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© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

I livelli delle domande: domande interiori e domande esterne

La fase di analisi ed ascolto richiede il ricorso a:

  • domande aperte,
  • domande chiuse,
  • domande di precisazione,
  • riformulazioni e verifiche di comprensione,
  • riepiloghi, sommari,
  • rispecchiamento dei contenuti.

Le domande devono essere poste solo dopo che si sia creato lo spazio psicologico per farle, chiedendo il permesso al cliente di porgli alcune domande che servono per poter realizzare proposte sensate.

Durante la fase di analisi è essenziale il ricorso alla carta e penna per prendere appunti, sotto forma di parole chiave, ed un precedente allentamento alle tecniche di memorizzazione, intervista e Analisi della Conversazione (Conversation Analysis, CA).

Tutti noi abbiamo curiosità e dubbi, che però raramente esprimiamo. 

A volte non lo facciamo per pudore (quante volte fai sesso in un mese? = invasione dello spazio psicologico altrui), altre volte per titubanza strategica (vorrei chiedergli quanto sono disposti a pagare ma non lo faccio per timore che mi dicano una bugia sulla quale poi non saprei come argomentare), e per tante altre ragioni.

Un’operazione fondamentale è distinguere tra:

  • domanda interiore: la domanda reale che ci stiamo ponendo e a cui vorremmo risposta (es: quanti soldi avete a disposizione?), quello che vorremmo davvero sapere, quello che abbiamo bisogno di sapere, i bisogni informativi di base
  • domanda esteriore: la domanda che è adeguata e consentita ad un certo stato di relazione, in base al grado di familiarità con il soggetto, di trasparenza comunicativa, di tempo disponibile (es: avete già fissato un budget per questa iniziativa?), le mosse conversazionali che poniamo in essere, i modi con i quali arriviamo ad ottenere quelle informazioni.

Ogni mancata informazione è un rischio

Ogni volta che il decisore non dispone di informazioni si apre un rischio.

Ogni mancata informazione è un rischio potenziale. 

Si richiede pertanto il il ricorso a domande mirate:

domande latenti – fabbisogno informativo – cui è necessario dare risposte e rischi correlati al non sapere le risposte.

Il management scientifico non può permettersi soglie di rischio irragionevoli. Questo non vuol dire chiudersi in una roccaforte, o non accettare una componente di rischio imprenditoriale e di vendita, ma capire in quale terreno ci stiamo muovendo, cioè muoversi con consapevolezza.

Empatia e tecniche di ascolto empatico

L’ascolto è una delle abilità più critiche della negoziazione e della vendita. Lo stereotipo classico del venditore intento a “parlare sull’altro”, a “vincere nella conversazione”, ad avere sempre l’ultima parola, è sbagliato.

L’approccio empatico prevede una concezione opposta: ascoltare in profondità per capire la mappa mentale del nostro interlocutore, il suo sistema di credenze (belief system), e trovare gli spazi psicologici per l’inserimento di una proposta.

Nel metodo ALM distinguiamo alcuni tipi principali di empatia, in base agli angoli di osservazione:

  • Empatia comportamentale: capire i comportamenti e le loro cause, capire il perché del comportamento e le catene di comportamenti correlati.
  • Empatia emozionale: riuscire a percepire le emozioni vissute dagli altri, capire che emozioni prova il soggetto (quale emozione è in circolo), di quale intensità, quali mix emozionali vive l’interlocutore, come le emozioni si associano a persone, oggetti, fatti, situazioni interne o esterne che l’altro vive.
  • Empatia relazionale: capire la mappa delle relazioni del soggetto e le sue valenze affettive, capire con chi il soggetto si rapporta volontariamente o per obbligo, con chi deve rapportarsi per decidere, lavorare o vivere, quale è la sua mappa degli “altri significativi”, dei  referenti, degli interlocutori, degli “altri rilevanti” e influenzatori che incidono sulle sue decisioni, con chi va d’accordo e chi no, chi incide sulla sua vita professionale (e in alcuni casi personale).
  • Empatia cognitiva (o dei prototipi cognitivi): capire i prototipi cognitivi attivi in un dato momento del tempo, le credenze, i valori, le ideologie, le strutture mentali che il soggetto possiede e a cui si ancora.

Elementi positivi e distruttivi dell’empatia

L’empatia viene distrutta o favorita da specifici comportamenti comunicativi e atteggiamenti.

Favorisce l’empatiaDistrugge l’empatia
CuriositàDisinteresse
Partecipazione reale all’ascolto, non finzioneFingere un ruolo di ascolto solo per dovere professionale
Riformulazione dei contenutiGiudizio sui contenuti, commenti
Pluralità di approcci di domanda (domande aperte, chiuse, di precisazione, di focalizzazione, di generalizzazione)Monotonia nel tipo di domande
Centratura sul vissuto emotivoCentratura esclusiva sui fatti
Segnali non verbali di attenzioneBody Langage che esprime disinteresse o noia
Segnali paralinguistici di attenzione, incoraggiamento ad esprimersi, segnali “fàtici” (segnali che esprimono il fatto di essere presenti e attenti)Scarsa dimostrazione di interesse e attenzione al flusso di pensieroAssenza o scarsità di segnali “fàtici” e di contatto mentale

La comunicazione d’ascolto e la qualità dell’ascolto, comprendono la necessità di separare nettamente le attività di comprensione (comunicazione in ingresso) dalle attività di espressione diretta (comunicazione in uscita).

Regole per un ascolto di qualità

Durante le fasi di ascolto è necessario:

  • non interrompere l’altro;
  • non giudicarlo prematuramente;
  • non esprimere giudizi che possano bloccare il flusso espressivo altrui;
  • non distrarsi, non pensare ad altro, non fare altre attività mentre si ascolta (tranne prendere eventuali appunti), usare il pensiero per ascoltare, non vagare;
  • non correggere l’altro mentre afferma, anche quando non si è d’accordo, rimanere in ascolto;
  • non cercare di sopraffarlo;
  • non cercare di dominarlo;
  • non cercare di insegnargli o impartire verità, trattenere la tentazione di immettersi nel flusso espressivo per correggere qualcosa che non si ritiene corretto;
  • non parlare di sè;
  • testimoniare interesse e partecipazione attraverso i segnali verbali e il linguaggio del corpo;

Di particolare interesse risultano gli atteggiamenti di:

  • interesse genuino e curiosità verso la controparte: il desiderio di conoscere ed esplorare la mente di un’altra persona, attivare la curiosità umana e professionale;
  • silenzio interiore: creare uno stato di quiete emozionale (liberarsi da emozioni negative e pregiudizi) per ascoltare l’altro e rispettarne i ritmi.

Differenza tra empatia e simpatia: applicare l’empatia e non la simpatia

Empatia e simpatia non sono sinonimi

Empatia significa capire (es: capire perché un cliente posticipa un acquisto o vuole un prodotto di basso prezzo, o ci parla di un certo problema). 

Simpatia significa invece apprezzare, condividere, essere daccordo. 

La vendita richiede l’applicazione dell’empatia e non necessariamente della simpatia.

L’ascolto attivo e l’empatia non vanno confuse con l’accettazione dei contenuti altrui o dei loro valori. 

Le regole di ascolto attivo non sono regole di accettazione del contenuto, ma metodi che permettono di far fluire il pensiero altrui più liberamente possibile per ricavarne apertura e informazioni utili.

La fase di giudizio interiore su quanto ascoltiamo, inevitabile durante la negoziazione, deve essere “relegata” alla nostra elaborazione interna, tenuta per fasi successive della contrattazione, e non deve interferire con la fase di ascolto.

Quando il nostro scopo è ascoltare dobbiamo ascoltare.

Per farlo dovremo:

  • sospendere il giudizio,
  • dare segnali di assenso (segnali di contatto, segnali fàtici),
  • cercare di rimanere connessi al flusso del discorso,
  • fare domande ogniqualvolta un aspetto ci sembra degno di approfondimento,
  • non anticipare (es: sono certo che lei…) e non fare affermazioni,
  • limitarsi a riformulare i punti chiave di quanto detto dall’altro,
  • non interrompere inopportunamente.

È necessario riservare il nostro giudizio o fare puntualizzazioni solo dopo avere ascoltato in profondità e all’interno di un frame negoziale adeguato.

L’obiettivo delle tecniche empatiche è quello di favorire il flusso del pensiero altrui, e di raccogliere quanto più possibile le “pepite informative” che l’interlocutore può donare. L’empatia, se ben applicata, produce “flusso empatico”, un flusso di dati, informazioni fattuali, sentimentali, esperienziali, di enorme utilità per il negoziatore.

Il comportamento contrario (giudicare, correggere, affermare, bloccare) spezza il flusso empatico, e rischia di arrestare prematuramente la raccolta di informazioni preziose. 

Esiste un momento nel quale il negoziatore deve arrestare il flusso del discorso altrui (momento di svolta, turning point) ma in generale è bene lasciarlo fluire, finche non si sia compreso realmente con chi si ha a che fare e quali sono i veri obiettivi, e tutte le altre informazioni necessarie.

