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© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Analisi del processo di marketing per la vendita

Possiamo distinguere le fasi principali in tre livelli sequenziali:

  • fase della strategia di marketing;
  • fase della strategia di contatto (personal selling); 
  • fase della strategia di fidelizzazione e sviluppo della relazione.

Le tre fasi sono accompagnate da momenti trasversali quali:

  • attività di fissazione e sviluppo della leadership e people management;
  • attività di training e coaching per lo sviluppo del venditore consulenziale;
  • attività di monitoraggio dei risultati, dei comportamenti ed atteggiamenti.

I punti salienti del piano di sviluppo-cliente sono : 

Fase di pre-contatto – Strategie di Marketing :

  • la segmentazione del mercato (capire gli “strati” e tipologie di clienti esistenti),
  • la scelta dei segmenti di mercato su cui operare,
  • la selezione di specifici prospects (clienti ad alto tasso di interesse),
  • lo scouting di tali clienti (ricercare, identificare),
  • l’analisi del tipo di priorità da dare ai diversi prospects.

Fase di contatto e vendita:

  • i primi contatti personali o mediati, nei quali superare le barriere in ingresso e iniziare a costruire la fiducia, sia interpersonale che aziendale;
  • le fasi empatiche, di analisi e ascolto della situazione del cliente,
  • lo sviluppo di una attività consulenziale e migliorativa dal punto di vista delle forniture di cui dispone,
  • la ricerca di soluzioni (Solutions Selling) su cui chiudere e concludere una trattativa.

Fase di post-vendita – Sviluppo personale :

  • il consolidamento del cliente,
  • il cross-selling (ampliamento del tipo di prodotti),
  • assicurarsi che sia soddisfatto, sino a portarlo ad essere un nostro sostenitore e partner vero.

La vendita consulenziale si differenzia dalla vendita tradizionale per l’alto grado di valore aggiunto generato dal venditore stesso. 

Il valore aggiunto consiste soprattutto:

  • nella localizzazione dei segmenti di mercato su cui agire;
  • nelle scelte di posizionamento: come vogliamo posizionarci e differenziarci rispetto ai tanti competitor?
  • nella capacità di ascolto praticato dal venditore nei riguardi del cliente, 
  • nella ricerca di soluzioni personalizzate, frutto di negoziazione;
  • nella consulenza d’acquisto;
  • nel contributo culturale che si porta al cliente;
  • nel problem-solving e post-vendita, in grado di portare il cliente dallo stato di cliente occasionale a cliente fidelizzato e sostenitore.

Il consulente offre al cliente aiuto con la propria attenzione focalizzata

La vendita consulenziale parte dalla volontà del venditore di divenire partecipe di un processo evolutivo del cliente, configurandosi quindi come una forma di consulenza di processo.

La vendita consulenziale si inserisce all’interno di una filosofia di marketing aziendale “centrata sul cliente”.

Come evidenzia Kotler:

Il concetto di marketing è emerso a metà degli anni ’50 e ha messo a dura prova i concetti precedenti. Invece di adottare una filosofia centrata sul prodotto, “produci-e-vendi”, si adotta una filosofia centrata sul cliente, “ascolta-e-rispondi”.[1]

Per poter dare concretezza a questa filosofia servono però venditori consulenziali all’altezza del compito e leader preparati.

I principi del CVBU : Caratteristiche, Vantaggi, Benefici, Unicità

I principi di marketing per la vendita consulenziale:

  1. dare priorità alla ricerca di una soluzione efficace e positiva per il cliente (vendita consulenziale);
  2. costruire piani di vendita strutturata anziché azioni di vendita “alla giornata”;
  3. agire tramite campagne anziché con azioni spot;
  4. formare i venditori e sviluppare il loro potenziale;
  5. assicurarsi che i venditori dispongano di una conoscenza perfetta delle reali motivazioni di valore su ogni elemento del value mix: quali sono le caratteristiche, i vantaggi, i benefici, le eventuali unicità (CVBU), della nostra offerta e come queste si declinano per il singolo cliente.

L’analisi CVBU si applica non solo al prodotto ma all’intero marketing mix, includendo almeno CVBU del prodotto/servizio, del pricing, della distribuzione e della comunicazione/informazione.

Al centro di ogni analisi CVBU si colloca il potenziale cliente. Nessun ciclo CVBU può svolgersi in astratto: la percezione di valore ha luogo solamente nella mente del cliente.

I cinque punti primari per inquadrare le attività di vendita

Secondo la metodologia dell’Action Line Management (ALM) va posta attenzione:

  1. agli scenari: cosa succede nella domanda, nella concorrenza, nelle tecnologie, in che ambiente mi muovo?
  2. alla missione e alla consapevolezza dei suoi confini (analisi esistenziale, domande esistenziali): a chi diamo risposte, chi siamo, cosa facciamo realmente, cosa un cliente deve sapere di noi, perché non serviamo alcuni clienti, chi serviamo e chi no, dove si collocano esattamente i confini della nostra missione; all’organizzazione: come ci organizziamo per dare corpo alla missione e alla nostra visione/aspirazioni;
  3. al marketing mix / value mix: consapevolezze dei prodotti/servizi, delle loro caratteristiche, e del valore intrinseco posseduto;
  4. alle linee di azione e tattiche personalizzate: come declinare la strategia cliente per cliente, quali “strategie di interazione” adottare;
  5. al front-line, ai momenti di contatto di ogni natura, ogni momento della verità in cui il sistema azienda impatta il cliente (e non solo il cliente, anche fornitori e altri portatori di interessi);

La visita mirata all’interno di un’azione commerciale

Una visita mirata si differenzia da una visita generica in base al grado di preparazione precedente la visita stessa. 

In una visita mirata, sono stati già esplorati a priori i possibili problemi, le possibili obiezioni primarie, gli ostacoli prevalenti alla conclusione di vendita. 

In una visita mirata, il venditore è pienamente consapevole del “cosa sto entrando a fare”, distinguendo tra:

  • valutare se esistono spazi per…
  • valutare se esistono le condizioni per…
  • approfondire la situazione del cliente riguardo ….
  • concludere una negoziazione avviata entro …
  • capire la serietà del cliente e le intenzioni reali di acquisto, offrendo le seguenti alternative e scadenze…

Una visita mirata si prefigge di comprendere lo scenario del cliente aggiungendo dati e informazioni a quelle già disponibili, per poi poter puntare ad una conclusione consulenziale favorevole, che riduca i costi psicologici di acquisto e faccia leva sugli aspetti motivazionali del bisogno sottostante del cliente.

Rendere mirata una visita significa quindi:

  • anticipare gli scenari aziendali e psicologici che possiamo fronteggiare: studiare il sistema-cliente prima di entrare, sulla base dei dati disponibili;
  • chiedersi quali dati servono ancora per poter offrire una soluzione realmente consulenziale (Information Gap Analysis), e preparare una scaletta di informazioni e punti di interesse da approfondire con il cliente stesso;
  • anticipare i livelli di possibile bisogno;
  • posizionare una tipologia di fornitura desiderata (target negoziale strategico): es: distinguere tra diventare fornitori ufficiali, fare un ordinativo di prova, e altri tipi di relazioni commerciali;
  • dare ampio spazio ai momenti di ascolto del cliente;
  • entrare soprattutto per ascoltare, dare enfasi alla fase di analisi ed ascolto.
  • concludere su ipotesi di possibile interesse e soppesare con il cliente valore differenziale di ciascuna;
  • porre il cliente di fronte alla responsabilità di prendere una decisione.

La partnership strategica e il comakership (fare assieme)

Lo sforzo consulenziale viene premiato non tanto da una singola vendita ma soprattutto dalla capacità di ingresso nel sistema cliente.

Una partnership strategica è l’obiettivo sottostante la vendita consulenziale.

La partnership strategica è caratterizzata da:

  • rapporto intenso,
  • co-progettazione,
  • ricerca e sviluppo svolta su ambiti di interesse comune (Joint Research & Development),
  • contatti frequenti,
  • studi congiunti sul mercato di destinazione.

La forza contrattuale e negoziale

La negoziazione competitiva richiede la creazione di forza contrattuale. 

La forza contrattuale dipende dal livello di unicità dell’offerta (o dalla mancanza di alternative valide o succedanee) e dal livello di bisogno esistente nella controparte, mediati dalle abilità comunicative.

Le competenze negoziali competitive richiedono training alla negoziazione e alla gestione delle mosse strategiche dell’interazione. 

