un cambiamento di fatto nell’ambiente che ci circonda, creando di conseguenza una entropia delle competenze. L’entropia è un concetto della fisica che denota un au­mento dello stato di disordine o caos in un sistema, e ha molti risvolti interessanti per il sistema delle competenze e per la formazione.

La storia economica pone continuamente le persone di fronte ad un degrado sempre più rapido delle competenze acquisite. Negli anni ‘50 si poteva essere imprenditori di successo parlando solo il dialetto locale, ad esempio vendere mobili o artigianato solo in regione e parlare solo in dialetto, o avere solo un mercato locale in una regione, e conoscere solo il dialetto locale. Ora al massimo chi conosce solo un dialetto locale potrà essere rivenditore, ma non certo sperare di inserirsi nel mercato globale. E man mano che i dialetti si perdono, anche quest’ultima possibilità sparirà.

Man mano che il mercato diventa sempre più internazionale, cresce la necessità di muoversi almeno in un mercato interculturale. La globalizzazione impone alla stragrande maggioranza delle aziende di sapersi muovere su più fronti. Il ruolo imprenditoriale quindi non può essere condotto con la stessa efficacia perché l’ambiente cambia, e quindi è importante saper far evolvere il ruolo e le sue caratteristiche.

Lo stesso accade per un insegnante.Un Maestro classico doveva essere soprattutto preparato nella sua materia (es.: per un insegnante di matematica, sapere la matematica), mentre un insegnante moderno deve essere anche e soprattutto un comunicatore, un pedagogista, una persona in grado di trasmettere e coinvolgere, e nella pratica il suo essere un buon conoscitore di matematica non è più sufficiente.

Anche nello sport l’entropia è in agguato. Un allenatore sportivo di squadre giovanili, non può più essere solo un ex-calciatore che insegna a tirare calci al pallone, urlando insolenze a chi sbaglia. Le attese sono che sappia essere motivatore e coach, stratega e psicologo della squadra e del singolo.

Nessun genitore permette più a nessun allenatore di maltrattare i propri ragazzi. Il contesto è cambiato. Mentre prima poteva permettersi di essere solo un grande tecnico e magari un ex calciatore, oggi deve essere anche mentor e motivatore.

La situazione ottimale richiede una sovrabbondanza di competenze rispetto al ruolo. Il soggetto che possiede un bagaglio superiore rispetto al ruolo richiesto può esperire disagio, ma dall’altro lato è più flessibile rispetto a nuove esigenze o a spostamenti di ruolo, così come a mutamenti di scenario che pongano sfide nuove o superiori.

Al contrario, la persona che conosce solo il minimo indispensabile rispetto al ruolo odierno, andrà incontro presto ad invecchiamento professionale. Il soggetto non riuscirà presto a corrispondere alle aspettative dell’azienda, o degli scenari e sfide che è chiamato a fronteggiare.

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Esempio dell’addestramento dei Samurai

L’analisi degli atteggiamenti e comportamenti sul piano micro riguarda anche come il pensiero si formula prima e durante la prestazione.

Osserviamo alcune competenze proposte da Musashi nell’addestramento dei Samurai. Ciascuno di questi insegnamenti può essere disaggregato e trasformato in micro-competenza allenabile:

L’atteggiamento che si deve tenere nei confronti dell’Hejò (la via del Guerriero, n.d.a.) è lo stesso che si ha nella vita quotidiana, sia in tempo si pace che in guerra. Il vostro punto di vista deve essere il più vasto possibile quando esaminate la realtà intorno a voi. Siate sereni e non perdete le staffe. La mente deve mantenersi al centro e non fluttuare. Il vostro spirito deve essere saldo, non lasciatevi mai andare, neppure per un attimo. La vostra mente sia lucida, elastica, libera aperta.

