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© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategie di comunicazione e marketing. Un metodo in 12 punti per campagne di comunicazione persuasiva”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Analisi dei costi / benefici intangibili di comunicazione

La activation research qualitativa strutturata nel metodo ALM, si occupa di:

valutare quanto tempo il management dedica alle attività di comunicazione (costi manageriali) e con che risultati;

  • valutare quanto tempo il management dedica a singole iniziative di comunicazione e con che risultati, per identificare dissonanze in termini di efficienza ed efficacia gestionale;
  • scoprire aree di interesse comunicativo che non ottengono sufficiente attenzione da parte del management;
  • scoprire progetti di comunicazione che assorbono tempo manageriale e costo/tempo strutturale (il tempo e le risorse dell’azienda) superiore ai ritorni pratici.

Sono numerosi i casi in cui l’intero management o manager chiave si “innamorano” di progetti aziendali che non hanno però riscontri, e finiscono per assorbire completamente il tempo manageriale, oppure ancora ne assorbono troppo rispetto ai risultati che producono. Questa analisi permette di affrontare il fenomeno con metodo e rigore scientifico.

È limitativo ed errato misurare l’efficacia della comunicazione solo in termini di vendite generate nel brevissimo periodo. Prima che accadano comportamenti di acquisto devono prodursi – nella mente del cliente – altri avvenimenti psicologici che costituiscono il presupposto del successo comunicativo. 

Dobbiamo quindi :

  1. misurare con rigore anche il raggiungimento di questi pre-obiettivi
  2. creare le condizioni affinché gli obiettivi di vendita possano essere raggiunti.

L’investimento comunicativo è efficace quando accresce il grado di conoscenza del marchio o del prodotto (risultato importante), o quando modifica l’atteggiamento verso l’impresa (altro risultato importante), senza che nel giorno stesso si debbano produrre risultati di vendita istantanei. 

coltivare

I risultati devono certo accadere, ma non dobbiamo incorrere nell’errore di misurarli nel momento sbagliato, e tralasciare altri risultati essenziali. 

Con una metafora agreste, stiamo seminando il terreno, stiamo irrigando il raccolto, stiamo togliendo le erbacce, o stiamo raccogliendo i frutti già maturi? 

La comunicazione che ricerca i frutti già maturi (i clienti pronti all’acquisto) ma non si preoccupa di creare le condizioni (dissodare il terreno, coltivarlo, irrigarlo, ripulirlo) otterrà ben poco dal mercato. 

La cultura della comunicazione aziendale deve occuparsi di tutti i diversi livelli: dal creare le condizioni per la vendita, al coltivare le condizioni di vendita tramite comunicazione relazionale, al raccogliere i risultati tramite comunicazioni orientate alla “chiusura negoziale”. 

L’approccio coltivativo richiede l’utilizzo di più canali, anche diversi (dal telemarketing sino alle forme antiche come la pubblicità postale o i volantini, per concludersi con la negoziazione B2B, e ogni altro canale opportuno, attuale e futuro), senza preclusioni di sorta. Un ingrediente importante del successo è la cura dei propri strumenti di coltivazione del cliente. 

coltivare

Quando l’agricoltore semina con cura, andrà a raccogliere con altrettanta cura, e quindi farà manutenzione alle macchine per la raccolta. Se il manager non fa manutenzione tramite formazione alle risorse umane (venditori e comunicatori front-line) che andranno a raccogliere i frutti della comunicazione, otterrà una raccolta estremamente inefficiente. E in più avrà sprecato le risorse precedenti.

Ecco quindi che aree diverse, dalla comunicazione alla formazione, si fondono per giungere al risultato aziendale di vendita che rappresenta l’obiettivo finale, con la consapevolezza che dobbiamo creare le condizioni per essere persuasivi ancora prima di essere giunti sul luogo di vendita.

Coltivazione comunicativa

Per spiegare meglio il concetto di coltivazione comunicativa, ricorriamo ad un modello estremamente basilare degli effetti comunicativi, il modello A.I.D.A. (Attenzione – Interesse – Desiderio – Azione). 

Il modello A.I.D.A. espone un fenomeno semplice: prima di ottenere azione (esempio, un acquisto), deve nascere un desiderio d’acquisto, una pulsione. 

Affinché nasca una pulsione, il cliente deve provare interesse verso il prodotto/servizio, deve percepirvi valore. Ma perché il cliente percepisca valore, è necessario che egli sia esposto ad uno o più messaggi da cui ricevere ed elaborare dati e informazioni. 

Senza questo passaggio minimo la catena di eventi non avrebbe luogo e nessun effetto si produrrebbe.

Questo modello semplice è utile per divulgare un concetto: 

  • se una campagna di comunicazione crea attenzione, questo è un primo risultato, 
  • se crea interesse è un ulteriore risultato, 
  • se si crea desiderio, questo è un risultato. 
  • Il comportamento, l’azione, non avvengono se prima non otteniamo le condizioni basilari e minime affinché esso si manifesti.
pulsione

Ogni passo in avanti nella sequenza persuasiva è un risultato importante, poiché la persuasione non accade “per magia” ma grazie ad una serie di azioni comunicative di qualità.

Ecco quindi che la activation research deve occuparsi anche di quanto una campagna di comunicazione accresce la conoscenza del marchio, quanto modifica o accresce la percezione di immagine aziendale o di un gruppo sociale, l’atteggiamento verso il prodotto, quanto incide inoltre sulla sensibilizzazione del cliente e sull’apertura di nuovi budget mentali, cioè di tutti i precursori dell’atto di acquisto.

La comunicazione come processo difficilmente ottiene tutti i risultati con un solo messaggio. Solo una continuità nella comunicazione, una “coltivazione del cliente”, permette di ottenere risultati certi.

È necessario analizzare:

  • la Frame-Activation: i risultati prodotti sa un singolo frame comunicativo, o singolo evento/iniziativa;
  • la Total-Activation: i risultati prodotti dall’intera catena di frames comunicativi.

Nel metodo ALM, l’Activation Research Coltivazionale (A.R.C.) si occupa di capire quali sequenze di eventi comunicativi ottimizzano il risultato finale.

È necessario divenire consapevoli che ogni media possiede peculiarità diverse, e ad un media o modalità di comunicazione non dobbiamo chiedere ciò che non sa fare. 

Non pretendiamo da una pubblicità postale che esso produca l’effetto finale (conclusione della trattativa) per un prodotto ad alto valore: non lo farà. Per ogni media esistono obiettivi specifici: non commettiamo l’errore di mandare un’email a negoziare per noi, a concludere una vendita difficile, non ne sarà in grado. Chiediamo ad ogni media ciò che il media può dare. 

Chi misura unicamente le azioni di breve periodo (risultati immediati) compie un grave errore, così come chi misura unicamente le variazioni psicologiche senza preoccuparsi dei risultati tangibili. 

Risultati intangibili della comunicazione si manifestano chiaramente quando essa riesce ad eliminare condizioni di scarsa credibilità che impedirebbero acquisti dai clienti. 

Poniamo il caso di una società di consulenza che non abbia un sito web. La sola assenza del sito produce un danno d’immagine, molti clienti potenziali la scarterebbero a priori. È quindi sbagliato chiedersi solo “quanti clienti nuovi ha generato un investimento sul web” senza chiedersi “quanti clienti mi ha permesso di non perdere”. Se la presenza del sito ha permesso di condurre una trattativa con maggiore sicurezza, questo effetto di comunicazione deve essere considerato tra i benefici produttivi di “condizioni positive di vendita”.

I mercati nel contesto competitivo odierno premiano solo chi si adopera con costanza, intelligenza, e impiega le proprie risorse investendo in un mix adeguato di formazione e comunicazione. 

Sono finiti i tempi in cui bastava lanciare un prodotto per ottenere vendite e profitti. Chi semina oggi un campo non arato, non irrigato, non concimato, sta sprecando semi. L’approccio alla coltivazione del cliente rende attuale un antico modo di essere: essere seri, essere affidabili, essere credibili. E farlo con applicazione, impegno, costanza, rigore, volontà, e soprattutto continuità.

Servono obiettivi chiari per misurare le cose giuste. Focusing e Consulenza di Processo aiutano a definirli

La activation research può misurare gli effetti dell’investimento in comunicazione, formazione e marketing, i suoi ritorni, i suoi costi, i suoi benefici pratici così come quelli intangibili. Tuttavia, poniamoci una domanda: se non abbiamo chiarito esattamente gli obiettivi a priori, cosa misuriamo?

La sindrome del misurare per misurare è alta e potente.

Ogni azienda dovrebbe invece fare almeno 2 “ritiri” all’anno di Focusing, focalizzazione degli obiettivi, e dopo, solo dopo, iniziare a misurare.

Quasi sempre, dopo un ritiro di focusing, gli obiettivi che misuriamo cambiano, le variabili che ci interessano cambiano.

cambiamento

Ad esempio, al di la delle letture di una pagina web (impressions), potrebbe interessarti di più chi si iscrive ad un tuo notiziario personalizzato.

Una scarsa precisione dell’obiettivo di comunicazione produce sempre campagne e sforzi improduttivi. 

Il primo compito del consulente di comunicazione è quello di aiutare il cliente a focalizzare l’obiettivo, adottando un approccio di consulenza di processo[1].

Il compito del cliente è quello di partecipare attivamente alla definizione di obiettivi misurabili, assumendosi una quota di responsabilità e di impegno. 

Il manager o amministratore può delegare l’esecuzione di un obiettivo, ma è indispensabile che egli partecipare alla sua definizione.

Partecipare alla comunicazione, formazione e marketing significa realizzare un primo e importantissimo step di consulenza per chiarificare: 

  • cosa stiamo cercando
  • quali sono le variabili sulle quali vogliamo intervenire tramite la comunicazione, la formazione o il marketing
  • in quali tempi intervenire
  • in quali luoghi intervenire
  • su quali clienti o soggetti intervenire
  • con quale gamma di metodologie intervenire – mix di metodologie
  • come misureremo il risultato.

Una definizione così precisa degli obiettivi richiede tempo manageriale elevato e competenze specialistiche in marketing e comunicazione. 

L’importanza del ruolo consulenziale è qui determinante. Qualora il cliente dei servizi di comunicazione sia in grado di strutturare gli obiettivi chiaramente, i progetti sono in buona parte avviati verso la soluzione. Tuttavia, senza confronto raramente si giunge alla chiarificazione precisa del quadro.

In molti casi è opportuno ricorrere ad una apposita consulenza di processo atta ad identificare i goals (focusing e goal setting) e il mix di strumenti di intervento da attivare. 

Eliminare questo passaggio cardine è improduttivo sia per il cliente che per il fornitore di servizi comunicazionali, formativi e di marketing.

Chi pratica comunicazione deve sapere su quali variabili sta lavorando. Comunicare per creare immagine professionale nel lungo periodo è qualcosa di molto diverso dal realizzare una promozione speciale in un periodo di calo di vendita. 

Una promozione di prezzo (sconti e abbuoni) può aumentare le vendite del momento e deprimerle per un lungo periodo successivo, e questo non è un risultato positivo di marketing.

