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Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele TrevisaniIl potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance”. Franco Angeli editore, Milano.

Macro-abilità e micro-abilità nel metodo HPM

Qualsiasi azione e prestazione richiede abilità.

Le abilità possono essere suddivise in trasversali (es.: abilità relazionali) e applicative (es.: conoscere un software specifico).

Anche in campo sportivo le abilità possono essere di tipo interdisciplinare, come le capacità di coordinamento psico-motorio, e specifiche, es.: sapersi coordinare durante un salto in alto.

Nel metodo HPM proponiamo un modo diverso e interessante per considerare le abilità. Un modo non alternativo o migliore, ma complementare, rispetto a quanto evidenziato. Si tratta di distinguere tra macro-abilità (o macro-competenze) e micro-abilità (o micro-competenze).

Le macro-abilità sono la gamma di skill che un certo ruolo richiede, es.: per un manager, essere orientato ai risultati, conoscere una certa lingua, avere doti di leadership, e altre capacità connesse al suo ruolo. Le macro-abilità sono collegate ad una specifica job-description (descrizione delle attività e del ruolo) e ad uno skills-profile (profilo di competenze).

Lo stesso si può dire per un atleta: un giocatore di calcio può essere valutato in termini di abilità e poteri quali: forza fisica, resistenza aerobica, senso tattico, spirito di squadra, e altri.

Le micro-abilità sono invece molto più difficili da inquadrare e racchiudere in uno schema. Comprendono aree del sapere e dell’azione di misura estremamente ridotta (micro nel tempo e nello spazio) ma così pervasive da condizionare nettamente lo sviluppo del potenziale – e divenire materia primaria di formazione e allenamento.

Ad esempio, un calciatore professionista prima di tirare un calcio di rigore cura persino su quale ciuffo d’erba piazzare la palla e la presenza di eventuali avvallamenti, un dettaglio che sfuggirebbe a qualsiasi dilettante. Un negoziatore abile sa cogliere da un cenno dei muscoli facciali qualsiasi stato di tensione latente. Ogni performance ha proprie aree di micro-capacità

Dobbiamo quindi inquadrare cosa differenzia una micro da una macro competenza.

Partiremo dall’esempio per poi giungere ad una formulazione generale. Il pu­gile, il kickboxer, il thayboxer, hanno propri repertori di macro-com­pe­ten­ze denominabili: il jab, il diretto, il gancio, il montante (per il pugile), il clinch (lavoro corpo a corpo), la ginocchiata, il colpo di gomito (per il thay­boxer).

Sia in queste azioni che nei momenti di guardia senza combattimento, però, notiamo una serie di micro-azioni non denominabili o difficilmente denominabili (dettagli) che incidono enormemente sulla performance complessiva: la modalità di respirare mentre si lancia un colpo, la modalità di appoggiare i piedi a terra e muoversi mantenendo una guardia, le micro-finte, le angolazioni dei gomiti o delle braccia, la distribuzione adeguata della forza nella fase di avvio o conclusiva di un colpo.

Man mano che procede l’analisi delle micro competenze, emergono altri det­tagli per il coaching: come produrre l’arresto del “trascinamento” della for­za oltre il punto zero (punto di massima potenza)? Come gestire l’e­qui­li­brio, come migliorare la gestione delle energie durante il combattimento e nel­le sue fasi?

Queste micro-competenze creano una enorme differenza tra atleta ed atleta, e – dopo una fase in cui la persona abbia appreso le tecniche principali (ma­cro-tecniche) – lo sviluppo del potenziale passa attraverso l’affinamento delle micro-competenze.

Simili dinamiche si ritrovano nella performance manageriale. Esempio ap­plicativo per la Direzione commerciale:

Competenze manageriali macro, tra cui:

  • creare un piano di sviluppo commerciale pluriennale,
  • definire un piano commerciale/marketing annuale,
  • sviluppare un piano di marketing territoriale (piano di sviluppo-paese),
  • definire i budget di vendita per i diversi canali e aree (obiettivi di vendita),
  • gestire le forze vendita interne ed esterne,
  • creare un piano di formazione e sviluppo formativo per il proprio personale,
  • organizzare una campagna di comunicazione, informazione o promozione,
  • organizzare una campagna di vendita,
  • realizzare una presentazione in pubblico per illustrare dati o progetti,
  • valutare l’affidabilità di un cliente,
  • definire le condizioni di consegna.

Competenze micro (ne elencheremo solo alcune a titolo esemplificativo):

  • gestire i turni conversazionali durante le riunioni con i clienti o con le forze di vendita (turn-taking, turn-management),
  • mantenere la conversazione con un cliente all’interno degli obiettivi (content management comunicativo),
  • utilizzare metafore e altri “dispositivi retorici” efficaci durante una presentazione,
  • utilizzare le tecniche di riformulazione e ricentraggio durante il colloquio con un cliente o collaboratore,
  • leggere le emozioni di un proprio collaboratore dal suo comportamento non verbale (emotional detection),
  • esprimere il proprio disaccordo su una condotta intrapresa da un proprio collaboratore e saperlo correggere (leadership assertiva),
  • capire quando una conversazione sta procedendo nei termini corretti (analisi della conversazione) e saperla ricondurre a stati positivi (leadership conversazionale),
  • aumentare l’enfasi su un argomento cui si vuole dare importanza, far salire i toni su un certo tema (up-keying) e ridurre o minimizzare un tema o un momento di interazione (down-keying);
  • far salire la tensione emotiva (tecniche di escalation) o far raffreddare la temperatura emotiva (tecniche di de-escalation);
  • costruire e condurre role-playing, come metodo di formazione attiva e coaching interno, con cui mostrare e far provare ad un proprio collaboratore una modalità di comportamento, o una diversa tecnica di trattativa o modo di comunicare.

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© Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele Trevisani – “Deep coaching. Il Metodo HPM™ per la crescita personale, il coaching in profondità e la formazione attiva”. Franco Angeli editore, Milano.

Se pensi di aspettare il “momento giusto” per la tua crescita personale e per la tua formazione, sappi che il momento assolutamente perfetto non arriverà mai, e il momento giusto è adesso. Procrastinare, nel senso di posticipare, fa male, ma posticipare la propria formazione fa ancora più male.

Non aspettare. Non sarà mai il momento giusto

Napoleon Hill

Vediamo quindi di approfondire di cosa si parla quando si vuole fare formazione esperienziale e Deep Coaching in modo serio.

Una divisione classica degli obiettivi formativi distingue tra:

  • Saperi: teorie, terminologie, conoscenze, elementi culturali e saperi tecnici da acquisire;
  • Saper Fare: le classiche “skills” o competenze pratiche;
  • Saper Essere: gli atteggiamenti, i comportamenti interpersonali, i sistemi di credenze, i valori di fondo che adottiamo, e le priorità generate dal “modo di essere”.

Nel mondo anglofono, si riferisce spesso lo stesso concetto come “triangle” of attitudes, skills and knowledge (triangolazione tra atteggiamenti, capacità e conoscenza). La derivazione di questa tipologia può essere ricercata soprattutto negli studi di Bloom degli anni ‘50, che distingue tre diversi domini di apprendimento

  • cognitive – cognitivo (il conoscere);
  • affective – affettivo (atteggiamenti, sentimenti);
  • psychomotor – psicomotorio (relativo al fare).

Negli studi di Bloom, tali categorie vengono ulteriormente sub-analizzate, con individuazione di ulteriori sotto-domini e sotto-variabili, di estremo interesse (rimandiamo il lettore all’opera originale per ulteriori approfondimenti). 

Nel metodo HPM, non volendo e potendo in questa sede fare uno studio storico retrospettivo, ci proponiamo di concentrarci su un utilizzo delle categorie il più operativo possibile. 

Per ciascuno di questi elementi proponiamo come necessario calcolare un obiettivo formativo o di coaching specifico, o appurare se sia o meno intenzione del cliente agire su di esso.

Situation Analysis e Goals Analysis

Il cambiamento positivo viene favorito dai seguenti fattori:

Buona focalizzazione delle:

  • conoscenze in ingresso;
  • abilità in ingresso;
  • atteggiamenti preesistenti.

Buona focalizzazione di:

  • conoscenze in uscita e conoscenze attese;
  • abilità in uscita e abilità attese:
  • atteggiamenti in uscita e cambiamenti attesi negli atteggiamenti.

Dobbiamo ora realizzare un passaggio delicato: integrare il modello X-Y e quello dei 3S con il modello HPM che fa da sfondo ad ogni azione di coaching in profondità e di formazione.

Integrazione di modelli diversi come strada maestra per un metodo di coaching olistico.

Dare corpo ad un metodo integrato e olistico è l’obiettivo del sistema HPM.
Il metodo HPM è un metodo olistico che spinge la persona verso l’osare incursioni in nuovi territori del sapere, del saper essere, del saper fare, consapevoli che nessun successo è facile ma richiede anzi prova ed errore.