In particolare, il training deve focalizzarsi :

  • sulla capacità di analisi dei segnali non verbali,
  • sul controllo dei propri segnali,
  • sugli stili comunicativi verbali,
  • sull’analisi transazionale del dialogo (AT),
  • sulle tecniche di convergenza verso il risultato e di gestione strategica dell’obiezione. 

Le tecniche negoziale divengono ancora più complesse quando le trattative avvengono tra gruppi (es.: gruppi di acquisto contro gruppi di vendita) poiché la dimensione comunicativa si allarga, richiedendo competenze nell’affiatamento tra i partner e coordinamento nelle mosse dell’interazione tra i membri dell’equipe[2]. Gestire la trattativa richiede preparazione e role-playing. Una singola parola può rovinare un incontro.

Principio 2 – Del potere contrattuale e negoziale

Il vantaggio competitivo dipende dalla forza contrattuale nella trattativa.

Per il venditore o proponente, la forza dipende:

  1. dall’unicità dell’offerta: un’offerta non comparabile con altre offerte ha più valore;
  2. dalla mancanza di alternative presenti o creabili : l’impossibilità di trovare con ragionevole sforzo soddisfazione altrove;
  3. dalla mancanza di beni succedanei (beni diversi che possono svolgere una funzione simile, es: treno al posto dell’aereo);
  4. dall’impellenza del bisogno nel destinatario: un bisogno importante genera minori freni e incertezze;
  5. dal prestigio di cui gode il proponente: un proponente credibile e prestigioso crea minori barriere legate alla valutazione a priori del partner;
  6. dalla forza dei fattori oggettivi dell’offerta: le caratteristiche della prestazione – la sua tecnologia, il servizio reale.

Ciascuna di queste leve anche se presente in misura elevata non si dispiega automaticamente ma richiede abilità di valorizzazione e comunicazione.

Il dispiego ottimale della forza contrattuale (per chi offre) si correla positivamente con il livello di competenze comunicative specifiche del negoziatore (abilità negoziale del venditore) e negativamente con le competenze dell’acquirente (abilità del buyer).

Possiamo riassumere i punti salienti di una strategia negoziale individuando tre specifiche Macro-fasi:

Fase di preparazione : Briefing, analisi a priori Role-playing, preparazione delle action lines

Fase di contatto : Ricerca dei canali di ingresso, Face-to-face, Mediato

Fase di debriefing : Debriefing osservazionale (dati+emozioni), Debriefing strategico

Tutte le fasi evidenziate sono critiche, e per ciascuna esistono strumenti e metodologie appropriate. 

La nostra attenzione sarà dedicata alla fase di contatto front-line, utilizzando soprattutto alcuni spunti metodologici offerti dalla Conversation Analysis (CA), o Analisi della conversazione (AC). 

Al centro di tutto, nel contatto umano, si colloca la capacità di ascolto, senza la quali gli sforzi precedenti per “entrare” in un sistema cliente diventerebbero vani.


[1] Kotler. Dal cap. 1 “La comprensione del processo di marketing management”, in “Il marketing secondo Kotler”

[2]  Vedi Goffman (1959) per l’analisi dei comportamenti pubblici delle equipe.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Conoscenza e consapevolezza del cliente

Nella vendita consulenziale è indispensabile acquisire la capacità di compiere diagnosi e analisi della controparte, il sistema complesso con il quale stiamo per interagire.

L’analisi è fondamentale per far emergere il sistema cliente in tutta la sua pienezza, anticipare i possibili rischi, e cogliere tutte le opportunità che esso racchiude.

Ecco i tratti principali della conoscenza del sistema-cliente:

  1. Chi sono loro – Con chi tratto
  2. Chi e cosa rappresentano
  3. Storia e network
  4. Missione e posizionamento
  5. Bisogni latenti (BSS), espressi e potenziali
  6. Livelli di arousal e stati emotivi – 
  7. Grado di “copertura” – Fornitori
  8. Sociogrammi decisionali
  9. Cultura e stili comunicazionali
  10. Potenziale economico e relazionale

Chi sono “loro” – Con chi tratto

In genere, l’”altro” – in termini commerciali e negoziali – è un soggetto pericoloso solo finché non lo si conosce bene. 

Larga parte dell’attività consulenziale – anche nella vendita – consiste esattamente nel conoscere l’”altro”, il sistema-cliente, le sue strutture, i suoi funzionamenti, i suoi bisogni dichiarati e quelli latenti. 

Questo significa ricercare sintomi e “segnali deboli”, capirne le finzioni e le realtà, svelarne le contraddizioni. Il teatro è maestro nella capacità di svelare le contraddizioni. Molte rappresentazioni giocano tutto il loro valore sullo smascheramento, sul meccanismo del “giù la maschera”, seguito spesso dal “vediamo cosa c’è realmente sotto la maschera”. 

Smascherare, e farlo delicatamente e artisticamente, senza urtare le difese psicologiche della controparte (o farlo solo come strategia e non involontariamente), è uno degli obiettivi della vendita consulenziale e della negoziazione. 

Nel teatro, la “rivelazione” o “smascheramento” è il momento in cui il grande avvocato da tutti temuto si dimostra cornuto, o incapace di educare il figlio che diventa paradossalmente un ladro. 

È il momento in cui tutta l’impalcatura drammaturgica crolla, è lo “strappo nel cielo di carta” del teatrino delle marionette ci cui ci parla Pirandello, il momento in cui il pubblico si accorge che è in corso una recita, il momento in cui siamo costretti a prendere atto che è in corso una rappresentazione scenica e non ci stanno esponendo una realtà ma una sua visione spesso distorta, lacunosa, artefatta. 

Basare una vendita su dati distorti, lacunosi, artefatti, incompleti, non è certo garanzia di successo.

Chi e cosa rappresentano

Ogni azienda è parte di qualche sistema politico o istituzionale, di un network evidente o latente, di qualche cultura o mondo, e “sta per” (rappresenta) qualcosa di altro. 

La scienza semiotica (scienza dello studio dei segni e dei sistemi di comunicazione simbolica) ci aiuta a far luce sui simbolismi che le aziende utilizzano ( lato denotativo ) e sui significati che assumono ( lato connotativo ). 

Conoscere il livello semiotico, capire il senso del “stare per” e del “significare qualcosa”, è indispensabile. Dobbiamo distinguere le rappresentazioni istituzionali dalle rappresentazioni di ruolo. Ogni negoziazione infatti subisce il problema della stratificazione dei ruoli, della molteplicità dei ruoli compresenti in un individuo, e della confusione su chi abbia veramente il potere decisionale.

Spesso dietro ai simboli di potere ostentato (uffici in centro, vestiti eleganti, siti web evoluti) si nasconde un vuoto e una misera colossale. Non dobbiamo prendere quindi per “veri” i segnali denotativi, ma prenderli solo come “indizi” di qualcosa che deve essere esplorato e convalidato.

Potremmo avere una trattativa con un buyer di un colosso industriale, che rappresenta la formalizzazione della burocrazia di acquisto, ma dal potere decisionale nullo, oppure un colloquio con un personaggio apparentemente secondario ma che in realtà rappresenta la famiglia che detiene il controllo azionario, e funge da gatekeeper (controlla il “cancello” di alcuni rami di potere aziendale) – un vero decisore e influenzatore. 

Nulla deve essere dato per scontato.

Storia e network

La storia di un’azienda è fondamentale per capire le sue evoluzioni attuali. Una delle attività essenziali del venditore consulenziale e negoziatore di alto livello, è lo studio della storia del cliente o controparte, i suoi cambiamenti epocali e i micro-mutamenti che si trova a subire a causa della concorrenza, della tecnologia, della legislazione e dell’ambiente. 

Chi comanda adesso, chi comandava prima, e perché chi comanda adesso è nella condizione di farlo. In che posizione del suo ciclo storico è un certo decisore? È in fase di declino e sta per lasciare l’azienda o è una new-entry nel ruolo e ha bisogno di dimostrare la sua capacità?

Fare vendita consulenziale significa entrare nei processi del cliente, fare “consulenza di processo”[1] nella vendita significa capire la traiettoria del cliente (passato, presente, ipotesi di possibili futuri) e inserirsi come elemento utile. 

Il network riguarda le reti di rapporti in cui è inserita l’azienda, ad esempio – se trattiamo con la grande distribuzione – dobbiamo sapere se stiamo trattando con una grande cooperativa legata al settore della “cooperazione bianca” di ispirazione cattolica, o se essa si riconosce ed è inserita nell’area della “cooperazione rossa” di sinistra, o se invece appartiene ad aree conservatrici, o altri network industriali o politici. 

I profili di appartenenza ai network creano profondi vincoli sulle scelte, soprattutto vincoli politici, mentali, ideologici e influenzano la decisione dei partner e fornitori cui affidarsi. 