Nel caso di interventi formativi, dobbiamo chiarire quale mix di tecniche formative utilizzare: è più produttivo utilizzare sessioni seminariali, coaching, role-playing, affiancamenti sul campo, o un mix di diversi metodi? Dobbiamo lavorare solo sul “sapere”, o anche sul “saper essere” e sul “saper fare”? Sulla parte cognitiva o anche sul corpo? 

Che tipo di cambiamento vogliamo produrre?

Il budget di comunicazione (o budget di progetto, per interventi di formazione e marketing) va quindi concentrato su obiettivi chiari e produttivi.

Se il cliente disperde un budget ristretto su troppi target e troppi prospects (clienti potenziali, o fruitori di progetto) egli rischierà di ottenere solo i primi risultati (attenzione, o al massimo un vago interesse), ma di non arrivare mai al punto (vendite, cambiamento, risultati tangibili).


[1] Schein, E. H. (1999). La consulenza di processo: come costruire le relazioni d’aiuto e promuovere lo sviluppo organizzativo. Milano, Cortina. Tit. orig. Process Consultation Revisited: Building the Helping Relationship, 1999, Addison Wesley.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategie di comunicazione e marketing. Un metodo in 12 punti per campagne di comunicazione persuasiva”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

I fattori primari dell’impatto comunicativo : reach, frequency, continuity e message quality

I fattori minimi sui quali incentrare la strategia di progetto ed il budget di comunicazione nel Communication Planning, sono dati dai seguenti parametri : 

  • reach (quanti soggetti vogliamo raggiungere nella campagna di comunicazione o nel progetto) 
  • frequency (con che frequenza li vogliamo contattare) 
  • continuity (arco di tempo complessivo della campagna di comunicazione). 

I parametri di budget variano inoltre in funzione della qualità del contenuto e delle forme del messaggio :

  • message quality.

In termini di planning della comunicazione e altri interventi di formazione e marketing, essere incisivi richiede la capacità di focalizzare gli sforzi su meno prospects ma con azioni efficaci e professionali che privilegiano la Message Quality. 

Ogni messaggio richiede un canale specifico, in quanto i canali di comunicazione possiedono, ciascuno, caratteristiche diverse.

Per ciascun canale occorre considerare la sua diversa capacità di raggiungere un numero basso o elevato di riceventi.

Esiste anche un altro tema, decisamente nuovo: il fatto che il canale sia o meno “di moda”, e la credibilità che vi si associa.

Ulteriore tema, la capacità monosensoriale o multisensoriale del canale, la sua possibilità di convogliare diversi livelli di comunicazione: solo scritta (una lettera), solo verbale (il telefono), multimediale (comunicazione tramite video, videoconferenza o web) o multisensoriale (comunicazione interpersonale); 

I canali hanno anche gradi di credibilità diversi. Un canale può influenzare la percezione della credibilità del messaggio (es, un paper scientifico sulla rivista Science ha maggiore credibilità di un post scritto da un blogger qualsiasi sul tema scientifico), ma la credibilità è target-specifica: ogni target ha un proprio set di canali a cui crede o persone e testimonial a cui crede, per cui saperli coinvolgere in un endorsement del messaggio è estremamente positivo.

Saper creare osmosi d’immagine tra fonti autorevoli e il nostro messaggio è un fattore persuasivo forte.

Per l’aspetto delle economie comunicative, anche il budget conta.

La strategia dei canali evidenzia una priorità: evitare di diluire un budget su tempi troppo lunghi o su troppi soggetti ottenendo scarsi risultati da tutti. 

target

La comunicazione centrata sul cliente richiede la focalizzazione sulla qualità del messaggio prima di ogni altro fattore.

In particolare, esponiamo il seguente principio-guida :

La centratura e la copertura dei canali comunicativi

I principi che devono guidare la strategia dei canali comunicativi consistono in:

  • capacità di produrre messaggi che centrano il target (comunicazione in target) curando la centratura dei media rispetto ai soggetti da raggiungere (principio di centratura);
  • riduzione della quota di messaggi che centrano target inutili – comunicazione fuori target – (principio di riduzione degli sprechi comunicativi);
  • riduzione della quota di target non coperti dalla campagna di comunicazione (target scoperti), massimizzando il grado di copertura del target totale (principio di copertura ad ampio raggio del target).

Tempo e momento di elaborazione del messaggio, una questione di “finestre temporali”

Ogni campagna richiede attenzione al momento in cui il destinatario leggerà o vedrà o comunque sarà esposto al messaggio. 

E in quei pochi secondi, se la persona trova elementi che colpiscono il suo spirito, succederanno cose. In caso contrario, niente.

Un messaggio deve possedere “spirito”, non deve essere necessariamente bello, ma deve penetrare l’indifferenza.

“Nel mondo ci sono soltanto due forze, la spada e lo spirito. Alla lunga, la spada viene sempre vinta dallo spirito.”

Napoleone Bonaparte

Troppe campagne di comunicazione si basano su messaggi che funzionano solo come “ragionamenti” ma non nello “spirito”, possono essere anche belli visti sui monitor dei progettisti ma non colpiscono.

Molti contesti di ricezione del messaggio richiedono un tempo di attenzione ed elaborazione che supera la portata del media.

Ad esempio:

un cartellone autostradale offre realmente pochi secondi di tempo attentivo di elaborazione, da parte del conducente che viaggia a 130 km orari, una condizione non certo sufficiente a veicolare un messaggio scritto complesso. Molta pubblicità tramite affissione stradale – se analizzata alla luce del tempo cognitivo di attenzione disponibile – è ampiamente sbagliata: in alcuni casi i messaggi visivi emergono chiaramente, ma la componente attivazionale del messaggio (dove andare, cosa fare, dove rivolgersi per acquistare) è leggibile solo da un pedone, e non da un automobilista. 

Ogni media deve essere utilizzato per il contributo che può fornire, nella situazione d’uso reale. Non è pensabile creare un messaggio fruibile solo se visto sul monitor del grafico progettista, ma illeggibile dal cliente-target in condizione reale di fruizione.

Per messaggi elaborati e complessi, quindi, è necessario ricorrere ai veicoli comunicativi che possono trasmettere una quantità di informazione adeguata e utilizzare situazioni comunicative in cui il soggetto possa mettere a disposizione l’attenzione necessaria. Tra queste, la condizione della vendita personale è certamente quella che consente una maggiore quantità e qualità di flusso informativo e feedback, rispetto ad ogni altra forma comunicativa.

Un’ulteriore variabile da esaminare nel planning comunicativo è la condizione soggettiva in cui si trova il cliente. I clienti si trovano durante la giornata, il mese, l’anno, in condizioni diverse e a volte antitetiche: disponibili un momento, indisponibili l’attimo successivo, per i motivi più svariati. 

finestre temporali

Dobbiamo quindi capire quando si aprono le “finestre temporali” di bisogno e apertura mentale del cliente, poiché in quei momenti lo sforzo persuasivo necessario sarà molto minore.

La condizione di “chiusura al messaggio” è provocata da fattori esterni (forte rumore di fondo, presenza di persone che distraggono) o interni (malessere, gioia ed eccitazione, dolore fisico o psicologico) e queste condizioni richiedono al comunicatore la capacità di capire quando si aprono le finestre temporali in cui comunicare, e quando queste finestre temporali sono chiuse. Un proverbio recita “non vi è peggior sordo di chi non vuol sentire”, ma, altrettanto: “non vi è peggior comunicatore di colui che continua a parlare a qualcuno che non lo sta ascoltando”.

Caratteristiche tecniche ed emozionali dei canali comunicativi

Ogni canale comunicativo si qualifica sia in termine di portata fisica (quante informazioni può trasmettere) che in termini di “valenza emotiva”, di significati che esso può trasferire sul piano affettivo. 

Una caratteristica primaria dei canali comunicativi è la “portata informativa”, o capacità del canale, la quale produce una maggiore o minore adeguatezza del canale al messaggio. La portata informativa è un concetto fisico, e si riferisce alla quantità e qualità di informazioni che un canale può veicolare, per unità di tempo.

In termini di portata, i canali di comunicazione interpersonali sono estremamente più capienti in quanto utilizzano sistemi comunicativi molteplici: visivo, olfattivo, uditivo, tattile. Posture, sguardi, movimenti, commenti paralinguistici, si addizionano alla componente verbale e la arricchiscono. 

Rispetto ad un semplice testo scritto, inoltre, il canale interpersonale si presta ad un feedback immediato. Al contrario, altri media (quali una lettera o uno spot) si prestano a trasmettere minori quantità di informazione, e non consentono feedback e retro-feedback immediati.

La scelta del canale diventa delicata quando valutiamo non solo la sua portata e capienza fisica, ma la sua adeguatezza relazionale verso il messaggio che vogliamo trasmettere. Offrire una rosa comunica emozioni più di mille parole. Le azioni personali comunicano emozioni molto più dei testi o dei video.

Questo metaforicamente vale anche per la comunicazione aziendale: i canali sono diversi tra loro anche dal punto di vista della adeguatezza relazionale.

sensitivity

La channel sensitivity rappresenta la capacità di capire quale sia il canale giusto per il messaggio partendo dalla situazione relazionale che vogliamo creare: se pretendiamo che una e-mail conduca una negoziazione abbiamo compiuto un errore di channel sensitivity: la negoziazione richiede presenza umana e ascolto attivo, non capirlo significa compiere un errore di insensibilità alle caratteristiche del canale.

Allo stesso tempo, è inutile convocare una riunione puramente informativa per trasmettere informazioni che possono essere più efficacemente veicolate da un testo scritto. 

Tutto cambia invece se si tratta di una riunione decisionale o di ascolto, in cui la componente di interazione tra i presenti assume peso rilevante.

Il canale quindi ha una propria sensibilità e adeguatezza rispetto ai contenuti, non è un puro “veicolo” adatto a qualsiasi messaggio.

In particolare, esponiamo il seguente principio-guida :

Il Timing comunicativo e l’adeguatezza del canale

L’efficacia della comunicazione aziendale si correla:

  • alla scelta dei momenti adeguati in cui emettere i messaggi (timing della comunicazione, finestre temporali) considerando le variazioni dello stato del ricevente (emotivo, fisico, psicologico, variazioni dei bisogni, ciclicità e occorrenze particolari) durante la giornata, la settimana, le stagioni, l’anno e periodi superiori;
  • alla scelta dei canali adeguati in funzione del tipo di messaggio (principio di portata e adeguatezza del canale). 
  • Deve essere considerata la natura del messaggio, il tipo di messaggio (relazionale, emozionale, o informativo), il tempo di attenzione e cognizione necessario, le caratteristiche del ricevente e la condizione del ricevente nel momento di ricezione, la maggiore o minore permeabilità psicologica, la necessità di feedback ed interazione comunicativa.

Le relazione tra la strategia del messaggio e la strategia dei canali

La strategia del messaggio (message strategy), deve assolutamente precedere strategicamente la scelta dei canali (channel strategy e media strategy). 

La scelta di canale deve adattarsi agli obiettivi e non viceversa. 

channel

Se per un dato messaggio di campagna (campaign message) il canale giusto era una combinazione di telemarketing e vendita personale (communication mix della campagna), sarebbe stato giusto partire dalla domanda “quale media utilizziamo?”, per poi adattare ad esso il  messaggio. NO.

