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bisogni psicologici

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©Copyright. Articolo estratto con il permesso dell’autore dal libro di Daniele Trevisani: “Psicologia di Marketing e Comunicazione” Franco Angeli Editore, Milano

Per risolvere alcune problematiche di marketing è possibile ricorrere alle tecniche di misurazione quantitativa con supporto statistico. Per altre problematiche, e soprattutto quando l’informazione ricercata è al di fuori delle percezioni conscie del consumatore, è necessario il ricorso a tecniche diverse, ad esempio tecniche qualitative non numeriche.

Ogni tecnica di ricerca ha le proprie vocazioni specifiche, le quali la rendono maggiormente adatta allo studio di alcune variabili e non di altre.

Ad esempio,  per ottenere un profilo comparativo d’immagine tra il marchio Porsche e il marchio Ferrari, è preferibile ricorrere al differenziale semantico (tecnica prevalentemente quantitativa), mentre l’esplorazione dell’orizzonte psicologico di un cliente, la valenza sociale ed emotiva di un prodotto, la sua percezione profonda, richiede l’utilizzo di strumenti qualitativi sviluppati in psicologia, antropologia e semiotica. Tra le diverse tecniche qualitative utilizzabili:

Il motivo del ricorso a tecniche qualitative è legato alla locazione, più profonda, dell’informazione ricercata. Mentre il questionario è ottimo come rilevatore di dati di superficie e consapevoli, e questi sono spesso sufficienti a far luce sul quadro di ipotesi che il ricercatore di marketing affronta, le implicazioni psicologiche profonde richiedono metodi più introspettivi.

Se vogliamo capire cosa evoca la Porsche nella mente del potenziale acquirente, quali sono le implicazioni profonde del marchio a livello subconscio ed inconscio, non possiamo aspettarci di poterlo fare con un questionario somministrato per via postale.

Se vogliamo capire il movente sottostante l’acquisto di un viaggio in Egitto (capire perché proprio l’Egitto, e non New York o Cuba), dobbiamo analizzare i bisogni psicologici percepiti dal cliente nel momento della scelta, e come le diverse alternative sul mercato si rapportano a questi bisogni psicologici.

Un ricercatore di marketing esperto in metodi quantitativi potrà realizzare qualche tentativo di ricerca in profondità delle motivazioni psicologiche non espresse. Ad esempio, è possibile praticare ricerca dei moventi tramite matrici di correlazione. Ma queste non potranno mai dire al ricercatore se, per caso, la Porsche venga associata all’immagine di Diabolik ed Eva Kent, o se l’intenzione d’acquisto di un viaggio in Egitto sia correlata all’influsso subconscio della lettura, fatta da bambino, di una favola avventurosa, o al bisogno di immortalità, o al bisogno profondo di autorealizzazione e recupero di un orizzonte temporale. Questi dati sono localizzati oltre la consapevolezza dell’individuo.

La necessità di ricorrere alle tecniche in profondità si ritrova nella ricerca pubblicitaria. Le reazioni ai messaggi pubblicitari possono essere rilevate con questionari, ma esprimeranno la verità solo quando trattano di temi realmente percepibili e consapevoli (ricordo di uno spot, gradimento, conoscenza del marchio, ecc.). Capire e progettare le implicazioni profonde del messaggio pubblicitario, la sua interazione con il vissuto psicologico della persona, richiede l’intervento delle tecniche in profondità.

In fase di pretest e costruzione del messaggio pubblicitario, ad esempio, le tecniche in profondità ed associative permettono di evidenziare quali siano le modalità ricettive del messaggio, e le sue probabilità di successo. Il rischio di non realizzare queste analisi è elevato. Come espone Packard

Una fabbrica di valigie in materia plastica accertò in laboratorio che i suoi prodotti erano praticamente indistruttibili. I suoi agenti pubblicitari, in un momento d’entusiasmo, convinsero la ditta a proclamare che il prodotto era così solido da poter sopravvivere perfino al lancio dall’aereo. Sennonché, quando la valigia cominciò a precipitare, precipitarono anche le vendite. Gli analisti dei moventi, chiamati d’urgenza, giunsero alla conclusione che lo slogan sconcertava e turbava il pubblico. La fantasia del consumatore non tardava ad evocare spiacevoli immagini di disastri aerei, e il poveretto non traeva alcuna consolazione dal fatto che, in caso di un incidente del genere, il suo bagaglio gli sarebbe facilmente sopravvissuto.