È sbagliato basare una vendita consulenziale sulla sola pura politica o appartenenza ad un network, ma dimenticare questo dato può creare gaffe ed errori conversazionali, conoscerlo invece permette di anticipare alcuni meccanismi di funzionamento del cliente (anticipare, non certo prevedere esattamente). 

Nessun ragionamento euristico (stereotipi di ragionamento, es: è cattolico quindi….) deve essere preso come assoluto e dato per scontato. 

Missione e posizionamento

La missione rappresenta “cosa fai per chi”e “a chi sei utile e per cosa” e non va confusa con l’obiettivo economico del vendere e guadagnare. 

Il ragionamento sulla missione è intriso, nella mente di molti manager, di un costante fraintendimento tra (1) ottenere risultati aziendali per sè (vendere, guadagnare), e (2) portare risultati ai clienti, avviare “relazioni di aiuto”.

Il senso vero della missione è portare risultati ai clienti, e questo è l’unico motore vero delle vendite, è ciò che le rende possibile.

Per poter vendere, nel B2B (vendita da impresa ad impresa) dobbiamo capire come la nostra soluzione può aiutare ad aumentare il valore complessivo che il cliente può offrire ai propri clienti. Dobbiamo ancora una volta entrare nei processi e capire la catena del valore dell’impresa cliente.

Anche nel negoziare, dobbiamo capire se le nostre proposte o soluzioni aiutano la controparte a risolvere un suo problema e non solo un nostro problema.

Dobbiamo capire se e dove i nostri flussi di valore possono avere impatto sui flussi di valore che il nostro cliente potrà portare ai propri clienti o interlocutori-chiave. 

Se uno dei nostri vantaggi competitivi ipotizzati è il tempo di consegna rapido (elemento del marketing mix), non è detto che esso sia anche un elemento del value mix (il mix di valore effettivo percepito dal cliente). 

Il tempo di consegna rapido può impattare positivamente i tempi di consegna del cliente ai propri clienti? Gli è stato richiesto? O è abbastanza marginale? 

Nessuna risposta che vale per un cliente vale automaticamente anche per un altro.

È importante per il cliente ottenere miglioramenti sui tempi di consegna? Se si, abbiamo una carta da giocare, se no (e non vi sono altri fattori organizzativi da considerare) si tratta di un vantaggio inutile, puramente autoreferenziale (un puro parlarsi addosso, vuoto, improduttivo).

Centrare la missione del cliente e il suo posizionamento ci aiuta a negoziare per creare il successo del cliente negoziale, ancora prima del nostro.

Se riusciamo a diventare un elemento del successo del cliente, il nostro successo sarà una semplice conseguenza.

I bisogni possono essere espressi e formalizzati, oppure latenti e non pronunziati, per numerosi motivi (desiderio di coprire informazioni, bisogno di gestire l’immagine pubblica, di non rivelare debolezze). 

Bisogni espressi, latenti (BSS), e bisogni potenziali.

I bisogni latenti partono dalla radice del Bisogno Sottostante Servito (BSS) del cliente. I desideri di acquisto di un cliente possono essere portati sul tavolo della negoziazione, oppure rimanere latenti, o ancora stare nel non detto

I bisogni latenti sono diversi dai bisogni potenziali in quanto un bisogno potenziale non è allo stato di consapevolezza nel cliente, si tratta di qualcosa di non ancora pensato nemmeno dal cliente.

Un BSS rappresenta la motivazione sottostante l’acquisto. Esempio: compriamo un PC portatile per soddisfare l’esigenza di scrivere o analizzare dati, e farlo anche potendosi spostare. Vogliamo una videocamera per poter fissare ricordi e momenti. Qualsiasi tecnologia ci aiuti a “fissare ricordi e momenti” per poterli rivedere in seguito, copre il BSS, e quindi è essenziale concentrarsi sul bisogno e non solo sul prodotto.

  1.  Quali sono i veri bisogni del cliente? Li abbiamo capiti davvero?
  2. Quanto bene sta risolvendo il prodotto le esigenze di base per cui viene acquistato? E’ una soluzione già ottimale, o si può fare di meglio?
  3. Quali spazi scoperti e margini di miglioramento rimangono? 
  4. Come evolve la domanda e quali nuove caratteristiche possono costituire fattori di successo? Le aspettative e attese crescono, e in che direzione? 
  5. Quali trend di scenario hanno il potenziale di incidere sul nostro futuro, e cosa faremo per utilizzare i trend anziché esserne sommersi?

Livelli di arousal e stati emotivi

L’analisi motivazionale del cliente ci porta a chiederci perché è in corso un tipo di bisogno e se possiamo rispondervi, o se possiamo stimolare un bisogno nel caso siamo convinti di poter portare un beneficio al cliente. 

L’analisi emotiva ci porta ad interessarci del quanto forte è un livello di bisogno, quali emozioni si associano nel cliente a questo bisogno (ansia, tristezza, gioia, aspettativa, disagio nel parlarne, gioia del parlarne, e altri stati emotivi). 

L’arousal è l’attivazione del cliente, il suo grado di “agitazione interiore”, la tensione sottostante il bisogno. Ad esempio, può esistere un bisogno disperato ma questa urgenza viene mascherata (ancora una volta teatralmente) come semplice curiosità.

Grado di “copertura” – Fornitori

Quanto risulta “coperto” un cliente dai fornitori che ha già? La nostra controparte ha già qualcuno che sia in grado di coprire le esigenze? Qualcuno che possa dare risposte a bisogni sentiti o emergenti? 

L’analisi diventa interessante soprattutto sui bisogni non ancora espressi o sui bisogni potenziali e futuri, che ancora non si sono manifestati ma presto potrebbero farlo.

Capire su quali piani e bisogni un cliente è “scoperto” o ha poco margine di sicurezza nei fornitori attuali è un’acquisizione informativa essenziale.

Sociogrammi decisionali

Con chi trattare? Per saperlo, è necessario capire gli influenzatori del processo di acquisto, chi è con e chi è contro, chi è neutro, chi gioca su un tavolo aperto e chi gioca “sotto il tavolo”. Capire quali sono le relazioni e i giochi di potere, i rapporti di forza nella controparte, è un elemento chiave.

Nelle vendite e nelle negoziazioni complesse è essenziale riuscire a risalire la catena decisionale, arrivando al top delle organizzazioni. Occorre arrivare ai livelli decisionali che contano, e farlo per gradi o direttamente, a seconda di quanto “schermati” e filtrati siano questi livelli.

È anche importante riuscire a presidiare diversi livelli organizzativi (uscire dal solo settore acquisti, parlare anche con il marketing, con le vendite, con l’amministrazione o con l’area produzione e con l’area qualità), per iniziare a creare un consenso allargato verso la nostra azienda e la nostra proposta.

Questa attività di relationship building è essenziale per creare basi solide nel sistema-cliente.

Cultura e stili comunicazionali

Quali regole vigono in azienda e nel cliente, quali valori, simboli, abitudini, modi di essere, stili di gestione, stili di comportamento e comunicazione. Anche in questo caso valgono le regole di riconoscimento, per capire quale stile è attivo tra le tante possibilità.

Potenziale economico e relazionale

Da un’analisi complessiva dei dati, possiamo ricavare il potenziale del cliente. L’analisi comprende il potenziale economico degli acquisti, i volumi attuali e futuri, il tipo di rapporto avviabile, i rientri materiali e immateriali che possono arrivare da questo rapporto.

Dovremo quindi valutare attentamente alcuni aspetti indispensabili, come le caratteristiche del cliente (dimensioni, fatturato, settore), i costi logistici di ingresso (cliente comodo da raggiungere e servire), quante e quali risorse sarà necessario dedicargli, i termini e le modalità di pagamento, ed ancora, se è un cliente che offre buone prospettive (dirette o indirette) per espandere i nostri contatti, un cliente dal buon potenziale economico, dove praticare prezzi remunerativi con la possibilità di sviluppare margini adeguati.

Pertanto il nostro interesse per questo tipo di cliente (valore d’immagine e relazionale), non dipende solo dai fatturati generabili, ma dall’immagine che ne deriva, dalla possibilità di ingresso in aree di mercato nuove o interessanti e diversi altri fattori intangibili.

Per ciascuna “falla” o segnale dovremo valutare se e come muoverci.


