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© Copyright estratto dal libro di Daniele Trevisani (2016).  Psicologia di Marketing e Comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management. Milano, Franco Angeli, 9° edizione.

Visione: marketing visivo

Se ogni elemento della percezione concorre alla valutazione complessiva del prodotto e al suo successo, allora il marketing deve occuparsi di qualsiasi fonte della percezione, spesso al di là della nozione comune di marketing.
Identifichiamo sette aree specifiche del marketing percettivo, da cui derivare strategie di intervento sul sistema di marketing:

  1. Marketing visivo
  2. Marketing olfattivo
  3. Marketing uditivo
  4. Marketing tattile
  5. Marketing gustativo
  6. Marketing cinestesico
  7. Marketing emotivo

Tali aree permettono di giungere alla customer satisfaction globale del consumatore, nella quale ogni elemento fonte di prestazione assume un peso e un ruolo strategico.
Per raggiungere questo risultato, l’impresa deve attivare un percorso di Human Engineering, sia nel prodotto che nei servizi, una progettazione che pone la percezione umana al centro del prodotto, definendo i livelli ottimali di customizzazione (adattamento alle specificità del consumatore target).
Il marketing percettivo determina la necessità di avanzare il concetto di sensazioni target come elemento centrale della progettazione del prodotto e degli ambienti. La sensazione target rappresenta la sensazione ottimale che il prodotto dovrebbe generare, lungo tutte le direttrici percettive possibili.
L’obiettivo sottostante è quello di produrre, nella realtà percettiva dell’individuo-utilizzatore, una Gestalt armonica, un insieme di sensazioni ottimizzate in funzione del soggetto.

Le stimolazioni fornite da onde elettromagnetiche di lunghezza d’onda da 400 a 700 nanometri determinano la percezione visiva. Gli organismi viventi possiedono diverse sensibilità sensoriali allo spettro elettromagnetico: le api ad esempio hanno la capacità di percepire la luce ultravioletta, i cani e i gatti possiedono una visione del mondo con colori sfasati rispetto a quella umana.

A livello di marketing visivo, la percezione del prodotto è il risultato di un processo interattivo e complesso: l’incontro tra materia e radiazioni elettromagnetiche che colpiscono il prodotto produce una riflessione verso l’occhio umano.

Sulla visione influiranno quindi (1) le caratteristiche della materia (forme, texture), (2) la natura delle radiazioni (es: luce solare diurna, luce al neon, luce radente, luce diffusa, ecc.), e (3) le caratteristiche dell’individuo. Al variare di ciascuno dei tre elementi, la percezione visiva sarà diversa. Esisteranno differenze percettive in funzione della texture (tessitura superficiale) dell’oggetto, ma anche in funzione del tipo di luce (temperatura di colore, intensità, angolazioni), e della persona che osserva (altezza dal suolo, caratteristiche fisiche: stanchezza, acuità visiva, ecc..).


La temperatura di colore indica, sinteticamente, il colore della luce. Ad esempio, una temperatura di colore “calda” come quella delle normali lampade ad incandescenza è estremamente sbilanciata verso il rosso, e questo emerge subito in una fotografia con pellicola a colori senza uso del flash. Una temperatura di colore “fredda” è invece sbilanciata verso il blue (come il riflesso del cielo azzurro, in una fotografia all’ombra).

Considerare la natura interattiva della visione permette di allargare l’area di intervento del marketing visivo, includendo sia le caratteristiche degli oggetti esposti alla radiazione che il tipo di radiazione, che il tipo di illuminazione ricevuta, e le angolazioni visive o contesti di fruizione umana (ed  in generale le caratteristiche del fruitore).

In termini percettivi, dobbiamo considerare che l’illuminazione degli oggetti, quando scende a valori molto bassi, determina lo spostamento della visione verso fotorecettori poco sensibili ai colori (i bastoncelli) situati nella retina. I bastoncelli producono un segnale monocromatico in direzione del cervello, di una tonalità indistinta tra il grigio scuro, il blue e il marrone, tanto più cupa quanto più bassa è la luce nell’ambiente. Al contrario, le radiazioni luminose forti vengono colte dai coni, recettori visivi sensibili al colore. Per questo motivo, quando osserviamo un panorama in pieno sole ne cogliamo tutti i colori, mentre al crepuscolo tutto appare meno colorato.