Ho sempre tentato. Ho sempre fallito.
Non discutere. Prova ancora. Fallisci ancora.
Fallisci meglio

Samuel Beckett

La sigla HPM comprende il senso del “dare forma”, costruire o modellare (Modeling), ma anche produrre impulso e stimolazione positiva. 

Si applica, a seconda degli scopi sottostanti, al fronte del potenziale umano (Human Potential Modeling), o al lato della prestazione umana (Human Performance Modeling).

I due lati della medaglia sono corrispondenti, in quanto l’accesso al proprio potenziale è la base sia per il benessere che per prestazioni efficaci quando serve. 

Il principio fondamentale risponde al bisogno primario di ogni persona di liberare e crescere le risorse individuali, essere sé stessi al massimo livello possibile, accedendo a nuovi livelli di benessere, autorealizzazione, e pienezza della vita. In ultimo, si tratta di un viaggio verso la libertà. La libertà della tua mente.

La libertà del tuo spirito, che mai nessuna gabbia potrà racchiudere. Nel Metodo HPM è previsto ampio spazio per le tecniche di training mentale e di rilassamento, con una moltitudine di approcci ed esercizi, e tuttavia il principio di fondo di “tenere duro” nel proprio tendere alla crescita personale è presente e forte

Ci sono due regole nella vita:
1. Non mollare mai,
2. Non dimenticare mai la regola n°1

Duke Ellingto

Possiamo fare un grande sforzo di integrazione fra modelli diversi per arrivare ad un coaching veramente olistico e ad una formazione veramente profonda ed olistica.
Per ciascuna delle sei celle del modello HPM, dobbiamo chiederci che cambiamenti vorremmo produrre, “da dove a dove” vorremmo portare la persona, e questo sia sui saperi (conoscenze), sui saper fare (competenze) e sugli atteggiamenti e valori (saper essere).

© Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele Trevisani – “Deep coaching. Il Metodo HPM™ per la crescita personale, il coaching in profondità e la formazione attiva”. Franco Angeli editore, Milano. Vietata la riproduzione senza citazione della fonte.

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© Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele Trevisani – “Deep coaching. Il Metodo HPM™ per la crescita personale, il coaching in profondità e la formazione attiva”. Franco Angeli editore, Milano.

La spiritualità è un quadro molto complesso e non comprende per forza l’essere religiosi. Si può essere spiritualmente attivi e ricchi anche nel contemplare la natura, un quadro, o nel come si intende il proprio lavoro. Si può essere attivi sul piano dei valori anche la saggezza che usiamo come consumatori (vedi le ricerche sulla consumer wisdom), il modo con cui spendiamo i nostri soldi e risorse, utilizzando un senso di scopo e dando priorità ad acquisti orientati a promuovere la crescita personale, la salute e le relazioni. Esiste una spiritualità interna di cui parla Schopenhauer, un “ciò che si è”, diverso dal ciò che si ha:

Quel che importa è sempre ciò che uno è e quindi possiede in se stesso: la sua individualità infatti lo accompagna sempre e ovunque ad essa dà il colore ad ogni sua esperienza. In tutto e per tutto egli gode primariamente se stesso; ciò vale già per i godimenti fisici, ma molto più per quelli spirituali.

La visione di cui parliamo è connessa al quadro dei valori in cui crediamo, il futuro che vogliamo costruire, una causa alla quale vogliamo contribuire, una mission, una vision, ciò che riteniamo sia degno, qualcosa per cui lottare, la nostra capacità di connetterci a concetti spirituali e di trovare una spiritualità che ci alimenti. L’aspetto della visione, dei valori e degli ideali è senza dubbio il più distante da un mondo massificato e materialistico. Il solo pensiero di aiutare e lasciare una piccola traccia verso un mondo migliore nobilita la nostra vita e la riempie di significati.

Cento volte al giorno ricordo a me stesso che la mia vita interiore e esteriore sono basate sulle fatiche di altri uomini, vivi e morti, e che io devo sforzarmi al massimo per dare nella stessa misura in cui ho ricevuto.

Albert Einstein

Tutto questo non è solo teoria, diventa pratica e azione nel momento in cui troviamo il “dove” e “come” provarci. Impegnarsi richiede focalizzazione. Se vogliamo applicare l’analisi ad un Deep Business Coaching, lo schema da considerare è il seguente:

  1. Esiste uno scopo dell’azienda, un “perché esiste l’azienda” e questo deve diventare la mission aziendale. Ogni mission aziendale ben fatta identifica “chi aiutiamo a fare cosa”, e si basa su una relazione d’aiuto.
  2. Esistono dei valori su cui si basa il nostro agire e da cui derivano le nostre scelte. Il lavoro per far emergere questi valori non è banale ma anzi importantissimo.
  3. Esistono degli standard comportamentali. Esistono quindi dei comportamenti che si sposano bene con i valori, e altri che vi sono contrari. Di questi standard comportamentali attesi si nutre la modalità e stile di leadership, e persino la modalità di vendita e relazione con il cliente.

Esiste una strategia, che identifica una posizione competitiva nel quadro di mercato ed alcune competenze peculiari e distintive. All’interno di ogni singola strategia, esiste una linea d’azione specifica da adottare, per ogni strategia, che sia coerente con i nostri valori e con la mission. Il Modello Ashridge di Missione esplicita molto bene questo concetto nella sua applicazione aziendale[1], e si presta molto bene per avviare qualsiasi tipo di Deep Business Coaching.

La nostra sfida diventa anche la capacità di trasporre questo modello nella
nostra visione di vita, nei nostri valori personali, nel senso della vita (lite
purpose) che va ben oltre la nostra professione e tocca la persona nella suà
completezza, ed è appunto una pulsione spirituale, valoriale, e una vision
profonda che ci ispira.
Quando il nostro agire è spinto da valori profondi positivi, solidi e inte-
riorizzati, smettiamo allo stesso tempo di preoccuparci dell’opinione altrui,
certi e fermi delle nostre convinzioni e dei nostri valori, per cui la ricerca dei
valori di ancoraggio sui valori cui fare riferimento è un valore immenso di
per se stesso. Ciò che pensi di te stesso è molto più importante di quanto pensano gli
altri di te.

Preoccupati di ciò che pensano gli altri e sarai sempre loro prigioniero

Lao Tzu

Possiamo ricavare da questo modello un principio guida per il Deep Coaching:

Principio 1 – Attivazione di un Deep Coaching centrato sullo Scopo

Il cambiamento positivo viene favorito dai seguenti fattori:

  • riuscire a focalizzare e rifocalizzare bene il proprio scopo di vita (Life Purpose) e/o la mission aziendale per l’impresa, facendolo diventare un faro e una guida per le azioni e le scelte personali;
  • localizzare i nostri valori guida, le nostre credenze più profonde sino agli atteggiamenti quotidiani e abitudini che applichiamo consciamente o inconsciamente alla nostra giornata, al nostro lavoro, al nostro modo di vivere;
  • localizzare e fissare gli standard comportamentali siano essi generali oppure legati ai comportamenti quotidiani, alle abitudini da far entrare nella propria vita, sino ai modi di comunicare ad ogni livello comunicativo;
  • definire le nostre strategie generali e quelle operative in grado di far emergere e valorizzare le nostre competenze, i nostri scopi, i nostri valori, trasformando lo scopo generale in progetti concreti;
  • localizzare le dissonanze tra scopi, valori, standard comportamentali e strategie, facendo emergere tali dissonanze per poter effettuare un ricentraggio importante di queste variabili.

© Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele Trevisani – “Deep coaching. Il Metodo HPM™ per la crescita personale, il coaching in profondità e la formazione attiva”. Franco Angeli editore, Milano. Vietata la riproduzione senza citazione della fonte.

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Altre risorse online:

  • Ashridge
  • Atteggiamento
  • Azione
  • BusinessDevelopment
  • Crescita Personale
  • DeepBusinessCoaching
  • Focus
  • Goal
  • Metodo
  • Mission
  • Natura
  • Relazione
  • Ricerca
  • Scopo
  • Spiritualità
  • Strategia
  • Struttura
  • Valori
  • Vendita
  • Visione

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Vi sono diversi tipi di clienti:

  1. Clienti di tipo (1): ottimi. Sono clienti e situazioni che meritano sforzo e attenzione, impegno e dedizione, e possono portare benessere e valore. Su di essi, l’investimento in tempo e risorse di vendita e in tempo e risorse di negoziazione ha senso.
  2. Clienti di tipo (2): inutili. Sono pure perdite di tempo. Non hanno reale interesse o capacità, sono solo curiosi o il tempo da dedicare ad essi supera abbondantemente i rientri di breve, medio e lungo periodo. 
  3. Clienti di tipo (3): dannosi. Costituiscono veri e propri danni, producono assorbimento di risorse e tempo senza restituire alcunché, furto di idee o lavoro non pagato, o danneggiano l’immagine aziendale contaminandola con scarsa reputazione. La loro acquisizione è una tragedia e non certo un successo.

