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©Copyright. Articolo estratto con il permesso dell’autore dal libro di Daniele Trevisani: “Psicologia di Marketing e Comunicazione” Franco Angeli Editore, Milano

Secondo un orientamento antropologico, la cultura (insieme di modalità di percezione, comunicazione e visione del mondo) può essere considerata una delle determinanti principali dei bisogni percepiti da una persona, nonché dei comportamenti, inclusi quelli di consumo. L’influenza culturale determina in larga misura i consumi intellettuali e sociali e le modalità di risposta a bisogni di livello superiore (i gradini elevati della scala di Maslow), ma incide anche sulla modalità di soddisfazione dei bisogni primari (gli elementi di base della scala di Maslow), ad esempio nella scelta del cibo.

Tra i casi più noti di influenza culturale sulla modalità di soddisfare bisogni di base, ad esempio, le culture Islamiche pongono barriere al consumo di carne di maiale, e richiedono una macellazione del bestiame scrupolosamente confacente ai dettami religiosi, così come in India la mucca assume valore di sacralità, o negli Stati Uniti e in occidente non è visto di buon occhio, culturalmente parlando, mangiare cani o gatti.

Il relativismo culturale di marketing rende ogni cultura un pianeta simbolico a se stante, con le proprie leggi e norme valutative dei prodotti e della comunicazione. Questo si traduce in chiara esigenza di capire la dimensione culturale del consumo, soprattutto per quelle imprese che si rivolgono a target culturali differenziati, ad esempio ai gruppi immigrati (vedi il caso dei banchi di carne macellata secondo il rito islamico, largamente presenti nei supermercati delle zone ad alta densità immigrativa), o l’adattamento culturale del prodotto e della comunicazione per l’accesso ai mercati distanti ed emergenti (marketing interculturale).

Il fallimento di molti programmi alimentari o di profilassi condotti dalle agenzie internazionali nei paesi poveri, è dato, in larga misura, dalla scarsa conoscenza antropologica della cultura locale, che produce metodi di intervento controculturali e non accettabili dai destinatari. Operare nel buio culturale genera alta probabilità di fallimento.

La cultura determina inoltre in larga misura le modalità di ricezione e trattamento dei messaggi pubblicitari e persuasivi. Le ricerche hanno dimostrato che negli Stati Uniti esistono differenze tra consumatori religiosi e atei nel trattamento della comunicazione pubblicitaria, dove i soggetti di religione protestante tendevano ad essere più critici e valutativi della pubblicità rispetto agli atei.

Il fattore culturale porta un italiano a consumare volentieri pasta piuttosto che insetti, mentre in realtà il valore nutrizionale di questi è superiore. In alcune culture orientali essi costituiscono un normale piatto di portata e nessuno verrebbe colto da malore se essi fossero serviti a tavola. Allo stesso tempo, un pasto a base di hamburger consumato all’interno di un fast-food può essere considerato una modalità di unire la famiglia, oppure una modalità di “adesione all’imperialismo americano che estende la propria influenza anche sul modo di cibarsi”.

In altre parole, la cultura determina la “lettura” che le persone danno dei comportamenti di consumo, e dei prodotti, si pone come interfaccia tra soggetto e realtà, e crea “frames interpretativi” che guidano le conseguenti reazioni.

©Copyright. Articolo estratto con il permesso dell’autore dal libro di Daniele Trevisani: “Psicologia di Marketing e Comunicazione” Franco Angeli Editore, Milano

Semantica articolo. Le parole chiave di questo articolo sono:

Bisogni percepiti

Comportamento di consumo

Influenza culturale

Soddisfazione dei bisogni

Relativismo culturale di marketing

Valutazione del prodotto

Dimensione culturale del consumo

Adattamento culturale del prodotto

Fattori culturali

Valori culturali

Norme sociali

Identità culturale

Consumo simbolico

Tradizioni

Riti di consumo

Influenze etniche

Comportamento di acquisto culturale

Acculturazione

Globalizzazione

Comportamento del consumatore

Differenze interculturali

Classi sociali

Stereotipi culturali

Marketing interculturale

Stili di vita

Consumo ostentativo

Brand perception

Cultural branding

Moda e tendenze culturali

©Copyright. Articolo estratto con il permesso dell’autore dal libro di Daniele Trevisani: “Psicologia di Marketing e Comunicazione” Franco Angeli Editore, Milano

Ogni prodotto assume connotazioni culturali e valoriali, che ne riempiono di contenuti simbolici l’immagine. I valori culturali del prodotto emergono in diversi campi: ad esempio nel mercato musicale il genere ascoltato da una persona o gruppo arriva persino a connotarne l’ideologia, come durante gli anni della beat generation, o per la musica reggae nella religione Rasta.

I generi musicali vengono utilizzati anche come strumento di affermazione di un’identità. Non solo la musica, ma anche il tipo di abbigliamento può esprimere l’adesione, almeno temporanea, ad una cultura più o meno borghese, più o meno conservatrice, o ad uno stile di vita più o meno sportivo. Il fatto che alcuni prodotti vengano utilizzati proprio per dissimulare, per fingere di essere ciò che non si è, è una riprova del potenziale di carico valoriale che il prodotto assume. Perché mai si dovrebbe consigliare ad un ragazzo di presentarsi ad un colloquio di lavoro presso una banca con giacca e cravatta, se questi non assumessero il valore di segnali di adesione alla cultura del gruppo al quale si chiede di entrare?