Le tecniche empatiche sono inoltre d’aiuto per frenare la tendenza prematura alla disclosure informativa di sè: il dare informazioni, il lasciar trapelare dati inopportunamente o prematuramente su di noi. 

Dare al cliente informazioni e dati che potrebbero risultare controproducenti genera un effetto boomerang. Ogni informazione deve essere fornita con estrema cautela. 

L’atteggiamento empatico è estremamente utile per concentrare le energie mentali del negoziatore sull’ascolto dell’altro e frenare le nostre disclosure inopportune.


Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Analisi del processo di marketing per la vendita

Possiamo distinguere le fasi principali in tre livelli sequenziali:

  • fase della strategia di marketing;
  • fase della strategia di contatto (personal selling); 
  • fase della strategia di fidelizzazione e sviluppo della relazione.

Le tre fasi sono accompagnate da momenti trasversali quali:

  • attività di fissazione e sviluppo della leadership e people management;
  • attività di training e coaching per lo sviluppo del venditore consulenziale;
  • attività di monitoraggio dei risultati, dei comportamenti ed atteggiamenti.

I punti salienti del piano di sviluppo-cliente sono : 

Fase di pre-contatto – Strategie di Marketing :

  • la segmentazione del mercato (capire gli “strati” e tipologie di clienti esistenti),
  • la scelta dei segmenti di mercato su cui operare,
  • la selezione di specifici prospects (clienti ad alto tasso di interesse),
  • lo scouting di tali clienti (ricercare, identificare),
  • l’analisi del tipo di priorità da dare ai diversi prospects.

Fase di contatto e vendita:

  • i primi contatti personali o mediati, nei quali superare le barriere in ingresso e iniziare a costruire la fiducia, sia interpersonale che aziendale;
  • le fasi empatiche, di analisi e ascolto della situazione del cliente,
  • lo sviluppo di una attività consulenziale e migliorativa dal punto di vista delle forniture di cui dispone,
  • la ricerca di soluzioni (Solutions Selling) su cui chiudere e concludere una trattativa.

Fase di post-vendita – Sviluppo personale :

  • il consolidamento del cliente,
  • il cross-selling (ampliamento del tipo di prodotti),
  • assicurarsi che sia soddisfatto, sino a portarlo ad essere un nostro sostenitore e partner vero.

La vendita consulenziale si differenzia dalla vendita tradizionale per l’alto grado di valore aggiunto generato dal venditore stesso. 

Il valore aggiunto consiste soprattutto:

  • nella localizzazione dei segmenti di mercato su cui agire;
  • nelle scelte di posizionamento: come vogliamo posizionarci e differenziarci rispetto ai tanti competitor?
  • nella capacità di ascolto praticato dal venditore nei riguardi del cliente, 
  • nella ricerca di soluzioni personalizzate, frutto di negoziazione;
  • nella consulenza d’acquisto;
  • nel contributo culturale che si porta al cliente;
  • nel problem-solving e post-vendita, in grado di portare il cliente dallo stato di cliente occasionale a cliente fidelizzato e sostenitore.

Il consulente offre al cliente aiuto con la propria attenzione focalizzata

La vendita consulenziale parte dalla volontà del venditore di divenire partecipe di un processo evolutivo del cliente, configurandosi quindi come una forma di consulenza di processo.

La vendita consulenziale si inserisce all’interno di una filosofia di marketing aziendale “centrata sul cliente”.

Come evidenzia Kotler:

Il concetto di marketing è emerso a metà degli anni ’50 e ha messo a dura prova i concetti precedenti. Invece di adottare una filosofia centrata sul prodotto, “produci-e-vendi”, si adotta una filosofia centrata sul cliente, “ascolta-e-rispondi”.[1]

Per poter dare concretezza a questa filosofia servono però venditori consulenziali all’altezza del compito e leader preparati.

I principi del CVBU : Caratteristiche, Vantaggi, Benefici, Unicità

I principi di marketing per la vendita consulenziale:

  1. dare priorità alla ricerca di una soluzione efficace e positiva per il cliente (vendita consulenziale);
  2. costruire piani di vendita strutturata anziché azioni di vendita “alla giornata”;
  3. agire tramite campagne anziché con azioni spot;
  4. formare i venditori e sviluppare il loro potenziale;
  5. assicurarsi che i venditori dispongano di una conoscenza perfetta delle reali motivazioni di valore su ogni elemento del value mix: quali sono le caratteristiche, i vantaggi, i benefici, le eventuali unicità (CVBU), della nostra offerta e come queste si declinano per il singolo cliente.

L’analisi CVBU si applica non solo al prodotto ma all’intero marketing mix, includendo almeno CVBU del prodotto/servizio, del pricing, della distribuzione e della comunicazione/informazione.

Al centro di ogni analisi CVBU si colloca il potenziale cliente. Nessun ciclo CVBU può svolgersi in astratto: la percezione di valore ha luogo solamente nella mente del cliente.

I cinque punti primari per inquadrare le attività di vendita

Secondo la metodologia dell’Action Line Management (ALM) va posta attenzione:

  1. agli scenari: cosa succede nella domanda, nella concorrenza, nelle tecnologie, in che ambiente mi muovo?
  2. alla missione e alla consapevolezza dei suoi confini (analisi esistenziale, domande esistenziali): a chi diamo risposte, chi siamo, cosa facciamo realmente, cosa un cliente deve sapere di noi, perché non serviamo alcuni clienti, chi serviamo e chi no, dove si collocano esattamente i confini della nostra missione; all’organizzazione: come ci organizziamo per dare corpo alla missione e alla nostra visione/aspirazioni;
  3. al marketing mix / value mix: consapevolezze dei prodotti/servizi, delle loro caratteristiche, e del valore intrinseco posseduto;
  4. alle linee di azione e tattiche personalizzate: come declinare la strategia cliente per cliente, quali “strategie di interazione” adottare;
  5. al front-line, ai momenti di contatto di ogni natura, ogni momento della verità in cui il sistema azienda impatta il cliente (e non solo il cliente, anche fornitori e altri portatori di interessi);

La visita mirata all’interno di un’azione commerciale

Una visita mirata si differenzia da una visita generica in base al grado di preparazione precedente la visita stessa. 

In una visita mirata, sono stati già esplorati a priori i possibili problemi, le possibili obiezioni primarie, gli ostacoli prevalenti alla conclusione di vendita. 

In una visita mirata, il venditore è pienamente consapevole del “cosa sto entrando a fare”, distinguendo tra:

  • valutare se esistono spazi per…
  • valutare se esistono le condizioni per…
  • approfondire la situazione del cliente riguardo ….
  • concludere una negoziazione avviata entro …
  • capire la serietà del cliente e le intenzioni reali di acquisto, offrendo le seguenti alternative e scadenze…

Una visita mirata si prefigge di comprendere lo scenario del cliente aggiungendo dati e informazioni a quelle già disponibili, per poi poter puntare ad una conclusione consulenziale favorevole, che riduca i costi psicologici di acquisto e faccia leva sugli aspetti motivazionali del bisogno sottostante del cliente.

Rendere mirata una visita significa quindi:

  • anticipare gli scenari aziendali e psicologici che possiamo fronteggiare: studiare il sistema-cliente prima di entrare, sulla base dei dati disponibili;
  • chiedersi quali dati servono ancora per poter offrire una soluzione realmente consulenziale (Information Gap Analysis), e preparare una scaletta di informazioni e punti di interesse da approfondire con il cliente stesso;
  • anticipare i livelli di possibile bisogno;
  • posizionare una tipologia di fornitura desiderata (target negoziale strategico): es: distinguere tra diventare fornitori ufficiali, fare un ordinativo di prova, e altri tipi di relazioni commerciali;
  • dare ampio spazio ai momenti di ascolto del cliente;
  • entrare soprattutto per ascoltare, dare enfasi alla fase di analisi ed ascolto.
  • concludere su ipotesi di possibile interesse e soppesare con il cliente valore differenziale di ciascuna;
  • porre il cliente di fronte alla responsabilità di prendere una decisione.

La partnership strategica e il comakership (fare assieme)

Lo sforzo consulenziale viene premiato non tanto da una singola vendita ma soprattutto dalla capacità di ingresso nel sistema cliente.

Una partnership strategica è l’obiettivo sottostante la vendita consulenziale.

La partnership strategica è caratterizzata da:

  • rapporto intenso,
  • co-progettazione,
  • ricerca e sviluppo svolta su ambiti di interesse comune (Joint Research & Development),
  • contatti frequenti,
  • studi congiunti sul mercato di destinazione.

La forza contrattuale e negoziale

La negoziazione competitiva richiede la creazione di forza contrattuale. 

La forza contrattuale dipende dal livello di unicità dell’offerta (o dalla mancanza di alternative valide o succedanee) e dal livello di bisogno esistente nella controparte, mediati dalle abilità comunicative.

Le competenze negoziali competitive richiedono training alla negoziazione e alla gestione delle mosse strategiche dell’interazione. 