[1] Vedi Schein, E. (2001). La consulenza di processo. Come costruire le relazioni d’aiuto e promuovere lo sviluppo organizzativo. Milano, Raffaello Cortina Editore

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Stili di comunicazione e relazione

Ognuno di noi comunica con un certo stile. È importante:

  • riconoscere con quale stile comunichiamo;
  • saper flessibilizzare lo stile per potersi relazionare ad interlocutori diversificati

Esempi di stili comunicativi, con parole tipiche dello stile:

  • Intellettuale – parallelismo, canovaccio, piattaforma progettuale.
  • Dinamico – veloce, rapido, risultato, obiettivi, vincere.
  • Aggressivo – ha capito? Non so se sono stato chiaro? Mi sta seguendo? Qui c’è troppa gente che cazzeggia, non abbiamo tempo da perdere. È ora di concludere, adesso!
  • Sottomesso – se lei vuole, se preferisce, come lei desidera, se non disturbo, facciamo quello che vuole lei, non c’è problema, siamo molto flessibili su tutto.
  • Rustico/volgare – ma và, non rompere i coglioni,  sono tutte seghe, ve la tirate troppo, è ora che ci diamo una mossa.
  • Politicante – bisogna valutare, si tratta di ricercare un compromesso, dobbiamo trovare delle sinergie, serve una piattaforma programmatica, è necessario un confronto di visioni.
  • Anglo-manageriale – il breakeven point, il marketing mix, la supply chain, la customer loyalty, è una questione di customer satisfaction, dobbiamo fare qualcosina sul cross-selling, anche in relazione alla gantizzazione del progetto.
  • Ottimista – è una bella opportunità, ci sono forti possibilità, è un progetto bellissimo, sento che le cose andranno veramente bene, sono sicuro che ce la faremo. 
  • Pessimista – non si può fare, è difficile, non ce la possiamo fare, ci sono troppe incognite, è un mondo difficile, non lo hanno mai fatto altri, è troppo nuovo, non lo conosco, non mi fido.
  • Concreto: scadenze, fissare, concludere, concretizzare, definire, inquadrare, arrivare a stringere, non perdere tempo, non perdiamo tempo, andiamo al sodo, badiamo ai risultati.

…ogni altro stile identificabile nel panorama sociale circostante.

Ognuno di noi comunica con un certo stile. È importante per la vendita consulenziale e la negoziazione saper riconoscere gli stili altrui e capire con quale stile rispondere.

Caratteristiche

Conoscere bene le caratteristiche dei prodotti e dei servizi, conoscerle a fondo e nei dettagli.

La conoscenza delle caratteristiche di prodotto, o delle caratteristiche del progetto che stiamo esaminando, è conseguibile attraverso lo studio, il confronto con esperti, e soprattutto attraverso metodi che permettano di metterla alla prova, come il role-playing.

Sessioni di domanda-risposta possono aiutare molto a mettere alla prova la conoscenza del prodotto.

Per una società di formazione, il direttore potrebbe dire ai propri consulenti: fammi vedere come spieghi ad un cliente la differenza tra coaching, training, counseling, e un workshop. Fammi vedere cosa risponderesti se un cliente ti chiede che differenza c’è.

Vantaggi

Conoscere i vantaggi competitivi significa sapere quali plus abbiamo rispetto alla concorrenza, e come questi vantaggi diventano utili, si trasformano in benefici tangibili o percepibili per un cliente o utilizzatore.

I vantaggi possono essere sia competitivi (riferiti a possibili alternative della concorrenza: in cosa siamo migliori rispetto ad altri) o vantaggi assoluti, riferiti al beneficio che ne può trarre il fruitore (che aiuto e vantaggi hanno le nostre proposte o soluzioni).

Benefici e relazione tra benefici ipotizzati e bisogni reali

Che benefici può trarre un cliente dalle nostre caratteristiche, dai nostri vantaggi competitivi?

I benefici riguardano una molteplice sfera di bisogni, sui quali dovremmo fare grande chiarezza. Spesso i benefici ipotizzati sono altamente distanti dai bisogni reali, che possono riguardare aree come:

  • il bisogno di risparmiare e liberare risorse per altri progetti;
  • il bisogno di sicurezza, garanzie, affidabilità;
  • il bisogno di efficienza, e di strumenti che la rendono possibile;
  • il bisogno di immagine, la necessità di poter esibire qualcosa ai propri interlocutori esterni, clienti o referenti politici;
  • il bisogno di azione, la necessità di poter dire ai propri interlocutori esterni, clienti o referenti politici, che si sta facendo qualcosa;
  • il bisogno autorealizzativo, diventare il massimo di ciò che si può essere, raggiungere il proprio potenziale, o un proprio sogno, sviluppare un proprio ideale.

I benefici non si collegano automaticamente alle caratteristiche dei prodotti, servizi o idee, ma diventano tali solo quando si realizza una connessione mentale tra caratteristica e bisogno.

Unicità e distintività

In quali elementi di prodotto o di servizio riusciamo ad essere unici, ineguagliabili? In quali punti di forza si concentra la nostra unicità? Cosa possiamo fare solo noi così, avere solo noi, o “essere” solo noi?

In cosa si caratterizza la nostra distintività? Nella certezza della parola data? Nei tempi di consegna? In qualche brevetto? Nelle relazioni umane? Nella capacità di analisi? Nella capacità di vendere fiducia? Nell’essere i leader di mercato per ricerca e sviluppo? O nell’essere i leader di costo? O di convenienza? O in quali altri campi? 

In altre parole, in cosa vogliamo essere percepiti come “diversi” per uscire dalla massa indistinta dei possibili fornitori?

Il nostro valore, il valore reale e il valore percettivo

Da dove deriva il nostro valore? Essenzialmente, dalla capacità di offrire benefici, soluzioni, e dare risposte ad esigenze sentite. Il valore può provenire anche dall’insieme delle caratteristiche di credibilità personale, di credibilità aziendale, sommato alle caratteristiche, vantaggi, benefici e unicità del mix di offerta aziendale, dei suoi prodotti/servizi, sistemi di prezzo, logistica, distribuzione, informazione, e customer care

Il valore reale (osservato dal punto di vista del venditore) è spesso diverso dal valore percettivo visto dal cliente. Il cliente può solo intuire e cogliere solo in parte, da pochi elementi di contatto, una realtà complessa. 

Il valore può essere amplificato o invece “ucciso” da poche informazioni o da dettagli apparentemente insignificanti che distruggono la fiducia (distrust signals, segnali di sfiducia). 

Una delle missioni fondamentali del venditore e del negoziatore è far emergere il valore e costruire il clima di fiducia ed emettere i segnali generatori di fiducia (trust signals) che permettono alla relazione di avanzare.

Trasmettere il concetto di cui si è portatori, e interessarsi al processo del cliente

Ogni venditore porta con sè stesso un’immagine di sè (self image) e una immagine della propria azienda (corporate image). Queste realtà percettive emergono in ogni interazione, che egli ne sia consapevole o meno. 

Egli porta con sè anche l’immagine che possiede della propria azienda, i suoi limiti, i suoi punti di forza, ne definisce una immagine mentale: “azienda tradizionalista” “azienda tecnologica” “boutique”, oppure “discount” – non importa di quale settore merceologico si stia parlando.

Vendere i prodotti di un’impresa non significa esporre semplicemente il suo catalogo prodotti. Significa soprattutto vendere il “concetto” che l’azienda rappresenta. 

Ad esempio, un venditore BMW dovrebbe sapere che in qualsiasi trattativa di vendita sta rappresentando non solo un insieme di bulloni, ruote e lamiere, ma soprattutto il concetto di un’auto prestigiosa, tedesca, solida, sportiva, un punto di arrivo

Sulla negoziazione politica o progettuale, troviamo un parallelo. Avere come partner un paese come la Germania in un progetto significa far entrare nel progetto un senso di “ordine” e di “tecnologia”, avere l’Italia può significare far entrare il concetto di “creatività”, ma anche connotazioni negative come “confusione” per l’Italia, o “rigidità” per la Germania.

Ogni negoziatore deve sapere quali immagini mentali porta con sè e quali sono associate al proprio sistema di appartenenza.

Identificarsi come un “punto di arrivo”

Chi entra in negoziazione vedendosi come una “seconda scelta” inevitabilmente trasmette questo concetto alla controparte. 

Identificarsi come un punto di arrivo è importante per creare un senso di autostima e sicurezza che emergerà nella trattativa. Questo è reso possibile solo da un grande lavoro sulla consapevolezza di sè e dei punti di forza aziendali.

Vendere un “punto di arrivo” è ben diverso dal vendere un insieme di parti meccaniche o pezzi di servizio.

La scena si complica se consideriamo che il cliente ha una propria percezione di cosa sia un “punto di arrivo” e questa può essere diversa dalla nostra.