L’approccio communication planning prevede quindi una totale elasticità verso i canali comunicativi. Ogni possibile canale è incluso a priori nel consideration-set di partenza, senza preferenze politiche o affezioni ideologiche, o ancor peggio, preferenze di comodo. Purtroppo riscontriamo troppi casi in cui vengono utilizzati solo i canali (1) dai quali l’agenzia o il consulente ricava reddito, o (2) vengono proposti solo i canali disponibili, facendoli passare come i migliori (come il negoziante che consigli un modello essendogli in realtà rimasto in magazzino da troppo tempo e non avendo altro da proporre).

L’approccio corretto richiede il focusing sul risultato, non sul media (il media è solo uno strumento) e la successiva ricerca dei fornitori per il mix di comunicazione da produrre. 

La competitività aziendale dipende anche dalla costruzione attiva di una strategia dei fornitori di servizi di comunicazione e formazione.

L’azienda deve disporre (1) di un parco-fornitori ampio e specializzato, dal quale poter attingere per ogni possibile occorrenza, e (2) di consulenti di processo aziendale, esperti esterni in comunicazione che possano imparzialmente e professionalmente saper accompagnare le scelte strategiche dell’azienda senza indossare paraocchi.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategie di comunicazione e marketing. Un metodo in 12 punti per campagne di comunicazione persuasiva”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Communication Goals: ( Pag. 62 ) passare da un generico obiettivo ad un goal misurabile permette di fissare le azioni sul campo e valutare la qualità delle strategie. La fissazione dei goals richiede la produzione di variabili-target (su cosa voglio vedere effetti) e proposizioni dettagliate di risultato. Es, numero di click, cambiamenti nella percezione, numero di vendite attivate nel periodo di campagna… qualsiasi obiettivo può essere fissato purché misurabile o inquadrabile.

Communication Goals

I goals comunicativi esprimono le azioni che dovranno accadere, i risultati da ottenere, in termini quanto più possibile pratici e misurabili. 

I goals possono essere distinti in due grandi categorie:

  1. Informazionali: produrre o aumentare conoscenza e consapevolezza sua una certa notizia, situazione o stato di fatto. Il caso tipico è dato dalle campagne di “brand awareness” finalizzate alla diffusione della conoscenza del marchio.
  2. Attitudinali/psicologici: creare o modificare atteggiamenti, opinioni, credenze – sino, nei casi più complessi – all’azione sui valori di fondo. Il caso tipico è dato dalle campagne di “identity building” o costruzione di immagine – e da ogni attività che “crei le condizioni” perché un comportamento accada.
  3. Comportamentali/attivazionali: indurre cambiamenti reali, effettivi, nei comportamenti –  modificarli, eliminarli, o crearli. Casi tipici sono le campagne commerciali di vendita, le campagne per ridurre gli incidenti stradali o il fumo, o altre azioni comunicazionali in cui il risultato finale sia comunque un comportamento.

L’ordine di difficoltà è crescente man mano che si passa dalla “semplice” necessità di informare qualcuno, alla volontà di cambiare i suoi atteggiamenti e opinioni, sino al produrre veri cambiamenti di comportamento o creare nuovi comportamenti.

modificare comportamenti

Il goal-setting richiede la chiarificazione di cosa vogliamo ottenere. 

La domanda è: ma tu, hai chiari i tuoi goal? E la tua organizzazione o il tuo team, anno gli stessi tuoi goal o stanno remando in qualche altra direzione?

Occorre una grande affinità di intenti, occorre mettersi daccordo sugli obiettivi da ottenere, costi quello che costi.

Gli animali non si preoccupano del Paradiso o dell’Inferno. Nemmeno io, forse è per questo che andiamo d’accordo.

Charles Bukowski

Molte campagne di comunicazione che vorrebbero creare comportamento (nella comunicazione sociale, o nella vendita) non riescono nemmeno a creare informazione, poiché i goals non esistono o sono fumosi (deliberatamente o per incapacità).

Per facilitare il compito dei realizzatori, occorre predisporre goals chiari e ben comunicabili, abbinati ad apposite schede di rilevazione e check-lists che permettono di svolgere una verifica adeguata. 

Non possiamo infatti creare la situazione in qualcuno, al termine di un briefing, si trovi a dire: “molto bello, però adesso cosa devo fare?” I funzionari o professionisti che sanno tradurre un goal in una sequenza precisa di azioni da intraprendere sono abbastanza rari. Per questo motivo, le check-lists e formulari consentono di avviare molto più rapidamente le operazioni di campagna. 

checklist

Nel metodo ALM abbiamo individuato e predisposto diversi tipi di supporto per il goal-setting nelle campagne di comunicazione e marketing B2B :

Check-list riepilogative di campagna (CRC): predispongono i compiti (task) da assegnare ai diversi membri del team; riassumono i risultati di campagna.

Check-list riepilogative individuali per il team-member (CRI): predispongono e riassumono operazioni svolte da singoli membri del team.

Check-list riepilogative di analisi sul singolo prospect (CRP): predispongono azioni comunicative e riepilogano sotto forma di questionario la situazione rilevata nel singolo cliente attuale o potenziale (o altro destinatario di campagna).

Goals specifici e misurabili

Le campagne necessitano di goals specifici, differenziati dagli obiettivi generici. Per un punto vendita, aumentare il confort del cliente sul non è un goal ma un obiettivo, mentre lo specifico goal può essere formulato  come “ridurre i tempi medi di attesa del cliente da 5 a 2 minuti”. 

goals specifico

Allo stesso modo, l’obiettivo “farsi conoscere dal pubblico” è certamente un risultato auspicabile per ogni azienda, ma per divenire operativo deve essere tradotto in goals misurabili, come “portare a conoscenza i potenziali clienti dell’apertura dei nostri punti vendita, generando un grado di conoscenza (awareness) di almeno il 70% delle famiglie nella città A e il 40% nella città B entro 6 mesi dall’apertura” – proseguendo con la definizione di altre formulazioni misurabili.

Vediamo alcuni esempi di goal misurabili :

Tabella 1 – Esempi di impostazione di goals misurabili per campagne di comunicazione, marketing e commerciali

Per una catena di negozi di abbigliamento“incrementare entro 8 mesi la durata della visita media da 22 minuti a 40 minuti, in almeno il 70% dei nostri punti vendita, attraverso azioni di ottimizzazione della Customer Experience
Per una catena di vendita informatica“ridurre entro 12 mesi dal 25% al 4% il numero di clienti in età 14-24 che reputano insoddisfacente il nostro servizio post-vendita ottenuto attraverso il call-center”
Per una banca o assicurazione“incrementare il tasso di chiusura dal 3% al 40% sui servizi finanziari destinati alle PMI nella regione Lombardia, su vendite gestite dalla rete di vendita esterna, per l’anno XXXX”(l’obiettivo viene ripetuto declinandolo con % e goals specifici per ogni regione)
Per un’azienda automobilistica“almeno il 95% di chi ha acquistato un’auto del nostro marchio deve essere contattato da una nostra concessionaria al raggiungimento dei 100.000 Km percorsi e non oltre i 120.000, per offrire un up-selling
Per un’azienda di allestimenti fieristici“Il 100% dei direttori commerciali delle aziende dai 50 ai 100 mil. di euro della provincia di Brescia deve essere contattato dal 10 settembre al 10 novembre, con un tasso di chiusura del 10% entro il 20 novembre”(l’obiettivo viene ripetuto con tassi diversi per altre 15 province limitrofe)
Per un’associazione industriale“Il 60% dei direttori risorse umane delle aziende associate (target customer) deve acquisire la pratica di interpellarci, nel prossimo anno, prima di ogni azione formativa, per ottenere una consulenza di processo”(l’obiettivo viene ampliato al target “direttori commerciali” per l’anno successivo)

Ogni goal deve essere delimitato nel tempo, nello spazio fisico-geografico nel settore merceologico, nella tipologia di soggetti su cui agire, sino ad identificare con estrema precisione i target di campagna.

La struttura aziendale, di fronte ad input chiari, risponde solitamente con maggiore efficienza ed efficacia, e passa rapidamente allo sviluppo di soluzioni operative. Obiettivi confusi e poco traducibili in pratica creano invece demotivazione e portano ad uno stato di generale frustrazione e malcontento nelle risorse umane. 

Pertanto, la creazione di goals e la buona strutturazione della comunicazione rappresenta un importante momento che il management deve utilizzare per lanciare un messaggio chiaro alle risorse umane: “sappiamo cosa vogliamo”. 


Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategie di comunicazione e marketing. Un metodo in 12 punti per campagne di comunicazione persuasiva”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

I confini comunicazionali della campagna

confini comunicazionali selezionano chiaramente il target, lo descrivono e lo separano da altri target o altri soggetti che – pur interessanti – non sono oggetto delle attenzioni di questa campagna.

La campagna è per definizione un’azione su un target molto specifico e localizzato.

target

I confini della campagna devono essere fissati considerando la fattibilità e le risorse in campo, e un periodo di tempo preciso, che non può in genere andare oltre l’anno di tempo. Il motivo per cui non è conveniente estendere troppo la durata della campagna è che la situation analysis (su cui si basa la campagna) evolve rapidamente, e quindi i presupposti iniziali potrebbero essere molto cambiati anche solo a distanza di un semestre. Il bimestre o trimestre – i 60 o 90 giorni di tempo per fare una intera campagna (come tempo medio) – forzano l’organizzazione a stringere il campo su un target ristretto ma chiaro.

Distinguiamo quindi nettamente una campagna di comunicazione da un programma permanente di comunicazione, per evitare confusioni.

Se un obiettivo è molto ampio e il budget elevato, è molto meglio suddividerlo in più campagne specifiche, delimitate, ristrette, controllabili, anziché produrre azioni mastodontiche e dispersive.

Molti amministratori  o manager – per incapacità o in malafede – fissano volutamente obiettivi confusi e scarsamente delimitati, per sfuggire al controllo di risultato che invece una campagna focalizzata permette di praticare.

I confini dell’azione possono anche essere rifiutati da funzionari o consulenti che non desiderano rendicontare il proprio operato (scarsa Accountability). Questo atteggiamento è negativo per tutti. 

Molto più produttivi risulta invece un patto tra (1) funzionari, leader (e altri membri del team di campagna) e (2) finanziatori della campagna – finalizzato ad ottenere (ed esigere duramente, se necessario) le risorse adeguate agli obiettivi di campagna da raggiungere. 

I project leader devono assolutamente rifiutare obiettivi di campagna che non abbiano adeguata copertura di risorse. Devono quindi costruire una lista di risorse necessarie (lista della spesa) per coprire ogni azione prevista entro i confini della campagna.

Ricerca sui target primari

Il team di progetto dovrà conoscere ogni aspetto critico del target da raggiungere.

Per le campagne al consumatore diretto B2C, si include in genere il profilo sociodemografico (età, sesso, titoli di studio, residenza, gruppo etnico, professione) e i profili psicografici (stili di vita, preferenze politiche, abitudini e atteggiamenti).