Anche quando il vostro corpo riposa state sempre all’erta. Quando vi muovete rapidamente la mente deve rimanere distaccata, fredda, essa non deve essere soffocata dal corpo, né il corpo dalla mente. Affidatevi allo spirito e ignorate la materia.

[1] Musashi, Myamoto (1644), Il libro dei cinque anelli (Gorin No Sho), edizione italiana Mediterranee, Roma, 1985, ristampa 2005.

Ed ancora, in un passaggio successivo:

Colpire il nemico nella giusta frazione di tempo significa saper cogliere l’attimo in cui egli appare indeciso e sferrare il colpo senza muovere il vostro corpo, né alterare il vostro spirito.

Il momento esatto di colpire il nemico, prima che abbia deciso di indietreggiare, parare o assalire, è la “giusta frazione di tempo”.

Un vero professionista di coaching e formazione deve saper prendere questi temi e trasformali in training a livello micro, per poi ricomporre l’intero quadro e dare a tutte le fasi un senso d’insieme.

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Come gestire i doppi legami

Le micro-competenze riguardano ogni sfera, siano essi atti fisici o atti comunicativi. In campo comunicativo un esempio interessante è dato dalle situazioni di double-bind, o doppio legame, evidenziate da Bateson[1].

Il doppio legame indica una situazione in cui, tra due individui uniti da una relazione emotivamente rilevante, i messaggi dell’uno verso l’altro presentano una dose di incongruenza. Ad esempio, un genitore che dica ad un figlio “devi dire sempre quello che pensi” e poi lo punisca se a scuola o in casa lo fa.

L’incongruenza può riguardare due lati dello stesso messaggio, uno dei quali disconferma l’altro, o incoerenze tra il livello del discorso verbale (le parole), non verbale (modi, gesti, tempi, situazioni di contesto) e comportamenti reali.

Le incongruenze sono molto comuni, ma il tratto patologico avviene quando il ricevente non ha la possibilità di reagire, o non riesce a capire quale dei due livelli che si contraddicono sia quello vero, e nemmeno è nelle condizioni a far notare all’altro l’incongruenza.

Secondo Borsoni[2], le caratteristiche di una situazione di doppio legame, come individuate da Bateson, sono:

a) l’individuo è coinvolto in un rapporto intenso, un rapporto in cui egli sente che è d’importanza vitale saper distinguere con precisione il genere di messaggio che gli viene comunicato, in modo da poter rispondere in mo­do appropriato;

b) l’individuo si trova prigioniero in una situazione in cui l’altra persona che partecipa al rapporto emette, allo stesso tempo, messaggi di due ordini diversi, uno dei quali nega l’altro;

c) l’individuo è incapace di analizzare i messaggi al fine di migliorare la propria capacità di discriminare a quale ordine di messaggio debba rispondere, cioè egli non è in grado di produrre un enunciato metacomunicativo.

A queste riflessioni aggiungo un tratto importante: d) i tentativi di chiarificare la situazione, capire il senso reale, smontare i giochi in corso, sono impossibilitati, o dall’altra persona che non accetta o vuole la chiarezza, o dalla scarsa energia necessaria per farlo, scarsa assertività, scarsa autostima in grado di alimentare il bisogno di chiarezza, o scarse competenze comunicative.

Per smontare le situazioni comunicative di doppio legame serve una capacità che in altro campo (semiotica) viene chiamata di débrayage: capacità di smontare il testo, riconoscerne le diverse parti e loro interazioni, creare una distanza tra se stessi e il testo tale da poterla analizzare, o anche disinnescare.

Per fare débrayage comunicativo serve quindi una duplice competenza che viene sia dalle scienze della comunicazione che dalla psicologia, e non è per niente comune o scontato possederla.

È indispensabile quindi allenarsi a: (1) riconoscere, e (2) reagire a brani conversazionali che contengono doppi legami o contraddizioni subdole.