Entra qui in scena la “psicologia della comprensione del cliente”, il desiderio forte di entrare nel suo mondo, alimentato da curiosità, volontà di capire, desiderio di non fermarsi alla superficie.

Per vendere un concetto assimilabile ad un “punto di arrivo” bisogna sapere quale è il punto di partenza, cioè da quale situazione parte il cliente, e perché egli aspira ad un diverso punto di arrivo. 

Dobbiamo chiederci se e perché il cliente è contento della situazione che in quel momento ha o vive, cosa desidera cambiare, in quali termini desidera evolvere, e cosa lo frena. In altre parole, dobbiamo interessarci del processo del cliente (entrare nei processi). Solo in questo modo la vendita potrà diventare consulenziale e trovare le migliori opzioni che permettono di concretizzare un risultato aziendale. 

Fare questo, significa applicare alla vendita i metodi della “Consulenza di Processo”, ovvero far convergere vendita e consulenza in un unico metodo di vendita consulenziale.

Passare dall’interesse generico alle pratiche conversazionali che lo rendono concreto

Tutti condividono a parole e in teoria un generico senso di “attenzione verso il cliente” ma pochi lo sanno tradurre in pratiche conversazionali e azione. 

Nei “momenti della verità”, in una vera negoziazione di vendita con un vero cliente, possiamo osservare e misurare se i concetti diventano realtà conversazionale, se cioè il venditore riesce a tradurre i concetti di “centratura sul cliente” in vere domande, in riformulazioni, in esplorazione, ricentraggio degli argomenti di conversazione. 

Dobbiamo analizzare se egli sa cogliere i depistaggi, o i tentativi di esproprialo del suo ruolo consulenziale. Dobbiamo accorgerci, se siamo Direttori Vendite o coach di vendita, se il venditore ha vere capacità di fare domande centrali e fare analisi – o se invece si disinteressa del processo del cliente, non pone domande, non cerca di capirlo veramente, non esplora il suo “mondo” e le sue evoluzioni, e lascia che sia il cliente a decidere quale ruolo egli deve giocare.

Un altro esempio sul tema del “vendere un concetto” prima ancora di un prodotto. L’esempio questa volta è semi-autobiografico, poiché tratta di un mercato, quello della formazione e del coaching, nel quale viviamo ogni giorno. 

Chi opera con o per il nostro Studio, ad esempio, deve essere ben consapevole del fatto che fare consulenza e formazione significa applicare dei modelli scientifici e non essere dei ciarlatani improvvisati. Un consulente o formatore può essere interprete, anche ottimo, di teorie e modelli elaborati da altri autori, oppure può diventare contemporaneamente autore e ricercatore se ha adeguate capacità. 

Nel nostro studio abbiamo svolto un grande sforzo di ricerca per produrre (generare, creare) numerosi modelli proprietari, prodotti formativi e consulenziali nuovi, integrandoli in paradigmi evoluti per lo sviluppo personale e organizzativo. Tra questi modelli troviamo il Metodo Action Line Management (ALM) ™, le Regie di Cambiamento™ per la formazione avanzata, il Deep Coaching Protocol™ per lo sviluppo personale, e creando inoltre il metodo HPM™ (Human Performance Modeling) per lo sviluppo del potenziale personale.

Chi opera con il nostro Studio deve quindi sapere che per i suoi servizi di formazione il cliente troverà un mondo di unicità, di modelli proprietari che altri non hanno. Questo permette al cliente di ottenere formazione consulenziale con tecniche nuove e proprietarie, anticipare di anni quello che uscirà sul mercato “per tutti” ed avere un vantaggio competitivo, scoprire tecniche uniche create dalla ricerca attuata direttamente dallo Studio, avere a disposizione modelli non reperibili altrove. 

Una consulenza o training centrata sul cliente e sul suo processo deve essere distanziata dal concetto di “corsificio” e questo significa saperlo comunicare, per chi opera dal lato dello Studio. 

Lo stesso problema e obiettivo, capire le unicità, vale per ogni azienda di prodotti o servizi.

La conoscenza che deve possedere chi opera per un’impresa non può essere superficiale. In generale, chi rappresenta una realtà deve essere consapevole di quale realtà rappresenta, quali potenziali porta con se.

Una rappresentazione di sè distorta, o lacunosa, emerge inevitabilmente in ogni “momento della verità” e in ogni vendita che aspira ad essere consulenziale. 

Le tecniche conversazionali

Cosa significa “tecnica conversazionale”? Dobbiamo innanzitutto capire che una interazione di vendita e una negoziazione sono basate – nel face to face – su specifici meccanismi della conversazione. Tra questi:

  • la gestione dei turni di conversazione (turn management)
  • il ricentraggio degli argomenti di conversazione
  • le tecniche di “ammorbidimento” delle relazioni (repair)
  • la produzione di domande (dare ascolto), opposta alla produzione di emissioni persuasive o informative (ottenere ascolto).

Riuscire a bilanciare il flusso che esiste tra dare ascolto e ottenere ascolto (balancing) è una precisa tecnica conversazionale.

Nella vendita classica il conflitto è “per parlare” e lo scopo è parlare più dell’altro o sovrastarlo con le proprie argomentazioni. 

Nella vendita consulenziale troviamo il gioco opposto, il gioco diventa “chi fa parlare di più l’altro”, e lo scopo strategico è indurre il cliente in uno stato di “apertura” per poter ottenere le informazioni indispensabili a costruire un pacchetto consulenziale o di offerta. 

Ottenere uno stato di apertura significa aprire sempre più il “flusso empatico” – il flusso di attenzione verso l’interlocutore che lo porta a fare delle aperture (disclosure), a dischiudere le proprie informazioni o posizioni. Tale tecnica è denominata nel nostro metodo Info-Bleeding (trasudazione informativa) e permette di ottenere informazioni indispensabili a rifinire la strategia e formularla.

Questo risultato richiede precise tecniche conversazionali, che nel nostro metodo assorbiamo dalle scienze di Analisi della Conversazione (Conversation Analysis), dalle tecniche di intervista degli informatori (Humint), dalle tecniche di intervista clinica in psicoterapia, e da altre fonti scientifiche, non ultime le tecniche utilizzate nelle investigazioni, opportunamente adattate al fatto di non volere in nessun modo creare una sensazione di “interrogatorio”.

Dietro ad ogni incontro tra realtà personali (incontro tra persone) e tra realtà aziendali (incontro tra aziende) esistono enormi potenziali da esplorare e questa consapevolezza alimenta chiunque non si accontenta della superficie, in ogni manifestazione dell’essere umano e della conoscenza umana.

La consapevolezza di sè (self-awareness) include il “come io comunico”, l’analisi di “qual è il mio stile conversazionale in una negoziazione”, ed è il tratto più importante della capacità di vendita, poiché in ogni vendita una persona porta con sè “se stesso”, i propri limiti, i propri principi morali e le sue esperienze ed abilità pratiche.

Le caratteristiche dell’azienda cliente e del sistema cliente – in senso più generale – sono estremamente importanti, ma (senza sminuirle) di minore importanza strategica rispetto alla costruzione di una buona conoscenza di sè e della propria azienda, poiché questo “lavoro” viene riutilizzato in ogni relazione di vendita, mentre lo studio di un cliente specifico è un investimento essenziale ma che trova rientro in una sola ed unica relazione di vendita. 

La consapevolezza dell’istituzione che rappresentiamo, delle sue persone, dei suoi confini, delle sue forze e debolezze, è un anello forte della vendita consulenziale che ci accompagna in ogni trattativa, ma esso non verrà mai valorizzato se non è sostenuto dallo sviluppo delle proprie competenze comunicative.


Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategie di comunicazione e marketing. Un metodo in 12 punti per campagne di comunicazione persuasiva”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Analisi dei costi / benefici intangibili di comunicazione

La activation research qualitativa strutturata nel metodo ALM, si occupa di:

valutare quanto tempo il management dedica alle attività di comunicazione (costi manageriali) e con che risultati;

  • valutare quanto tempo il management dedica a singole iniziative di comunicazione e con che risultati, per identificare dissonanze in termini di efficienza ed efficacia gestionale;
  • scoprire aree di interesse comunicativo che non ottengono sufficiente attenzione da parte del management;
  • scoprire progetti di comunicazione che assorbono tempo manageriale e costo/tempo strutturale (il tempo e le risorse dell’azienda) superiore ai ritorni pratici.

Sono numerosi i casi in cui l’intero management o manager chiave si “innamorano” di progetti aziendali che non hanno però riscontri, e finiscono per assorbire completamente il tempo manageriale, oppure ancora ne assorbono troppo rispetto ai risultati che producono. Questa analisi permette di affrontare il fenomeno con metodo e rigore scientifico.