Variabili di segmentazione sociodemografica nel B2C

  • Sesso
  • Età
  • Titolo di studio
  • Zona di residenza
  • Gruppo etnico di appartenenza
  • Reddito
  • Professione

Variabili di segmentazione psicografica nel B2C

  • Atteggiamenti
  • Cultura – identità
  • Valori umani e sociali
  • Stili di vita (lifestyles)
  • Comportamenti e abitudini
  • Personalità
  • Religione d’appartenenza, grado di religiosità
  • Umori, stati umorali ed emotivi
  • Appartenenza politica
  • Weltanschauung – visione del mondo
  • Propensione al rischio
  • Need-for-uniqueness (bisogno di unicità, bisogno di differenziazione)
  • Way-of-buying (comportamenti d’acquisto, modalità e culture d’acquisto)

Nelle campagne B2B è importante definire quali sono le modalità di acquisto, i ruoli di acquisto, gli influenzatori, i comportamenti passati e le motivazioni di base, le possibili leve di vendita che faranno scaturire l’intenzione comportamentale, gli ostacoli ed obiezioni che incontreremo.

Variabili oggettive per la segmentazione B2B

  • Numero di dipendenti
  • Fatturato – classe di fatturato
  • Variazioni di fatturato sugli anni precedenti
  • Zona di insediamento
  • Nazione di appartenenza
  • Settore merceologico
  • Appartenenze ad associazioni di categoria
  • Esportatore o meno, e quanto

Variabili qualitative per la segmentazione B2B

  • Tipologie di acquisto (gara tra fornitori, appalto, acquisto per amicizie, acquisto imitativo, etc)
  • Climi aziendali e organizzativi
  • Culture aziendali.

Quando la campagna di comunicazione è orientata alle vendite, dovrà essere compreso quale way-of-buying adotta il consumatore, quali obiezioni latenti esistono verso i messaggi, come saranno recepiti i messaggi, considerando la struttura mentale del target.

Dovremo inoltre capire se il target è omogeneo o disomogeneo, e quindi se sarà sufficiente un messaggio ad ampia copertura o occorra predisporre messaggi segmentati, tarati sulle singole audience.

Se affrontiamo una campagna di vendita acquisitiva, dovremo sapere presso chi si rivolge oggi il cliente, se ha già dei fornitori, come li ricerca, come decide, chi decide all’interno dell’organizzazione e chi sono gli influenzatori, e numerose altre variabili.

target

La ricerca sui target primari trae vantaggio dalla realizzazione di azioni di ricerca mirata, su piccoli campioni di componenti del target, per produrre un quadro descrittivo sufficientemente nitido, un quadro che permetta di evitare grossolani errori che spesso si praticano nella comunicazione aziendale quando manca un’analisi accurata del target.

Target audience secondari e opinion leaders

Come abbiamo già sottolineato, il comportamento è sempre influenzato a qualche livello dalle aspettative altrui e da gruppi di riferimento o persone vicine. 

In diverse situazioni, comunicare verso gli opinion leaders o verso gli influenzatori è indispensabile per rimuovere blocchi che impediscono l’adozione di nuovi comportamenti e atteggiamenti, o per ottenere dei “lasciapassare comportamentali” che rimuovono veti psicologici latenti.

La ricerca sui sistemi di influenza e sulle reti di influenza è quindi indispensabile per capire a chi altri comunicare, con quali messaggi e con quali media.

Le campagne di comunicazione efficaci richiedono la comprensione della mappa dei poteri e delle relazioni nella quale si inserisce il soggetto target.

Ad esempio, nel campo della promozione dello sport per anziani, è stato notato da ricerche condotte dall’autore per conto di un’associazione nazionale di promozione sportiva, come la comunicazione verso gli anziani stessi sia ampiamente insufficiente se non avvengono azioni su influenzatori quali i medici di base e i membri della famiglia. Altre importanti funzioni di rinforzo sono svolte inoltre dai gruppi associativi quali i circoli per anziani e i sindacati di anziani, il cui supporto diventa determinante per consolidare l’efficacia dei messaggi.

Dimenticare l’esistenza di questi soggetti è un grave errore strategico.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategie di comunicazione e marketing. Un metodo in 12 punti per campagne di comunicazione persuasiva”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Target audience

Quando vuoi comunicare la tua azienda o il tuo prodotto, prima di tutto devi chiederti “a chi”. E “cosa vuoi generare in loro”.

L’approccio pragmatico richiede alla campagna di comunicazione una sola cosa: risultati concreti, misurabili, tangibili.

Lo schema Who do you Want to do What (chi vuoi che faccia cosa) esprime chiaramente l’orientamento pratico della campagna.

La comunicazione deve cambiare comportamenti o deve introdurre comportamenti, deve cambiare o introdurre atteggiamenti, deve far accadere situazioni o creare condizioni favorevoli affinché accadano.

E ancora una volta, ricordiamo che il semplice “informare” non equivale a persuadere. Siamo persuasivi solo quando cambiamo uno stato di cose pre-esistente.

Ragionare e convincere, com’è difficile, complicato e laborioso! Suggestionare? com’è facile, veloce ed economico!

(Santiago Ramón y Cajal)

Anche le campagne di comunicazione puramente istituzionali e legate all’immagine devono connettersi a specifici comportamenti da introdurre o modificare. L’imperativo è quindi “comunicare per cambiare”, “comunicare per far accadere”, e non comunicare per se stessi. 

In una tribù, i corteggiamenti hanno successo quando arriva l’accoppiamento, e chi possiede già l’attenzione del “cliente” è ostile e ultra-aggressivo verso chi prova ad avvicinarsi. Difende il territorio. Perciò i messaggi devono riuscire a passare questi innumerevoli “firewall tribali” se vogliono avere successo. 

Questo accade anche nelle aziende, dove i decisori, i VP e CEO sono circondati da appositi branchi di scimmie pagate per tenere lontani nuovi intrusi, di cui hanno paura, soprattutto paura che prendano il loro posto. 

Quindi, la conquista dell’attenzione dei decisori diventa un fattore persino più importante del messaggio.

message in the bottle

Il messaggio arriva dopo.

Dire che sei bravo, che sei “leader” (di cosa… se lo dicono tutti), che hai “qualità” equivale a dire niente. Prova a dire che problemi risolvi, che sogni aiuti a concretizzare, che benefici psicologici e materiali hanno le tue soluzioni. Crea una “storia” che parli al cuore di chi la riceve, non limitarti a seminare slogan.

La definizione delle target audience richiede la delimitazione dei confini comunicazionali.

Identificazione corretta del pubblico obiettivo, del target di marketing e target di comunicazione

Nella campagna di comunicazione risulta indispensabile distinguere tra target di marketing e target di comunicazione

Il Target di Marketing (TM) é costituito dal gruppo di persone, pubblici obiettivo, consumatori o rappresentanti di organizzazioni, dai quali si intende ottenere un effettivo comportamento d’acquisto (esempio, la firma di un contratto, il recarsi presso un punto di vendita e effettuare un acquisto).

Il Target di Comunicazione (TC) é invece dato dalle persone, gruppi o aziende sulle quali viene esercitata una forma di comunicazione, necessaria affinché si produca il risultato di marketing (vendita).

Analizziamo caso per caso le diverse situazioni :

  • TM=TC : target di marketing e target di comunicazione coincidono quando le azioni comunicative sono esercitate esclusivamente ed esattamente sui potenziali clienti.
  • TM è maggiore del TC : la strategia di comunicazione prevede azioni comunicative rivolte ad un numero di soggetti minore rispetto agli acquirenti previsti.

Il principio su cui si basa questa modalità è l’effetto di diffusione, il passaparola, secondo modelli di Two-Step Flow o Multi-Step Flow, spesso basati sul ruolo degli Opinion Leaders. 

In questa situazione comunicativa, il messaggio si rivolge a pochi soggetti per ottenere un effetto su molti.

  • TM minore del TC : quando il TC (Target di Comunicazione) è più ampio del TM (Target di Marketing), siamo di fronte al caso in cui cerchiamo di creare consenso, lavoriamo sul clima esterno al cliente potenziale, affinché si creino delle azioni di push che portino il cliente all’azione. 
child

Un caso esemplificativo è la pubblicità di scarpe che si illuminano camminando, destinata come target comunicativo ai bambini, affinché i genitori vengano stimolati ad acquistarle.

Ma anche, nel Business to Business, le azioni di KLE (Key Leader Engagement) in cui si “lavorano ai fianchi” gli influenzatori affinché siano loro a rivolgersi ai decisori e stimolarli a compiere un’azione o un acquisto.

Molte culture aziendali e addirittura nazionali sono fondate su un forte network di relazioni personali. In questo caso, conquistare la fiducia dei decisori, degli influenzatori, portarli ad agire a nostro favore, è larga parte del vero sforzo di una campagna e richiede ottimi specialisti di KLE.

Siamo in un mondo tribale, anche nel business

Il mondo è molto più tribale di quanto sembri, le persone si fidano di più del suggerimento di una persona che conoscono rispetto a mille spot o brochure, per cui il successo spesso richiede un ritorno a forme di contatto umano personale, face to face.

I canali interpersonali di tipo telefonico, o videoconferenza, possono essere un sostituto ma solo in parte. Sempre e comunque quanto più il rapporto diventa veramente face to face, in vera presenza fisica, quanto più la probabilità di successo aumenta. Questo, paradossalmente, quanto più il mondo si digitalizza, il contatto umano fa la differenza perché diventa più “raro”, e quindi più “prezioso”, come ogni merce.

Durante il contatto umano, accadono più cose, anche perché in presenza fisica è più facile svolgere “lie detection” (scoprire bugie comunicazionali e atteggiamenti sottili) rispetto ad una mail o una telefonata, per non parlare dell’ignoranza vera e da ammettere senza colpe, rispetto al sapere quanto accade veramente nella mente di una persona che vede uno spot o una brochure, un banner, un video, una nostra pagina web, in nostra assenza, e cosa pensa veramente.

Molte aziende non comprerebbero da te nemmeno acqua pura mentre stanno morendo di sete, se non gli piaci a pelle, e questo va contro ogni ragionamento logico, eppure è reale. Vale anche per te quando entri in un ristorante. Se c’è un’atmosfera che non ti piace, magari grigia e facce che non ti piacciono, te ne andrai ancora prima di sapere cosa c’è nel menù. 

Ogni azienda compra tramite “cordate tribale di consenso” e ciascuno cerca di far entrare i propri “fornitori amici” e far fuori gli amici dei propri nemici.

Siamo in un mondo tribale, anche nel business, e nella comunicazione dobbiamo tenerne conto. Nessuno fa niente per niente.

Il dettaglio fondamentale del libero mercato è che nessuno scambio ha luogo senza ch’entrambe le parti ne traggan beneficio. Milton Friedman

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategie di comunicazione e marketing. Un metodo in 12 punti per campagne di comunicazione persuasiva”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Competenza tecnica e qualificazione dei membri interni ed esterni del Campaign Team

Di assoluta importanza e priorità è decidere quali siano i confini dei ruoli : chi deciderà la strategia del messaggio? Il creativo o lo psicologo, o il direttore commerciale? 

Se non chiariamo prima i confini del “chi fa cosa” la campagna sarà un continuo susseguirsi di rimpalli di responsabilità o lotte di potere, e in un caso o nell’altro non ne uscirà nulla di buono.

In ogni organizzazione la certezza della responsabilità nominale (un nome per ogni responsabilità) è un ingrediente fondamentale.