Se non capiamo la realtà del cliente, oltre le sue apparenze, non sapremo mai con chi stiamo veramente trattando.

Capire la realtà del cliente richiede:

  • la raccolta di dati e informazioni preliminari (prima della visita), anche tramite attività di Business Intelligence;
  • l’utilizzo dell’empatia strategica, delle tecniche di domanda, intervista e ascolto attivo (durante la visita).

Dai dati disponibili, è possibile compiere una valutazione del potenziale, una misura del grado di possibile interesse del cliente. 

Il potenziale si può distinguere in :

  • potenziale economico, misura il fatturato generabile dal cliente : volumi di acquisto x LTV (Life-Time Value: valore del ciclo di vita del cliente) – costi progettuali, tecnici e logistici di ingresso.
  • potenziale relazionale, misura i benefici che quel cliente può portare alla nostra rete di conoscenze, al nostro know-how, alla nostra entratura in settori che ci interessano : ampiezza e qualità del network relazionale in cui è inserito + immagine e prestigio – costi relazionali di ingresso.

Analisi e raccolta di dati preliminari di Business Intelligence sul cliente B2B

Fonti principali per raccogliere dati:

  • sito internet dell’azienda: prestare attenzione sia ai contenuti che allo stile comunicativo;
  • materiali cartacei, documentazioni, cataloghi, listini;
  • contatti con soggetti informati (altri clienti, fornitori, consulenti);
  • raccolta di dati da informatori:
  • schede aziendali disponibili su database online;
  • ricerche informative mirate in internet (es: articoli giornalistici), consultazione di siti specializzati in ricerche aziendali;
  • ricerche in internet tramite “frase esatta”;
  • ricerche in internet tramite analisi di chi “punta” (inserisce links) verso l’azienda in questione: analisi delle reti di collegamenti;
  • indagini presso i clienti dell’azienda (per capire forze e debolezze);
  • visite ghost customer o contatti telefonici di simulazione d’acquisto, per raccogliere dati e informazioni non filtrate, tramite sistemi diretti ad osservare le risposte comportamentali reali dell’azienda.

Analisi del cliente durante le fasi di contatto e colloquio

Oltre ai dati reperibili da fonte umana e su internet, larga parte delle informazioni veramente rilevanti del cliente sono insite nel cliente stesso, nella sua psicologia, nelle sue motivazioni.

Per comprendere queste motivazioni d’acquisto e le esigenze sottostanti, è necessario ricorrere a forme di intervista, analisi, interessandosi realmente e cercando di far propria la mission della vendita consulenziale “analizziamo il cliente e offriamo soluzioni adeguate”.

Per capire il cliente in fase di acquisto è necessario saper cogliere le sfumature, interpretare le tensioni sottostanti il movente d’acquisto.

Modello Trevisani Tensione-Impulso-Movente-Azione per un approfondimento relativamente al suo utilizzo nelle fasi di colloquio:

La teoria della motivazione vede come unità motivante di base la tensione. Gli impulsi si innestano su stati di disequilibrio percepito, che creano spinta alla risoluzione del problema. L’impulso diviene movente di acquisto nel momento in cui si crea un collegamento mentale: la percezione che un prodotto/servizio sia lo strumento risolutivo del problema. L’azione di acquisto ne è il risultato, premesso che l’individuo disponga delle risorse o decida di procurarsele.

  1. Tensione : Percezione di un disequilibrio,
  2. Impulso : Ricerca di un nuovo equilibrio,
  3. Movente : Identificazione strumenti di risposta,
  4. Azione : Acquisto del prodotto/servizio.

Si tratta di inquadrare il fenomeno di acquisto all’interno dei vissuti psicologici dell’individuo. Se riusciamo a comprendere cosa provoca tensione nel soggetto, avremo identificato potenziali leve di acquisto, in quanto questa tensione si tramuterà presto in un bisogno di mercato e nella ricerca di un prodotto o di un servizio. Pertanto, la ricerca di mercato sui bisogni latenti o mal soddisfatti permette di aprire grandi opportunità di marketing.

Anche nel campo delle vendite azienda-azienda, se riusciamo a comprendere cosa provoca tensione nel buyer aziendale, avremo identificato le leve motivazionali dell’azienda acquirente, e potremo regolare di seguito (o creare appositamente) la nostra offerta.

L’analisi del cliente, secondo il modello evidenziato, deve permetterci di portare a galla:

  • le differenze tra lo stato attuale e lo stato desiderato, e la tensione psicologica che questa differenza genera: il disequilibrio che il cliente percepisce, chi lo percepisce esattamente, chi no, e per quali motivi
  • le idee o soluzioni che il cliente sta cercando di implementare, come il cliente vede un “equilibrio ottimale” nelle aree che vuole trattare, per esempio : quale rete di vendita ottimale vorrebbe avere, come deve essere composta, che caratteristiche deve avere)
  • gli strumenti di risposta cui il cliente ha pensato, per esempio : formazione, consulenza, affiancamento, acquisto, leasing, outsourcing;
  • i decisori coinvolti nell’azione di acquistare un corso, o una consulenza o un qualsiasi altro prodotto e servizio, come attivarli, quali sono le barriere o resistenze e procedere verso la chiusura positiva.

Dall’analisi del cliente deve quindi emergere un profilo in grado di dirci:

  • cosa lo muove verso la ricerca di un acquisto;
  • che soluzioni ideali sta pensando o elaborando;
  • chi sono i decisori critici coinvolti.

La scheda cliente

Una scheda cliente si compone in genere di due parti:

  1. quantitativa/descrittiva
  2. qualitativa/osservazionale.

In particolare :

La sezione quantitativa/descrittiva contiene le principali informazioni disponibili, includendo:

  • fatturato;
  • numero di dipendenti; 
  • sede centrale e sedi ulteriori;
  • nomi dei principali decisori aziendali;
  • principali prodotti trattati e principali mercati di riferimento;
  • nuovi mercati di interesse, cui l’azienda si sta rivolgendo;
  • trend aziendali primari (fase recessiva, fase di stabilità, fase di sviluppo);
  • disponibilità di budget economici per l’acquisto;
  • apertura dei budget mentali (apertura mentale) verso la tipologia di acquisto e di prodotto da vendere.

Come si può notare, alcune di queste informazioni sono di facile accesso, pubblicamente disponibili, mentre altre richiedono lavoro di Business intelligence accurato.

La Sezione qualitativa e osservazionale contiene le principali informazioni soprattutto qualitative e meno statistiche (salvo alcuni punti), includendo:

  • storia ed evoluzione degli acquisti nei riguardi dei nostri tipi di prodotto/servizio;
  • storia ed evoluzione degli acquisti nei riguardi della nostra tipologia aziendale;
  • mappa dei poteri e dei decisori rilevata in sede di intervista;
  • moventi e possibili motivazioni d’acquisto;
  • tipologia di fornitura possibile e spazi di manovra;
  • rapporti con i fornitori attuali (ottimi, neutri, pessimi, e altre sfumature);
  • problemi passati generati dai fornitori di cui l’azienda ha sofferto;
  • natura dei canali di accesso ai budget economici e budget mentali (finestre temporali, chi e quando può accedervi, chi ne è escluso), chi decide in azienda.

L’intervista di vendita

Ogni intervista di vendita ha scopi strategici. 

Prima dell’intervista è necessario realizzare una lista di informazioni da raccogliere, evidenziando tutte le informazioni indispensabili per poter offrire una buona soluzione consulenziale.

Ogni azienda ha esigenze informative specifiche e peculiari, per cui non è possibile ricorrere a modelli standard. L’invito è piuttosto quello di adattare un approccio di vendita consulenziale alle proprie esigenze.

La tecnica da utilizzare è quella del confronto interno tra colleghi (peer coaching, supporto tra pari) o tra venditore e direzione (coaching direzionale, tutoraggio, mentoring).

Ogni settore merceologico ha le proprie esigenze informative. Ad esempio, per una società di formazione che desidera dare risposta ad un bisogno formativo verso un’impresa, in modo mirato, sarà importante sapere:

  • quanta formazione – rispetto al tema da trattare – è stata fatta sinora presso l’azienda cliente (prospect), e con che esito;
  • quale e quanta abitudine alla formazione esista in azienda, e a quali metodi formativi sono abituati i soggetti;
  • quale è il grado di soddisfazione verso i fornitori precedenti;
  • che modelli di formazione sono stati adottati in precedenza;
  • quali di questi hanno dato risultati e quali no;
  • che tipologia di intervento formativo ha in mente l’interlocutore (residenziale, in outdoor, interno all’azienda, affiancamenti, etc);
  • quali bisogni muovono l’esigenza formativa. Perché nasce e in chi nasce il bisogno di formazione;
  • se esistono fruitori ostili, che non vorrebbero partecipare alla formazione ma saranno chiamati a farlo, e quale linea tenere in questo caso;
  • quale sia il grado di ricettività e collaboratività (gli atteggiamenti d’ingresso) nelle persone da formare, sei vi siano dei possibili boicottatori;
  • se sia stata svolta una analisi dei fabbisogni formativi e se si con metodi e risultati;
  • se siano state analizzate o valutate altre strade per raggiungere l’obiettivo (es: coaching one-to-one);
  • quale clima psicologico e aziendale si vive;
  • se il budget previsto sia adeguato;
  • se sia in corso una “gara” o “appalto” tra diversi possibili fornitori, o si stia cercando una soluzione basata sulla “prima risposta soddisfacente ricevuta” ;
  • se la prestazione richiesta è meramente esecutiva o invece prevalentemente consulenziale, o un mix delle due;
  • quanto sforzo progettuale sia necessario e se il cliente sia disposto a pagarlo;
  • …. altre informazioni necessarie emergenti dall’analisi.