Riconoscere e gestire i doppi legami è un esempio di micro-competenza estremamente importante, in quanto i messaggi a doppio legame sono tra le fonti principali di disagio psichico e persino di patologia e sofferenza sia morale che fisica.

Questo viene sia dall’esposizione cronica a situazioni di messaggi a doppio legame in famiglia, che nei rapporti lavorativi in cui si subiscono continuamente comunicazioni imprecise e contraddittorie, da clienti o capi o colleghi, senza capacità di reagire.

Come abbiamo notato, le micro-competenze sono un tratto di apprendimento importante ma difficile, in quanto si producono in pochi istanti avvenimenti che hanno dietro di se una grande teoria e bisogno di analisi.

Questa analisi, tuttavia, è ciò che differenzia i principiati dai professionisti delle performance. Per ogni coach, è quindi importante capire se vogliamo essere professionisti o dilettanti, qualsiasi sia il campo di azione.


[1] Bateson, G. (1972), Steps to an Ecology of Mind: Collected Essays in Anthropology, Psychiatry, Evolution, and Epistemology, University Of Chicago Press, Chicago.

Bateson, G. (1979), Mind and Nature: A Necessary Unity (Advances in Systems Theory, Complexity, and the Human Sciences), Hampton Press, Cresskill, NJ.

[2] Borsoni, P. (2008), Metacomunicazione, disconferma, doppio legame, nelle teorie di Bateson, Laing, Watzlawick, tratto da www.paoloborsoni.net/bateson.htm – articolo originale in La Critica Sociologica, n. 90-91, Roma.

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Macro-abilità e micro-abilità nel metodo HPM

Qualsiasi azione e prestazione richiede abilità.

Le abilità possono essere suddivise in trasversali (es.: abilità relazionali) e applicative (es.: conoscere un software specifico).

Anche in campo sportivo le abilità possono essere di tipo interdisciplinare, come le capacità di coordinamento psico-motorio, e specifiche, es.: sapersi coordinare durante un salto in alto.

Nel metodo HPM proponiamo un modo diverso e interessante per considerare le abilità. Un modo non alternativo o migliore, ma complementare, rispetto a quanto evidenziato. Si tratta di distinguere tra macro-abilità (o macro-competenze) e micro-abilità (o micro-competenze).

Le macro-abilità sono la gamma di skill che un certo ruolo richiede, es.: per un manager, essere orientato ai risultati, conoscere una certa lingua, avere doti di leadership, e altre capacità connesse al suo ruolo. Le macro-abilità sono collegate ad una specifica job-description (descrizione delle attività e del ruolo) e ad uno skills-profile (profilo di competenze).

Lo stesso si può dire per un atleta: un giocatore di calcio può essere valutato in termini di abilità e poteri quali: forza fisica, resistenza aerobica, senso tattico, spirito di squadra, e altri.

Le micro-abilità sono invece molto più difficili da inquadrare e racchiudere in uno schema. Comprendono aree del sapere e dell’azione di misura estremamente ridotta (micro nel tempo e nello spazio) ma così pervasive da condizionare nettamente lo sviluppo del potenziale – e divenire materia primaria di formazione e allenamento.

Ad esempio, un calciatore professionista prima di tirare un calcio di rigore cura persino su quale ciuffo d’erba piazzare la palla e la presenza di eventuali avvallamenti, un dettaglio che sfuggirebbe a qualsiasi dilettante. Un negoziatore abile sa cogliere da un cenno dei muscoli facciali qualsiasi stato di tensione latente. Ogni performance ha proprie aree di micro-capacità

Dobbiamo quindi inquadrare cosa differenzia una micro da una macro competenza.

Partiremo dall’esempio per poi giungere ad una formulazione generale. Il pu­gile, il kickboxer, il thayboxer, hanno propri repertori di macro-com­pe­ten­ze denominabili: il jab, il diretto, il gancio, il montante (per il pugile), il clinch (lavoro corpo a corpo), la ginocchiata, il colpo di gomito (per il thay­boxer).