Nessun titolare d’azienda si affiderebbe ad un idraulico per un’operazione al cuore, e la comunicazione aziendale è materia altrettanto delicata. 

La comunicazione punta al cuore dell’azienda e al cuore del cliente.

Sbagliare la comunicazione produce danni. Gli errori costano cari. 

Per gestire una campagna di comunicazione dobbiamo quindi definire competenze scientifiche e di coordinamento forti, e delegare solo i compiti veramente amministrativi a chi ha competenze amministrative. Dobbiamo inoltre capire che molte competenze prima giudicate amministrative sono in realtà comunicazionali. 

Il fatto di considerare un operatore di telemarketing come amministrativo è un errore, in quanto il telemarketing è attività comunicazionale che richiede forti skills verbali, paralinguistiche e di ascolto, un training adeguato, e una selezione di partenza forte. Lo stesso vale per la vendita diretta.

Ancora di più vale per il Key Leader Engagement, la dove abbiamo persone fisiche che vanno ad ingaggiare leader e decisori. La preparazione deve essere massima.

Ogni campagna di comunicazione deve costruirsi sulle basi di un pool manageriale, tecnico e scientifico dalla consolidata esperienza e capacità.

I ruoli e le funzioni più importanti nell’impostazione di una campagna di comunicazione aziendale sono connessi alle sue diverse fasi. 

Mentre nelle grandi campagne di comunicazione, che dispongono di budget elevati, è opportuno che i ruoli siano assunti da diverse persone, nelle campagne di comunicazione e nelle campagne commerciali delle PMI è invece possibile accorpare diverse funzioni in più persone, considerando la realtà delle risorse disponibili.

In questo caso (accorpamento di più ruoli) dovremmo comunque distinguere quale “cappello” il soggetto stia vestendo nei diversi momenti della campagna, per evitare di confondere le responsabilità, che devono invece rimanere separate.

I ruoli e le funzioni principali della campagna di comunicazione

  • Direttore commerciale, direttore marketing, o titolare/proprietà: il direttore commerciale o direttore marketing (in alcuni casi la proprietà stessa) deve esplicitare il risultato da raggiungere in termini aziendalistici e verificare tramite le sue conoscenze dirette del mercato la fattibilità di alcune fasi della campagna. È il referente verso il quale la campagna deve produrre risultati.
  • Consulente in comunicazione: il consulente deve agire da direttore scientifico, facilitatore di processo e referente tecnico, esponendo le linee guida da seguire. Tra i suoi compiti si inseriscono la fissazione dei communication goals in accordo con la direzione commerciale, la supervisione scientifica dei processi di ricerca, message planning e communication planning, pre-test e verifiche di risultato, e la definizione della channel strategy.
  • Creativo: il creativo può ricevere il compito di elaborare un messaggio che concretizzi la linea di azione comunicativa decisa strategicamente dalla direzione e dai consulenti.
  • Copywriter: il copy è responsabile della redazione dei testi, e in alcuni casi della realizzazione degli scripts (strutture di comunicazione).
  • Ricercatore/analista: ha il compito di curare progetti di ricerca e realizzare raccolte dati (primari o secondari) che facciano luce sul problema, svolgendo inoltre le necessarie ricerche sui target primari e secondari. Se dotato di skills elevate, possiede le competenze per realizzare i test sperimentali di efficacia del messaggio (pre-test), ricerche qualitative e verifiche di risultato (post-campagna). Deve compiere analisi qualitative e/o quantitative.
  • Media-planner (solo nei casi di campagne tramite mass-media): ha il compito di verificare la disponibilità dei media e acquistare gli spazi media, considerando i  tempi e momenti di esposizione esatti nei quali il messaggio deve uscire, e i canali/media sui quali si intende comparire.
  • Key Leader Engagement Specialist (KLE): ha il compito di ingaggiare, contattare le persone chiave, i decision makers, gli influenzatori, e quando vi sono più Engager, gestire le operazioni di KLE e coordinarle
  • Project manager: ha il compito di coordinare le diverse risorse umane, i tempi e le risorse di progetto.
  • Finanziatore: reperisce le risorse per le diverse fasi. Può essere il titolare o un manager che gestisce un budget. Il più grave errore che può compiere è ricercare risultati elevati stirando un budget risicato su molteplici obiettivi, senza raggiungerne alcuno.

Partner potenziali e loro ruolo nella campagna di comunicazione

Molti progetti richiedono la presenza di partner qualificati. I partner possono essere sia strutture pubbliche e private, enti o aziende, consulenti o associazioni, fornitori o clienti, e altre entità cointeressate alla realizzazione degli obiettivi di progetto. 

pa
ship

I partner devono avere ritorni forti e responsabilità accettate in modo altrettanto forte e chiaro.

E’ facile ignorare la responsabilità quando si è soltanto un anello intermedio in una catena di azioni.

Stanley Milgram

La costruzione di un network di progetto funge da facilitatore ed aumenta il peso politico dello stesso. Per un’azienda produttrice di utensili, riuscire a realizzare una campagna commerciale con il supporto o senza il supporto dei sui principali fornitori produce effetti decisamente diversi. Quando si riesce a creare una “cordata” di enti, aziende, persone, interessate agli esiti del progetto, il progetto ha più motori e più propulsori.

Per un club sportivo intenzionato a promuovere una nuova disciplina, il supporto di una federazione nazionale (che faccia sentire il proprio peso politico, e organizzi una dimostrazione pratica con atleti di alto livello) può fare la differenza.

Per un produttore di software, poter disporre di testimonianze dei principali clienti sui benefici ottenuti grazie alle soluzioni progettate, farli partecipare di persona come testimonial di un evento informativo, rappresenta un fattore critico di successo. In tutti questi casi, la sinergia tra attori di mercato aumenta il risultato finale dell’operazione.

Nel caso precedentemente riportato (l’azienda Secure) la campagna commerciale per la sicurezza degli stabilimenti chimici aveva negli Assessori all’ambiente e Sindaci dei comuni del territorio un cardine fondamentale, sia per il potere di boicottaggio che essi potevano assumere verso gli “inadempienti” alla fase di verifica della sicurezza in azienda, che per il potere di facilitazione del progetto o di co-finanziamento.

Deve essere tuttavia evitata la frammentazione decisionale: uno specifico ente o azienda – uno solo – deve assumere la leadership di progetto e i partner devono accettare le regole decise dal Project Leader.

Nella definizione delle partnership il problema principale dell’azienda è quello della motivazione dei partner stessi. Il leader deve porsi il problema di collocare – sul piatto della bilancia – ritorni importanti, inclusa l’immagine del far parte del progetto ma anche la visibilità, opzioni di incremento delle vendite, e altri ritorni, che siano in grado di motivare e incoraggiare un’effettiva partecipazione dei partner. 

La partecipazione dei partner può essere ripagata tramite ritorni d’immagine chiari (presenza del logo su ogni comunicazione) e/o anche tramite aumenti di vendite verificabili, e altre forme di ritorno per cui i partner non stiano solo “facendo un favore” (“nessuno fa niente per niente”, è un detto decisamente applicabile nel campo del business), ma ricavino concreti benefici dal partecipare alla campagna.

In un certo senso, la vendita del progetto ai partner è un sotto-piano di comunicazione innestato nella campagna. Se questo fallisce l’azienda si troverà a gestire la campagna da sola, contando su risorse e apporti esterni che non perverranno mai.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategie di comunicazione e marketing. Un metodo in 12 punti per campagne di comunicazione persuasiva”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Mission, obiettivi e goals

La mission definisce il motivo di esistere di un’organizzazione. 

La mission deve avere qualcosa di nobile, qualcosa per cui valga la pena battersi e ogni sforzo speso per trovare questo senso si ripaga esponenzialmente.

Quando crediamo in quello che facciamo, diventiamo inarrestabili.

Partendo da questo assunto di base, possiamo considerare che un campaign team – il gruppo di professionisti, collaboratori e strutture che cooperano al team di campagna – sia un’organizzazione temporanea di persone accomunate da una mission, che deve essere chiaramente esplicitata. 

Per cosa si riuniscono queste persone? Non dobbiamo confondere la mission con i macro-obiettivi e gli obiettivi con i goals. I goals sono descrizioni specifiche che contengono proposizioni di risultato misurabili, mentre gli obiettivi di campagna devono essere più ampi e “rendere il senso” di ciò che stiamo facendo.

La mission deve invece possedere, alla sua base una forte componente di coraggio, di sfida, di “relazione d’aiuto”.

help

La sua formulazione (nel metodo ALM, ma anche in altre formulazioni) richiama sempre un “risolvere i bisogni di…”, trovare soluzioni per…” e altre formule di ispirazione ai bisogni di miglioramento sociale o di realizzazione di propositi di crescita, positività e sviluppo. 

Nessun esercito può resistere alla forza di un’idea il cui momento è arrivato.

Victor Hugo

La mission deve essere centrata sullo sviluppo sociale o economico e non solo sugli obiettivi economici o aziendali. 

La confusione tra mission (contribuire a…) e obiettivi economici aziendali è uno dei più frequenti errori di management, una miopia gravissima.

Ad esempio, un caso seguito dall’autore riguarda la creazione di una campagna commerciale per un nuovo prodotto dell’azienda Secure[1], destinato alla sicurezza dei sistemi informativi aziendali (information security), in un territorio ad alta concentrazione industriale. Il timore di sabotaggi e attentati, unito alla sostanziale arretratezza dei sistemi informativi presenti nelle aziende, rendeva urgente occuparsi di questo tema.

La declinazione di obiettivi può essere così descritta e articolata:

esempio di mission “diffondere nelle aziende a rischio ambientale una grande cultura della sicurezza, potenziare i sistemi di difesa e prevenzione, ridurre drasticamente le possibilità di incidenti derivanti da attacco informatico interno o esterno, finalizzato al sabotaggio agli impianti, da cui possano derivare morte e rischi per le comunità locali”. 

Da questa formulazione orientata a produrre benefici (evitare incidenti chimici derivanti da sabotaggi informatici), derivano obiettivi più connessi alla necessità aziendale di produrre. Tuttavia, i secondi non possono essere anteposti ai primi, pena una grave perdita di visione e il concreto rischio di veder svanire tutta la competitività del progetto stesso. Per cui, data la mission, si passerà a definire:

obiettivi (più puntuali), come “testare la qualità e vulnerabilità dei sistemi informativi delle aziende chimiche e a rischio industriale nel territorio del Nord-Est”, “verificare la tenuta delle procedure informatiche interne in casi di crisis management, per ogni processo”, e altri.

specifici goals misurabili. Es: “portare 3 stabilimenti chimici di grandi dimensioni del nord-est, ad un livello di sicurezza 100/100 sulla nostra scala di rating”, “diffondere la brand-awareness dei prodotti Secure tra le PMI delle province di Venezia, Ferrara e Ravenna, realizzando almeno 10 dimostrazioni complete del sistema Secure ai direttori di stabilimento e della sicurezza entro 4 mesi dal lancio della nuova gamma di prodotto”, e altri goals.

