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copyright Dott. Daniele Trevisani. Anteprime dal libro in produzione:

Life Coaching e Psicologia della Libertà

L’approccio olistico ai Percorsi di Crescita Personale

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È utile fare un riassunto metodologico del metodo HPM, che è alla base del nostro lavoro sul potenziale umano.

Prendiamo una prestazione o risultato. Uno qualsiasi. Un goal aziendale o sportivo, personale o di team. L’approccio olistico ci chiede di prestare attenzione a tante componenti, che nel modello HPM (Human Potential Modeling) riassumiamo in 6 grandi fattori:

Figura 10 – Le parole chiave del metodo HPM

HPM ModelTM, Copyright Dr. Daniele Trevisani www.danieletrevisani.com

Vision

Valori
Stato bioenergetico
Stato psicoenergetico
Micro Skills
Macro-Skills
Progetto

Goals
Lavoro sulle Energie Personali
Lavoro sulle Competenze
Crescita Personale
Lavoro sulla Direzionalità

Cosa significano queste “parole” per te e nella tua organizzazione?

Qui una possibile articolazione di base, ricordando che ogni organizzazione e ogni persona deve trovare la propria “via” per dare spessore e concretezza a queste parole.

  1. Fattore bioenergetico: che energie fisiche sono richieste per questa prestazione? Forza, potenza, resistenza, concentrazione mentale, attenzione? Mai sottovalutare la dimensione corporea di una prestazione, soprattutto di quelle intellettuali o la possibilità di elevare gli stati spirituali con il supporto del corpo.
  2. Fattore psicoenergetico: le energie della motivazione, la liberazione da ansia e tensioni inutili, capacità di liberarsi da emozioni parassite e controproducenti, il sentire l’attivazione in sè e il volere fortemente realizzare idee o azioni.
  3. Fattore delle macro-competenze: conoscere, conoscere quanto serve, avere fatto l’esperienza allenante e di studio che permette di padroneggiare un campo di azione e anche le sue zone limitrofe.
  4. Fattore delle micro-competenze: saper cogliere i dettagli che sfuggono ai più, saper fare l’introspezione necessaria sui processi mentali, anche minuziosi, che avvengono durante una prestazione. Saper inquadrare i dettagli comportamentali che faranno di una prestazione qualcosa di speciale.
  5. Fattore della progettualità: saper individuare “quando fare, cosa, in che sequenza”, e altri aspetti molto pratici di una prestazione. Organizzare risorse, stendere su carta un’idea sotto forma di passi da compiere, sviluppare ipotesi di linee di azione da intraprendere.
  6. Fattore dei valori e ideali: per cosa lo fai? Cosa c’è dietro? Ci credi veramente in quanto stai facendo o sei obbligato da qualcosa, quanto è volontà e quanto è necessità? Quanto più un’azione è centrata rispetto alle nostre credenze più profonde, tanto più sarà forte la nostra concentrazione e attivazione. Ma non basta fermarsi ai valori attuali e allo stato spirituale attuale. Tutti possono trovare nuovi valori, accrescerli, liberarsi da valori e credenze false, trovare i propri “ancoraggi spirituali forti” in un punto di esistenza più alto, e questo è un fattore assolutamente determinante per la prestazione e la vita.

Usare un approccio olistico significa applicarsi a tutti questi campi. E più si sale più si entra nel mondo dell’intangibile.

Ogni prestazione che si ancora ad un piano di valori forte e in cui la persona crede possiede un fattore di potenza superiore. La stessa differenza che si potrebbe trovare tra chi solleva un peso annoiato in un’ora di palestra obbligata, e chi cerca ogni fibra muscolare e anche oltre, per sollevare e salvare una persona imprigionata da un tronco.

E per quanto faremo, avremo sempre da imparare.

L’approccio olistico guarda anche ai contributi che le persone portano, non solo al risultato finale.

Quanto ci hai messo “di tuo” e quanto è frutto di altri? Quanto è frutto di forza e quanto di strategia mentale?

Queste sono alcune delle domande chiave da porsi per ogni risultato che produciamo o che osserviamo.

  • Cosa devo metterci di mio?
  • In cosa posso farmi aiutare da altri per accelerare il processo?
  • Quali reti di relazione possono nutrire la mia motivazione e il mio progetto?
  • Dove, in che sedi, posso ancora imparare qualcosa che amo o mi serve?