È limitativo ed errato misurare l’efficacia della comunicazione solo in termini di vendite generate nel brevissimo periodo. Prima che accadano comportamenti di acquisto devono prodursi – nella mente del cliente – altri avvenimenti psicologici che costituiscono il presupposto del successo comunicativo. 

Dobbiamo quindi :

  1. misurare con rigore anche il raggiungimento di questi pre-obiettivi
  2. creare le condizioni affinché gli obiettivi di vendita possano essere raggiunti.

L’investimento comunicativo è efficace quando accresce il grado di conoscenza del marchio o del prodotto (risultato importante), o quando modifica l’atteggiamento verso l’impresa (altro risultato importante), senza che nel giorno stesso si debbano produrre risultati di vendita istantanei. 

coltivare

I risultati devono certo accadere, ma non dobbiamo incorrere nell’errore di misurarli nel momento sbagliato, e tralasciare altri risultati essenziali. 

Con una metafora agreste, stiamo seminando il terreno, stiamo irrigando il raccolto, stiamo togliendo le erbacce, o stiamo raccogliendo i frutti già maturi? 

La comunicazione che ricerca i frutti già maturi (i clienti pronti all’acquisto) ma non si preoccupa di creare le condizioni (dissodare il terreno, coltivarlo, irrigarlo, ripulirlo) otterrà ben poco dal mercato. 

La cultura della comunicazione aziendale deve occuparsi di tutti i diversi livelli: dal creare le condizioni per la vendita, al coltivare le condizioni di vendita tramite comunicazione relazionale, al raccogliere i risultati tramite comunicazioni orientate alla “chiusura negoziale”. 

L’approccio coltivativo richiede l’utilizzo di più canali, anche diversi (dal telemarketing sino alle forme antiche come la pubblicità postale o i volantini, per concludersi con la negoziazione B2B, e ogni altro canale opportuno, attuale e futuro), senza preclusioni di sorta. Un ingrediente importante del successo è la cura dei propri strumenti di coltivazione del cliente. 

coltivare

Quando l’agricoltore semina con cura, andrà a raccogliere con altrettanta cura, e quindi farà manutenzione alle macchine per la raccolta. Se il manager non fa manutenzione tramite formazione alle risorse umane (venditori e comunicatori front-line) che andranno a raccogliere i frutti della comunicazione, otterrà una raccolta estremamente inefficiente. E in più avrà sprecato le risorse precedenti.

Ecco quindi che aree diverse, dalla comunicazione alla formazione, si fondono per giungere al risultato aziendale di vendita che rappresenta l’obiettivo finale, con la consapevolezza che dobbiamo creare le condizioni per essere persuasivi ancora prima di essere giunti sul luogo di vendita.

Coltivazione comunicativa

Per spiegare meglio il concetto di coltivazione comunicativa, ricorriamo ad un modello estremamente basilare degli effetti comunicativi, il modello A.I.D.A. (Attenzione – Interesse – Desiderio – Azione). 

Il modello A.I.D.A. espone un fenomeno semplice: prima di ottenere azione (esempio, un acquisto), deve nascere un desiderio d’acquisto, una pulsione. 

Affinché nasca una pulsione, il cliente deve provare interesse verso il prodotto/servizio, deve percepirvi valore. Ma perché il cliente percepisca valore, è necessario che egli sia esposto ad uno o più messaggi da cui ricevere ed elaborare dati e informazioni. 

Senza questo passaggio minimo la catena di eventi non avrebbe luogo e nessun effetto si produrrebbe.

Questo modello semplice è utile per divulgare un concetto: 

  • se una campagna di comunicazione crea attenzione, questo è un primo risultato, 
  • se crea interesse è un ulteriore risultato, 
  • se si crea desiderio, questo è un risultato. 
  • Il comportamento, l’azione, non avvengono se prima non otteniamo le condizioni basilari e minime affinché esso si manifesti.
pulsione

Ogni passo in avanti nella sequenza persuasiva è un risultato importante, poiché la persuasione non accade “per magia” ma grazie ad una serie di azioni comunicative di qualità.

Ecco quindi che la activation research deve occuparsi anche di quanto una campagna di comunicazione accresce la conoscenza del marchio, quanto modifica o accresce la percezione di immagine aziendale o di un gruppo sociale, l’atteggiamento verso il prodotto, quanto incide inoltre sulla sensibilizzazione del cliente e sull’apertura di nuovi budget mentali, cioè di tutti i precursori dell’atto di acquisto.

La comunicazione come processo difficilmente ottiene tutti i risultati con un solo messaggio. Solo una continuità nella comunicazione, una “coltivazione del cliente”, permette di ottenere risultati certi.

È necessario analizzare:

  • la Frame-Activation: i risultati prodotti sa un singolo frame comunicativo, o singolo evento/iniziativa;
  • la Total-Activation: i risultati prodotti dall’intera catena di frames comunicativi.

Nel metodo ALM, l’Activation Research Coltivazionale (A.R.C.) si occupa di capire quali sequenze di eventi comunicativi ottimizzano il risultato finale.

È necessario divenire consapevoli che ogni media possiede peculiarità diverse, e ad un media o modalità di comunicazione non dobbiamo chiedere ciò che non sa fare. 

Non pretendiamo da una pubblicità postale che esso produca l’effetto finale (conclusione della trattativa) per un prodotto ad alto valore: non lo farà. Per ogni media esistono obiettivi specifici: non commettiamo l’errore di mandare un’email a negoziare per noi, a concludere una vendita difficile, non ne sarà in grado. Chiediamo ad ogni media ciò che il media può dare. 

Chi misura unicamente le azioni di breve periodo (risultati immediati) compie un grave errore, così come chi misura unicamente le variazioni psicologiche senza preoccuparsi dei risultati tangibili. 

Risultati intangibili della comunicazione si manifestano chiaramente quando essa riesce ad eliminare condizioni di scarsa credibilità che impedirebbero acquisti dai clienti. 

Poniamo il caso di una società di consulenza che non abbia un sito web. La sola assenza del sito produce un danno d’immagine, molti clienti potenziali la scarterebbero a priori. È quindi sbagliato chiedersi solo “quanti clienti nuovi ha generato un investimento sul web” senza chiedersi “quanti clienti mi ha permesso di non perdere”. Se la presenza del sito ha permesso di condurre una trattativa con maggiore sicurezza, questo effetto di comunicazione deve essere considerato tra i benefici produttivi di “condizioni positive di vendita”.

I mercati nel contesto competitivo odierno premiano solo chi si adopera con costanza, intelligenza, e impiega le proprie risorse investendo in un mix adeguato di formazione e comunicazione. 

Sono finiti i tempi in cui bastava lanciare un prodotto per ottenere vendite e profitti. Chi semina oggi un campo non arato, non irrigato, non concimato, sta sprecando semi. L’approccio alla coltivazione del cliente rende attuale un antico modo di essere: essere seri, essere affidabili, essere credibili. E farlo con applicazione, impegno, costanza, rigore, volontà, e soprattutto continuità.

Servono obiettivi chiari per misurare le cose giuste. Focusing e Consulenza di Processo aiutano a definirli

La activation research può misurare gli effetti dell’investimento in comunicazione, formazione e marketing, i suoi ritorni, i suoi costi, i suoi benefici pratici così come quelli intangibili. Tuttavia, poniamoci una domanda: se non abbiamo chiarito esattamente gli obiettivi a priori, cosa misuriamo?

La sindrome del misurare per misurare è alta e potente.

Ogni azienda dovrebbe invece fare almeno 2 “ritiri” all’anno di Focusing, focalizzazione degli obiettivi, e dopo, solo dopo, iniziare a misurare.

Quasi sempre, dopo un ritiro di focusing, gli obiettivi che misuriamo cambiano, le variabili che ci interessano cambiano.

cambiamento

Ad esempio, al di la delle letture di una pagina web (impressions), potrebbe interessarti di più chi si iscrive ad un tuo notiziario personalizzato.

Una scarsa precisione dell’obiettivo di comunicazione produce sempre campagne e sforzi improduttivi. 

Il primo compito del consulente di comunicazione è quello di aiutare il cliente a focalizzare l’obiettivo, adottando un approccio di consulenza di processo[1].

Il compito del cliente è quello di partecipare attivamente alla definizione di obiettivi misurabili, assumendosi una quota di responsabilità e di impegno. 

Il manager o amministratore può delegare l’esecuzione di un obiettivo, ma è indispensabile che egli partecipare alla sua definizione.