Dobbiamo chiarire al mondo, a noi stessi e ai nostri collaboratori e partner cosa stiamo facendo. Questo è lo spirito della mission. Senza chiarire fino in fondo la mission, essa rimarrebbe una coltre di etica nebbiosa, una “mano di bianco” manageriale su un muro traballante pronto a cadere. 

Bisogna far emergere definitivamente e una volta per tutte se il risultato che vogliamo produrre è utile e per chi. A chi serviamo? A cosa vogliamo dare un contributo con la comunicazione, con il prodotto o servizio? 

Spiegarsi, condividere con qualcuno il senso è lo scopo è fondamentale per raffinare la strategia.

clear

Il miglior modo per chiarirsi le idee è quello di spiegarle a un’altra persona.

Arthur Conan Doyle

Nell’esempio sopra riportato, sarebbe particolarmente facile confondere la mission con gli obiettivi economici. Perché la Secure dovrebbe preoccuparsi della sicurezza degli abitanti, prima che di vendere? Perché la dimostrazione va fatta ai direttori di stabilimento e responsabili della sicurezza, e non ad esempio ai direttori commerciali? Domande stupida? Molti direttori commerciali, presi dall’ansia di vendere, smettono di curarsi di “cosa stiano facendo e per chi”, “a cosa stiamo dando un contributo vero”. Ma questo è un errore gravissimo, il primo anello della catena del fallimento.

Sempre nello stesso caso, se la mission fosse “proteggere i dati aziendali dal furto, evitando perdite economiche derivanti da fuoriuscite di informazioni commerciali riservate”, l’interlocutore da ingaggiare (Key Leader Engagement) diventerebbe immediatamente il direttore commerciale, e non più il direttore tecnico. 

Cambierebbe immediatamente la rete dei partner della campagna. Gli assessori all’ambiente – partner della prima mission, e sicuramente interessati a contribuire, se ben motivati, alla campagna inerente la sicurezza per i cittadini del proprio comune – non sarebbero più nemmeno da pensare come possibili partner per la campagna sulla sicurezza dei dati commerciali. Quindi, non dovrebbero più essere oggetto di Key Leader Engagement. Ingaggiarli, andare a parlare con loro per ottenere un supporto dall’Ente, diventerebbe solo uno spreco di tempo. Dovremmo invece cercare ingaggi più coerenti e utili.

Cambierebbero tutti i riferimenti, tutti i goals, tutte le strategie di comunicazione, di canale, e di motivazione. In pratica, si tratterebbe di un’altra campagna. Il risultato finale può essere comunque lo stesso (es:, vendere 10 sistemi di sicurezza entro 5 mesi), ma l’impianto strategico che sottostà la campagna di comunicazione cambia completamente, e se non lo capiamo non si venderanno né i primi 5 né gli ulteriori “pacchetti di servizi”, a nessuno.

Il risultato comunicazionale avviene solo quando la mission della campagna è ben studiata e formulata.

È questo uno dei punti che più distingue i “comunicatori professionali” dagli “improvvisatori professionali” e dai “manager da pollaio” (le persone cui non dovrebbe essere dato nemmeno il compito di gestire più di tre galline, pena l’accadere di gravi disastri, e che purtroppo invece occupano spesso posizioni che non dovrebbero).


[1] Per motivi di riservatezza, i dati (nomi, territori, etc.) sono alterati al fine di salvaguardare l’identità del cliente, pur mantenendo intatta la “filosofia” del progetto.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

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© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategie di comunicazione e marketing. Un metodo in 12 punti per campagne di comunicazione persuasiva”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Definizione del problema: problem setting

setting

Mentre il problem solving è l’arte (e scienza) di risolvere i problemi, il problem setting è l’arte (e scienza) di fissare i problemi, definirli, di capire quali problemi siano da porre in primo piano. 

Risolvere problemi è spesso fattibile, ma risolvere problemi sbagliati è inutile e dispersivo per le risorse aziendali.

Non risolvere i problemi veri è invece deleterio, poiché essi continueranno a macerare e a minare il successo dell’azienda.

Il problem setting richiede che l’azienda si impegni in apposite sessioni di analisi, di emersione delle criticità, e di priority setting (definizione delle priorità).

Il problema deve essere sempre scritto e formulato. La formulazione del problema così ottenuta prende il nome di problem statement.

Esempio di problem statement  errato e corretto

  • Errato (centrato su di sè): Vendiamo meno di quanto vorremmo
  • Corretto (centrato sulle esigenze dell’utilizzatore): I nostri concessionari non utilizzano tecniche di ascolto adeguate, questo produce un tasso di chiusura ridotto e resi elevati a danno nostro e loro

Il “non vendere a sufficienza” è certamente un problema per l’azienda, ma un problema molto ampio che non produce, così come formulato, alcuna ulteriore idea su come affrontarlo.

Isolando un tema specifico, quale l’area delle tecniche di ascolto e l’efficacia nella chiusura, possiamo invece affrontare una componente primaria del problema per poterlo risolvere più efficacemente. 

Se non vendi, è un tuo problema, e questo non aiuta a capire quale sia il messaggio da portar fuori, e a chi. Un problem statement deve spostare la luce dei riflettori verso chi deve prendere le decisioni d’acquisto.

Questo processo di “narrowing down” (restrizione del campo di problemi da affrontare), richiede che sia stata svolta qualche forma di ricerca a priori, in grado di formulare ipotesi e possibili soluzioni per isolare la fonte del problema. 

research

La ricerca – opposta all’improvvisazione – è il fondamento del metodo ALM (Action Line Management).

Esempio di problem statement  errato e corretto

  • Errato (centrato su di sè) : dobbiamo farci conoscere dagli albergatori e far comprare i nostri impianti solari
  • Corretto (centrato sulle esigenze dell’utilizzatore): i gestori di alberghi hanno ad oggi informazioni confuse e insufficienti per decidere come utilizzare le energie rinnovabili
  • Un’azienda che offre impianti basati su energie rinnovabili, può svolgere una campagna diretta agli alberghi “per farsi conoscere” (ma questo è l’obiettivo interno, il fatto in sè non interessa al cliente) oppure cogliere alcuni dei BSS (Bisogni Sottostanti Serviti) nel cliente e farne bersaglio del proprio comunicare. 

    Questo significa fare “problem sensing”, rendersi conto che i Direttori degli alberghi e i Titolari hanno molta confusione in testa, sono poco informati rispetto alle vaste gamme di tecnologie possibili nel campo solare, conoscono poco o in modo superficiale la differenza tra pannello solare termico, pannello termodinamico, pannello solare fotovoltaico, pompe di calore, rinfrescamento da fonte geotermica, e questo non permette loro di scegliere bene. 

    Il loro “non conoscere” alza inoltre i costi di gestione perché l’albergo non fa uso dei risparmi notevoli resi possibili da questi tecnologie pulite. La nostra missione diventa quindi aiutare gli alberghi a cogliere opportunità. Aiutare loro a migliorare la loro condizione. Il nostro impianto, diventa un mezzo per il loro fine. Diventa qualcosa che permetta a loro di migliorare.

    Come emerge chiaramente, la fase di problem setting richiede la realizzazione di analisi sul campo, ricerche empiriche e manageriali in grado di far emergere i problemi sia nostri che dei clienti potenziali, trasformando vaghe formulazioni in specifiche proposizioni manageriali (passaggio dal problema indistinto al problema affrontabile).

    Senza avere definito con precisione uno o più problemi, non sarà possibile progettare alcun programma comunicativo efficace.

    Ogni campagna deve agire su problemi o obiettivi, è quindi necessario passare da definizioni vaghe o imprecise ad una esatta definizione del problema che genera il bisogno di fare una campagna o attività

    Ricerca sul problema: situation analysis

    Se un problema è tale, la sua consistenza deve essere supportata da dati di fatto. I numeri parlano, le impressioni “sussurrano”, i silenzi non dicono nulla. 

    La situation analysis si prefigge di realizzare un report descrittivo del problema, del target, della situazione aziendale di mercato, di scenario o organizzativa. 

    Il report direzionale dovrà illustrare dati e tendenze in modo verificabile, esplicitando le fonti di ogni singola informazione (ove non coperte da segreto). Lo scopo è di fornire una rappresentazione oggettiva della realtà.

    Poniamo il caso di una campagna di comunicazione finalizzata a modificare l’immagine aziendale: abbiamo dati empirici su come siamo percepiti da parte del pubblico, o ci basiamo sul “sentito dire”? Senza una fotografia dell’immagine aziendale al “tempo 0” non avremo alcun modo per capire scientificamente se la campagna di comunicazione, al “tempo 1”, avrà avuto successo. Mancando ogni termine di paragone con la situazione iniziale (ex ante – situazione precedente la campagna), il divario con la situazione finale (ex-post, situazione al termine della campagna) diventa non misurabile.

    Per avere successo, serve azione, e sapere da dove a dove ci vogliamo spostare

    Avere un’idea dovrebbe essere come stare seduti su uno spillo; dovrebbe farti balzare in piedi e fare qualcosa.

    Harvey B. Mackay

    Vediamo un ulteriore caso. Un’azienda informatica decide di attuare una campagna di “comunicazione situazionale” (legata ad un particolare evento): valorizzare la presenza presso un evento fieristico e massimizzare i contatti fieristici dal punto di vista commerciale. Il problema sottostante da affrontare è la scarsa qualità dei contatti commerciali avuti nelle fiere precedenti, in cui la partecipazione aveva prodotto molto meno di quanto atteso.

    Su quali dati ci basiamo per monitorare un futuro miglioramento, dovuto alla campagna di comunicazione? Abbiamo una tabella che numerizza il tipo di contatti avuti e i risultati prodotti in precedenza? Abbiamo realizzato uno studio per capire chi vogliamo far partecipare all’evento? Sappiamo dove sono localizzati i nuovi clienti da raggiungere? Come misureremo l’esito della campagna?

    Un ultimo esempio inerente un tema di comunicazione pubblica: la realizzazione di una campagna per la sicurezza stradale. Abbiamo un quadro chiaro ed esaustivo di quanti incidenti avvengono e dove? Sappiamo a che ora avvengono maggiormente, in quali giorni, in quali strade o tipologie di strada, e perché? Senza questi dati la comunicazione non saprà letteralmente dove agire, e produrrà sicuramente messaggi “nel vuoto”.

    La situation analysis si prefigge quindi di chiarificare il quadro del presente per poter raffrontare, rispetto ad esso, il quadro futuro.


    [1] Trevisani, D. (2000). Competitività aziendale, personale, organizzativa: strumenti di sviluppo e creazione del valore. Milano, FrancoAngeli.

    Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

    Altre risorse online

    © Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategie di comunicazione e marketing. Un metodo in 12 punti per campagne di comunicazione persuasiva”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

    Campagne di comunicazione strategica

    Una strategia comunicativa è un insieme di azioni organizzate per ottenere un certo effetto, o “end-state” (stato finale, stato di arrivo, destinazione).

    Non è un esercizio puramente artistico, non è “arte per l’arte”. E’ “arte e strategia per far succedere qualcosa di importante”.

    L’impostazione di una strategia trae gran beneficio dall’assimilare metodi e concetti di “campagna di comunicazione”, piuttosto che da azioni scollegate.

    comunicazione strategica

    Il termine “campagna” deriva il proprio concetto strategico dalle “campagne militari” volte a conquistare un territorio, un forte, un ponte, ma ripulita da ogni coloritura “bellica”.