Fare networking sano è essenziale.

Chi rifiuta un aiuto esterno, o non lo cerca nemmeno, per capire dove può ancora crescere, ha perso grandi opportunità.

La Visione olistica cerca di distinguere la componente “hard” di una prestazione da quella mentale o “soft”. Guarda poi al differenziale tra contributo individuale e motivazionale che la persona ha sviluppato e lo depura da quanto ha ricevuto in dono e non è merito suo.

Il Comandante della nave non deve mai dimenticare di ringraziare l’equipaggio, e per tracciare una rotta deve avere strumenti.

Dobbiamo assolutamente distinguere tra chi ha tante risorse esterne e chi non ne ha. Troppo facile vincere una gara quando si ha la macchina migliore di tutti. La differenza si misura tra due piloti che hanno la stessa identica auto.

Nessuno deve sentirsi inferiore verso chi ha ricevuto un migliore patrimonio genetico o finanziario. Piuttosto, è bene pensarsi in termini di “quanto” si riesce a muovere e produrre con i propri sforzi generativi, pensare a “cosa” e “verso cosa” vanno i nostri sforzi e le nostre energie migliori.

I risultati, soprattutto quando questi sono svolti in contesti e ambienti sfavorevoli, dipendono in larga misura dalle risorse psicologiche che una persona sa attivare.

Facile laurearsi se si è figli di professori universitari, molto meno per chi viene da un ghetto.

In condizioni sfavorevoli, produrre utilità, fare del bene, dare contributi, è ancora di più una vera performance.

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Anteprima dal libro in preparazione, HPM ModelTM, Copyright Dr. Daniele Trevisani www.danieletrevisani.com

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Articolo elaborato dal volume “Il Potenziale Umano” – Autore: dott. Daniele Trevisani, www.studiotrevisani.it 

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Chi si impegna per produrre performance umane deve assumere un preciso abito mentale. È l’assetto del guerriero, del Samurai, del combattente, del ricercatore concentrato, del missionario che crede in una causa.

È l’atteggiamento focalizzato di chi desidera ottenere qualcosa che reputa importante e – durante l’esecuzione – non si lascia distrarre da altro. Di chi ha un valore e lotta per esso. Di chi fa della causa una parte di sé.

Non riguarda solo  enormi imprese, ma anche e soprattutto la vita di ogni giorno. Il più grande Samurai di ogni tempo, Musashi, così descrive l’abito mentale di chi vuole intraprendere la vita del Samurai:

Chi voglia intraprendere la via dell’Hejò (strategia)

tenga a mente i seguenti precetti.

  • Primo: Non coltivare cattivi pensieri.
  • Secondo: Esercitati con dedizione.
  • Terzo: Studia tutte le arti.
  • Quarto: Conosci anche gli altri mestieri.
  • Quinto: Distingui l’utile dall’inutile.
  • Sesto: Riconosci il vero dal falso.
  • Settimo: Percepisci anche quello che non vedi con gli occhi.
  • Ottavo: Non essere trascurato neppure nelle minuzie.
  • Nono: Non abbandonarti in attività futili.

È eccezionale notare come anche oggi questo abito mentale sia dotato di enorme suggestività per chi intende sviluppare il proprio potenziale. Ci parla, infatti, di un atteggiamento di fondo.

È l’atteggiamento di serietà con cui un calciatore professionista rimane persona umile, cura alimentazione e riposo, rispetto al divo del calcio che assume atteggiamenti da star e si presenta tardi agli allenamenti.

È lo spirito di una ragazza che decide di sputare (esatto, sputare) sul modello proposto dai media di cosa sia una ragazza “arrivata” (fotomodella,  star televisiva, protagonista di reality show, anoressica, o bambola da chirurgo plastico) e piuttosto si impegna nello studio, in una professione utile, o in campo sociale, mandando a quel paese il modello che fa coincidere carriera con arcata dentale, natiche e scollatura.

È il coraggio di un ricercatore che intraprende vie di ricerca e sperimentazione inusuali ma dalle quali pensa di poter dare una aiuto al mondo, piccolo o grande, anche andando contro i baroni accademici e lo status quo.

È la saggezza del lottatore che cura attentamente il suo recupero prima di gettarsi in una nuova battaglia, consapevole del fatto che se non avrà riposato abbastanza non potrà sostenere molte battaglie e si brucerà.