Il vissuto psicologico del prodotto riguarda i rapporti soggettivi della persona con il prodotto. Il vissuto psicologico è un fattore individuale. Lo stesso prodotto può avere vissuti psicologici estremamente diversi da individuo ad individuo.

Come evidenziano Grayson e Shulman (2000)[1], la valenza psicologica del prodotto arriva sino al punto di creare lo stato di irreplaceable possession (possesso non rimpiazzabile, bene o oggetto insostituibile):

un pensionato fa tesoro del libro che sua moglie gli ha dato nel giorno del matrimonio. Uno studente di college custodisce lo scontrino del biglietto di un recente concerto. Il proprietario di un ristorante mette in cornice il primo dollaro guadagnato nella sua azienda. Un professore universitario conserva una bottiglia di champagne che uno studente appena laureato gli ha regalato.

Le spiegazioni per cui un prodotto assume elevata valenza psicologica sono diverse, dalla “rappresentazione simbolica” di un evento passato, del presente o del futuro (come nel caso del pensionato)[2], alla “autosignificazione” come nel caso del biglietto del concerto[3], sino alla rappresentazione simbolica di un legame, come nel caso della bottiglia di champagne.


[1] Grayson, K., & Shulman, D. (2000). Indexicality and the verification function of irreplaceable possessions: a semiotic analysis. Journal of Consumer Research, 27.

[2] Vedi anche Hill, R. P. (1991), Homeless women, special possessions, and the meaning of ‘Home’: an ethnographic case study. Journal of Consumer Researchh, 18. p. 308.

[3] Vedi Kleine, S.S., Kleine R E III, & Allen, C.T. (1995). How is a possession ‘MÉ or ‘Not Me’? Characterizing types and antecedents of material possession attachment. Journal of Consumer Research, 22 p. 341.

©Copyright. Articolo estratto con il permesso dell’autore dal libro di Daniele Trevisani: “Psicologia di Marketing e Comunicazione” Franco Angeli Editore, Milano

Semantica articolo. Le parole chiave di questo articolo sono:

Tecniche di misurazione quantitativa

Valutazione dei dati consapevoli

Modelli previsionali

Ricerca dei significati

Differenziale semantico

Orizzonte psicologico del cliente

Vissuto psicologico

Valenza del prodotto

Esperienza dell’utente

Percezione del valore

Soddisfazione del cliente

Qualità percepita

Fedeltà al marchio

Emozioni del consumatore

Bisogni psicologici

Comportamento d’acquisto

Attaccamento al prodotto

Aspettative del consumatore

Immagine del marchio

Coinvolgimento del cliente

Esperienza d’acquisto

Valore simbolico

Identità del consumatore

Apprezzamento del prodotto

Influenza sociale

Decisione d’acquisto

Il bisogno di Essere, il bisogno di Vivere, il bisogno di Agire… Trovare le strade che funzionano nel nostro viaggio personale

Di: dott. Daniele Trevisani – Fulbright Scholar, esperto in Potenziale Umano, Formatore Aziendale e Personal Coach di Manager e Imprenditori presso www.studiotrevisani.it – Sensei 8° Dan del Sistema Daoshi
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© Articolo elaborato dall’autore, con modifiche, dal volume “Il Potenziale Umano” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Approfondimenti del volume originario sono disponibili anche al link www.studiotrevisani.it/hpm2   –
Chi è interessato a riprodurre o citare l’articolo deve chiederne autorizzazione scritta all’autore, via email. L’indirizzo di email è visibiile sul sito www.studiotrevisani.it – Non sono ammesse modifiche al testo.