    Ne adotta invece il rigore metodologico, l’impostazione centrata su obiettivi e la porta piuttosto ad osservare se stessa alla stregua delle “Forze Speciali” di cui un’impresa vuole dotarsi per raggiungere i suoi obiettivi.

    La Comunicazione oggi è davvero la “forza speciale” di ogni azienda, e come tale deve essere considerata, nutrita e cresciuta, con l’atteggiamento mentale di chi sa di poter fare grandi cose.

    “Nulla può impedire all’uomo con il giusto atteggiamento mentale di raggiungere il proprio obiettivo; nulla sulla terra può aiutare l’uomo con l’atteggiamento mentale sbagliato.”

    Thomas Jefferson

    La comunicazione strategica ne utilizza le logiche,  spostando il tiro su obiettivi tangibili e intangibili importanti, come lo sviluppo di un marchio, la conquista di notorietà, portare avanti un valore, o concetto, trovare consenso, o sviluppo nelle vendite. 

    Lo scopo è ottenere comportamenti sociali da parte di pubblici-obiettivo (i target-audience della campagna). Che si tratti di una campagna contro il fumo o per il rispetto della meritocrazia, o vendere l’immagine dell’Italia nel mondo, o un integratore alimentare, si tratta di mettere in moto azioni che producano effetti reali.

    Una campagna, consiste nell’applicazione di un insieme di molteplici azioni comunicative, azioni che non devono “viaggiare” in modo confuso, ma essere convergenti e strutturate verso uno scopo.

    Per fare una buona campagna, serve una buona “regia”. Un comando strategico. Una visione di cosa ottenere.

    E noi cosa vogliamo ottenere? Senza saper rispondere a questa domanda basilare, non avremo la possibilità di iniziare né di arrivare a niente. 

    Per cui, il lavoro di “focusing” – la focalizzazione sul ”cosa”, sul “quando”, sul “dove” e sul “perché” , è estremamente preziosa e farà luce tra veri risultati e falsi risultati.

    Ciò che determina il successo di una campagna non è tanto il “volume di fuoco” dei messaggi ma la precisione chirurgica, la perfetta identificazione dei target, e la qualità dei messaggi. E quando parte di questi messaggi arrivano via contatti personali, anche la qualità delle persone fa la differenza.

    Nelle campagne, le azioni devono organizzate strategicamente per avvicinarsi a specifici obiettivi.

    I principi che devono guidare la strategia comunicativa consistono in:

    • Fissare “End-States”, punti di destinazione strategica (principio di inquadramento di obiettivi chiari o Focusing);
    • Agire tramite “campagne di comunicazione strategica” anziché con miriadi di iniziative scollegate e scoordinate – (principio della Sincronizzazione);
    • Avere un “Comando” della comunicazione strategica, non lasciare la comunicazione ad un ruolo marginale o autoproclamato, o vittima delle questioni tribali organizzative,
    • Costruire una leadership chiara sia dei messaggi, dei temi narrativi sovraordinati, da condividere, e delle operations, fare empowerment di chi dirige la comunicazione strategica 
    • Evitare dissonanze nei messaggi che escono (principio di Riduzione della Dissonanza Comunicativa e dei Rumori Comunicativi).

    Il concetto di Energia di Attivazione

    Una campagna di marketing o di comunicazione deve possedere energia di attivazione. Quando poi si arriva alla vendita, ne deve possedere ancora di più, e questa energia deve essere ancora maggiormente simile ad un raggio  laser che non ad una luce diffusa.

    L’attivazione (o Activation nel gergo del marketing) è la metafora di una scintilla che accende interi processi e li alimenta, sintetizza il concetto-chiave : imparare a sviluppare campagne che “attivano”, che generano risultati, che determinano cambiamenti misurabili anche nel breve termine, e mettono in moto le potenzialità aziendali. 

    L’Activation Research, letteralmente “ricerca su cosa attiva le persone” dovrà poi misurare gli esiti, e dirci se una campagna ha funzionato.

    Perché una reazione avvenga è necessaria la sinergia di più azioni comunicative opportunamente orientate. Le azioni devono essere dotate di un minimo livello di energia (l’energia di attivazione), senza la quale le azioni aziendali diventano solo energia sprecata.

    Il mondo della comunicazione oggi vive in un caos di “entropia”, un capogiro di opzioni tra canali social, pubblicitari, siti web, spot, vendita personale, incontri, presentazioni, meeting, fiere, show, eventi, e qualsiasi altra modalità con cui le aziende cercano di “far uscire” il proprio messaggio e vendere. Chi non afferra le leggi di questo caos, rimane fuori mercato.

    far uscire il proprio messaggio

    In ogni caos c’è un cosmo, in ogni disordine un ordine segreto.

    Carl Gustav Jung

    Da questo bombardamento le persone escono frastornate. E per chi comunica, fare tanto rumore per nulla, far esplodere fuochi d’artificio che divertono ma non producono azione o vendita, serve a poco, a pochissimo. 

    Molto meglio un incontro face-to-face nel quale porti a casa un ordine, che una valanga di messaggi a caso. E nel modello delle campagne, ancora meglio quando i media si “intrecciano” strategicamente, creando un campo di convergenze dove le energie di un canale valorizzano quelle degli altri, in un “coro comunicativo” veramente ben orchestrato.

    E’ una questione di leadership. Anche nel gestire campagne di comunicazione. 

    Ogni comandante deve sviluppare una strategia comunicativa coordinata e sincronizzata ed essere guida per il supporto e l’esecuzione di uno sforzo coeso.”[1]

    Nel mondo aziendale, per uscire dall’indifferenza e dal caos comunicativo occorre sviluppare azioni e messaggi in grado di superare barriera di indifferenza e il “rumore di fondo” e determinare effetti su target localizzati. 

    La potenzialità del metodo genera ricadute sia nell’immediato, e anche sulla cultura e il “modo di fare” azione commerciale, nel medio e lungo periodo, e in tutta l’azienda. 

    Il metodo instilla un “pensiero strategico” nel quale prima di tutto ci si focalizza sullo stato finale da raggiungere (End-State, in termini militari) e poi sui media e canali da attivare, facendo sinergia tra metodi di vendita face-to-face, canali pubblicitari, strategie di social media, fiere, congressi, eventi. 

    Ma al di la del canale, il fondamento è fare chiarezza sui messaggi, sui destinatari, sugli influenzatori, sui prodotti, sulle persone e sul chi deve fare cosa, nelle responsabilità individuali e in team.

    La perfezione della tecnologia e la confusione degli obiettivi sembrano caratterizzare la nostra epoca.

    Albert Einstein

    È fondamentale pensare a quali veri obiettivi attivare in una “campagna” che assimila molti concetti dai metodi delle “campagne militari”, e da questi deriva una sua impostazione strategica. 

    Per fare una metafora, troppo spesso le aziende si impegnano in una “guerra di logoramento” in cui ogni giorno drenano energie senza vederne il ritorno, anziché focalizzarle in azioni mirate e d’impatto.

    Azioni comunicative come forma di Engagement 

    Il concetto di “engagement” o “ingaggio” ha una connotazione di natura militare, es, si parla di Key Leader Engagementper definire la capacità di incontrare con interlocutori umani importanti, in un certo contesto locale in cui agiscono eserciti, o in fase pre e post-conflict.

    Nel campo aziendale, la similitudine è forte: saper “ingaggiare” significa saper costruire una serie di contatti dalla quale emergano progressivamente nuovi clienti. In questo senso, i canali “social” hanno discrete potenzialità di “ingaggio debole” (far conoscere un marchio o iniziativa, ad esempio), o virali, mentre gli incontri faccia a faccia sono forme di ingaggio “forte”, sono in grado di negoziare e condurre trattative, possono e devono essere la priorità per siglare contratti nel business-to-business.

    Bisogna trovare le parole giuste che aprono l’attenzione del nostro target, bisogna apprendere a comunicare anche e soprattutto con chi non usa il nostro stesso linguaggio.

    Io, che l’ho visto più volte in questi anni, non sono mai riuscita a stabilire con lui un contatto che assomigliasse a un contatto umano, a farlo mai indulgere a un attimo di cordialità, di curiosità, di calore, ammenochè non pronunciassi le parole Mercury, Gemini, Apollo, LM.

    Oriana Fallaci, da “Quel giorno sulla luna”

    Gli esseri umani possono essere “media speciali” e la sinergia tra azioni “fredde” o mediatiche o via internet, e azioni face-to-face, è di forte impatto.

    Per forniture di grande peso economico, le azioni che portano alla conoscenza del marchio (brand development) e usano i media e i social, devono essere “chiuse” (concluse) da esseri umani.

    social media

    La dove invece l’obiettivo di campagna sia soprattutto divulgare informazione, i media hanno maggiore efficienza.

    Il termine “campagna” essendo di derivazione militare e utilizza una concezione tipicamente militare dell’azione sul campo, fatta di analisi tattica, leadership operativa e valutazione dei possibili blocchi interni ed esterni che impediscono la “conquista” di un risultato, e una concezione dei tempi dotata di scadenza.

    La sequenzialità si riferisce alla necessità e possibilità di utilizzare una serie di operazioni (sequenza) per ottenere un particolare risultato. 

    Come per altre operazioni manageriali, le campagne si basano sul principio di Backward-planning (pianificazione a ritroso): Fissare un obiettivo e da questo dedurre tutte le singole tattiche finalizzate a quell’obiettivo, fissare una scadenza finale, le fasi precedenti e le scadenze intermedie.

    La letteratura presenta una distinzione tra campagna di comunicazione e programma di comunicazione. In particolare, la campagna è considerata come una serie di eventi che hanno una durata temporale definita, mentre il programma non ha una durata o limite preciso.

    Una campagna pianificata per la durata di un mese, sei mesi, un anno o più (ma comunque di durata definita e controllabile), si presta alla misurazione degli effetti, genera una maggiore precisione sia nella pianificazione che nella fase di esecuzione, mentre programmazione continua non ha un chiaro inizio o fine, e l’impegno spesso degenera e si deteriora.

    Piani di attività che non hanno scadenze tendono ad essere rimandati di continuo nella scala delle priorità.

    La durata di 60 giorni, in genere, qualifica un tempo medio sufficientemente corto per poter focalizzare la mente e le menti di chi vi opera.

    Le macro-fasi della campagna di comunicazione 

    Nelle campagne di pubbliche relazioni l’attuazione di una “generica” campagna richiede attenzione a quattro fasi sequenziali:

    • Ricerca
    • Adattamento
    • Implementazione
    • Valutazione.

    Ciascuna fase è caratterizzata da operazioni che elenchiamo di seguito in forma riassuntiva.

    Ricerca

    La ricerca precede la campagna e riguarda l’acquisizione di informazioni sui problemi da risolvere (atteggiamenti, comportamenti, background, condizioni), sulla loro natura ed entità. Gli obiettivi e processi sottostanti sono:

    • Analizzare la natura del problema o problemi, studiare il background.
    • Analizzare i sintomi e ipotizzare cause (formulazione di ipotesi).
    • Raccogliere dati per verificare le ipotesi, utilizzando metodologie valide e affidabili sia nella raccolta che nella misurazione.
    • Interpretare i dati.
    • Identificare i problemi in forma di dichiarazione scritta del problema (problem setting).