È la passione di chi si impegna per una causa, fatica, fa rinunce ma non le rimpiange, e si sacrifica per qualcosa di cui forse non vedrà nemmeno i frutti in vita.

Ma non tutto è solo sacrificio. Le performance sono anche contribuzione, gioia, celebrazione, divertimento, piacere, il gusto di fare qualcosa di importante, essere parte di qualcosa, di lasciare un segno, di compiere imprese assieme a qualcuno e fare team. O la voglia di essere ciò che possiamo essere.

I veri performer sanno anche celebrare i propri risultati e vivere a pieno.

Ciascun precetto di Musashi si riferisce anche oggi ad una o più aree della psicologia delle performance e mantiene una validità assoluta:

Primo: Non coltivare cattivi pensieri. L’esercizio di un atteggiamento mentale positivo, il pensiero positivo, la concentrazione su ciò che di buono e utile vogliamo ottenere, allontanarsi da pensieri negativi o dal male; la ricerca di quello che oggi chiamiamo uno “stile cognitivo” efficace.

Secondo: Esercitati con dedizione. Oggi chiamato training, formazione, tecniche di allenamento e addestramento, e soprattutto, la necessità del performer di applicarsi in un active training, cioè in esercitazioni attive e non solo analisi teorica, e farlo con dedizione, nel tempo, e con continuità.

Terzo: Studia tutte le arti. L’approccio enciclopedico, la contaminazione positiva che deriva dall’andare fuori dai propri recinti e studiare le cose più disparate, interessarsi anche di ciò che altre discipline indagano, il contrario della chiusura in un recinto professionale o disciplinare, male odierno, il contrario delle sette, e della cultura dell’egoismo.

Quarto: Conosci anche gli altri mestieri. La capacità di muoversi ed agire anche in campi esterni, l’allargamento del proprio repertorio professionale, sapersi muovere anche fuori dal proprio campo di azione limitato, essere capaci anche in altre abilità e professioni, spaziare, non chiudersi.

Quinto: Distingui l’utile dall’inutile. Concetto similare a quello che nel sistema HPM chiamiamo Retargeting Mental Energy, o ricentraggio delle energie mentali, ciò che permette alle persone di capire veramente cosa merita il proprio impegno e cosa non lo merita, dove centrarsi o ricentrarsi nel proprio focus di attenzione, e quindi verso cosa direzionare le energie personali.

Sesto: Riconosci il vero dal falso. Coltivare le capacità di analisi, la percezione pura e decontaminata da preconcetti e distorsioni, il bisogno di verità, il bisogno di pulizia psicologica, il bisogno di sviluppare le capacità di riconoscimento (detection) indispensabile ad esempio in chi svolge il mestiere di negoziatore o di comunicatore, o in chi guida le persone (leader) o in chi lavora in gruppo (team working). Ed ancora, il bisogno di distinguere fatti da opinioni, teorie accertate da ipotesi, affermazioni personali da idee condivise.

Settimo: Percepisci anche quello che non vedi con gli occhi. La percezione è il fenomeno oggi più centrale in molte forme di psicologia, e comprende sia la propriocezione (capacità di percepire se stessi), che la percezione ambientale. Il settimo precetto di Musashi indirizza verso abilità di percezione aumentata, disambiguamento dalle illusioni percettive, sviluppo della sensibilità umana e sensoriale, ricerca di significati e quadri di analisi (Gestalt), e il potenziamento delle facoltà di osservazione. Tratta quindi di una “percezione allargata”, opposta ad una chiusura percettiva.

Ottavo: Non essere trascurato neppure nelle minuzie. Il bisogno di entrare nelle micro-competenze, la ricerca dell’eccellenza, l’abbandono di un atteggiamento di pressapochismo e banalizzazione. Attenzione ai dettagli che contano, assunzione di un atteggiamento di amore per quello che si fa e per come lo si fa.