In particolare, il training deve focalizzarsi :

  • sulla capacità di analisi dei segnali non verbali,
  • sul controllo dei propri segnali,
  • sugli stili comunicativi verbali,
  • sull’analisi transazionale del dialogo (AT),
  • sulle tecniche di convergenza verso il risultato e di gestione strategica dell’obiezione. 

Le tecniche negoziale divengono ancora più complesse quando le trattative avvengono tra gruppi (es.: gruppi di acquisto contro gruppi di vendita) poiché la dimensione comunicativa si allarga, richiedendo competenze nell’affiatamento tra i partner e coordinamento nelle mosse dell’interazione tra i membri dell’equipe[2]. Gestire la trattativa richiede preparazione e role-playing. Una singola parola può rovinare un incontro.

Principio 2 – Del potere contrattuale e negoziale

Il vantaggio competitivo dipende dalla forza contrattuale nella trattativa.

Per il venditore o proponente, la forza dipende:

  1. dall’unicità dell’offerta: un’offerta non comparabile con altre offerte ha più valore;
  2. dalla mancanza di alternative presenti o creabili : l’impossibilità di trovare con ragionevole sforzo soddisfazione altrove;
  3. dalla mancanza di beni succedanei (beni diversi che possono svolgere una funzione simile, es: treno al posto dell’aereo);
  4. dall’impellenza del bisogno nel destinatario: un bisogno importante genera minori freni e incertezze;
  5. dal prestigio di cui gode il proponente: un proponente credibile e prestigioso crea minori barriere legate alla valutazione a priori del partner;
  6. dalla forza dei fattori oggettivi dell’offerta: le caratteristiche della prestazione – la sua tecnologia, il servizio reale.

Ciascuna di queste leve anche se presente in misura elevata non si dispiega automaticamente ma richiede abilità di valorizzazione e comunicazione.

Il dispiego ottimale della forza contrattuale (per chi offre) si correla positivamente con il livello di competenze comunicative specifiche del negoziatore (abilità negoziale del venditore) e negativamente con le competenze dell’acquirente (abilità del buyer).

Possiamo riassumere i punti salienti di una strategia negoziale individuando tre specifiche Macro-fasi:

Fase di preparazione : Briefing, analisi a priori Role-playing, preparazione delle action lines

Fase di contatto : Ricerca dei canali di ingresso, Face-to-face, Mediato

Fase di debriefing : Debriefing osservazionale (dati+emozioni), Debriefing strategico

Tutte le fasi evidenziate sono critiche, e per ciascuna esistono strumenti e metodologie appropriate. 

La nostra attenzione sarà dedicata alla fase di contatto front-line, utilizzando soprattutto alcuni spunti metodologici offerti dalla Conversation Analysis (CA), o Analisi della conversazione (AC). 

Al centro di tutto, nel contatto umano, si colloca la capacità di ascolto, senza la quali gli sforzi precedenti per “entrare” in un sistema cliente diventerebbero vani.


[1] Kotler. Dal cap. 1 “La comprensione del processo di marketing management”, in “Il marketing secondo Kotler”

[2]  Vedi Goffman (1959) per l’analisi dei comportamenti pubblici delle equipe.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Stili di comunicazione e relazione

Ognuno di noi comunica con un certo stile. È importante:

  • riconoscere con quale stile comunichiamo;
  • saper flessibilizzare lo stile per potersi relazionare ad interlocutori diversificati

Esempi di stili comunicativi, con parole tipiche dello stile:

  • Intellettuale – parallelismo, canovaccio, piattaforma progettuale.
  • Dinamico – veloce, rapido, risultato, obiettivi, vincere.
  • Aggressivo – ha capito? Non so se sono stato chiaro? Mi sta seguendo? Qui c’è troppa gente che cazzeggia, non abbiamo tempo da perdere. È ora di concludere, adesso!
  • Sottomesso – se lei vuole, se preferisce, come lei desidera, se non disturbo, facciamo quello che vuole lei, non c’è problema, siamo molto flessibili su tutto.
  • Rustico/volgare – ma và, non rompere i coglioni,  sono tutte seghe, ve la tirate troppo, è ora che ci diamo una mossa.
  • Politicante – bisogna valutare, si tratta di ricercare un compromesso, dobbiamo trovare delle sinergie, serve una piattaforma programmatica, è necessario un confronto di visioni.
  • Anglo-manageriale – il breakeven point, il marketing mix, la supply chain, la customer loyalty, è una questione di customer satisfaction, dobbiamo fare qualcosina sul cross-selling, anche in relazione alla gantizzazione del progetto.
  • Ottimista – è una bella opportunità, ci sono forti possibilità, è un progetto bellissimo, sento che le cose andranno veramente bene, sono sicuro che ce la faremo. 
  • Pessimista – non si può fare, è difficile, non ce la possiamo fare, ci sono troppe incognite, è un mondo difficile, non lo hanno mai fatto altri, è troppo nuovo, non lo conosco, non mi fido.
  • Concreto: scadenze, fissare, concludere, concretizzare, definire, inquadrare, arrivare a stringere, non perdere tempo, non perdiamo tempo, andiamo al sodo, badiamo ai risultati.

…ogni altro stile identificabile nel panorama sociale circostante.

Ognuno di noi comunica con un certo stile. È importante per la vendita consulenziale e la negoziazione saper riconoscere gli stili altrui e capire con quale stile rispondere.

Caratteristiche

Conoscere bene le caratteristiche dei prodotti e dei servizi, conoscerle a fondo e nei dettagli.

La conoscenza delle caratteristiche di prodotto, o delle caratteristiche del progetto che stiamo esaminando, è conseguibile attraverso lo studio, il confronto con esperti, e soprattutto attraverso metodi che permettano di metterla alla prova, come il role-playing.

Sessioni di domanda-risposta possono aiutare molto a mettere alla prova la conoscenza del prodotto.

Per una società di formazione, il direttore potrebbe dire ai propri consulenti: fammi vedere come spieghi ad un cliente la differenza tra coaching, training, counseling, e un workshop. Fammi vedere cosa risponderesti se un cliente ti chiede che differenza c’è.

Vantaggi

Conoscere i vantaggi competitivi significa sapere quali plus abbiamo rispetto alla concorrenza, e come questi vantaggi diventano utili, si trasformano in benefici tangibili o percepibili per un cliente o utilizzatore.

I vantaggi possono essere sia competitivi (riferiti a possibili alternative della concorrenza: in cosa siamo migliori rispetto ad altri) o vantaggi assoluti, riferiti al beneficio che ne può trarre il fruitore (che aiuto e vantaggi hanno le nostre proposte o soluzioni).

Benefici e relazione tra benefici ipotizzati e bisogni reali

Che benefici può trarre un cliente dalle nostre caratteristiche, dai nostri vantaggi competitivi?

I benefici riguardano una molteplice sfera di bisogni, sui quali dovremmo fare grande chiarezza. Spesso i benefici ipotizzati sono altamente distanti dai bisogni reali, che possono riguardare aree come:

  • il bisogno di risparmiare e liberare risorse per altri progetti;
  • il bisogno di sicurezza, garanzie, affidabilità;
  • il bisogno di efficienza, e di strumenti che la rendono possibile;
  • il bisogno di immagine, la necessità di poter esibire qualcosa ai propri interlocutori esterni, clienti o referenti politici;
  • il bisogno di azione, la necessità di poter dire ai propri interlocutori esterni, clienti o referenti politici, che si sta facendo qualcosa;
  • il bisogno autorealizzativo, diventare il massimo di ciò che si può essere, raggiungere il proprio potenziale, o un proprio sogno, sviluppare un proprio ideale.

I benefici non si collegano automaticamente alle caratteristiche dei prodotti, servizi o idee, ma diventano tali solo quando si realizza una connessione mentale tra caratteristica e bisogno.

Unicità e distintività

In quali elementi di prodotto o di servizio riusciamo ad essere unici, ineguagliabili? In quali punti di forza si concentra la nostra unicità? Cosa possiamo fare solo noi così, avere solo noi, o “essere” solo noi?

In cosa si caratterizza la nostra distintività? Nella certezza della parola data? Nei tempi di consegna? In qualche brevetto? Nelle relazioni umane? Nella capacità di analisi? Nella capacità di vendere fiducia? Nell’essere i leader di mercato per ricerca e sviluppo? O nell’essere i leader di costo? O di convenienza? O in quali altri campi? 

In altre parole, in cosa vogliamo essere percepiti come “diversi” per uscire dalla massa indistinta dei possibili fornitori?

Il nostro valore, il valore reale e il valore percettivo

Da dove deriva il nostro valore? Essenzialmente, dalla capacità di offrire benefici, soluzioni, e dare risposte ad esigenze sentite. Il valore può provenire anche dall’insieme delle caratteristiche di credibilità personale, di credibilità aziendale, sommato alle caratteristiche, vantaggi, benefici e unicità del mix di offerta aziendale, dei suoi prodotti/servizi, sistemi di prezzo, logistica, distribuzione, informazione, e customer care

Il valore reale (osservato dal punto di vista del venditore) è spesso diverso dal valore percettivo visto dal cliente. Il cliente può solo intuire e cogliere solo in parte, da pochi elementi di contatto, una realtà complessa. 