    Adattamento

    L’adattamento implica la capacità di far combaciare i goals e obiettivi comunicativi con la situazione rilevata nella ricerca. 

    Per produrre un adattamento adeguato è necessario suddividere il problema o i problemi in obiettivi specifici e misurabili, chiarificando i vincoli e confini della campagna. I processi sottostanti sono:

    • Suddividere i problemi in dichiarazioni di goals misurabili.
    • Segmentare i pubblici e dare ordini di priorità.
    • Creare una lista di possibili soluzioni per la soluzione dei problemi (problem solving).
    • Elencare risorse umane finanziarie
    • Evidenziare le limitazioni e fissare i confini: evidenziare i limiti comunicazionali della campagna (temporali, numero di soggetti raggiungibili, luoghi, spazi), considerando le risorse disponibili e i dati della fase di ricerca.

    Implementazione

    L’implementazione riguarda la scelta delle strategie e la loro realizzazione pratica. Per procedere all’implementazione occorre attivare i seguenti processi:

    • Selezione le strategie di problem solving dotate di elevata probabilità di successo e maggiore fattibilità.
    • Individuare il piano di comunicazione (fonti, messaggi, canali, media-mix o Communication mix, destinatari e pubblici obiettivo).
    • Assegnare un budget per ogni azione o evento.
    • Pianificare nel tempo l’intera strategia e piano di comunicazione (scadenzario, pianificazione Gantt).

    Valutazione

    La valutazione riguarda l’analisi relativa al livello di conseguimento degli obiettivi, e altri effetti causati dalla campagna. I processi coinvolti:

    • Misurare il livello di ottenimento dei goals.
    • Misurare i miglioramenti verificati.
    • Valutare l’efficienza economica della campagna (analisi costi-benefici).
    • Valutare la presenza di effetti inaspettati della campagna (positivi e/o negativi).
    • Valutare gli effetti sull’organizzazione stessa, prodotti dalla campagna (team building, coesione, migliore organizzazione, maggiore managerialità).
    • Concentrarsi sia sugli effetti immediati che sugli effetti che la campagna può lasciare nel medio e lungo periodo come eredità comunicativa.

    [1] Major General Stephen Layfield Introduction to US Joint Forces Command (2010). In: “Commander’s Handbook for Strategic Communication and Communication Strategies”. Published by U.S. Joint Forces Command, Joint Warfighting Center, Suffolk, Virginia.

    Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

    Altre risorse online

    Copyright. Articolo estratto dal libro “Direzione Vendite e Leadership. Coordinare e formare i propri venditori per creare un team efficace” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

    Il concetto di Energia di Attivazione

    Il mondo appartiene a quelli che hanno la maggiore energia.

     (Visconte Alexis de Tocqueville)

    Una campagna di marketing o di comunicazione deve possedere energia di attivazione. Quando poi si arriva alla vendita, ne deve possedere ancora di più, e questa energia deve essere ancora maggiormente simile ad un raggio laser che non ad una luce diffusa.

    La leadership nelle campagne di vendita, di comunicazione e di marketing

    L’attivazione (o Activation nel gergo del marketing) è la metafora di una scintilla che accende interi processi e li alimenta, sintetizza il concetto-chiave che vogliamo esprimere: imparare a sviluppare campagne che “attivano”, che generano risultati, che determinano cambiamenti misurabili anche nel breve termine, e mettono in moto le potenzialità aziendali. 

    L’Activation Research, letteralmente “ricerca su cosa attiva le persone” dovrà poi misurare gli esiti, e dirci se una campagna ha funzionato.

    Perché una reazione avvenga è necessaria la sinergia di più azioni comunicative opportunamente orientate. Le azioni devono essere dotate di un minimo livello di energia (l’energia di attivazione), senza la quale le azioni aziendali diventano solo energia sprecata.

    Il “metodo in 12 punti” per attivare campagne di marketing, comunicazione, informazione e vendita rappresenta una risposta concreta alle esigenze di chi investe ma spesso non vede risultati, o fa fatica a capire cosa veramente funziona e chi o cosa non funziona.

    Il mondo della comunicazione oggi vive in un caos di “entropia”, un capogiro di opzioni tra canali social, pubblicitari, siti web, spot, vendita personale, incontri, presentazioni, meeting, fiere, show, eventi, e qualsiasi altra modalità con cui le aziende cercano di “far uscire” il proprio messaggio e vendere. Chi non afferra le leggi di questo caos, rimane fuori mercato.

    La leadership nelle campagne di vendita, di comunicazione e di marketing

    In ogni caos c’è un cosmo, in ogni disordine un ordine segreto.

    Carl Gustav Jung

    Da questo bombardamento le persone escono frastornate. E per chi comunica, fare tanto rumore per nulla, far esplodere fuochi d’artificio che divertono ma non producono azione o vendita, serve a poco, a pochissimo. 

    Molto meglio un incontro face-to-face nel quale porti a casa un ordine, che una valanga di messaggi a caso. E nel modello delle campagne, ancora meglio quando i media si “intrecciano” strategicamente, creando un campo di convergenze dove le energie di un canale valorizzano quelle degli altri, in un “coro comunicativo” veramente ben orchestrato.

    È una questione di leadership. Anche nel gestire campagne di comunicazione. 

    Ogni comandante deve sviluppare una strategia comunicativa coordinata e sincronizzata ed essere guida per il supporto e l’esecuzione di uno sforzo coeso.”[1]

    Così si apre uno dei più importanti manuali di comunicazione strategica militare, e questo vale certamente anche per il nostro mondo aziendale.

    Nel mondo aziendale, per uscire dall’indifferenza e dal caos comunicativo occorre sviluppare azioni e messaggi in grado di superare barriera di indifferenza e il “rumore di fondo” e determinare effetti su target localizzati. 

    La potenzialità del metodo genera ricadute sia nell’immediato, e anche sulla cultura e il “modo di fare” azione commerciale, nel medio e lungo periodo, e in tutta l’azienda. 

    Il metodo instilla un “pensiero strategico” nel quale prima di tutto ci si focalizza sullo stato finale da raggiungere (End-State, in termini militari) e poi sui media e canali da attivare, facendo sinergia tra metodi di vendita face-to-face, canali pubblicitari, strategie di social media, fiere, congressi, eventi. 

    Ma al di là del canale, il fondamento è fare chiarezza sui messaggi, sui destinatari, sugli influenzatori, sui prodotti, sulle persone e sul chi deve fare cosa, nelle responsabilità individuali e in team.

    La perfezione della tecnologia e la confusione degli obiettivi sembrano caratterizzare la nostra epoca.

    Albert Einstein

    È fondamentale pensare a quali veri obiettivi attivare in una “campagna” che assimila molti concetti dai metodi delle “campagne militari”, e da questi deriva una sua impostazione strategica. 

    Per fare una metafora, troppo spesso le aziende si impegnano in una “guerra di logoramento” in cui ogni giorno drenano energie senza vederne il ritorno, anziché focalizzarle in azioni mirate e d’impatto, in vere e proprie “campagne di vendita”. Con questo approccio, si apprenderà ad invertire decisamente la rotta.

    Azioni comunicative come forma di Engagement (Ingaggio, aggancio, incontro, impegno)

    La leadership nelle campagne di vendita, di comunicazione e di marketing

    Il concetto di “engagement” o “ingaggio” ha una connotazione di natura militare, es, si parla di Key Leader Engagement per definire la capacità di incontrare con interlocutori umani importanti, in un certo contesto locale in cui agiscono eserciti, o in fase pre e post-conflict.

    Nel campo aziendale, la similitudine è forte: saper “ingaggiare” significa saper costruire una serie di contatti dalla quale emergano progressivamente nuovi clienti. In questo senso, i canali “social” hanno discrete potenzialità di “ingaggio debole” (far conoscere un marchio o iniziativa, ad esempio), o virali, mentre gli incontri faccia a faccia sono forme di ingaggio “forte”, sono in grado di negoziare e condurre trattative, possono e devono essere la priorità per siglare contratti nel business-to-business.

    Bisogna trovare le parole giuste che aprono l’attenzione del nostro target, bisogna apprendere a comunicare anche e soprattutto con chi non usa il nostro stesso linguaggio.

    Io, che l’ho visto più volte in questi anni, non sono mai riuscita a stabilire con lui un contatto che assomigliasse a un contatto umano, a farlo mai indulgere a un attimo di cordialità, di curiosità, di calore, ammenochè non pronunciassi le parole Mercury, Gemini, Apollo, LM.

    Oriana Fallaci, da “Quel giorno sulla luna”

    Gli esseri umani possono essere “media speciali” e la sinergia tra azioni “fredde” o mediatiche o via internet, e azioni face-to-face, è di forte impatto.

    Per forniture di grande peso economico, le azioni che portano alla conoscenza del marchio (brand development) e usano i media e i social, devono essere “chiuse” (concluse) da esseri umani.

    La dove invece l’obiettivo di campagna sia soprattutto divulgare informazione, i media hanno maggiore efficienza.

    Il termine “campagna” essendo di derivazione militare e utilizza una concezione tipicamente militare dell’azione sul campo, fatta di analisi tattica, leadership operativa e valutazione dei possibili blocchi interni ed esterni che impediscono la “conquista” di un risultato, e una concezione dei tempi dotata di scadenza.

    La sequenzialità si riferisce alla necessità e possibilità di utilizzare una serie di operazioni (sequenza) per ottenere un particolare risultato. 

    La leadership nelle campagne di vendita, di comunicazione e di marketing

    Come per altre operazioni manageriali, le campagne si basano sul principio di Backward-planning (pianificazione a ritroso): Fissare un obiettivo e da questo dedurre tutte le singole tattiche finalizzate a quell’obbiettivo, fissare una scadenza finale, le fasi precedenti e le scadenze intermedie.

    La letteratura presenta una distinzione tra campagna di comunicazione e programma di comunicazione. In particolare, la campagna è considerata come una serie di eventi che hanno una durata temporale definita, mentre il programma non ha una durata o limite preciso.

    Una campagna pianificata per la durata di un mese, sei mesi, un anno o più (ma comunque di durata definita e controllabile), si presta alla misurazione degli effetti, genera una maggiore precisione sia nella pianificazione che nella fase di esecuzione, mentre programmazione continua non ha un chiaro inizio o fine, e l’impegno spesso degenera e si deteriora.

    Piani di attività che non hanno scadenze tendono ad essere rimandati di continuo nella scala delle priorità.

    La durata di 60 giorni, in genere, qualifica un tempo medio sufficientemente corto per poter focalizzare la mente e le menti di chi vi opera.

    Altri materiali su Comunicazione, Ascolto, Empatia, Potenziale Umano e Crescita Personale disponibili in questi siti e link:

    Altre risorse online


    [1] Major General Stephen Layfield Introduction to US Joint Forces Command (2010). In: “Commander’s Handbook for Strategic Communication and Communication Strategies”. Published by U.S. Joint Forces Command, Joint Warfighting Center, Suffolk, Virginia.

    Dr. Daniele Trevisani - Formazione Aziendale, Ricerca, Coaching