Nono: Non abbandonarti in attività futili. Capire che il tempo è prezioso, e dobbiamo veramente decidere se abbandonarci ad uno squallido clone del modo con cui le persone comuni usano il tempo (copiare il mainstream), lasciarsi andare come bastoni sul corso di un fiume di qualunquismo, assecondare la piattezza di ciò che tutti gli altri fanno, o assertivamente prendere in mano il nostro tempo e decidere di farne qualcosa, allenarci, studiare, intraprendere, esplorare, scrivere, condividere, sperimentare nuove conoscenze; ed ancora, capire che esistono diversi macro-tempi, quello della produttività, dello studio, dell’auto-organizzazione, delle relazioni sociali, e quello del recupero, della meditazione, del relax, ma non esistono i tempi delle relazioni obbligate, lo spreco di tempo con persone piatte o arroganti o prepotenti, e vanno riconosciute e rimosse le attività di pura abulia o distruzione di sé.

Le lezioni di Musashi vengono da un performer che ha passato la vita a sfidare la morte, e hanno un significato odierno assoluto.

È ancora più incredibile notare come già nel 1600 Musashi concentrasse tutta la sua analisi su aspetti di enorme attualità: sinergia tra corpo e mente, correlazione tra preparazione fisica e mentale, il fatto che la preparazione o una vittoria sia una conquista personale e non un diritto da pretendere, e che prima si debba cercare un approccio mentale e strategico valido, e solo dopo vengono i dettegli operativi. Una lezione che nel terzo millennio moltissimi sportivi e manager devono ancora imparare.

Quando si dedicano assiduamente tutte le proprie energie all’Hejò e si cerca con costanza la verità è possibile battere chiunque e ovviamente raggiungere la supremazia, sia perché si ha il pieno controllo del proprio corpo, grazie all’esercizio fisico, e sia perché si è padroni della mente, per merito della disciplina spirituale. Chi ha raggiunto questo livello di preparazione non può essere sconfitto.

Dobbiamo oggi riflettere sul significato profondo che queste parole assumono: dedizione, ricerca della verità, pulizia spirituale, sono il vero messaggio di fondo. La ricerca della supremazia e della vittoria appartengono ad una realtà medioevale, vengono dall’essere nati in un certo momento storico dove questo significava vivere o morire. Se, in una mattina del 1600, qualcuno si fosse presentato a noi con una spada per ucciderci, sarebbero state drammaticamente importanti anche per noi.

Oggi i nemici veri non portano spade ma, là fuori, si aggirano ringhiando.

Si chiamano miseria, ignoranza, ipocrisia, prepotenza, arroganza, dolore esistenziale, fame, violenza, bambini che soffrono, nepotismi, corruzione, sistemi clientelari – e soprattutto- fonte di ogni male, l’incomunicabilità.

I nemici possono essere anche dentro: presunzione, chiusura mentale, perdita di senso, perdita di stima in sè, perdita di valori, perdita di orizzonti, chiusura verso nuovi concetti, auto-castrazione, smettere di sognare o credere in qualcosa, chiusura della propria prospettiva temporale in orizzonti sempre più brevi e limitati, vivere solo per se stessi.

Contro questi nemici gli insegnamenti di Musashi, e lo spirito guerriero che li anima, hanno ancora enorme senso e validità.  Respirare ogni giorno a pieni polmoni uno spirito guerriero per fini positivi è un abito mentale. Alzarsi con questo spirito, andare a dormire con questo spirito, risvegliare gli archetipi guerrieri e direzionarli per costruire, è una sfida nuova, entusiasmante, che fa onore al dono di esistere.


Miyamoto Musashi, 1584-1645, giapponese, considerato nelle arti marziali come il più grande Samurai vissuto in ogni tempo. Ebbe il primo duello mortale a 13 anni, e vinse. Vagò per il Giappone come Ronin (guerriero errante) per anni, battendosi per sessanta volte ottenendo sempre la vittoria, lottando anche contro più avversari contemporaneamente o superando imboscate e duelli con decine di avversari. A 50 anni si ritirò per dedicarsi allo studio, alla letteratura e ad altre discipline artistiche risultando un maestro in molte di esse. Nel­la pittura, nella calligrafia, le sue opere oggi fanno parte del patrimonio artistico giap­po­nese. A 60 anni si ritirò in una grotta per scrivere il suo Manuale. In Giappone oggi è leggenda.

Musashi, Myamoto (1644), Il libro dei cinque anelli (Gorin No Sho), edizione italiana Mediterranee, Roma, 1985, ristampa 2005, p. 61.

Ivi, p. 62.