Il valore può essere amplificato o invece “ucciso” da poche informazioni o da dettagli apparentemente insignificanti che distruggono la fiducia (distrust signals, segnali di sfiducia). 

Una delle missioni fondamentali del venditore e del negoziatore è far emergere il valore e costruire il clima di fiducia ed emettere i segnali generatori di fiducia (trust signals) che permettono alla relazione di avanzare.

Trasmettere il concetto di cui si è portatori, e interessarsi al processo del cliente

Ogni venditore porta con sè stesso un’immagine di sè (self image) e una immagine della propria azienda (corporate image). Queste realtà percettive emergono in ogni interazione, che egli ne sia consapevole o meno. 

Egli porta con sè anche l’immagine che possiede della propria azienda, i suoi limiti, i suoi punti di forza, ne definisce una immagine mentale: “azienda tradizionalista” “azienda tecnologica” “boutique”, oppure “discount” – non importa di quale settore merceologico si stia parlando.

Vendere i prodotti di un’impresa non significa esporre semplicemente il suo catalogo prodotti. Significa soprattutto vendere il “concetto” che l’azienda rappresenta. 

Ad esempio, un venditore BMW dovrebbe sapere che in qualsiasi trattativa di vendita sta rappresentando non solo un insieme di bulloni, ruote e lamiere, ma soprattutto il concetto di un’auto prestigiosa, tedesca, solida, sportiva, un punto di arrivo

Sulla negoziazione politica o progettuale, troviamo un parallelo. Avere come partner un paese come la Germania in un progetto significa far entrare nel progetto un senso di “ordine” e di “tecnologia”, avere l’Italia può significare far entrare il concetto di “creatività”, ma anche connotazioni negative come “confusione” per l’Italia, o “rigidità” per la Germania.

Ogni negoziatore deve sapere quali immagini mentali porta con sè e quali sono associate al proprio sistema di appartenenza.

Identificarsi come un “punto di arrivo”

Chi entra in negoziazione vedendosi come una “seconda scelta” inevitabilmente trasmette questo concetto alla controparte. 

Identificarsi come un punto di arrivo è importante per creare un senso di autostima e sicurezza che emergerà nella trattativa. Questo è reso possibile solo da un grande lavoro sulla consapevolezza di sè e dei punti di forza aziendali.

Vendere un “punto di arrivo” è ben diverso dal vendere un insieme di parti meccaniche o pezzi di servizio.

La scena si complica se consideriamo che il cliente ha una propria percezione di cosa sia un “punto di arrivo” e questa può essere diversa dalla nostra.

Entra qui in scena la “psicologia della comprensione del cliente”, il desiderio forte di entrare nel suo mondo, alimentato da curiosità, volontà di capire, desiderio di non fermarsi alla superficie.

Per vendere un concetto assimilabile ad un “punto di arrivo” bisogna sapere quale è il punto di partenza, cioè da quale situazione parte il cliente, e perché egli aspira ad un diverso punto di arrivo. 

Dobbiamo chiederci se e perché il cliente è contento della situazione che in quel momento ha o vive, cosa desidera cambiare, in quali termini desidera evolvere, e cosa lo frena. In altre parole, dobbiamo interessarci del processo del cliente (entrare nei processi). Solo in questo modo la vendita potrà diventare consulenziale e trovare le migliori opzioni che permettono di concretizzare un risultato aziendale. 

Fare questo, significa applicare alla vendita i metodi della “Consulenza di Processo”, ovvero far convergere vendita e consulenza in un unico metodo di vendita consulenziale.

Passare dall’interesse generico alle pratiche conversazionali che lo rendono concreto

Tutti condividono a parole e in teoria un generico senso di “attenzione verso il cliente” ma pochi lo sanno tradurre in pratiche conversazionali e azione. 

Nei “momenti della verità”, in una vera negoziazione di vendita con un vero cliente, possiamo osservare e misurare se i concetti diventano realtà conversazionale, se cioè il venditore riesce a tradurre i concetti di “centratura sul cliente” in vere domande, in riformulazioni, in esplorazione, ricentraggio degli argomenti di conversazione. 

Dobbiamo analizzare se egli sa cogliere i depistaggi, o i tentativi di esproprialo del suo ruolo consulenziale. Dobbiamo accorgerci, se siamo Direttori Vendite o coach di vendita, se il venditore ha vere capacità di fare domande centrali e fare analisi – o se invece si disinteressa del processo del cliente, non pone domande, non cerca di capirlo veramente, non esplora il suo “mondo” e le sue evoluzioni, e lascia che sia il cliente a decidere quale ruolo egli deve giocare.

Un altro esempio sul tema del “vendere un concetto” prima ancora di un prodotto. L’esempio questa volta è semi-autobiografico, poiché tratta di un mercato, quello della formazione e del coaching, nel quale viviamo ogni giorno. 

Chi opera con o per il nostro Studio, ad esempio, deve essere ben consapevole del fatto che fare consulenza e formazione significa applicare dei modelli scientifici e non essere dei ciarlatani improvvisati. Un consulente o formatore può essere interprete, anche ottimo, di teorie e modelli elaborati da altri autori, oppure può diventare contemporaneamente autore e ricercatore se ha adeguate capacità. 

Nel nostro studio abbiamo svolto un grande sforzo di ricerca per produrre (generare, creare) numerosi modelli proprietari, prodotti formativi e consulenziali nuovi, integrandoli in paradigmi evoluti per lo sviluppo personale e organizzativo. Tra questi modelli troviamo il Metodo Action Line Management (ALM) ™, le Regie di Cambiamento™ per la formazione avanzata, il Deep Coaching Protocol™ per lo sviluppo personale, e creando inoltre il metodo HPM™ (Human Performance Modeling) per lo sviluppo del potenziale personale.

Chi opera con il nostro Studio deve quindi sapere che per i suoi servizi di formazione il cliente troverà un mondo di unicità, di modelli proprietari che altri non hanno. Questo permette al cliente di ottenere formazione consulenziale con tecniche nuove e proprietarie, anticipare di anni quello che uscirà sul mercato “per tutti” ed avere un vantaggio competitivo, scoprire tecniche uniche create dalla ricerca attuata direttamente dallo Studio, avere a disposizione modelli non reperibili altrove. 

Una consulenza o training centrata sul cliente e sul suo processo deve essere distanziata dal concetto di “corsificio” e questo significa saperlo comunicare, per chi opera dal lato dello Studio. 

Lo stesso problema e obiettivo, capire le unicità, vale per ogni azienda di prodotti o servizi.

La conoscenza che deve possedere chi opera per un’impresa non può essere superficiale. In generale, chi rappresenta una realtà deve essere consapevole di quale realtà rappresenta, quali potenziali porta con se.

Una rappresentazione di sè distorta, o lacunosa, emerge inevitabilmente in ogni “momento della verità” e in ogni vendita che aspira ad essere consulenziale. 

Le tecniche conversazionali

Cosa significa “tecnica conversazionale”? Dobbiamo innanzitutto capire che una interazione di vendita e una negoziazione sono basate – nel face to face – su specifici meccanismi della conversazione. Tra questi:

  • la gestione dei turni di conversazione (turn management)
  • il ricentraggio degli argomenti di conversazione
  • le tecniche di “ammorbidimento” delle relazioni (repair)
  • la produzione di domande (dare ascolto), opposta alla produzione di emissioni persuasive o informative (ottenere ascolto).

Riuscire a bilanciare il flusso che esiste tra dare ascolto e ottenere ascolto (balancing) è una precisa tecnica conversazionale.

Nella vendita classica il conflitto è “per parlare” e lo scopo è parlare più dell’altro o sovrastarlo con le proprie argomentazioni. 

Nella vendita consulenziale troviamo il gioco opposto, il gioco diventa “chi fa parlare di più l’altro”, e lo scopo strategico è indurre il cliente in uno stato di “apertura” per poter ottenere le informazioni indispensabili a costruire un pacchetto consulenziale o di offerta. 

Ottenere uno stato di apertura significa aprire sempre più il “flusso empatico” – il flusso di attenzione verso l’interlocutore che lo porta a fare delle aperture (disclosure), a dischiudere le proprie informazioni o posizioni. Tale tecnica è denominata nel nostro metodo Info-Bleeding (trasudazione informativa) e permette di ottenere informazioni indispensabili a rifinire la strategia e formularla.

Questo risultato richiede precise tecniche conversazionali, che nel nostro metodo assorbiamo dalle scienze di Analisi della Conversazione (Conversation Analysis), dalle tecniche di intervista degli informatori (Humint), dalle tecniche di intervista clinica in psicoterapia, e da altre fonti scientifiche, non ultime le tecniche utilizzate nelle investigazioni, opportunamente adattate al fatto di non volere in nessun modo creare una sensazione di “interrogatorio”.