Sia in queste azioni che nei momenti di guardia senza combattimento, però, notiamo una serie di micro-azioni non denominabili o difficilmente denominabili (dettagli) che incidono enormemente sulla performance complessiva: la modalità di respirare mentre si lancia un colpo, la modalità di appoggiare i piedi a terra e muoversi mantenendo una guardia, le micro-finte, le angolazioni dei gomiti o delle braccia, la distribuzione adeguata della forza nella fase di avvio o conclusiva di un colpo.

Man mano che procede l’analisi delle micro competenze, emergono altri det­tagli per il coaching: come produrre l’arresto del “trascinamento” della for­za oltre il punto zero (punto di massima potenza)? Come gestire l’e­qui­li­brio, come migliorare la gestione delle energie durante il combattimento e nel­le sue fasi?

Queste micro-competenze creano una enorme differenza tra atleta ed atleta, e – dopo una fase in cui la persona abbia appreso le tecniche principali (ma­cro-tecniche) – lo sviluppo del potenziale passa attraverso l’affinamento delle micro-competenze.

Simili dinamiche si ritrovano nella performance manageriale. Esempio ap­plicativo per la Direzione commerciale:

Competenze manageriali macro, tra cui:

  • creare un piano di sviluppo commerciale pluriennale,
  • definire un piano commerciale/marketing annuale,
  • sviluppare un piano di marketing territoriale (piano di sviluppo-paese),
  • definire i budget di vendita per i diversi canali e aree (obiettivi di vendita),
  • gestire le forze vendita interne ed esterne,
  • creare un piano di formazione e sviluppo formativo per il proprio personale,
  • organizzare una campagna di comunicazione, informazione o promozione,
  • organizzare una campagna di vendita,
  • realizzare una presentazione in pubblico per illustrare dati o progetti,
  • valutare l’affidabilità di un cliente,
  • definire le condizioni di consegna.

Competenze micro (ne elencheremo solo alcune a titolo esemplificativo):

  • gestire i turni conversazionali durante le riunioni con i clienti o con le forze di vendita (turn-taking, turn-management),
  • mantenere la conversazione con un cliente all’interno degli obiettivi (content management comunicativo),
  • utilizzare metafore e altri “dispositivi retorici” efficaci durante una presentazione,
  • utilizzare le tecniche di riformulazione e ricentraggio durante il colloquio con un cliente o collaboratore,
  • leggere le emozioni di un proprio collaboratore dal suo comportamento non verbale (emotional detection),
  • esprimere il proprio disaccordo su una condotta intrapresa da un proprio collaboratore e saperlo correggere (leadership assertiva),
  • capire quando una conversazione sta procedendo nei termini corretti (analisi della conversazione) e saperla ricondurre a stati positivi (leadership conversazionale),
  • aumentare l’enfasi su un argomento cui si vuole dare importanza, far salire i toni su un certo tema (up-keying) e ridurre o minimizzare un tema o un momento di interazione (down-keying);
  • far salire la tensione emotiva (tecniche di escalation) o far raffreddare la temperatura emotiva (tecniche di de-escalation);
  • costruire e condurre role-playing, come metodo di formazione attiva e coaching interno, con cui mostrare e far provare ad un proprio collaboratore una modalità di comportamento, o una diversa tecnica di trattativa o modo di comunicare.

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Analizzare i dettagli del frame per un migliore intervento

Anche in azienda è essenziale localizzare i vari frame, e in ogni performance dobbiamo capire dove intervenire e dove fare formazione

Come esempi possiamo individuare una performance di vendita, un obiettivo commerciale da raggiungere, ed esaminare quali sono i fattori che ci porteranno a quell’obiettivo, quali sono i frame significativi. Avremo quindi maggiore dettaglio per capire come intervenire. Esamineremo quindi:

Il frame della fissazione degli obiettivi di vendita: come vengono fissati, con che criteri? Che spazi di miglioramento abbiamo in questo frame?