Partecipare alla comunicazione, formazione e marketing significa realizzare un primo e importantissimo step di consulenza per chiarificare: 

  • cosa stiamo cercando
  • quali sono le variabili sulle quali vogliamo intervenire tramite la comunicazione, la formazione o il marketing
  • in quali tempi intervenire
  • in quali luoghi intervenire
  • su quali clienti o soggetti intervenire
  • con quale gamma di metodologie intervenire – mix di metodologie
  • come misureremo il risultato.

Una definizione così precisa degli obiettivi richiede tempo manageriale elevato e competenze specialistiche in marketing e comunicazione. 

L’importanza del ruolo consulenziale è qui determinante. Qualora il cliente dei servizi di comunicazione sia in grado di strutturare gli obiettivi chiaramente, i progetti sono in buona parte avviati verso la soluzione. Tuttavia, senza confronto raramente si giunge alla chiarificazione precisa del quadro.

In molti casi è opportuno ricorrere ad una apposita consulenza di processo atta ad identificare i goals (focusing e goal setting) e il mix di strumenti di intervento da attivare. 

Eliminare questo passaggio cardine è improduttivo sia per il cliente che per il fornitore di servizi comunicazionali, formativi e di marketing.

Chi pratica comunicazione deve sapere su quali variabili sta lavorando. Comunicare per creare immagine professionale nel lungo periodo è qualcosa di molto diverso dal realizzare una promozione speciale in un periodo di calo di vendita. 

Una promozione di prezzo (sconti e abbuoni) può aumentare le vendite del momento e deprimerle per un lungo periodo successivo, e questo non è un risultato positivo di marketing.

Nel caso di interventi formativi, dobbiamo chiarire quale mix di tecniche formative utilizzare: è più produttivo utilizzare sessioni seminariali, coaching, role-playing, affiancamenti sul campo, o un mix di diversi metodi? Dobbiamo lavorare solo sul “sapere”, o anche sul “saper essere” e sul “saper fare”? Sulla parte cognitiva o anche sul corpo? 

Che tipo di cambiamento vogliamo produrre?

Il budget di comunicazione (o budget di progetto, per interventi di formazione e marketing) va quindi concentrato su obiettivi chiari e produttivi.

Se il cliente disperde un budget ristretto su troppi target e troppi prospects (clienti potenziali, o fruitori di progetto) egli rischierà di ottenere solo i primi risultati (attenzione, o al massimo un vago interesse), ma di non arrivare mai al punto (vendite, cambiamento, risultati tangibili).


[1] Schein, E. H. (1999). La consulenza di processo: come costruire le relazioni d’aiuto e promuovere lo sviluppo organizzativo. Milano, Cortina. Tit. orig. Process Consultation Revisited: Building the Helping Relationship, 1999, Addison Wesley.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategie di comunicazione e marketing. Un metodo in 12 punti per campagne di comunicazione persuasiva”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Communication Goals: ( Pag. 62 ) passare da un generico obiettivo ad un goal misurabile permette di fissare le azioni sul campo e valutare la qualità delle strategie. La fissazione dei goals richiede la produzione di variabili-target (su cosa voglio vedere effetti) e proposizioni dettagliate di risultato. Es, numero di click, cambiamenti nella percezione, numero di vendite attivate nel periodo di campagna… qualsiasi obiettivo può essere fissato purché misurabile o inquadrabile.

Communication Goals

I goals comunicativi esprimono le azioni che dovranno accadere, i risultati da ottenere, in termini quanto più possibile pratici e misurabili. 

I goals possono essere distinti in due grandi categorie:

  1. Informazionali: produrre o aumentare conoscenza e consapevolezza sua una certa notizia, situazione o stato di fatto. Il caso tipico è dato dalle campagne di “brand awareness” finalizzate alla diffusione della conoscenza del marchio.
  2. Attitudinali/psicologici: creare o modificare atteggiamenti, opinioni, credenze – sino, nei casi più complessi – all’azione sui valori di fondo. Il caso tipico è dato dalle campagne di “identity building” o costruzione di immagine – e da ogni attività che “crei le condizioni” perché un comportamento accada.
  3. Comportamentali/attivazionali: indurre cambiamenti reali, effettivi, nei comportamenti –  modificarli, eliminarli, o crearli. Casi tipici sono le campagne commerciali di vendita, le campagne per ridurre gli incidenti stradali o il fumo, o altre azioni comunicazionali in cui il risultato finale sia comunque un comportamento.

L’ordine di difficoltà è crescente man mano che si passa dalla “semplice” necessità di informare qualcuno, alla volontà di cambiare i suoi atteggiamenti e opinioni, sino al produrre veri cambiamenti di comportamento o creare nuovi comportamenti.

modificare comportamenti

Il goal-setting richiede la chiarificazione di cosa vogliamo ottenere. 

La domanda è: ma tu, hai chiari i tuoi goal? E la tua organizzazione o il tuo team, anno gli stessi tuoi goal o stanno remando in qualche altra direzione?

Occorre una grande affinità di intenti, occorre mettersi daccordo sugli obiettivi da ottenere, costi quello che costi.

Gli animali non si preoccupano del Paradiso o dell’Inferno. Nemmeno io, forse è per questo che andiamo d’accordo.

Charles Bukowski

Molte campagne di comunicazione che vorrebbero creare comportamento (nella comunicazione sociale, o nella vendita) non riescono nemmeno a creare informazione, poiché i goals non esistono o sono fumosi (deliberatamente o per incapacità).

Per facilitare il compito dei realizzatori, occorre predisporre goals chiari e ben comunicabili, abbinati ad apposite schede di rilevazione e check-lists che permettono di svolgere una verifica adeguata. 

Non possiamo infatti creare la situazione in qualcuno, al termine di un briefing, si trovi a dire: “molto bello, però adesso cosa devo fare?” I funzionari o professionisti che sanno tradurre un goal in una sequenza precisa di azioni da intraprendere sono abbastanza rari. Per questo motivo, le check-lists e formulari consentono di avviare molto più rapidamente le operazioni di campagna. 

checklist

Nel metodo ALM abbiamo individuato e predisposto diversi tipi di supporto per il goal-setting nelle campagne di comunicazione e marketing B2B :

Check-list riepilogative di campagna (CRC): predispongono i compiti (task) da assegnare ai diversi membri del team; riassumono i risultati di campagna.

Check-list riepilogative individuali per il team-member (CRI): predispongono e riassumono operazioni svolte da singoli membri del team.

Check-list riepilogative di analisi sul singolo prospect (CRP): predispongono azioni comunicative e riepilogano sotto forma di questionario la situazione rilevata nel singolo cliente attuale o potenziale (o altro destinatario di campagna).

Goals specifici e misurabili

Le campagne necessitano di goals specifici, differenziati dagli obiettivi generici. Per un punto vendita, aumentare il confort del cliente sul non è un goal ma un obiettivo, mentre lo specifico goal può essere formulato  come “ridurre i tempi medi di attesa del cliente da 5 a 2 minuti”. 

goals specifico

Allo stesso modo, l’obiettivo “farsi conoscere dal pubblico” è certamente un risultato auspicabile per ogni azienda, ma per divenire operativo deve essere tradotto in goals misurabili, come “portare a conoscenza i potenziali clienti dell’apertura dei nostri punti vendita, generando un grado di conoscenza (awareness) di almeno il 70% delle famiglie nella città A e il 40% nella città B entro 6 mesi dall’apertura” – proseguendo con la definizione di altre formulazioni misurabili.

Vediamo alcuni esempi di goal misurabili :

Tabella 1 – Esempi di impostazione di goals misurabili per campagne di comunicazione, marketing e commerciali

Per una catena di negozi di abbigliamento“incrementare entro 8 mesi la durata della visita media da 22 minuti a 40 minuti, in almeno il 70% dei nostri punti vendita, attraverso azioni di ottimizzazione della Customer Experience
Per una catena di vendita informatica“ridurre entro 12 mesi dal 25% al 4% il numero di clienti in età 14-24 che reputano insoddisfacente il nostro servizio post-vendita ottenuto attraverso il call-center”
Per una banca o assicurazione“incrementare il tasso di chiusura dal 3% al 40% sui servizi finanziari destinati alle PMI nella regione Lombardia, su vendite gestite dalla rete di vendita esterna, per l’anno XXXX”(l’obiettivo viene ripetuto declinandolo con % e goals specifici per ogni regione)
Per un’azienda automobilistica“almeno il 95% di chi ha acquistato un’auto del nostro marchio deve essere contattato da una nostra concessionaria al raggiungimento dei 100.000 Km percorsi e non oltre i 120.000, per offrire un up-selling
Per un’azienda di allestimenti fieristici“Il 100% dei direttori commerciali delle aziende dai 50 ai 100 mil. di euro della provincia di Brescia deve essere contattato dal 10 settembre al 10 novembre, con un tasso di chiusura del 10% entro il 20 novembre”(l’obiettivo viene ripetuto con tassi diversi per altre 15 province limitrofe)
Per un’associazione industriale“Il 60% dei direttori risorse umane delle aziende associate (target customer) deve acquisire la pratica di interpellarci, nel prossimo anno, prima di ogni azione formativa, per ottenere una consulenza di processo”(l’obiettivo viene ampliato al target “direttori commerciali” per l’anno successivo)

Ogni goal deve essere delimitato nel tempo, nello spazio fisico-geografico nel settore merceologico, nella tipologia di soggetti su cui agire, sino ad identificare con estrema precisione i target di campagna.