Dietro ad ogni incontro tra realtà personali (incontro tra persone) e tra realtà aziendali (incontro tra aziende) esistono enormi potenziali da esplorare e questa consapevolezza alimenta chiunque non si accontenta della superficie, in ogni manifestazione dell’essere umano e della conoscenza umana.

La consapevolezza di sè (self-awareness) include il “come io comunico”, l’analisi di “qual è il mio stile conversazionale in una negoziazione”, ed è il tratto più importante della capacità di vendita, poiché in ogni vendita una persona porta con sè “se stesso”, i propri limiti, i propri principi morali e le sue esperienze ed abilità pratiche.

Le caratteristiche dell’azienda cliente e del sistema cliente – in senso più generale – sono estremamente importanti, ma (senza sminuirle) di minore importanza strategica rispetto alla costruzione di una buona conoscenza di sè e della propria azienda, poiché questo “lavoro” viene riutilizzato in ogni relazione di vendita, mentre lo studio di un cliente specifico è un investimento essenziale ma che trova rientro in una sola ed unica relazione di vendita. 

La consapevolezza dell’istituzione che rappresentiamo, delle sue persone, dei suoi confini, delle sue forze e debolezze, è un anello forte della vendita consulenziale che ci accompagna in ogni trattativa, ma esso non verrà mai valorizzato se non è sostenuto dallo sviluppo delle proprie competenze comunicative.


Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

© Articolo estratto con il permesso dell’autore, Dott. Daniele Trevisani dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace. Milano, Franco Angeli

L’Analisi della Conversazione è una vera e propria disciplina scientifica

Nota nel mondo anglosassone delle scienze della Comunicazione come Conversation Analysis (CA), si occupa proprio di esaminare questo fenomeno così quotidiano eppure così complicato.

Ne abbiamo già parlato, tuttavia servono approfondimenti perché l’ascolto, senza un’analisi del meccanismo in cui è inserito (la conversazione) sarebbe ben poco affrontabile.

Noteremo subito che l’ascolto è un momento speciale della conversazione, è l’interruzione di un noioso ping-pong dove uno cerca di parlare sull’altro o avere sempre l’ultima parola. È in altre parole, un disintossicante delle conversazioni.

L’analisi della Conversazione ci invita innanzitutto a riconoscere il formato di conversazione in corso, il tipo di conversazione che sta accadendo all’interno di un gruppo o tra due persone, attraverso un’attenta lettura dei segnali verbali, paralinguistici e non verbali che scorrono tra le persone.

Con un adeguato addestramento ed elevata sensibilità naturale, è possibile cogliere in poche battute quali siano gli “stati conversazionali” che predominano in una comunicazione.

Per “stati conversazionali” intendiamo qui una sequenza di mosse comunicative riconducibile a dei prototipi, ad esempio:

  1. la confessione,
  2. la seduzione,
  3. le stilettate reciproche (conflitto strisciante),
  4. la “conversazione da spogliatoio”,
  5. l’autocelebrazione,
  6. la ricerca di aiuto,
  7. l’autovittimizzazione,
  8. l’offerta di aiuto,
  9. l’accusa,
  10. l’analisi scientifica di un problema,
  11. “proviamo a capire”,
  12. lo “sparlare degli assenti”,
  13. lo sfogo,
  14. il “parlar di guai”,
  15. il “sogno ad occhi aperti”,
  16. il litigio,
  17. l’interrogatorio,
  18. il giocare assieme,
  19. il “fare le fusa”,
  20. il “parlare tra simili”.

Le conversazioni si spostano continuamente da uno stato all’altro, e possiamo avere conversazioni che partono in termini di “confessione” per poi spostarsi in seduzione, e scivolare in autocelebrazione, poi ancora in accusa.

Durante una fase di ascolto attivo, chi vuole metterlo in campo deve essere consapevole del fatto che certi formati conversazionali – quali il gioco e lo scherzo – sono rischiosi.

Altri formati conversazionali, quali l’analisi scientifica di un problema, o il “parlare tra simili” (es.: confrontarsi tra “padri di famiglia”) possono far emergere differenze culturali ma con meno margini di errore.

Ogni conversazione (negoziale e non) procede comunque lungo un format finché un altro e diverso format non prende piede.

Quando il format cambia, abbiamo un “Cambio di Footing”, un cambio di passo nella conversazione. Può andare verso un’accelerazione, dove i climi e gli scambi si fanno più serrati e rapidi, o verso un rilassamento dove si nota più spaziosità tra i turni di conversazione, più ascolto empatico, più disponibilità e meno fretta.

Il ruolo della leadership conversazionale è esattamente quello di spostare i format e dirigerli ove sia più produttivo.

Nello schema seguente, si può cogliere visivamente il concetto di “tracciato del format conversazionale”, che esprime un possibile andamento della conversazione.

Ciò che risulta utile, per l’ascolto, è la capacità di capire come la conversazione sta evolvendo lungo il tracciato, e l’abilità di spostare le linee entro spazi comunicativi il più possibile produttivi.

Possiamo dire che questi formati conversazionali siamo in presenza di toni della conversazione, toni generali che danno tuttavia il sale e il sapore della conversazione stessa.

Col tono giusto si può dire tutto, col tono sbagliato nulla: l’unica difficoltà consiste nel trovare il tono.

 (George Bernard Shaw)

active listening and empathy

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© Article translated from the book “Negoziazione interculturale, comunicazione oltre le barriere culturali” (Intercultural Negotiation: Communication Beyond Cultural Barriers) copyright Dr. Daniele Trevisani Intercultural Negotiation Training and Coaching, published with the author’s permission. The Book’s rights are on sale and are available for any Publisher wishing to consider it for publication in English and other languages except for Italian and Arab whose rights are already sold and published. If you are interested in publishing the book in English, or any other language, or seek Intercultural Negotiation Training, Coaching, Mentoring and Consulting, please feel free to contact the author from the webstite www.danieletrevisani.com 

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In this article I will examine 2 important topics of intercultural negotiation communication: the first concerns the personal image management, while the second one is related to the superiority-inferiority conflict.

In every negotiation comparing respective statuses becomes inevitable. However, statuses are considered intra-cultural and not cross-cultural elements. We cannot assume that a person belonging to an “other” culture recognizes a status that comes from an unknown system.

Let’s observe this real dialogue between two colleagues at a restaurant, the first is Italian and the second one is American.

US negotiator: “In America my family is in the upper-middle class, we have a thousand square meter apartment in New York, but my neighbours built a mezzanine, doubling the airspace, if business goes well next season I can enter the upper class, and build a mezzanine too. My children have two PlayStations each, and I’m giving them a good education: for each hour of study I multiply x 2 their possibility of using the PlayStation, so if they study an hour I let them use the PlayStation for 2 hours, if they study 15 minutes I let them use it for only half an hour, timed.”

Italian’s response: “But do you listen to your children or do you time them?” (unspoken thought: you can also have a mezzanine of a square kilometre, but for me you are always an asshole)

We are not interested here in discussing who is wrong and if someone is wrong, but it is clear that the American interlocutor is exposing a particular image of himself. He is expressing a “face” and he is indirectly exposing which are the status rules he believes in, and his convictions on the most appropriate pedagogical methods. For this person having a mezzanine and two PlayStations is an indicator of status. It is also clear that the Italian interlocutor does not accept these rules and that he measures personal value differently.

A more or less conscious management of one’s “social face” is part of every negotiation. However, on an intercultural level, sending out unconscious messages and producing damages during negotiations can be very easy.

Principle 20 – Managing one’s own status and the interlocutor’s status; “face” games and intercultural impressions management

The success of intercultural negotiation depends on:

  • the ability to create an adequate status perception within the interlocutor’s judgment system;
  • the ability to create positive impressions (identity management and impression management);
  • the ability to acquire status and “face” without resorting to undue attack mechanisms, that can damage others’ “faces” (“face” aggression or personal image reduction, absolute avoidance of top-down approaches);

Alain de Botton reports this passage which shows us how even at the highest diplomatic and negotiating levels one can be very ignorant of what transversal messages are being emitted and of the degree of damage that can be produced by knowingly or not knowingly placing oneself in a top-down position.

In July 1959, US Vice President Richard Nixon went to Moscow to inaugurate an exhibition dedicated to his country’s technological and material innovations. The main attraction was a life-size copy of the house of the average worker, with carpet, TV in the living room, two bathrooms, central heating and a kitchen equipped with a washing machine, a dryer and a refrigerator.

During various press services, the Soviet press, somewhat irritated, declared that no American worker could have lived in such a luxurious house – ironically named “Taj Mahal” by Soviets – and defined it a means of propaganda.

Khrushchev maintained a rather sceptical attitude when he accompanied Nixon to the exhibition. As he observed the kitchen of the house in question, the Soviet leader pointed to an electric juicer and said that no sane person would ever think of buying certain “stupid items”. “Anything that can help a woman doing her work is useful,” Nixon replied. “We do not consider women as workers, as you do in the capitalist system,” Khrushchev retorted angrily.