Il frame della consegna degli obiettivi alle forze vendita o della suddivisione dell’obiettivo: sto tenendo conto delle competenze ed energie? Sto valorizzando le persone al massimo o sto sprecando competenze con una distribuzione sbagliata? Sto tenendo conto di fattori logistici e del territorio? I tempi sono coerenti? Sto valorizzando il momento stesso della consegna dell’obiettivo (strategia di up-keying) o lo sto svalutando e sminuendo (strategia di down-keying)?

I frame di progettualità: costruire progetti esecutivi articolandoli in specifiche campagne di vendita. L’obiettivo primario viene diviso in specifiche campagne commerciali, ciascuna di breve durata ed alto impatto, dove ogni campagna è mirata a target e segmenti di mercato precisi. In questo modo avremo più capacità di controllo e maggiore focalizzazione su target specifici, con incrementi generali di efficienza ed efficacia.

I frame di controllo e di leadership: chi tiene le fila? Quando? Come? Tramite riunioni, telefono, e-mail, cruscotti informatici? Come avvengono le comunicazioni centro-periferia, direzione e forze vendita, e tra le forze stesse, con che frequenza, con che qualità?

I frame motivazionali e di feedback: diamo gratificazione ai risultati anche in progress? Riusciamo a notare cali di motivazione e intervenire? Riusciamo a capirne la causa?

I frame formativi e di coaching: ogni obiettivo ha dietro di se necessità formative, di prodotto, o nelle capacità di vendita e negoziazione. Facciamo formazione prima, durante, dopo? Come la facciamo? Utilizziamo metodi attivi e partecipativi? Abbiamo una strategia di coaching e di affiancamento sul campo per osservare e ricentrare atteggiamenti e comportamenti?

Ogni obiettivo ha un proprio centro di gravità, o più di uno. Una campagna di vendite e marketing può individuare il Centro di Gravità comunicazionale “capacità di ascolto durante le fasi di vendita” (obiettivo: portare a casa più informazioni strategiche possibile in ogni colloquio e capire il più possibile dei bisogni del cliente) e il Centro di Gravità strategico “agire tramite campagne strutturate anziché con azioni spot” (obiettivo: evitare che i venditori agiscano in modo disorganizzato, evitare dispersività, sviluppare approccio tattico e concentrazione), e far ruotare tutta le performance attorno a questi due capisaldi.

Gli esempi sopra riportati possono essere estesi ad ogni settore aziendale: marketing, finanza, logistica, produzione, qualità, risorse umane: ogni settore ha propri frames e propri centri di gravità da curare.

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I dettagli che fanno la differenza nella performance

In una competizione sportiva (calcio, volley, basket, pallavolo, sport di combattimento, e ogni sport agonistico), possiamo isolare decine o centinaia di frame a seconda dell’ampiezza di analisi.

Tra i frame significativi possiamo localizzare il frame relazionale del pre-partita, e, entro questo, il momento specifico dei messaggi che il coach dà negli spogliatoi, per dare carica motivazionale o istruzioni. Migliorare questo frame e le competenze psicologiche in questa fase è determinante.

Possiamo considerare un frame cognitivo come modo psicologico. Questo mondo si attiva nell’entrare in campo (sicurezza di sé alta o bassa, soggezione dell’avversario, spirito di vittoria).

Possiamo esaminare quale sia l’atteggiamento mentale da tenere mentre si sta perdendo, mentre si sta vincendo, all’inizio, o alla fine di una gara.

Possiamo localizzare approcci tattici: un pugile costruisce una strategia mentale precisa, ad esempio attendista per il primo round, aggressivo nella chiusura della ripresa, e infinite altre varietà, che poi si traducono in azione.