La struttura aziendale, di fronte ad input chiari, risponde solitamente con maggiore efficienza ed efficacia, e passa rapidamente allo sviluppo di soluzioni operative. Obiettivi confusi e poco traducibili in pratica creano invece demotivazione e portano ad uno stato di generale frustrazione e malcontento nelle risorse umane. 

Pertanto, la creazione di goals e la buona strutturazione della comunicazione rappresenta un importante momento che il management deve utilizzare per lanciare un messaggio chiaro alle risorse umane: “sappiamo cosa vogliamo”. 


Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

La vendita consulenziale è un approccio psicodinamico alle tecniche di vendita, centrato sul concetto di empatia strategica e di counseling d’acquisto. L’obiettivo di una vendita consulenziale è di attivare una relazione di aiuto verso i bisogni del cliente, facendo precedere alla vendita vera e propria una importante fase di analisi.
La vendita consulenziale si inquadra all’interno delle trattative complesse (complex sales) ed ha sempre una componente interculturale, in quanto prevede l’incontro tra due sistemi che hanno componenti e obiettivi di partenza diversificati.
Nella vendita consulenziale, diventano significative diverse competenze:
– conoscenze di Consulenza di Processo
– conoscenze di negoziazione interculturale e comunicazione interculturale
– capacità di ascolto empatico
– capacità di progettazione di soluzioni
– capacità di esaminare e far emergere dissonanze
– capacità di concludere le trattative e fidelizzare verso futuri steps.
La vendita consulenziale, al contrario della comunicazione pubblicitaria, è un lavoro estremamente relazionale e basato sul rapporto interpersonale, sulle capacità di sviluppo di relazioni, rapporti umani e ingresso in network relazionali virtuosi.
Sono altrettanto importanti le abilità di mappatura dei sistemi decisionali (decision matrix analysis) e di avvicinamento ai decisori chiave delle organizzazioni (Key Leader Engagement). I metodi utilizzati nella vendita consulenziale sono diversi e si fondano su due diverse scuole di pensiero: Statunitense (persuasoria) ed Europea (umanistica). Le principali metodologie utilizzate nel campo della formazione alla vendita consulenziale sono:
NLP – Neurolinguistic Programming. Si ispira ad un approccio persuasorio, proveniente dagli studi di Bandler e Grinder, centrato sulla alterazione e manipolazione delle credenze.
ALM – Action Line Managaement. Si ispira ad un approccio strategico-analitico, ispirato dagli studi di Carl Rogers sulla psicologia umanistica, e implementato sul fronte aziendale da Edgar Schein per la consulenza aziendale e da Daniele Trevisani per la metodologia ALM).sp

La Vendita Consulenziale, Scuola di Vendita e Formazione -Avanzata di Vendita, by Studio Trevisani Human Performance & Communication Research – Direttore dott. Daniele Trevisani, Fulbright Scholar, Master in Communication University of Florida (USA)

corsi di venditaformazione venditecorsi in tecniche di vendita e strategic sellingcorsi di formazione alla vendita e direzione venditecorsi di negoziazione, negoziazione strategica e interculturale

Corsi di vendita attiva e Direzione Vendite, seri, professionali, avanzati

La vendita consulenziale è un approccio psicodinamico alle tecniche di vendita, centrato sul concetto di empatia strategica e di counseling d’acquisto.  Possiede componenti altamente tecniche che vanno studiate attentamente in appositi corsi di vendita consulenziale e gestione delle trattative complesse.

La vendita consulenziale è un approccio psicodinamico alle tecniche di vendita, centrato sul concetto di empatia strategica e di counseling d’acquisto. Si contrappongono sul fronte metodologico due importanti scuole di Vendita Consulenziale, i metodi nati negli USA, principalemnte [[NLP]] (Programmazione Neurolinguistica) e i metodi europei: ALM – [[Action Line Management]] e HPM – [[Human Potential Modeling]]) di [[Daniele Trevisani]], ricercatore e formatore italiano in psicologia strategica.

Secondo la scuola umanistica, l’obiettivo di una vendita consulenziale è di attivare una relazione di aiuto verso i bisogni del cliente, facendo precedere alla vendita vera e propria una importante fase di analisi.

La vendita consulenziale si basa ampiamente sul concetto manageriale delle [[Regie di Cambiamento]], centrata sulla volontà del venditore di essere protagonista (regista) di un intervento volto a cambiare e migliorare uno stato attuale del cliente o impresa-cliente.

La vendita consulenziale si inquadra all’interno delle trattative complesse (complex sales) ed ha sempre una forte componente di [[negoziazione interculturale]], in quanto prevede l’incontro tra linguaggi diversi, lo sforzo di adattamento ai linguaggi del cliente e la comprensione della cultura del cliente, analisi di sistemi che hanno componenti e obiettivi di partenza diversificati.

Nella vendita consulenziale, diventano significative diverse competenze:

– conoscenze di [[Consulenza di Processo]]

– conoscenze di negoziazione interculturale e comunicazione interculturale

– capacità di [[ascolto empatico]]

– capacità di progettazione di soluzioni

– capacità di esaminare e far emergere [[dissonanze]]

– capacità di concludere le trattative e fidelizzare verso futuri steps

– capacità di sintonizzazione emozionale ed esperienziale.

Il tratto comune alle diverse scuole di vendita consulenziale, al di la delle differenze, è la visione della centralità della relazioine: la vendita consulenziale, al contrario della comunicazione pubblicitaria, è un lavoro estremamente relazionale e basato sul rapporto interpersonale, sulle capacità di sviluppo di relazioni, rapporti umani e ingresso in network relazionali virtuosi.

Nella vendita consulenziale intervengono inoltre capacità pre-relazionali e post-relazionali: le abilità di mappatura dei sistemi decisionali (decision matrix analysis, che permettono in sequito l’avvicinamento ai decisori chiave delle organizzazioni (Key Leader Engagement).

I metodi utilizzati nella vendita consulenziale sono diversi e si fondano su due diverse scuole di pensiero: Statunitense (persuasoria) ed Europea (umanistica).

Le principali metodologie utilizzate nel campo della formazione alla vendita consulenziale sono:

[[NLP]] – [[Neurolinguistic Programming]]. Primario metodo utilizzato di ispirazione statunitense, orientato ad un approccio persuasorio, proveniente dagli studi di Bandler e Grinder, centrato sulla alterazione e manipolazione delle credenze.

[[ALM]] – [[Action Line Management]]. Primario modello manageriale di vendita consulenziale che si ispira ad un approccio europeo, umanistico, strategico-analitico, radicato negli studi di [[Carl Rogers]] sulla psicologia umanistica, e implementato sul fronte aziendale da [[Edgar Schein]] per la consulenza aziendale e da [[Daniele Trevisani]] per la metodologia ALM).

Fonti per approfondimenti sulla vendita consulenziale:

Rogers, Carl (1951), Client-Centered Therapy, Houghton Mifflin, Boston, MA.

Schein, Edgar (1999), Process Consultation Revisited: Building the Helping Relationship, Addison Wesley

Libri in italiano sul [[metodo ALM]] per la Vendita Consulenziale:

Trevisani, Daniele (2005), Negoziazione Interculturale: comunicazione oltre le barriere culturali, FrancoAngeli, Milano.

Trevisani, Daniele (2001), Psicologia di marketing e comunicazione: pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management, FrancoAngeli, Milano.

Trevisani, Daniele (2007), Regie di Cambiamento. Approcci integrati alle risorse umane, allo sviluppo personale e organizzativo, e al coaching, FrancoAngeli, Milano.

Approfondimenti sui corsi di Vendita Attiva e Direzione Vendite realizzati dallo Studio:

• Formazione Vendite Attiva: come lavoriamo
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