Later that evening, Nixon was invited to give a speech at the Soviet television and used the occasion to illustrate the benefits of the American way of life. Cunningly, he did not begin to speak of democracy and human rights, but of money and material progress. He explained that, thanks to entrepreneurship and industrial activity, in a few centuries Western countries had managed to overcome poverty and famine, which were widespread until the mid-eighteenth century and still present in many areas of the world. Americans owned fifty-six million televisions and one hundred and fifty-three million radios according to what Nixon reported to Soviet viewers, many of whom did not even have a private bathroom or a kettle for making tea. About thirty-one million Americans lived in their own home, and an average family was able to buy nine clothes and fourteen pairs of shoes a year. In the United States, you could buy a house by choosing from a thousand different architectural styles, and o certain houses were often larger than a television studio. At that point Khrushchev, sitting next to Nixon and increasingly irritated, clenched his fists and exclaimed “Net, Net! “, while apparently adding in an undertone ” Eb ’tvoju babusku” (Go fuck your grandmother).

What clearly emerges from this passage is the (perhaps) unwitting offense to poverty that Nixon transfers to Russian people, placing himself in a top-down position, superior position vs. lower position.

For too many times, negotiators do not realize that they are performing an “abuse of dominant position” (displaying excessive superiority that damages others) or practicing a “presumption of dominance” (thinking of oneself in superior terms).

Communication reveals self- conceptions and relationship conceptions even though the participants do not want to reveal them.

Let’s see another example and observe some passages of this email:

Dr Trevisani

Two colleagues and I are close to retirement and after an intense activity as top managers in various multinationals we decided to create an external company. I ask you to be our consultant and to provide us with your valuable advices to help us build a successful company. Do your best to check if you can come to advise us in Turin. Anyway, send me a commercial offer because I must show it to my partners for approval. Please send me also your CV. I will present it to my two partners, so as to persuade them to approve your advice. This consultancy intervention must be done within January 2005.

Thank you in advance for your help.

signature

This message intercultural problem is of psycholinguistic type and it concerns the use of the imperative and the enormous quantity of presuppositions present.

Let’s look at some implicit assumptions linked to this message:

  1. some people believe that a commercial offer can be made without having analysed the problem and the necessary intervention times;
  2. Others think that the recipient will send his CV to someone he/she does not know, without being informed on how and for what purposes this CV will be used (it takes only a few seconds to write a writing a reason on an email, but the real motives can be different);
  3. There is also the assumption that the customer can dictate times and that it is the recipient, and not the writer, who must make the trip;
  4. It is taken for granted that the recipient wants to work for the sender and that he approves intentions and projects.

The apparently courteous message reveals a culture that is not exactly courteous.

In the Italian culture being in the “buyer” position is a strength and working for years in a multinational company makes the buyer acquire a strongest attitude of strength and superiority.

The sender actually expresses an aggressive multinational culture, which is based on the belief that a multinational can “rule the world”, a way of being consequently absorbed by its managerial education. However, the Italian culture is not unique, and we cannot think that the prototype of the multinational’s dominance over a consultant, or of a buyer over a possible seller, is accepted by everyone.

The ALM method culture believes that there must be a certain degree of values commonality ​​for a project to start.

We must always consider that our culture is not automatically the culture of others. The right strategy is therefore to avoid putting the counterpart in conditions of presumed inferiority or to assign automatic superiority.

"Intercultural Negotiation" by Daniele Trevisani

© Article translated from the book “Negoziazione interculturale, comunicazione oltre le barriere culturali” (Intercultural Negotiation: Communication Beyond Cultural Barriers) copyright Dr. Daniele Trevisani Intercultural Negotiation Training and Coaching, published with the author’s permission. The Book’s rights are on sale and are available for any Publisher wishing to consider it for publication in English and other languages except for Italian and Arab whose rights are already sold and published. If you are interested in publishing the book in English, or any other language, or seek Intercultural Negotiation Training, Coaching, Mentoring and Consulting, please feel free to contact the author from the webstite www.danieletrevisani.com 

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In the following article I would like to conclude the topic of negotiation communication training, by listing, in a more detailed way, the interpersonal communicative abilities, explaining the importance of culture shock and self-awareness acquisition.

  • Code Switching: the negotiator must manage the change of communication codes (linguistic code and non-verbal code), in order to adapt to the interlocutor. Making your interlocutor understand you requires an active effort of adaptation, a willingness to change your repertoire and to get closer to other people. Whoever imposes a one-way adaptation effort on the interlocutor (one-way adaptation) and does not think about others understanding him/her, automatically creates barriers to communication.
  • Topic Shifting: the change of subject. The negotiator must understand which techniques need to be adopted to slip from unproductive conversations, to get away from dangerous or useless topics, to avoid touching critical points of other cultures, creating offense, resentment or stiffening. These skills – like other abilities – are useful in every communicative context, such as in a communication between friends, colleagues, companies, as well as in diplomatic communication.
  • Turn Taking: conversational turns management. There are certain cultures that accept others to interfere in their speech, and others in which the respect for speaking turns is essential. Turn taking includes conversational turns management skills, turn taking abilities, turn defence skills, turn transfer abilities, the capability of open and close conversational lines, etc. All these techniques need to be refined for both intra- and inter-cultural communication.
  • Self-monitoring: the ability to self-analyse, to understand how we are communicating (which style we are using), to recognize internal emotional states, one’s own tiredness, or frustration, or joy, expectation or disgust, knowing how to recognize those inner emotions that animate us during conversation or negotiation.
  • Others-monitoring: the ability to analyse and decode the inner emotional states of our interlocutors, to recognize his/her state of fatigue, energy, euphoria, dejection, etc., to know how to perceive the participants mutual influences, to grasp the power relations in the counterpart groups and to understand the degree of interest in our proposals and the right moment for closing.
  • Empathy: the ability to understand others’ points of view, from within their value systems and cultural contexts and to understand the value of their communicative moves based on the culture that generates them.
  • Linguistic Competence: the ability to use language, choice of words and repertoires, showing a deep knowledge of the language.
  • Paralinguistic Competence: the ability to use and strategically manage the non-verbal elements of speech, such as tones, pauses, silences, etc.
  • Kinesic Competence: the ability to communicate through body movements (body language). Movements management can be one of the strongest traps in intercultural communication, where some cultures – such as the Italian one – normally use broad body movements and gesticulations, while others – such as oriental cultures- use a greater demeanour, while retaining their body expressions.
  • Proxemic Competence: the ability to communicate through space and personal distances management. For example, Latin and Arab cultures accept and consider closer interpersonal distances normal, while northern European cultures don’t.
  • Socio-environmental Decoding Competence: the ability to interpret and understand “what is happening here” in relation to what is taking place during the conversation or the interaction. The negotiator must know how to recognize a conflict within the members of the counterpart group (intra-group conflict) and how to grasp the different positions, the trajectories of approach and relaxation, the different roles assumed and the moves of the interlocutors.

Both intra-cultural and intercultural negotiators need to be prepared for Reality Shock (or culture shock). Reality Shock can arise from the sudden realization that:

  1. others don’t follow our rules;
  2. others have different background values;
  3. others don’t have the same goals as we do;
  4. others do not behave like us, or even like we want them to behave;
  5. some negotiators are in bad faith and dishonest: they do not seek a win-win approach, but only a personal advantage;
  6. even with the greatest amount of goodwill, some negotiations escape comprehensibility and observable behaviours do not fit into rational logic.

The difference between an experienced negotiator and an apprentice negotiator is the degree of damage that reality shock does: low or zero for the expert, devastating for the apprentice.

The clash with reality can cause a shock, which can be followed by:

  1. a positive process, reached thanks to the analysis of diversity, the acceptance of what can be accepted (without running into the extremes of radical unconditional acceptance), that leads the negotiator to improve his/her own cultural knowledge; or…
  2. a negative process, caused by a fall of the emotional state, a rejection of reality that leads the negotiator to take refuge in his/her own cultural arena. The result, in this case, is often a withdrawal.

In order to activate a positive process of growth, and not a negative process of involution, it is necessary to work on our self-awareness (“Knowing how to Be”) of negotiation, through:

  • Cognitive Learning & Knowledge Acquisition: learning the contents that characterize the culture with which we want to interact.
  • Cognitive Restructuring: transforming our perception of the communicative act itself from an anxiogenic element to a source of positive energy. This practice requires the identification of negative self-statements (e.g.: “it will definitely go wrong”, “I am unsuitable”, “I will not succeed”, etc.), that must be replaced by positive self-statements, (e.g.: “let’s see if we have the right conditions for doing business”,” let’s go and compare our mutual positions without fear”, or even” let’s help the customer understand how we think”). The analysis of self-statements therefore consists in working on how we “enter” the negotiation, on what animates us.
  •  Behavioural Learning & Communication Skills Acquisition: learning the skills necessary to “perform” or achieve a specific behavioural or communicative goal, by using dramaturgical and expressive techniques and relational dynamics.
  • Emotional Control Skills: developing some necessary emotions management skills, with which one can direct his/her own emotional energies in positive directions, recognize and remove negotiation stress, “recharge his/her batteries” and manage personal times, in order to take part in a negotiation in optimal psychophysical conditions.
"Intercultural Negotiation" by Daniele Trevisani

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In this second part I would like to continue talking about non-verbal communication and its characteristics, this time focusing on training, sensory perception, personal look and colour, while explaining the importance of identifying assonances and dissonances between verbal and non-verbal language.