Potremo anche isolare un dettaglio esecutivo, ad esempio, come vogliamo che venga svolto uno specifico schema di gioco, i passaggi o le alzate o i tiri a canestro o una sequenza specifica di combattimento (frame meccanico).

L’essenziale è localizzare i diversi centri di gravità delle performance. Per una squadra di calcio il CdG strategico può essere l’obiettivo di conseguire superiorità nel controllo di palla, la strategia di tenere poco la palla e passarla spesso, che si traduce in termini comportamentali (osservabili) in un controllo di palla tecnicamente denominato “di prima” o “di seconda” (non tenere la palla al piede).

Un combattente può lavorare sul CdG della posizione da tenere sul ring, cercando costantemente il centro, e sul CdG della sequenzialità, cioè portare colpi e tecniche in sequenza e non colpi isolati.

Ma questi sono solo casi, per trasferire i concetti di frame e di centri di gravità, e ogni tipo di performance ha le proprie analisi specifiche.

Le domande diventano: quali sono i frame significativi della mia disciplina sportiva? In quante e quali fasi le voglio disaggregare? Quali sono i dettagli in grado di fare la differenza? Quali sono i centri di gravità della performance?

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Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele TrevisaniIl potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance”. Franco Angeli editore, Milano.

La suddivisione in frames per aumentare la performance

La frase memorabile di Clint Eastwood espone bene lo stato delle cose passato, e molto probabilmente futuro: chi ha le informazioni e le competenze dirige e decide, gli incompetenti o privi di accesso all’informazione subiscono.

I pochi protetti (incompetenti che decidono) si trovano in ogni paese non ancora sufficientemente meritocratico, ma il lungo corso della storia non lascia spazio, l’evoluzione darwininana non ha per loro parole molto tenere né futuro assicurato. Contro i parassiti la natura non è generosa o tenera.

In epoche globalizzate vince chi ha più abilità e preparazione, chi sa come procurarsi le informazioni utili, e soprattutto chi si impegna per farlo.

Acquisire e potenziare abilità richiede allenamento, e, soprattutto, grande umiltà di apprendimento. Mettersi al lavoro significa prima di tutto iniziare con una buon analisi delle performance.

Ogni performance può essere esaminata come somma e concatenazione di frames. I frames sono riquadri significativi, brani del flusso esperienziale o del flusso di azione che possono essere isolati e denominati.

L’analisi dei frame (frame analysis) è un concetto la cui elaborazione si deve a Goffman[1], concetto sviluppato dai suoi studi nel campo dell’analisi dell’interazione umana. Questo concetto viene portato avanti con molti frutti anche nella ricerca in psicoterapia[2], con molte applicazioni anche per le conversazioni strategiche (negoziazione, vendita, persuasione, gestione dei conflitti, teamworking, comunicazione nei team, comunicazione al cliente, gestione nei team ad alte prestazioni).


Cercare l’eccellenza entro i diversi frame è fondamentale per giungere a performance elevate. Entro ogni frame, inoltre, vanno individuati e allenati i dettagli in grado di fare la differenza.

Alcuni frame, rispetto ad altri, e alcuni dettagli, rispetto ad altri, hanno inoltre la funzione di “centri di gravità” delle performance (CdG), cioè hanno maggiore peso e importanza, essendo momenti attorno ai quali ruota larga parte del frame o da cui dipendono fortemente altri frame.

Possiamo distinguere (1) frame comunicativi e relazionali, (2) frame cognitivi o attività mentali, e (3) frame meccanici, cinetici, esecutivi.

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[1] Goffman, E. (1974), Frame Analysis, Harvard, Cambridge, MA.

[2] Un lavoro estremamente interessante di applicazione della Frame Analysis  e analisi del­la conversazione in terapia si trova in: Bercelli, F., Leonardi, P., Viaro, M. (1998), Cor­ni­ci terapeutiche. Applicazioni cliniche di analisi dell’interazione verbale, Cortina, Milano.