Esistono chiaramente associazioni culturali tra prodotti e valori.

Ad esempio, un ascoltatore di musica punk viene considerato, mediamente, anticonformista e deviante, un ascoltatore di musica “disco” allegro e spensierato, (o non impegnato nel sociale, dal frame valutativo dell’anarchico).

Grazie a regole stereotipiche, l’associazione funziona anche in modalità inversa: i comportamenti di un gruppo particolare di persone – inclusi i comportamenti di consumo e i prodotti “tipici” da essi utilizzati – divengono simboli della cultura del gruppo e “si incollano” semanticamente al prodotto.

Riportiamo a titolo esemplificativo gli esiti di una indagine qualitativa realizzata tramite focus-group, con lo scopo di identificare i valori sottostanti in diverse tipologie musicali, nell’opinione di alcuni studenti.

L’indagine è stata realizzata chiedendo ai soggetti di esplicitare quali valori “venissero in mente” pensando ai diversi tipi di musica.

Le associazioni determinano l’esistenza di un principio di equilibrio stereotipico. Questo principio, sostanzialmente, trasferisce sull’utilizzatore di un prodotto i valori socioculturali dei possessori tipici di quel prodotto.

Per questo motivo, l’utilizzo di un certo tipo di prodotto o classe di prodotti acquista valore predittivo persino sul gradimento futuro di persone che non conosciamo.

Alcuni esperimenti attuati dall’autore evidenziano persino come sia possibile tracciare una sorta di profilo individuale di un soggetto non conosciuto, mai incontrato prima, unicamente sulla base degli indizi derivanti dai prodotti da esso preferiti o utilizzati.

I motivi per cui tali associazioni predittive esistono provengono dalle regole stereotipiche ed euristiche di base del processo valutativo. Del resto, nel buio decisionale, meglio qualche flebile luce, che nessuna luce. Il problema che questa luce possa creare abbagli esiste, ma poiché le regole euristiche spesso funzionano, le persone vengono premiate nell’utilizzarle, e lo fanno senza troppi problemi, anche per mantenere un equilibrio interno.

Come sottolineano Darley, Glucksberg, Kamin e Kinchla (1986),[1]

… l’effetto del principio dell’equilibrio è così forte che la gente lo usa spesso con valore predittivo. Se io (P) trovo simpatica la persona O, e quella trova simpatico un terzo (X), ritengo che anche a me sarà simpatico X.

(vedi figura a).


[1] Darley, J.M., Glucksberg, S., Kamin, L.J, Kinchla, R.A., (1984). Psicologia. Bologna: Il Mulino. Edizione originale: Psychology. Englewood Cliffs: Prentice-Hall, 1984.

Se, come illustrato nel riquadro b, trovo simpatico O, e O trova antipatico X, quale sarà il mio atteggiamento nei confronti di questa persona? La teoria dell’equilibrio dimostra, e la ricerca lo conferma, che tenderò a trovare X antipatico.

Lo stesso procedimento di associazione cognitiva viene realizzato in relazione al processo di consumo. Ad esempio, se noto che un certo tipo di persone apprezza un particolare marchio di abbigliamento, e sono personalmente contrario al lifestyle di quel gruppo sociale, sarò portato ad attribuire valori negativi al marchio. Lo stesso accade sul mercato dell’auto, in cui alcuni modelli vengono presi semioticamente come punti di riferimento dell’appartenenza ad una classe sociale o possesso di un certo stile valoriale.

Questo fenomeno associativo tra stili di vita (o valori) e prodotti determina un fenomeno di polarizzazione sociovaloriale dei prodotti: alcuni prodotti diventano simboli di un modo di essere, di una filosofia di vita, diventano deputati a comunicare l’appartenenza ad un gruppo, o l’adesione ad un sistema di valori. Al solo presentarsi del prodotto altamente polarizzato dal punto di vista valoriale, scattano nella controparte tutta una serie di associazioni che anticipano l’identità del suo possessore.

La presenza di atteggiamenti positivi comuni verso lo stesso tipo di prodotto può divenire motivo di unione tra persone. Si pensi a comunità come quelle dei possessori di Harley Davidson o altri club di prodotto quali i fans di un gruppo musicale.

Nella ricerca psicologica troviamo ulteriori conferme e spiegazioni per questo tipo di comportamento. Newcomb (1953, 1971)[1] ad esempio ha studiato alcuni aspetti particolari della vita di gruppo e le relazioni di attrazione tra persone.

Tra i risultati delle sue ricerche si evince che l’attrazione tra persone può essere tanto più forte quanto più elevata è l’attrazione verso un oggetto comune. L’oggetto comune può essere dato sia da un prodotto che da una particolare filosofia di vita o pratica culturale, o altro interesse condiviso. Nel mondo personale dei due soggetti questo costituisce infatti motivo di unione.