Training

Training on the use of paralinguistic elements means learning the strategic use of pauses and tones. It includes many repertoires of theatrical and actor techniques, such as the Stanislavskij method, probably the only one truly capable of transforming expressive behaviours.

Without adequate preparation the chances of being competitive on the negotiating level decrease. As the gap between our training level and the training level of the counterpart increases, the risk of an unfavourable outcome during a negotiation grows.

Sensory Perceptions

Some clichés spreading in multicultural college campuses are that whites “taste like chicken”, Asians “smell of garlic”, blacks “taste of sweat”, etc.

The olfactory differences on an ethnic and genetic level do exist, but the perceived smell is largely determined by cultural factors such as nutrition, cleanliness or the use of perfumes.

Personal olfactory emissions are a communication tool.

It is certain that the sense of smell affects perception, and that food produces essences that exude from the skin and breath. If we want to manage even the smallest details of intercultural negotiation and, more generally, of the human contact, we must take care of these aspects.

Anything that can be attributed to the subject or to the corporate environment affects perception and image. Some clothing chains have resorted to the targeted deodorization of shops to create a more relaxed and pleasant atmosphere (environmental olfactory marketing).

Smell is a remote sense of the human being, partially abandoned in favour of senses such as sight and hearing. Animal “noses” are able to pick up smells that signal sexual emotions or predispositions, while human noses seem to have lost this trait.

There are practical implications for conscious personal deodorization: avoid foods that can produce strong breath emissions, avoid excessive personal fragrances, be aware of personal odours (e.g. sweat) and consider the importance of olfactory environmental marketing.

Personal Look

We usually know nothing about people’s real history. We can only assume it by looking at the symbols they decide to show us. There are signs/symbols everywhere: on the interlocutor and in his/her communicative space. Symbolic communication concerns the meanings that people associate to and perceive from those particular “signs”. By communicative space we mean any area linked to the subject’s “system”, such as his/her car, or the background of his/her computer, and any other sign from which we derive information, meanings and interpretations.

From a semiotic point of view, every element from which a subject draws meaning becomes a “sign”, whether the bearer is aware of it or not.

Look, clothing and accessories are among the most incisive factors that build one’s personal image.

Differences or similarities in clothing, for example, can put a person inside a professional ingroup (“one like us”, an “equal”) or an outgroup (“one different from us”), depending of the meaning that the word “us” has for the interlocutor.

In a widened signification system, the symbols associated to the brands used, the type of car, and even the office furniture, can become very important.

chronemic behaviours (the string of actions over time) are also broadened signals related to how frequently we change clothes, punctuality, way of driving (calm or nervous), way of eating (slow and relaxed vs. fast and voracious), etc.

Even considering the time a person takes in answering a question can be significant: slow or overly thoughtful responses can be interpreted as insincere in Western cultures or wise in Eastern cultures.

It can be said that in the field of intercultural communication nothing escapes the observation of the interlocutor, and every “sign” contributes to its classification and evaluation.

Colours

An additional element of symbolic communication is colour. The use of colours and the symbolisms associated with colours also vary according to cultures.

It is not possible to list all possible associations for every colour in each country, but I would like to underline the importance of paying attention to the symbolisms associated with colours, because there are many problems that could arise when choosing colours and graphics, for example in packaging, in business gifts and in objects.

Even objects and symbols are not neutral: an Italian company, for example, used the symbol of an open hand to create the company logo and key rings, producing a wave of protests in Greece, where the open hand symbol is used to offend.

The basic principle to avoid macroscopic errors is the use of pre-tests: a “pilot test” on some member of the local culture, who are able to give a feedback on the appropriateness of colours, shapes and symbolisms within their cultural context.

The pre-test method also applies to the choice of gifts, presents, and any other symbolic action whose impact may vary on a cultural basis.

Consonances and Dissonances between Verbal and Non-Verbal Language

Non-verbal communication can reinforce the verbal message or be dissonant with it.

Listening carefully and nodding can express interest more than just a verbal statement. Saying “I’m interested” with words and expressing boredom or disgust with body actions produces a dissonant signal and creates suspicion or irritation.

The coherence (matching) between words and actions:

  • increases the subject’s perceived honesty;
  • denotes trustworthiness;
  • shows interest;
  • shows that we are in control of the situation;
  • produces a sense of security and solidity of content.

On the contrary, the incongruity:

  • creates a sense of mistrust;
  • generates a feeling of lack of authenticity;
  • produces doubts and suspicions, because the heard verbal content is considered false.

Each linguistic style (on an interpersonal level) is associated with a precise modulation of the non-verbal style. We can indeed have:

  • situations of communicative reinforcement (the non-verbal style reinforces the verbal style);
  • situations of dissonance or inconsistency between verbal and non-verbal communication: the non-verbal language is on a different register than the verbal one.

The dissonances concern every semiotic system, every sign that carries a meaning. A company that declares itself important and does not have a website, or has an amateur website, expresses an incongruent image of itself.

"Intercultural Negotiation" by Daniele Trevisani

© Article translated from the book “Negoziazione interculturale, comunicazione oltre le barriere culturali” (Intercultural Negotiation: Communication Beyond Cultural Barriers) copyright Dr. Daniele Trevisani Intercultural Negotiation Training and Coaching, published with the author’s permission. The Book’s rights are on sale and are available for any Publisher wishing to consider it for publication in English and other languages except for Italian and Arab whose rights are already sold and published. If you are interested in publishing the book in English, or any other language, or seek Intercultural Negotiation Training, Coaching, Mentoring and Consulting, please feel free to contact the author from the webstite www.danieletrevisani.com 

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In the next two articles we are going to deal with non-verbal communication and its characteristics: in fact, the non-verbal language can deeply affect the result of an intercultural negotiation both positively and negatively, even though it is often a neglected aspect of communication.

The main channels through which the negotiator can send messages are the paralinguistic system (vocal aspects of communication, such as tones, accents, silences, interjections), the body language (body language), and personal accessories, including clothing and the general look.

To negotiate at an intercultural level, it is necessary to create a relationship. Body movements and attitudes can strongly express the interlocutor’s satisfaction, as well as his/her disgust and emotional suffering.

We perceive the interlocutor’s attitude through his/her behaviour, rather than through the linguistic content, which remains on the relationship surface. In depth, one’s relationship is determined by body and face movements, looks, facial expressions, and, generally, by the communicator’s complete non-verbal repertoire.

The intercultural negotiator, however, must always consider the fact that some non-verbal signals cane be perceived differently by another culture, sometimes even in an opposite way.

Wrong non-verbal and body attitudes can easily lead to an escalation (rise in tension, nervousness and irritation), while the task of an intercultural negotiator is to create a de-escalation: moderation of tones, relaxed atmosphere, favourable environment for negotiation.

The general objective of every intercultural negotiation is, in fact, achieving results, but, in order to do so, a climate of cooperation is needed.

The intercultural negotiator must therefore activate some conflict de-escalation procedures, practices that lead to a non-conflictual negotiation situation.

But what are these practices? In general, each culture uses different non-verbal rules, and therefore we would need for each nation or culture with which we deal.

The problem with these “easy manuals” is their poor resistance over time (cultures evolve) and in space (cultures change even within a few kilometres). Moreover, if you take them as rules, there is a real possibility to apply stereotypes, that are no longer valid.

When there is no specific indication that come from up-to-date experts of a particular culture, we can use some general rules of good communication, which can help us reduce errors, as exposed by the Public Policy Centre of the University of Nebraska:

  • use a calm, non-aggressive tone of voice;
  • smile, express acceptance;
  • use facial expression of interest;
  • use open gestures;
  • allow the person you are talking to dictate the spatial distances (spatial distances vary widely between cultures);
  • nod, give nods of agreement;
  • focus on people and not on documents;
  • bend your body forward as a sign of interest;
  • maintain a relaxed attitude;
  • hold an L-shaped position;
  • sit by your interlocutor’s side, not in front of him/her, because that is a confrontational position.

I would like to highlight that these general rules are only “possible options” and must be adapted to culture and context.

While talking about the non-verbal language it is impossible not to mention the body language. Our body speaks, expresses emotions and feelings.

The body language concerns:

  • facial expressions;
  • nods;
  • limbs movements and gestures;
  • body movements and social distance;
  • physical contact.

Cultural differences related to this area of communication can be deep. There are no golden rules teaching us what’s best: each choice is strategic and linked to the context (“contextual appropriateness“).

Physical contact, for example, is one of the most critical elements: while some Western standards of physical contact spread throughout the entire business community (e.g. shaking hands), every culture expresses a different degree of contact during greetings and interactions.