In seguito alla comprensione di questi fenomeni, sarà possibile offrire una soluzione consulenziale diversificata:

  • soluzione A…
  • soluzione B…
  • soluzione C…

Ciascuna di queste avrà diversi benefici e costi, e potrà essere negoziata basandosi sulle risposte del cliente.

Ogni azienda deve adattare l’approccio consulenziale ai propri bisogni specifici, e questi momenti di focalizzazione devono essere condotti tramite riunioni interne (prima), analisi sul cliente e non lasciati alla buona volontà del venditore.

Focalizzare le energie nella vendita consulenziale

Ogni trattativa aperta o in fase di apertura è un fattore di assorbimento di energia. L’energia prende forma di attenzione mentale, ore di lavoro, telefonate, incontri, trasferte, e altri atti necessari per concludere una vendita.

Le energie personali ed aziendali, tuttavia, sono una risorsa preziosa, non sono illimitate o producibili a piacimento. E pertanto, vanno ben gestite.

Dobbiamo chiederci quante trattative aperte contemporaneamente possiamo avere. Il numero di trattative aperte o progetti-cliente aperti, è uno dei fattori di analisi primario per capire se le energie sono ben canalizzate o si stanno disperdendo.

Dobbiamo focalizzare le energie in particolare sulla chiusura delle linee aperte, procedendo per pochi clienti alla volta (principio di focalizzazione) o (al massimo) lavorare per batch (piccoli gruppi di clienti da acquisire, per poi passare ad altri nuovi clienti da acquisire).

In particolare:

  1. Non dobbiamo sopravvalutare le nostre energie.
  2. Non dobbiamo considerarle illimitate. 
  3. Dobbiamo concentrarle dove conta, verso la chiusura di ciò che è avviato. E, prima di tutto, avviare linee su clienti per noi prioritari.

Tramite tecniche di bioenergetica manageriale e psicoenergetica manageriale, ed esercizi di lifestyle training, è possibile decisamente ottenere incrementi significativi nel livello di energie personali, sia biologiche che psicologiche, ma non all’infinito.

Uno dei fattori chiave di successo della vendita consulenziale è quindi saper coltivare le proprie energie e direzionarle con buone priorità.

Fissare i clienti su cui concentrarci

Per fissare le priorità, i clienti su cui concentrarci, possiamo utilizzare una schema che includa: 

  • Flussi economici in ingresso dal cliente,
  • Flussi in ingresso immateriali: denaro, prestigio, know-how.
  1. Clienti di tipo A : sono quelli da cui si può ricavare fatturato e utili, ma scarso apprendimento o scarse entrature e prestigio.
  2. Clienti di tipo B : sono quelli dai quali si ricava modesto utile o fatturato, ma ci aiutano enormemente ad ampliare il nostro prestigio o le nostre conoscenze ed entrature.
  3. Clienti di tipo C : assommano rientri economici elevati a rientri di immagine e conoscenze elevati.
  4. Clienti di tipo D : sono invece poco profittevoli, o scarsi pagatori, e in più assorbono tempo e risorse senza apportare valori aggiunti di immagine o di conoscenza.

Messaggio: ogni cliente può apportare un valore economico o un valore relazionale (entrature, prestigio, immagine), ed è necessario ricercare la costruzione attiva di un parco clienti che contenga clienti dal valore economico e relazionale elevato.

Il parco-clienti va costruito, e non subìto.


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© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategie di comunicazione e marketing. Un metodo in 12 punti per campagne di comunicazione persuasiva”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Analisi dei costi / benefici intangibili di comunicazione

La activation research qualitativa strutturata nel metodo ALM, si occupa di:

valutare quanto tempo il management dedica alle attività di comunicazione (costi manageriali) e con che risultati;

  • valutare quanto tempo il management dedica a singole iniziative di comunicazione e con che risultati, per identificare dissonanze in termini di efficienza ed efficacia gestionale;
  • scoprire aree di interesse comunicativo che non ottengono sufficiente attenzione da parte del management;
  • scoprire progetti di comunicazione che assorbono tempo manageriale e costo/tempo strutturale (il tempo e le risorse dell’azienda) superiore ai ritorni pratici.

Sono numerosi i casi in cui l’intero management o manager chiave si “innamorano” di progetti aziendali che non hanno però riscontri, e finiscono per assorbire completamente il tempo manageriale, oppure ancora ne assorbono troppo rispetto ai risultati che producono. Questa analisi permette di affrontare il fenomeno con metodo e rigore scientifico.

È limitativo ed errato misurare l’efficacia della comunicazione solo in termini di vendite generate nel brevissimo periodo. Prima che accadano comportamenti di acquisto devono prodursi – nella mente del cliente – altri avvenimenti psicologici che costituiscono il presupposto del successo comunicativo. 

Dobbiamo quindi :

  1. misurare con rigore anche il raggiungimento di questi pre-obiettivi
  2. creare le condizioni affinché gli obiettivi di vendita possano essere raggiunti.

L’investimento comunicativo è efficace quando accresce il grado di conoscenza del marchio o del prodotto (risultato importante), o quando modifica l’atteggiamento verso l’impresa (altro risultato importante), senza che nel giorno stesso si debbano produrre risultati di vendita istantanei. 

coltivare

I risultati devono certo accadere, ma non dobbiamo incorrere nell’errore di misurarli nel momento sbagliato, e tralasciare altri risultati essenziali. 

Con una metafora agreste, stiamo seminando il terreno, stiamo irrigando il raccolto, stiamo togliendo le erbacce, o stiamo raccogliendo i frutti già maturi? 

La comunicazione che ricerca i frutti già maturi (i clienti pronti all’acquisto) ma non si preoccupa di creare le condizioni (dissodare il terreno, coltivarlo, irrigarlo, ripulirlo) otterrà ben poco dal mercato. 

La cultura della comunicazione aziendale deve occuparsi di tutti i diversi livelli: dal creare le condizioni per la vendita, al coltivare le condizioni di vendita tramite comunicazione relazionale, al raccogliere i risultati tramite comunicazioni orientate alla “chiusura negoziale”. 

L’approccio coltivativo richiede l’utilizzo di più canali, anche diversi (dal telemarketing sino alle forme antiche come la pubblicità postale o i volantini, per concludersi con la negoziazione B2B, e ogni altro canale opportuno, attuale e futuro), senza preclusioni di sorta. Un ingrediente importante del successo è la cura dei propri strumenti di coltivazione del cliente. 

coltivare

Quando l’agricoltore semina con cura, andrà a raccogliere con altrettanta cura, e quindi farà manutenzione alle macchine per la raccolta. Se il manager non fa manutenzione tramite formazione alle risorse umane (venditori e comunicatori front-line) che andranno a raccogliere i frutti della comunicazione, otterrà una raccolta estremamente inefficiente. E in più avrà sprecato le risorse precedenti.

Ecco quindi che aree diverse, dalla comunicazione alla formazione, si fondono per giungere al risultato aziendale di vendita che rappresenta l’obiettivo finale, con la consapevolezza che dobbiamo creare le condizioni per essere persuasivi ancora prima di essere giunti sul luogo di vendita.

Coltivazione comunicativa

Per spiegare meglio il concetto di coltivazione comunicativa, ricorriamo ad un modello estremamente basilare degli effetti comunicativi, il modello A.I.D.A. (Attenzione – Interesse – Desiderio – Azione). 

Il modello A.I.D.A. espone un fenomeno semplice: prima di ottenere azione (esempio, un acquisto), deve nascere un desiderio d’acquisto, una pulsione. 

Affinché nasca una pulsione, il cliente deve provare interesse verso il prodotto/servizio, deve percepirvi valore. Ma perché il cliente percepisca valore, è necessario che egli sia esposto ad uno o più messaggi da cui ricevere ed elaborare dati e informazioni. 

Senza questo passaggio minimo la catena di eventi non avrebbe luogo e nessun effetto si produrrebbe.