Un prodotto andrà quindi progettato in funzione delle tipologie di illuminazione che lo stesso è destinato a ricevere e delle modalità fruitive reali: un arredamento per interni, ad esempio, dovrebbe essere pensato non solo in funzione dell’utilizzo, ma anche valutando il tipo di illuminazione cui sarà sottoposto e le posizioni spaziali dalle quali sarà osservato. Un ottimo abbinamento di colori – predisposto per illuminazione a incandescenza – potrebbe risultare assai scadente se sottoposto ad illuminazione al neon. Allo stesso tempo, gli interni di un’autovettura possono risultare gradevoli in laboratorio o in sala prove, ma eccessivamente spenti se consideriamo le condizioni reali medie di illuminazione nelle quali vengono percepiti, vista la copertura dell’abitacolo, il clima e l’esposizione solare dei paesi target.

La scenografia dell’illuminazione, la sua coreografia, è una variabile di marketing estremamente importante nei punti di vendita, dove luci sbagliate (es: luci al neon di bassa luminosità, in ambienti grandi) creano stanchezza visiva, e persino disturbi visivi. L’illuminazione errata si riverbera sull’immagine dell’ambiente, che viene percepito “triste”, “spento” e smorto, con una influenza duplice: fisiologica e psicologica. Le sensazioni negative, a catena, generano la volontà di uscire dall’ambiente (ad esempio, un centro commerciale) o di non entrarvi nemmeno, e producono le condizioni per la riduzione di fatturato o insoddisfazione rispetto al clima di acquisto.

psicologia di marketing e comunicazione

Altri materiali disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Copyright. Estratto dal libro

Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse

Con commenti e note inedite dell’autore

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Prima di proporrre qualsiasi soluzione, è bene capire il quadro.

Soluzioni che si basano su analisi sbagliate rischiano di fare solo guai.

Questo, sia nelle relazioni aziendali, nella vendita consulenziale, nelle relazioni di aiuto, e nella vita di ogni giorno.

Oltre a tecniche di osservazione aumentata, lo strumento a disposizione esiste. Sono le domande. 

La fase di analisi e ascolto richiede il ricorso a:

  • domande aperte,
  • domande chiuse,
  • domande di precisazione,
  • riformulazioni e verifiche di comprensione,
  • riepiloghi, sommari,
  • rispecchiamento dei contenuti.

Le domande devono essere poste solo dopo che si sia creato lo spazio psicologico per farle, chiedendo il permesso al cliente di porgli alcune domande che servono per poter realizzare proposte sensate.

Durante la fase di analisi è essenziale il ricorso alla carta e penna per prendere appunti, sotto forma di parole chiave, ed un precedente allentamento alle tecniche di memorizzazione, intervista e Analisi della Conversazione (Conversation Analysis, CA).

I due livelli delle domande: domande interiori e doman­de esterne

Tutti noi abbiamo curiosità e dubbi, che però raramente esprimiamo. A volte non lo facciamo per pudore (quante volte fai sesso in un mese? = invasione dello spazio psicologico altrui), altre volte per titubanza strategica (vorrei chiedergli quanto sono disposti a pagare ma non lo faccio per timore che mi dicano una bugia sulla quale poi non saprei come argomen­tare), e per tante altre ragioni.

Un’operazione fondamentale è distinguere tra:

  • domande interiori: quello che vorremmo davvero sapere, quello che abbiamo bisogno di sapere;
  • domande esteriori: le mosse conversazionali che poniamo in essere, i modi con i quali arriviamo ad ottenere quelle informazioni.

Le attività connesse alle due domande:

  • domanda interiore: bisogni informativi di base, la domanda reale che ci stiamo ponendo e a cui vorremmo risposta (es.: quanti soldi avete a disposizione?);
  • domanda esteriore: la domanda che è adeguata e consentita ad un certo stato di relazione, in base al grado di familiarità con il soggetto, di trasparenza comunicativa, di tempo disponibile (es.: avete già fissato un budget per questa iniziativa?)

Esempio di domande che vorremmo porre. Immaginiamo di trattare con il soggetto X con il quale si ipotizza di fare un progetto formativo.

  • Si tratta di concorrenti diretti o soggetti con cui è possibile invece attivare una sinergia? Vogliono avere un programma gratis o è una richiesta vera?
  • Quanto dura il progetto? Durata del progetto, tempi?
  • Chi fattura a chi?
  • Dove avete avuto le informazioni sulla nostra azienda, dove ci avete trovato, qualcuno vi ha consiglia-to? Ci avete trovato in internet?
  • Quale tipo di formazione marke-ting, tra i tanti, desidera il cliente?
  • Ha avuto occasione di leggere qualcuno dei libri da noi prodotti?
  • Avete contattato altre realtà o nostri competitors?
  • Ci sono indicazioni rispetto al budget disponibile? Che disponi-bilità economi¬ca esiste?
  • Quante persone vanno formate, in quali popolazioni aziendali?
  • Sede preferita per il corso? Modalità (aula, outdoor, ecc)?
  • Tempi e vincoli temporali. Quando si vuole fare il progetto? Quanto può o deve durare. Con che cadenza?
  • Tipo di audience e soggetti da formare?
  • Fabbisogni formativi?
  • Settore merceologico dell’azienda che richiede il servizio, e ogni altro dato di profilazione aziendale
  • Fatturato e dipendenti
  • Cultura aziendale
  • Se il cliente ha avuto o meno altre esperienze di formazione in marke¬ting, e se ne è rimasto soddi¬sfatto o meno, motivi dell’eventua¬le insoddisfazione