In general, if it is not possible to collect accurate information from experts of the local culture, it is advisable to limit physical contact in order not to generate a sense of invasiveness.

The study “of observations and theories concerning the use of human space, seen as a specific elaboration of culture” (Hall, 1988) is defined by proxemics.

On the negotiation front, the implications are numerous, since every culture has unwritten rules to define the boundaries of acceptability of interpersonal distances. In this case too, resorting to experts of the local culture is fundamental. If we do not have this possibility, then a valid rule is to let the other party define their own degree of distance, without forcing either an approach or a removal.

Human critical distances have an animal basis and a strong cultural variance: for example, Arab and Latin cultures are often “closer”, while Anglo-Saxon cultures are more “distant”.

Another element of non-verbal language, that we must consider, is the paralinguistic system. Paralinguistics concerns all vocal emissions that are not strictly related to “words”, and includes:

  • tone of the voice;
  • volume;
  • silences;
  • pauses;
  • rhythm of speech;
  • interjections (short vocal emissions, like “er”, “uhm”, etc.).

Paralinguistics establishes speech punctuation and helps convey emotional information.

To be continued…

"Intercultural Negotiation" by Daniele Trevisani

© Article translated from the book “Negoziazione interculturale, comunicazione oltre le barriere culturali” (Intercultural Negotiation: Communication Beyond Cultural Barriers) copyright Dr. Daniele Trevisani Intercultural Negotiation Training and Coaching, published with the author’s permission. The Book’s rights are on sale and are available for any Publisher wishing to consider it for publication in English and other languages except for Italian and Arab whose rights are already sold and published. If you are interested in publishing the book in English, or any other language, or seek Intercultural Negotiation Training, Coaching, Mentoring and Consulting, please feel free to contact the author from the webstite www.danieletrevisani.com 

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Negotiation is not based on a free conversation, like an uncontrolled flow of thoughts expressed in words, but it must be managed and conducted. Everything must be guided in a strategic way by letting the negotiation of content be preceded by a negotiation of identity. Now, let’s take a look at its various aspects.

Each company is able to actively influence the fate of its negotiations, even though it does not determine it entirely. Negotiations do not take place in an abstract world, but in the concrete one. Regaining possession of the ability to affect one’s destiny, its present and future (increasing of the internal focus of control), is a fundamental issue, which also affects the way in which we want to shape negotiations and human relationships.

In order to avoid a possible conflict, it is necessary to recognize that we are negotiating, that we are different and that this conflict could arise any time if we don’t do something to prevent it. Diversity must be expressed explicitly, so as not to have to face repercussions.

When a negotiation starts latently, in order to acquire a negotiating awareness, the negotiator must ask himself/herself a few questions:

  • Are we both aware that we are negotiating?
  • Are we negotiating details or common ground preparational topics?
  • Am I negotiating with the right person?
  • Is the setting adequate, given the topic we are discussing? Is this the right place? Is this the right time?
  • What factors can I manipulate to set up the negotiation? What are the factors under my control? How can I bring external and situational factors back into my area of control?

The Conversation analysis allows you to define which moves and communication strategies the interlocutors use to define and negotiate their own identity.

The ALM method recognizes the necessity to divide all strategic objectives of the negotiation communication, distinguishing between:

  • Identity identification and identity sale: being recognized as the right person that can solve the problem, creating a value perception in the supplier – as a subject – in the person or in the faced role;
  • Value mix creation and product/solution selling: creating a value perception of the details of an offer.

The intercultural impression management is the art and/or ability to arouse positive impressions on one’s role (it has nothing to do with boasting importance), in order to overcome negotiation filters. All negotiators must be able to practice it, so as to become aware of their own strength and identity, of the uniqueness they possess and of their real value. However, they cannot forget to mix this self-awareness with the ability to make it emerge in communication.

Likewise, no negotiation can be successful if we are not able to sort out mutual identitiy’s boundaries, roles boundaries and the way in which we can start a cooperative dialogue.

During intercultural negotiations it is necessary to use specific conversational moves to create one’s own identity, while managing to make the other interlocutor perceive the value of that same identity as a part of the cultural context. Identity is attributed according to one’s cultural frame of mind.

We cannot assume that people are able to recognize each other’s identities automatically. “Who am I” and “Who are you” are two of the most overlooked aspects/questions in intercultural negotiations.

During business negotiations between companies, right from the very first moment of the meeting, everyone enters a weak or unconscious negotiation.

Deciding to meet at “our” company, at “their” company, or at a neutral location (and where), is already part of the negotiation process.

We use the term “weak negotiation” not because we are talking about something of little importance, but because we are referring to something weakly perceived as a real moment of negotiation. Its real importance, however, is very strong, as it sets first impressions (imprinting of the personal and corporate image) and starting positions.

The real problem is that “weak” situations, such as preliminary contacts, e-mails, phone calls, logistical messages exchanges, etc., are often not recognized as real negotiations, and they risk being underestimated.

Strong or explicit negotiations, on the other hand, concern situations in which both parties have officially stated that they are undergoing a real negotiation. For this reason, formalisms, formal bargaining mechanisms, negotiation tables, trading platforms and other open and institutionalized trading tools have already been set up.

The negotiation between companies usually take the shape of a clash between identities, ways of being and values. No company really has the same culture or the same behavioural models of other companies, however similar they may be. Diversity grows even more when physical and cultural distances become wide, as in intercontinental and in interethnic contexts.

"Intercultural Negotiation" by Daniele Trevisani

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In the following article we are going to introduce the concept of conversation analysis, a fundamental study that can help you improve your negotiation skills. 

To start a productive negotiation analysis, we have to distinguish between 3 different phases:

  • preparing for a negotiation” phase: briefing, data collection, interlocutors analisys, positions analisys, , preparing a list of arguments and agendas, role-playing, action lines development and testing;
  • comunication phase or front-line phase: face-to-face contact phase;
  • analysis e debriefing phase: negotiation results analysis and preparation to all next phases.

The preparation phase requires you to study the largest possible amount of information, so that you can start  the face-to face phase with a situational awareness (knowledge of the facts) and with a cultural awareness (knowledge of basic cultural elements).

The negotation phase represents the negotiating ground, the “moment of truth”, in which the most significant actions take place and, since they’re taking place during conversation, they are irreversible.

The debriefing phase is necessary to absorb information and it includes, at least:

  • a behavioral debriefing: our behaviours analysis, mistakes analysis, others’ behaviours analysis, and
  • a strategic debriefing: practical implications, results analysis, preparation of all next steps.

Negotiation usually requires different “preparation-contact-debriefing” cicles. For this reason we can assimilate it to a cyclical process.

The Conversation Analysis is one of the most useful branch of knowledge used in the communication field to understand how people interact during face-to face contacts.

From a scientific point of view the CA analyzes how people manage the conversational turns and how they try to interact, but from a practical perspective the AC possible applications are extremely rare. In fact the CA was aimed mostly at social and personal interactions and much less at dialogues between companies.

From a linguistic point of view, the ALM method, by using some concepts of the CA and numerous original additions, tries to “dismantle” the conversation by analyzing it as a set of conversational acts, to study its structure and apply it to the concrete problems of companies and organizations that have to negotiate effectively.

From the semiotic point of view, we can ask ourselves (1) what are the meanings and interpretations of meaning that each actor gives to the individual moves on a relationship level (relational semantics), and (2) what are the practical effects on the relationship itself (relational pragmatics).

Thanks to the analysis of conversational moves and of entire pieces of interaction, it is possible to help managers and negotiators (1) decoding the conversation, and (2) acquiring greater conversational skills. 

Furthermore, we can train and educate negotiators to produce a more efficient and aware conversational strategy, even within their own culture. 

The conversational moves can be defined as specific actions or “emissions” created by an interlocutor.

Some conversational moves are, for example:

  • to assert,
  • to anticipate,
  • to attack,
  • to give up a turn,
  • to ask for clarifications
  • to conquer the turn
  • etc..

Negotiation can be seen, then, as a set of moves. Each culture makes some of these repertoires its own and expands them, rejecting others, or relegating them to a few communicative areas.

In the Japanese culture, for example, saying a sharp “no” is considered a very rude act, but this does not mean that a Japanese manager can not learn saying “No” in a dry way. Relying on simple stereotypes and taking them as certainties is a mistake.

Each move is related to the subject’s previous moves and to the moves made by others.

In the intra-cultural field there are specific repertoires and coversational rules that are generally shared, while in the intercultural area the level of diversity increases, because in each culture the conversational moves are used differently.

During a negotiation, depending on the relational value, we must pay attention to:

  • approaching moves (signs of sympathy, friendship, affection, willingness to collaborate, signs of union, etc.) and 
  • distancing moves (detachment, antipathy, refusal, willingness to keep one’s distance, etc.).

If we look at the conversation contents during a negotiation, it is important to distinguish between:

  • opening moves (exploring new information, widening, broading of conversational field, etc.) and
  • closing moves (attempting to conclude, to concretize);

and also between:

  • listening moves (empathy, questions, data collection), and
  • propositional moves (statements, positions, requests).
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