Questo modello semplice è utile per divulgare un concetto: 

  • se una campagna di comunicazione crea attenzione, questo è un primo risultato, 
  • se crea interesse è un ulteriore risultato, 
  • se si crea desiderio, questo è un risultato. 
  • Il comportamento, l’azione, non avvengono se prima non otteniamo le condizioni basilari e minime affinché esso si manifesti.
pulsione

Ogni passo in avanti nella sequenza persuasiva è un risultato importante, poiché la persuasione non accade “per magia” ma grazie ad una serie di azioni comunicative di qualità.

Ecco quindi che la activation research deve occuparsi anche di quanto una campagna di comunicazione accresce la conoscenza del marchio, quanto modifica o accresce la percezione di immagine aziendale o di un gruppo sociale, l’atteggiamento verso il prodotto, quanto incide inoltre sulla sensibilizzazione del cliente e sull’apertura di nuovi budget mentali, cioè di tutti i precursori dell’atto di acquisto.

La comunicazione come processo difficilmente ottiene tutti i risultati con un solo messaggio. Solo una continuità nella comunicazione, una “coltivazione del cliente”, permette di ottenere risultati certi.

È necessario analizzare:

  • la Frame-Activation: i risultati prodotti sa un singolo frame comunicativo, o singolo evento/iniziativa;
  • la Total-Activation: i risultati prodotti dall’intera catena di frames comunicativi.

Nel metodo ALM, l’Activation Research Coltivazionale (A.R.C.) si occupa di capire quali sequenze di eventi comunicativi ottimizzano il risultato finale.

È necessario divenire consapevoli che ogni media possiede peculiarità diverse, e ad un media o modalità di comunicazione non dobbiamo chiedere ciò che non sa fare. 

Non pretendiamo da una pubblicità postale che esso produca l’effetto finale (conclusione della trattativa) per un prodotto ad alto valore: non lo farà. Per ogni media esistono obiettivi specifici: non commettiamo l’errore di mandare un’email a negoziare per noi, a concludere una vendita difficile, non ne sarà in grado. Chiediamo ad ogni media ciò che il media può dare. 

Chi misura unicamente le azioni di breve periodo (risultati immediati) compie un grave errore, così come chi misura unicamente le variazioni psicologiche senza preoccuparsi dei risultati tangibili. 

Risultati intangibili della comunicazione si manifestano chiaramente quando essa riesce ad eliminare condizioni di scarsa credibilità che impedirebbero acquisti dai clienti. 

Poniamo il caso di una società di consulenza che non abbia un sito web. La sola assenza del sito produce un danno d’immagine, molti clienti potenziali la scarterebbero a priori. È quindi sbagliato chiedersi solo “quanti clienti nuovi ha generato un investimento sul web” senza chiedersi “quanti clienti mi ha permesso di non perdere”. Se la presenza del sito ha permesso di condurre una trattativa con maggiore sicurezza, questo effetto di comunicazione deve essere considerato tra i benefici produttivi di “condizioni positive di vendita”.

I mercati nel contesto competitivo odierno premiano solo chi si adopera con costanza, intelligenza, e impiega le proprie risorse investendo in un mix adeguato di formazione e comunicazione. 

Sono finiti i tempi in cui bastava lanciare un prodotto per ottenere vendite e profitti. Chi semina oggi un campo non arato, non irrigato, non concimato, sta sprecando semi. L’approccio alla coltivazione del cliente rende attuale un antico modo di essere: essere seri, essere affidabili, essere credibili. E farlo con applicazione, impegno, costanza, rigore, volontà, e soprattutto continuità.

Servono obiettivi chiari per misurare le cose giuste. Focusing e Consulenza di Processo aiutano a definirli

La activation research può misurare gli effetti dell’investimento in comunicazione, formazione e marketing, i suoi ritorni, i suoi costi, i suoi benefici pratici così come quelli intangibili. Tuttavia, poniamoci una domanda: se non abbiamo chiarito esattamente gli obiettivi a priori, cosa misuriamo?

La sindrome del misurare per misurare è alta e potente.

Ogni azienda dovrebbe invece fare almeno 2 “ritiri” all’anno di Focusing, focalizzazione degli obiettivi, e dopo, solo dopo, iniziare a misurare.

Quasi sempre, dopo un ritiro di focusing, gli obiettivi che misuriamo cambiano, le variabili che ci interessano cambiano.

cambiamento

Ad esempio, al di la delle letture di una pagina web (impressions), potrebbe interessarti di più chi si iscrive ad un tuo notiziario personalizzato.

Una scarsa precisione dell’obiettivo di comunicazione produce sempre campagne e sforzi improduttivi. 

Il primo compito del consulente di comunicazione è quello di aiutare il cliente a focalizzare l’obiettivo, adottando un approccio di consulenza di processo[1].

Il compito del cliente è quello di partecipare attivamente alla definizione di obiettivi misurabili, assumendosi una quota di responsabilità e di impegno. 

Il manager o amministratore può delegare l’esecuzione di un obiettivo, ma è indispensabile che egli partecipare alla sua definizione.

Partecipare alla comunicazione, formazione e marketing significa realizzare un primo e importantissimo step di consulenza per chiarificare: 

  • cosa stiamo cercando
  • quali sono le variabili sulle quali vogliamo intervenire tramite la comunicazione, la formazione o il marketing
  • in quali tempi intervenire
  • in quali luoghi intervenire
  • su quali clienti o soggetti intervenire
  • con quale gamma di metodologie intervenire – mix di metodologie
  • come misureremo il risultato.

Una definizione così precisa degli obiettivi richiede tempo manageriale elevato e competenze specialistiche in marketing e comunicazione. 

L’importanza del ruolo consulenziale è qui determinante. Qualora il cliente dei servizi di comunicazione sia in grado di strutturare gli obiettivi chiaramente, i progetti sono in buona parte avviati verso la soluzione. Tuttavia, senza confronto raramente si giunge alla chiarificazione precisa del quadro.

In molti casi è opportuno ricorrere ad una apposita consulenza di processo atta ad identificare i goals (focusing e goal setting) e il mix di strumenti di intervento da attivare. 

Eliminare questo passaggio cardine è improduttivo sia per il cliente che per il fornitore di servizi comunicazionali, formativi e di marketing.

Chi pratica comunicazione deve sapere su quali variabili sta lavorando. Comunicare per creare immagine professionale nel lungo periodo è qualcosa di molto diverso dal realizzare una promozione speciale in un periodo di calo di vendita. 

Una promozione di prezzo (sconti e abbuoni) può aumentare le vendite del momento e deprimerle per un lungo periodo successivo, e questo non è un risultato positivo di marketing.

Nel caso di interventi formativi, dobbiamo chiarire quale mix di tecniche formative utilizzare: è più produttivo utilizzare sessioni seminariali, coaching, role-playing, affiancamenti sul campo, o un mix di diversi metodi? Dobbiamo lavorare solo sul “sapere”, o anche sul “saper essere” e sul “saper fare”? Sulla parte cognitiva o anche sul corpo? 

Che tipo di cambiamento vogliamo produrre?

Il budget di comunicazione (o budget di progetto, per interventi di formazione e marketing) va quindi concentrato su obiettivi chiari e produttivi.

Se il cliente disperde un budget ristretto su troppi target e troppi prospects (clienti potenziali, o fruitori di progetto) egli rischierà di ottenere solo i primi risultati (attenzione, o al massimo un vago interesse), ma di non arrivare mai al punto (vendite, cambiamento, risultati tangibili).


[1] Schein, E. H. (1999). La consulenza di processo: come costruire le relazioni d’aiuto e promuovere lo sviluppo organizzativo. Milano, Cortina. Tit. orig. Process Consultation Revisited: Building the Helping Relationship, 1999, Addison Wesley.

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©Copyright. Estratto dal testo di Daniele Trevisani “Psicologia della libertà. Liberare le potenzialità delle persone”. Roma, Mediterranee. Articolo estratto dal testo e pubblicato con il permesso dell’autore.

Dall’idea all’azione

La domanda chiave che molti si pongono dopo aver udito o letto una buona idea o una bella frase, è la stessa: “e io cosa posso fare per riuscirci?”. 

Questa domanda ci colpisce quando percepiamo un  modo di essere che ci attira. E tuttavia la ricerca delle “regole pratiche”, le “dritte” generiche che vanno bene per tutto, non fanno altro che allontanarci. I suggerimenti pratici durano quanto un fiammifero, un principio guida vale come una torcia che brilla splendente ed eterna.

Se riusciamo ad assimilare in noi un “principio guida” questo dirigerà mille scelte, mentre una “dritta” o “suggerimento” è fine a se stesso, colma una piccola buca ma non il cratere del nostro bisogno di crescita personale globale. Rischia poi di andare bene solo per una persona e fare male ad altre.

Per cui per onestà affermo con convinzione che non credo ai libri con “10 facili regole per” o “i segreti del successo” e altre porcherie vendute da “faciloni” e “venditori di facilità”. Un lavoro sulla crescita della persona deve offrire stimolazione mentale, apertura, spazio di libero pensiero, riflessione, principi guida. Per acquisire i  saperi pratici sono più adeguati corsi e seminari.