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In ogni individuo esistono, in vari momenti della vita, necessità non risolte, desideri, ambizioni, ma anche urgenze cui dare risposta, come:

  1. il bisogno di sentire un’immagine di sé positiva,
  2. l’orgoglio per qualcosa che abbiamo fatto o vorremmo fare, in grado di motivarci,
  3. il bisogno di avere amici, amici veri, con cui parlare in profondità e non stare alla superficie delle cose
  4. il bisogno di status interiore (es, essere uno che lavora su qualcosa e non ha mollato i propri sogni)

Esistono tanti diversi modi per motivarsi: il bisogno di riscatto, il bisogno di esplorazione o superamento dei limiti personali, o bisogni economici e materiali. Ma esistono anche bisogni spirituali e trascendentali.
Il bisogno di chiedersi chi siamo, di sentire un senso superiore nella vita, che non sia comprare l’ultimo modello di cellulare.
Se se tali stati di insoddisfazione o aspirazione vengono canalizzati verso obiettivi o goal positivi, fattibili, può scattare un’attivazione sana. In caso contrario, tutto ciò che non riusciamo a canalizzare in energie positive ci distrugge da dentro, come una bomba inesplosa che perda il proprio liquido corrosivo.
Le necessità o bisogni hanno un doppio effetto (sia negativo che positivo) sulle energie mentali. Ad esempio, il bisogno di riscatto può produrre energie e mobilitare all’azione (voglia di emergere, voglia di “far vedere chi sono” o “far vedere cosa valgo”, “dimostrare che ce l’ho fatta”), ma allo stesso tempo la sua eliminazione può liberare energie prima racchiuse e concentrate in quel drive e renderla utilizzabile per altri obiettivi. E’ la stessa cosa che succede
quando finisce una relazione che non funzionava più. Improvvisamente si scopre il vuoto, e il vuoto fa paura, ma permette anche di correre meglio.
Il problema è quindi se il drive motivazionale assorba la giusta dose di energie e ne lasci altre disponibili. Il concetto di Self-Leadership Motivazionale, riguarda la capacità del soggetto nel liberarsi dalla “frenesia di risultato” e trovare motori profondi per i propri obiettivi, gestendoli senza farsi gestire da essi.

 Trovare il formato motivazionale che funziona

Tra i temi fondamentali da trattare si trova quello della percezione del task da compiere. Ogni task (compito) può avere letture diverse. Fare una ripresa di combattimento può essere un compito che carica di energie che fa paura nella sua stessa sola idea. Può caricare o distruggere, motivare o demotivare.
Un task può essere demotivante se affrontato con lo spirito sbagliato, e motivante se si trova lo spirito giusto con cui affrontarlo.
Non tutti i tipi di “spirito” o disposizione mentale funzionano nello stesso modo, e ciascuno dovrà trovare in sé o con l’aiuto del coach l’assetto mentale o format che più riesce a motivarlo.
Ad esempio, Victor Martinez, professionista di bodybuilding, afferma:
 
Io affronto una sfida contro me stesso e sono un gran lavoratore. Quando mi dicono di divertirmi alle gare, io penso che non è affatto così, perché è il mio lavoro. Nessuno dice a uno di andarsi a divertire in ufficio tutti i giorni alle nove di mattina, no? Io faccio il mio lavoro con il massimo impegno, e anche di più[1].
 