In questo ambito rientrano i tentativi aziendali di creare le mitologie dei marchi e le culture dei marchi, situazioni di alto coinvolgimento emotivo del consumatore con i valori affettivi e culturali espressi dal marchio, sino al punto di creare comunità di fans del prodotto.


[1] Newcomb, T. (1953). An approach to the study of communicative acts. Psychological Review, 60, 393-404.

Newcomb, T. (1971). Dyadic balance as a source of clues about interpersonal attraction. In Murstein, B.I. (editor): Theories of attraction and love. New York: Springer.

In questa direzione vanno le strategie di Community Building, le quali cercano di costruire gruppi sociali attorno all’azienda (club di prodotto, fans club, circoli, comunità scientifiche o religiose). Se non esiste collante valoriale, queste comunità saranno destinate comunque a sparire non appena i vari benefit erogati dall’azienda vengono meno.

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Simbologia del prodotto

Valori culturali

Affermazione di identità

Associazioni culturali

Comportamenti di consumo

Simboli culturali

Valore sociale del prodotto

Principio di equilibrio

Valore predittivo degli stili di consumo

Profilo del soggetto

Regole euristiche

Cultura del marchio
Identità del marchio

Fedeltà al brand

Brand perception

Immagine aziendale

Esperienza del consumatore

Comunicazione del marchio

Storia del brand

Valori aziendali

Innovazione di prodotto

Strategia di marketing

Community del marchio

Emotional branding

Engagement del cliente

Differenziazione del marchio

Reputazione del brand

Mission aziendale

Marketing relazionale

Loyalty programs

Cultura organizzativa

Coerenza del marchio

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Nel business-to-business, molto spesso la latitudine di accettazione del buyer verso un nuovo prodotto o nuovo servizio non è predefinita, in quanto appunto non vi sono esperienze in merito. Questa rappresenta una problematica generale delle aziende che vendono innovazione.

Una tattica difensiva del buyer è quella di partire da posizioni negative, salvo modificarle in seguito. Non tutti, fortunatamente, adottano questa tattica, in quanto preclude ad una valutazione oggettiva e ponderata delle opportunità che possono essere realmente presenti nell’offerta.

Tra gli individui presenti all’interno di un target o campione eterogeneo di aziende, esistono varietà e differenziazioni in merito alla natura di atteggiamento preesistente. All’interno di una popolazione ampia, spesso la distribuzione degli atteggiamenti preesistenti assume una forma di curva normale (curva gaussiana, in termini statistici), che vede la presenza di un’area di soggetti fortemente positivi, una massa di “incerti” o persone che detengono atteggiamenti deboli, e un’area di soggetti con atteggiamenti negativi. Occorre quindi, per il venditore, capire questo scenario di atteggiamenti preesistenti, poiché con questo quadro egli dovrà confrontarsi.

Il termine “attitude” nella terminologia psicologica e di marketing anglosassone risponde all’equivalente italiano di “atteggiamento”. Con una piccola traslazione linguistica, utilizzeremo questo termine per definire il concetto di “segmentazione attitudinale”, intesa come stratificazione del mercato in funzione degli atteggiamenti preesistenti.

La nostra tecnica individua cinque macrogruppi, differenziati in termini di posizioni latenti verso il prodotto:

Questi diversi stadi corrispondono a diverse realtà psicologiche che il venditore troverà nel buyer. La difficoltà di vendita sarà crescente man mano che ci si sposta dal gruppo A al gruppo E, anche se venditori abili non si scoraggeranno molto nel fronteggiare soggetti E.

La segmentazione attitudinale (identificazione di sottogruppi diversificati in funzione degli atteggiamenti esistenti), ha lo scopo di:

  1. inquadrare la struttura degli atteggiamenti preesistenti,
  2. identificare i target prioritari,
  3. definire strategie di attacco ai diversi target.

©Copyright. Articolo estratto con il permesso dell’autore dal libro di Daniele Trevisani: “Psicologia di Marketing e Comunicazione” Franco Angeli Editore, Milano

Semantica articolo. Le parole chiave di questo articolo sono:

Business-to-business

Valutazione delle opportunità

Distribuzione degli atteggiamenti

Atteggiamenti preesistenti

Segmentazione attitudinale

Realtà psicologiche

Identificazione dei target

Strategie di attacco

Ricerca di mercato

Analisi dei comportamenti dei consumatori

Segmentazione del mercato

Studio dell’atteggiamento del consumatore

Valutazione dell’atteggiamento del consumatore

Analisi dei bisogni dei consumatori

Segmentazione psicografica

Analisi delle motivazioni d’acquisto

Marketing esperienziale

Customer journey mapping

Brand perception

Neuromarketing

Test di concept

Analisi dell’engagement del cliente

Customer feedback

Studio delle preferenze dei consumatori

Valutazione della soddisfazione del cliente

Analisi dell’immagine del brand

Studio delle influenze sociali

Analisi delle emozioni legate al prodotto o al brand

Dr. Daniele Trevisani - Formazione Aziendale, Ricerca, Coaching