Questo libro non sostituisce un coaching ma sicuro chi vuole “ascoltare” vi può cercare indicazioni pratiche. Il rischio di cercare soluzioni magiche in un “manuale” è alto. Troppa gente si accontenta di leggere un libro invece di fare un lavoro serio con coach, formatori, terapeuti, Counselor, gruppi, etc.

Questo è solo un libro di riflessioni. Chi sente di voler applicare qualcosa, chi sente un messaggio che vuole fare suo, lo potrà fare.

Se uno mi chiede in tutta onestà cosa deve fare per riuscirci, se voglio essere veramente onesto, dico “vieni a fare coaching da me o segui uno dei nostri percorsi”. Ma voglio cercare ovunque possibile di dare anche suggerimenti fattibili, senza scadere nell’odiato (da me) “manuale pratico in 10 mosse”, che come detto, rischia di diventare una presa in giro.

Trovare “Compagni dell’Anima”

Trovare “Compagni dell’Anima” è una metafora che riprende il pensiero di Santa Teresa di Avila. 

In altre parole, compagni di viaggio che ci sostengono nel nostro percorso. Questi si chiamano coach, Counselor, terapeuti, formatori, gruppi di studio, ma anche gli stessi colleghi che noi sosteniamo e da cui riceviamo sostegno a proseguire. 

I “Compagni” rimangono tali anche a distanza, non sono connotati da sesso né età, sono semplicemente menti che si sintonizzano con noi e noi con loro. Trovarli è una grande fortuna ma si può decisamente fare. Larga misura del nostro Master in Coaching e Counseling e Percorsi di Crescita Personale è proprio la costruzione di gruppi che lavorano assieme e dinamiche in cui le persone si sostengono. 

È utile anche l’aiuto di “Maestri” lungo un percorso basato sulle competenze ma in fin dei conti, la Maestria diventa soprattutto spirituale.

“Teresa d’Avila adopera un nome speciale per una relazione nella quale gli individui sono in grado di sostenersi reciprocamente nel viaggio della vita con grande generosità di cuore e anima. Dice infatti che è raro trovare un’altra persona che sia in grado di comprendere la devozione a diventare “illuminati”, a vedere chiaramente la verità su se stessi e su Dio. Tuttavia, quando procediamo su questo cammino d’illuminazione, talvolta troviamo lungo la via quelli che Teresa definisce «compagni dell’anima», individui che hanno la profondità di conoscenza ed esperienza necessarie per comprendere il nostro viaggio personale. Un’altra espressione della grazia della Religiosità è il volere dare il meglio delle proprie risorse interiori per aiutare a “illuminare” un altro che si rivolge a te per essere guidato.”[1]

Sembra un discorso realizzato specificamente per coach e Counselor, leader ispirati, formatori ed educatori che lavorano con il cuore e l’anima.

Il discorso di Santa Teresa è di matrice religiosa, ma parla molto chiaramente a chiunque si occupi di coaching, counseling, terapia, formazione, a genitori, insegnanti, e chiunque voglia potersi fregiare del ruolo di “compagno dell’anima” di altri esseri umani. Non parla invece, a chi tiene un “distacco baronale” con le persone. Che siano psicologi o manager, questi personaggi a noi non interessano. Ne stiamo alla larga molto volentieri.

Dai la caccia ai tuoi misteri. 

Non fuggire mai da ciò che non comprendi di te: 

quella parte di te non svanisce soltanto perché non vuoi osservarla.

Caroline Myss

 Prima mossa: il radar mentale

Vediamo una prima mossa pratica collegata ad un principio: il concetto di “installare un radar mentale”. Il radar mentale è quella “cosa” che installi dentro di te per capire quando una grana limitatrice di libertà sta arrivando. Ti sembra poco?

Ma non basta. Il radar deve sondare anche all’interno.

Il principio di base è imparare ad ascoltare i propri pensieri, capire i propri comportamenti. Perché faccio quello che faccio? Perché mi sento così? Perché provo questo in quella situazione?  Perché non riesco a raggiungere un certo obiettivo? Perché non riesco a staccarmi da un certo sfondo emotivo o da un certo pensiero?

Non è operazione semplice. In questo campo, nessuna operazione lo è. Come osserva Taylor[2]:

Qualsiasi rete cognitiva venga attivata quando siamo in preda a una determinata emozione può tingersi di quell’emozione: è in questo senso che le nostre sensazioni si dicono «indiscriminate».

Il radar mentale serve proprio per passare da uno stato A) “schermo piatto” in cui tutto è confuso, indiscriminato, niente è informazione, non capisco bene quello che mi succede e perché, allo stato B) capisco le tracce emotive e sensazioni che vivo dentro, le capisco meglio, le inquadro meglio, le so tracciare meglio, arrivo persino a capire bene da dove vengono e come sono collegate tra loro.

Perché quando una certa situazione “sa di bruciato” me ne rimango li? A volte non ci faccio niente per anni? Voglio imparare a diventare libero davvero?

Tutte queste domande sono collegate al meta-obiettivo del conoscere se stessi, è un principio sano. Conoscersi, sapere come funzionano le nostre scelte, è un enorme passo avanti. 

Un coach serio o Counselor può aiutarti enormemente nel trasformare questo principio in abilità pratica, e sapere come funzioni è il primo passo!

Questo radar mentale deve andare a caccia delle idee negative che circolano nella nostra mente, di principi corrosi e sbagliati, magari frutto di mode, di culture, di appartenenza a gruppi, di credo religiosi o politici assorbiti forzatamente e senza ragionarci. Deve andare a caccia di sensazioni, e dei processi che le producono.

Le credenze negative, i principi dannosi, una volta smascherati, diventano nemici identificati e si possono finalmente combattere.

Ogni volta che il radar mentale coglie una convinzione o abitudine chiediamoci? Da dove viene questa convinzione? Mi fa bene o mi fa male? Vorrei averla con me se avessi una seconda vita o vorrei liberarmene? Possiamo creare in parte il nostro destino in questa vita? Credo, definitivamente, di si.

Costruire il radar mentale significa, in una metafora informatica, “andare a vedere” quali sono i processi attivi in background. Ora, e proprio ora, io sono di fronte ad uno schermo. Quello che mi mostra è la “superficie” del mio PC, quanto è osservabile.

Assomiglia proprio a questa schermata:

Figura 1 Esempio di “apparenza esterna”

Tuttavia, se voglio andare in profondità, devo sapere quali sono i processi attivi, quali programmi stanno consumando la mia CPU e in che percentuali, quali stanno impegnando la mia RAM (memoria di lavoro) e come, e quanti stanno accedendo al mio disco rigido.

Figura 2 Esempio di “Processi sottostanti l’apparenza esterna”

Posso vedere ad esempio che un certo programma che assolutamente non sapevo essere attivo, stava lavorando in background a mia insaputa (nel caso, Adobe Acrobat Update Service) e questo, seppure impegnando poco il processore, sta pensando sulla memoria di lavoro del PC. E io non ne ho bisogno. Per il PC ora, è solo un peso.

Non vedo all’opera invece un programma (un firewall) che credevo attivo.

La metafora non può essere migliore per capire cosa significa fare “radar mentale” nella mente umana.

Andare oltre la superficie, capire quali programmi stanno funzionando “sotto”, quali ho installato io volontariamente, quali sono stati installati a mia insaputa, quanto stanno impegnando la mia memoria. Che programmi mentali ho dentro di me? Quali mi mancano ma vorrei avere?

E anche, cercare dei virus, o liberare la memoria da programmi che stanno girando senza il mio permesso consapevole. 

Questa operazione non è azione legata alla psicopatologia, ma è azione di “Psicologia Positiva” (Seligman[3]), riappropriazione del proprio io, del proprio funzionamento mentale, e maggiore conoscenza di sè. 

Il destino non è scritto, è quello che noi ci creiamo. 

(John Connor) dal film Terminator Salvation

Seconda mossa: capire la nostra sfera praticabile e gli step praticabili

Non tutto ciò che di negativo esiste nel creato è nostra colpa e nemmeno è merito nostro tutto il bello che esiste. Vi sono ambiti della vita che consideriamo entro la nostra sfera di competenze e d’azione (es, scegliere il colore della macchina), mentre per altre diamo la colpa o il merito al destino. 

Questo meccanismo è quasi sempre da tarare.

Ad esempio, impariamo a liberarci dal senso di colpa per eventi che sono da attribuire alla “sfiga cosmica”. Un asteroide che mi cada sulla testa, è decisamente “sfiga cosmica”. 

Ma decidere di fare sport o meno, se non ho particolari problemi fisici, è una mia scelta, fa parte del cosiddetto Locus of Control Interno, la capacità di sapere quali ambiti della vita posso portare entro il mio campo decisionale, e prendere in mano. 

Il fatto di definire traguardi, lavorarci un poco ogni giorno, provarci, fa parte del mio atteggiamento combattivo. Andare alla ricerca del miglioramento, in generale, può essere un atteggiamento che voglio assumere. Qualcosa che posso amplificare, cercare, nutrire attivamente.