In questa testimonianza notiamo che il format motivazionale operativo, che funziona su questo atleta, è il costruire un concetto di “lavoro serio” nel suo programma di allenamento, una professionalizzazione di quello che per altri è un normale svago o passione (la palestra), facendolo diventare sfida contro se stesso, e non necessariamente un divertimento.
Per altri, questo format può invece essere distruttivo.
Questo atleta ha trovato un formato motivazionale che funziona su di sé, ma lo stesso formato applicato ad un suo collega potrebbe non funzionare o essere invece fonte di frustrazione continua e portare all’abbandono.
Su ogni persona è necessario un grande lavoro di personalizzazione.
Personalizzare la motivazione è un forte lavoro di coaching e formazione.
La motivazione si ritrova per molti nel format della sfida contro altri: per alcuni, il senso della sfida rimanda ad una visione di sé epica, maestosa, leggendaria, ed è il driver interiore più forte quando si tratta di produrre una performance in alcuni campi di battaglia professionale. In altri casi, il format si arricchisce di più strati motivazionali, ad esempio, sfida + contributo.
Nel caso seguente notiamo come si vadano a stratificare il format della sfida contro il nemico assieme al format della sfida contro la lesa maestà (sfida all’immagine di sé). I due motori psicologici, sommati, aumentano l’effetto.
La testimonianza è tratta da un intervista ad un combattente professionista, nella quale possiamo notare come l’energia della sfida, se ben canalizzata, possa produrre un dose supplementare di energie per la preparazione di se stessi:
 
Intervistatore: Quasi tutti ti davano per spacciato contro Tito Ortiz…
Tutti lo credevano imbattibile, tutti credevano che nessuno lo potesse battere nella categoria dei 93 chili, ma io ero li…. Ero anche pronto ad affrontarlo senza ricompensa, volevo questo titolo. Seriamente, mi ha fatto incazzare essere li e sen
tirli parlare come se io non rappresentassi la benché minima minaccia per lui.
Ciò ti ha offeso? Ma, non veramente. Ciò mi ha dato ancora più energia, mi ha fatto allenare ancora più intensamente[2].
 
I format motivazionali non devono essere unicamente o necessariamente mossi dal motore psico-agonistico. Altri possono trovare motivazione su un fronte opposto, nel format della “relazione di aiuto” (aiutare gli altri), o nell’espiazione (impegnarsi per scontare una pena), o nella vendetta (impegnarsi contro), o per una causa in cui credono (impegnarsi per).
In ogni caso, il lavoro del coach deve consistere nel trovare quale format motivazionale possa meglio funzionare sul soggetto, ma anche localizzare e rimuovere i format attivi sbagliati, che agiscono ora come modello errato e possono risultare distruttivi o controproducenti per la persona stessa, sebbene essi possano risultare buoni per altri, o aver funzionato in passato.
Ciò che ha funzionato in passato, in un contesto diverso può non avere più lo stesso effetto, o diventare persino controproducente. L’esame qui deve essere assolutamente situazionale e personalizzato.
In ogni sfida che ci attende, chiediamoci se stiamo cercando la componente del “divertimento” che può attenderci, la componente della “scoperta”, del “superamento” di un nostro limite. Proviamo a respirare a pieni polmoni l’aria di questo modo di vivere le cose, ci farà bene.
 

Dott. Daniele Trevisani

 
 
Note sull’autore:
 
dott. Daniele Trevisani (www.danieletrevisani.com), Fulbright Scholar, consulente in formazione aziendale e coaching (www.studiotrevisani.it) insignito dal Governo USA del premio Fulbright per gli studi sulla Comunicazione nel 1990, è Master of Arts in Mass Communication alla University of Florida e tra i principali esperti mondiali in Sviluppo del Potenziale Umano.
 
In campo marziale e sportivo, è preparatore certificato Federazione Italiana Fitness, praticante di oltre 10 diverse discipline, Maestro di Kickboxing, Sensei 8° Dan Sistema DaoShi® Bushido www.daoshi.it  – formatore di atleti e istruttori di Muay Thai, MMA, Kickboxing, Karate  (Kumite), Taekwondo, Full Contact, Sanda, K1, Autodifesa. E’ stato agonista negli USA nei trofei di Karate Open Interstile e campione universitario USA alla University of Florida.


[1] Berg, M. (2006), La svolta di Victor, Flex, n. 4, pp. 70-79. Rif. p. 75.
[2] AA.VV. (2004), IceMan Chuck Liddell, Reportage da “Fight Sport”, n. 2, ottobre, p. 30.
Dr. Daniele Trevisani - Formazione Aziendale, Ricerca, Coaching