Ogni mancata informazione è un rischio

Tab. 1 – Domande latenti cui è necessario dare risposte, e rischi correlati al non sapere le risposte

 

Domanda latente, fabbisogno informativo Rischio correlato al non avere la risposta
·       Si tratta di concorrenti diretti o soggetti con cui è possibile invece attivare una sinergia? Vogliono avere un programma gratis o è una richiesta vera? Regalare progetti a nostri concorrenti diretti, lavorare gratis per aiutare un concorrente che non aveva un know-how e ha cercato di acquisirlo gratis.
·       Quanto dura il progetto? Durata del progetto, tempi? Investire tanta progettualità in un piccolo progetto, spreco di energie e di risorse.

Difficoltà nel pianificare.

·       Chi fattura a chi? Trovarsi in una disputa legale

Perdere molto più tempo dopo, rispetto a faccende che erano da chiarire subito.

Problema di confusione dei ruoli.

·       Dove avete avuto le informazioni sulla nostra azienda, dove ci avete trovato, qualcuno vi ha consiglia­to? Ci avete trovato in internet? Perdere un’informazione preziosa su quali sono i canali che funzionano nel portare i clienti.
·       Quale tipo di formazione marke­ting, tra i tanti, desidera il cliente? Dare al cliente il prodotto sbagliato.

Creare insoddisfazione.

Aprire le porte a problemi di incoe­renza tra domanda e offerta.

·       Ha avuto occasione di leggere qualcuno dei libri da noi prodotti? Perdita di informazione preziosa. Non sapere che leva contrattuale si può applicare. Sapere se cerca un fornito­re qualsiasi o il metodo da noi prodot­to.
·       Avete contattato altre realtà o nostri competitors? Non capire la modalità di acquisto in corso (gara, richiesta mirata, o altre). Non sapere contro chi si sta concor­rendo.
·       Ci sono indicazioni rispetto al budget disponibile? Che disponi­bilità economi­ca esiste? Lanciarsi in sconti non necessari.

Puntare troppo al prezzo anche quando le esigenze del cliente non sono di fare economia.

·       Quante persone vanno formate, in quali popolazioni aziendali? Sottovalutare l’entità dello sforzo.
·       Sede preferita per il corso? Modalità (aula, outdoor, ecc)? Difficoltà nel computare i costi aggiuntivi, logistici e altri possibili costi immateriali di tempo.
·       Tempi e vincoli temporali. Quando si vuole fare il progetto? Quanto può o deve durare. Con che cadenza? Farsi assillare da urgenze non necessarie, o non capire l’urgenza di un progetto, o i margini di manovra. Assegnare urgenze e priorità sbagliate.
·       Tipo di audience e soggetti da formare? Sbagliare la tecnica didattica e l’approccio didattico.

Sottovalutare o sopravvalutare il target.

·       Fabbisogni formativi? Portare contenuti sbagliati o poco centrali o poco utilizzabili.
·       Settore merceologico dell’azienda che richiede il servizio, e ogni altro dato di profilazione aziendale portare esempi poco centrali, non riuscire a centrare le esigenze del mercato di riferimento.
·       Fatturato e dipendenti Non aver ben chiara la dimensione del soggetto con sui si tratta.
·       Cultura aziendale Non capire il grado di libertà con il quale immettere contenuti innovativi e metodi innovativi.
·       Nominativo dell’azienda Offrire qualcosa a qualcuno che sia già nostro cliente.
·       Se il cliente ha avuto o meno altre esperienze di formazione in marke­ting, e se ne è rimasto soddi­sfatto o meno, motivi dell’eventua­le insoddisfazione Capire se si tratta di un primo acquisto di categoria o di sostituzione di un fornitore.

Capire cosa ha apprezzato o non ap­prezzato il cliente in passato. Capire meglio come ragiona il cliente (la sua algebra mentale e meccanismi di valutazione).

 

Ogni volta che il decisore non dispone di informazioni si apre un rischio. Ogni mancata informazione è un rischio potenziale.

Copyright. Estratto dal libro

Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse

Dr. Daniele Trevisani - Formazione Aziendale, Ricerca, Coaching