Altra operazione fondamentale è aprire la nostra mente verso l’ingresso di nuove visioni, nuove idee, nuovi apprendimenti, e lasciare entrare acqua fresca da mille ruscelli. Questo significa aprirsi a nuove esperienze. 

In pratica? Almeno una volta l’anno dovremmo fare un viaggio in un posto nuovo, leggere un libro stimolante, ascoltare una persona illuminata. E per i progetti che abbiamo in mente, chiedersi, qual è il primo Step Praticabile, la prima cosa pratica, operativa, che posso fare in quella direzione? Iniziare a fare questo primissimo step è già un grande atto di forza.

Terza mossa: agire ogni giorno, ogni giorno vale

Ogni singolo giorno possiamo aggiungere un piccolo tassello alla nostra “area di libertà”, una piccola incursione – di un metro soltanto, verso un obiettivo distante mille miglia – è un passo in avanti. 

Puoi leggere un libro che ti fa capire qualcosa di fondamentale e con questo fare un altro passo in avanti. Puoi incontrare una persona e sentire una frase che capisci ti farà bene, e farla tua per un certo periodo. 

Puoi decidere attivamente di partecipare a corsi, seminari, fare coaching o counseling, partecipare a gruppi, sport o attività di crescita mentale. 

Qualsiasi fonte di apprendimento amplifica le energie sulla bilancia della luce e indebolisce il buio.

Se parti oggi facendo 1 minuto di camminata, ed ogni giorno aggiungi 1 minuto, tra 365 giorni farai 365 minuti di camminata al giorno (oltre 6 ore al giorno, persino troppo!). Chi si ammazza di allenamento 1 giorno stando poi fermo per 1 mese, sta applicando il principio sbagliato.

Il principio “ogni giorno qualcosa” guida ogni altro principio. Significa che ogni giorno è sacro, e in ogni giorno mi impegno a fare un passo avanti verso i miei scopi, o almeno a provarci.

Ogni persona accetta o meno le sfide in base a come funziona la propria “bilancia interiore” che soppesa energie percepite e paure percepite. 

Chi è riuscito a fare pulizia mentale e caricarsi di energie, diventa potente oltre ogni limite, e cerca attivamente progetti sfidanti – si getta in battaglie difficili in base alle energie che sente di possedere. 

Questo vale per gli atleti, i praticanti di arti marziali, i combattenti della vita, una coppia che decide di avere figli in questo mondo marcio, sapendo che alla fine la luce prevarrà o che almeno questa possibilità esiste. Le sfide insegnano sempre. Quelle che accettiamo ma anche quelle che non accettiamo. 

Ogni giorno in cui facciamo qualcosa per potenziare la nostra macchina fisica o nutrire la mente e lo spirito è un giorno rubato alla morte.

Non aspettare l’ispirazione magica. Fai tuo il principio “ogni giorno” e se un giorno riuscirai a lavorare sul corpo andrà bene, un altro giorno sull’anima, e quello dopo ancora sul corpo, e via così, adattandosi alla propria situazione e ai suoi cambiamenti, con un principio ben saldo: ogni giorno vale.

How much of human life is lost in waiting.

(Quanto, della vita umana, si perde aspettando…)  

Ralph Waldo Emerson

Quarta mossa: Lezione identificata – Lezione appresa

Il modello Lessons Identified/Lessons Learned (Lezione Identificata – Lezione Appresa) è un concetto tipico della formazione militare, per cui da ogni battaglia persa vi deve essere un apprendimento, e da ogni vittoria un’analisi per capire come ripeterla.  

Farlo nostro è un ottimo passo avanti. Finché non capiamo dove sono gli errori che compiamo non riusciremo mai a reagirvi.

 La vita è per il 10% cosa ti accade e per il 90% il modo in cui vi reagisci.

Washington Irving

  • Primo: identificare le lezioni che la vita ci ha offerto (Lessons Identified). Un evento della vita identificato è già un evento che non passa inosservato, e ci aiuta a crescere, a riflettere, a fermarci un attimo, a pensare.
  • Secondo: esaminare le “mosse“: atteggiamenti mentali, scelte mentali, azioni pratiche, frasi dette, cosa abbiamo fatto in risposta ad una certa domanda, come ci siamo comportati, come abbiamo agito, quali atti ci hanno portato a quel risultato (che sia esso positivo o negativo) – scavare nel nostro modo di essere fino a capire cosa vogliamo ripetere e cosa non vogliamo mai più ripetere. E quali atteggiamenti ci hanno fatto bene, e quali ci hanno fatto male. Quando avremo fatto questo, possiamo parlare di una lezione appresa.

Questo è fattibile.

Se non lo facciamo, la vita continuerà che offrirci esperienze da cui non impariamo, ripetiamo noi stessi, ripetiamo i nostri errori, e così crescono le paure, e calano le energie.

Nel momento invece in cui rifletto su un passaggio preciso della mia vita, riesamino al rallentatore cosa ho fatto, cerco di capire perché ho agito così, “apro gli ingranaggi” del mio modo di essere, della mia macchina mentale, e finalmente posso intervenirvi. Questo processo è facilitato sicuramente da un confronto con un coach o Counselor o gruppo di lavoro.

Abbiamo il privilegio di poter pensare a come ragioniamo, e professionisti in grado di aiutarci a farlo, per migliorare come lo facciamo. Usiamolo!

Vivere est cogitare. 

Vivere è pensare

Marcus Tullius Cicero

Quinta mossa: coraggio e azione partendo dai piccoli passi

Gli Spartani che sono morti alle Termopoli hanno dato la loro vita non per un articolo di giornale,  ma per la consapevolezza che vivere lasciando le proprie famiglie in balia degli invasori sarebbe stato molto peggio che morire. Oggi questo concetto non è più praticato. Come se l’invasione degli spazi mentali della libertà conquistata dalla Rivoluzione Francese e dal Rinascimento Italiano non fosse in discussione. Lo è invece, e molto, da più fronti, sia interni che esterni.

La Mitosfera avvolge chi sa andare oltre il concetto di morte fisica, di progetto fine a se stesso, e sa traguardare il proprio sè o un proprio progetto in un ambito molto più vasto, quello del flusso della vita. 

Sapere di essere una pozza d’acqua stagnante fa soffrire. Abbeverarsi li, intossica. Sapere invece di essere un affluente del grande fiume dell’energia energia universale, fa stare bene, e permette anche di abbeverarsi a questo fiume uscendone nutriti e rigenerati.

Siamo acqua, siamo fiume, siamo parte del tutto e a questo tutto vogliamo contribuire. Questo è il lato mitico della ricerca spirituale, e anche della Leadership illuminata. E si conquista passo dopo passo, piccolo passo dopo piccolo passo.


[1] Myss, Caroline (2009) Defy Gravity. Hay House, Australia, Pty.Ltd. Edizione italiana Macro Edizioni, 2010. P. 148

[2] Taylor, Kathleen (2008). Brainwashing. La scienza del controllo del pensiero. Castelvecchi, Roma. Orig. Brainwashing. The Science of Thought Control. Oxford University Press. P 267.

[3]

    Seligman, M.E.P. (1990). Imparare L’Ottimismo (Learning Optimism). New York: Knopf. (reissue edition, 1998, Free Press)

    Seligman, M.E.P. (1993). What You Can Change and What You Can’t: The Complete Guide to Successful Self-Improvement. New York: Knopf. (Paperback reprint edition, 1995, Ballantine Books)

    Seligman, M.E.P. (1996). Come crescere un bambino ottimista (The Optimistic Child: Proven Program to Safeguard Children from Depression & Build Lifelong Resilience). New York: Houghton Mifflin. (Paperback edition, 1996, Harper Paperbacks)

    Seligman, M.E.P. (2002). La costruzione della Felicità (Authentic Happiness: Using the New Positive Psychology to Realize Your Potential for Lasting Fulfillment). New York: Free Press. (Paperback edition, 2004, Free Press)

Altri materiali su Comunicazione, Ascolto, Empatia, Potenziale Umano e Crescita Personale disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Che cosa produce il salto di qualità

team leadership e comunicazione operativa, corso leadership© Daniele Trevisani. Testo estratto dal libro Team leadership e comunicazione operativa. Principi e pratiche per il miglioramento continuo individuale e di team. Franco Angeli editore. Con commenti inediti dell’autore.

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Il salto di qualità in un team è qualcosa che si vede, si sente, si percepisce. Servono meno parole e la comunicazione è più intuitiva. I linguaggi diventano precisi e chiari, spariscono i fraintendimenti o vengono ridotti al minimo e riconosciuti prima che diventino grandi errori. Si va nella sede dove opera il team con il sorriso e con la voglia di entrare e non se uscirebbe mai. Questo non è un sogno, è qualcosa che ho vissuto tante volte, in tanti posti diversi, in team aziendali e sportivi, per cui è bene estrarne alcuni ingredienti e avviare una riflessione. Questo primo articolo avvia tale discussione sulla leadership di qualità.