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Copyright, dal Volume:

“Il Potenziale Umano”

Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance

Prima di acquistare un biglietto per una vacanza, occorre decidere il tipo di esperienza che si vuole vivere. È necessario ispirarsi ad una visione, a volte questo significa sognare, guardare oltre, decidere se si desidera viaggiare per far raccolta di fotografie o di emozioni, se stare da soli o in compagnia, e di chi. In altre parole, serve una visione ispiratrice. Anche nel cambiamento organizzativo siamo di fronte a questa scelta di fondo.

Un meta-modello, una visione ispiratrice che governa i modelli specifici di cui ci occupiamo, è il modello metabolico.

Nella nostra prospettiva, ogni soggetto (persona, team o azienda) – impegnato in un percorso di cambiamento – può essere assimilato ad una cellula. Una cellula che “respira” è viva, una cellula chiusa, imprigionata in se stessa, è morta.

Il sistema-cellula scambia informazioni o sostanze con l’ambiente esterno muta, evolve, si sforza di far entrare nutrienti, e cerca di espellere cataboliti (materiali di scarto), veleni o sostanze tossiche.

Agire sul cambiamento significa dare impulso a tali dinamiche.

Ogni sistema vivente, piccolo o grande – se desidera vivere – deve continuamente lavorare per mantenere i suoi equilibri interiori in un ambiente che cambia senza sosta. Il funzionamento descritto assomiglia molto a quello di una macchina, o di un’unità biologica, tuttavia la dinamica del cambiamento psicologico, culturale e organizzativo, non è estranea a questi processi.

Diversi approcci alla psicologia, come la Bioenergetica, riconoscono questo tipo di funzionamento:

un qualsiasi organismo, per quanto complicato, funziona sempre, nel suo insieme, come un’unica cellula. Le funzioni vitali dell’organismo quali l’espansione e la contrazione, la tensione verso l’esterno ed il ritiro in sé o all’indietro, l’assorbimento e l’emissione, sono regolate da quello che è conosciuto come principio del piacere[1].

In altre parole, il cambiamento positivo cerca di portare tendenzialmente una persona o un sistema verso uno stato di maggiore piacere e soddisfazione (“andare verso”), rifuggendo da dolore e disagio (“allontanarsi da”).

Questo prototipo di funzionamento generale ha tuttavia delle aberrazioni pratiche e apparentemente illogiche, come la persistenza volontaria in uno stato di disagio, l’assunzione di sostanze (fisiche) o pensieri (mentali) che causano danni all’organismo.

Nel capitolo sull’omeostasi esamineremo come questi fatti siano da collegare ai meccanismi di regressione verso l’abitudine, il tentativo di mantenere equilibri, anche se precari o dannosi, mosso dalla pulsione umana verso la sedentarietà o dalla difesa del carattere da attacchi esterni. Lottare contro questi antagonisti del cambiamento, tra cui la “resistenza” e la regressione, fa parte di un’analisi registica del cambiamento.

In termini metaforici, possiamo evidenziare in un sistema umano che cambia tre differenti attività prima di tutto mentali, che corrispondono ad altrettante operazioni psicologiche concrete: acquisire, consolidare, espellere.

Nel metodo delle regie il cambiamento è visto come un meccanismo nel quale è necessario far luce su (1) cosa sia bene acquisire, far entrare (2) cosa sia bene mantenere, consolidare e (3) di cosa sia invece opportuno disfarsi, abbandonare, lasciare.

Si tratta del principio di base del metabolismo, la cui sostanza vale in ogni processo di cambiamento personale o aziendale, terapeutico o formativo.

Riepilogando, le tre aree di analisi principali individuate nel “modello metabolico” sono:

 

·       Zona 1: rimuovere, abbandonare, disapprendere, lasciar andare, disfarsi di…

·       Zona 2: consolidare, mantenere, aggrapparsi a, rafforzare, ancorarsi a…

·       Zona 3: acquisire, imparare, apprendere, assimilare, far entrare…


[1] AA.VV. (2007), Bioenergetica, in Wikipedia, enciclopedia online (al 4/1/2007).

 

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Articolo tratto dal volume di Daniele Trevisani “Regie di Cambiamento”, FrancoAngeli editore, Milano (2007). Copyright, materiale pubblicato su concessione dell’autore www.studiotrevisani.it – utilizzabile solo previa citazione della fonte