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Una grande varietà di forze speciali, in senso olistico, intese come gruppi ad alte performance, diventa tale quando riesce a compiere il salto di qualità che divide un assembramento di persone da un gruppo di persone estremamente motivate ed efficaci.

  • Il primo fattore a rendere speciale un team è la motivazione e senso di appartenenza,
  • Il secondo l’addestramento continuo, la formazione continua.
  • Un terzo fattore è la consapevolezza delle proprie possibilità.

Ogni individuo si comporta nella vita come se avesse un’opinione ben definita della sua forza e delle sue possibilità; come se al­l’inizio di un’azione, si rendesse conto della difficoltà o della facilità di un dato problema: in sintesi come se il suo comportamento dovesse derivare dalle sue opinioni (Adler 1933, p. 17).

Dobbiamo quindi fondere un lavoro molto sottile, come l’immagine che un gruppo ha di se stesso, e una persona ha di se stessa, con un lavoro molto pratico come l’addestramento e la formazione su capacità allenabili. Il tutto confluisce nella ricerca di un vero e proprio stile di vita (lifestyle) in cui affrontiamo le nostre paure anziché nasconderci, accettiamo esperienze anche senza la certezza di pieno successo e apprendiamo da esse.

Quando una sconfitta non diventa qualche cosa che distrugge il nostro senso di valore personale e la nostra personalità, quando elaboriamo un piano di vita che cominci ad avere senso, stiamo imparando atteggiamenti che Adler individua come veramente fondamentali per raggiungere risultati duraturi.

Se predomina il puro timore di un pericolo di sconfitta, se il perdere si confonde malamente con un abbassamento del senso di personalità, si cercherà di scappare dalla situazione. Al contrario, un atteggiamento sano consiste nel fatto di applicarsi, studiarla, allenarsi, lasciarsi allenare, cercare risorse ulteriori, potenziarsi, attivare il fuoco sacro del superare l’ostacolo e andare avanti. Questo è un grande salto di qualità.

Se l’ideale di perfezione è una persona che non sbaglia mai, non avremo mai veri leader né veri gruppi, si cercheranno solo vittorie facili e scontate.

Un leader conduce ricerca anche in territori inesplorati, e apprende dagli errori, a volte persino andando a cercare dove sarà il punto di caduta per poi imparare e spostarlo alla prossima occasione un po’ in avanti.

Come riferisce Adler, “ogni epoca culturale forma il proprio ideale di perfezione rapportandolo ai suoi pensieri e ai suoi sentimenti” (Adler 1933, p. 31). Per cui è davvero il caso di confrontarsi con la cultura che ci circonda e “farla uscire”, attivando quello che oggi nella scienza memetica possiamo chiamare uno “smontaggio” della cultura in cui siamo immersi, o in termini informatici un reverse engineering, andare a vedere con quale software siamo stati programmati e poi riprogrammarci con maggiore coscienza.

Questo lavoro è indispensabile per fare nella vita quello che vogliamo noi e non quello che la cultura storica in cui siamo nati ci dice sia bene o male senza il nostro permesso.

Grandi riflessioni sulla vita si devono accompagnare a grande addestramento del corpo e delle facoltà mentali.

Quando parliamo di “addestramento” non intendiamo l’esecuzione di semplici ordini robotizzati, ma l’interiorizzazione e completa assimilazione del­l’azione entro un modo di fare e di essere.

Se non partiamo dal miglioramento di sé e delle proprie capacità, avremmo sempre bisogno di dare istruzioni e ordini, senza mai arrivare al fatto che le persone abbiano la volontà interiore di migliorare e la capacità di dirigere le attenzioni dove serve, arrivando a un’autonomia operativa che toglie il bisogno di essere guidati passo per passo. Il vero salto di qualità in un gruppo avviene quando si ha sempre meno bisogno di dare ordini e sempre più coscienza autonoma di che cosa è bene fare data la situazione, il contesto, la sfida, il compito, lo stato delle cose.

Una Formazione vera deve passare non solo dai concetti ma entrare nel­l’azione in cui questi concetti possono essere provati, vissuti, toccati con mano.

Il valore del­l’esperienza è assoluto, ma serve l’abilità di apprendere dal­l’esperienza (la “metacapacità” di apprendere dal­l’esperienza): potremmo cadere senza capire mai perché siamo caduti, potremmo stare male senza capire mai perché e come siamo arrivati a stare male, potremmo persino avere dei risultati ottimi senza capire se è stato frutto del caso o di qualche nostra strategia che possiamo replicare e potenziare. Possiamo vivere una vita come alghe mosse dalle correnti senza mai mettere a sistema nel nostro repertorio di comportamenti le modalità vincenti che invece ci appartengono:

  • nelle aziende, possono e devono diventare team speciali i team di progetto che vogliono sviluppare idee e concetti d’innovazione, si concentrano su come progettare un futuro veramente migliore dando vita a progetti nuovi, innovazione vera e non solo su carta o per fini pubblicitari e di propaganda, cui segua il nulla;
  • diventano team speciali anche le famiglie che decidono di far crescere figli sani, coscienti e forti, in una società che offre loro modelli malati, una sfida per certi versi enorme;
  • sono forze speciali i corpi scelti del­l’esercito e altre forze che operano in ambienti difficili e in missioni critiche, rischiando la vita e con sacrificio;
  • sono team speciali, in un concetto esteso, le équipe mediche che effettuano interventi difficili che pochi altri riescono a realizzare;
  • sono team speciali i team agonistici e sportivi negli sport estremi, che devono trovare il modo di esplorare ogni angolo del potenziale umano, se vogliono sopravvivere;
  • sono team speciali i team sportivi anche in sport ordinari, dove la percezione di quello che si fa diventa sacra;
  • sono forze speciali gli operatori che agiscono nelle centrali operative, di sicurezza e protezione civile, e devono apprendere l’arte del coordinamento di migliaia di flussi informativi, arrivando a comprendere significati nascosti ai più, per poi trasformarli in decisioni e azioni;
  • sono persone speciali e gruppi speciali alcuni gruppi dediti alla spiritualità o alla religione, in cui si giunge alla trascendenza dei limiti umani e alla connessione con valori sovrumani, sovrordinati, percependo un senso del­l’universo che sfugge alle persone comuni. Anche la spiritualità ha proprie forme di leadership.

Per essere veri leader serve visione. Ma visione vera, proiettata in un futuro migliore, non solo nel prossimo “trimestre finanziario” come accade troppo spesso nelle aziende.

I governanti pensano a inaugurare garage e centri commerciali, mentre gli scienziati ci dicono che dovremmo preoccuparci di altro.

Da un’intervista a Stephen Hawking, astrofisico:

Domanda. Quale sarà il nostro destino come specie, secondo lei?

Risposta. Credo che la sopravvivenza della specie umana dipenderà dalla sua capacità di vivere in altri luoghi del­l’universo, perché il rischio che un disastro distrugga la Terra è grande. Quindi vorrei suscitare l’interesse pubblico per i voli spaziali. Ho imparato a non guardare troppo in avanti, a concentrarmi sul presente. Ci sono ancora molte altre cose che voglio fare (Valenza 2015).

Chi si preoccupa di qualche cosa di più grande di se stesso ha capito il valore della vita. Chi cerca di lasciare un contributo fisico o morale, un lascito che può andare oltre la propria vita individuale, è un vero leader spirituale e morale, gli altri sono solo maschere che abusano di questa parola.

© Daniele Trevisani. Testo estratto dal libro Team leadership e comunicazione operativa. Principi e pratiche per il miglioramento continuo individuale e di team. Franco Angeli editore. Con commenti inediti dell’autore.

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Applicare nelle aziende il concetto di “Forze Speciali”

formazione aziendale, formazione forze speciali, metodi di formazione alternativa

© Daniele Trevisani. Testo estratto dal libro Team leadership e comunicazione operativa. Principi e pratiche per il miglioramento continuo individuale e di team. Franco Angeli editore. Con commenti inediti dell’autore.

Da 12 anni ho il privilegio di svolgere, oltre alla formazione aziendale “classica”, una speciale formazione comunicazionale a favore delle Forze Speciali in ambito ONU. Questa esperienza ultradecennale mi ha permesso di osservare alcune peculiarità del loro funzionamento e capire tutti i benefici che ci sono ne portare un certo atteggiamento all’interno di gruppi aziendali, e come farlo. Tradurre l’atteggiamento di Forze Speciali e Forze di Elite all’interno di un’impresa permette di operare su concetti di focalizzazione, monotasking, diversificazione dei ruoli, e chiarezza dei ruoli, in modo eccezionale.

Una grande varietà di Forze Speciali, in senso olistico, intesi come gruppi ad alte performance, diventa tale quando riesce a compiere il salto di qualità che divide un assembramento di persone da un gruppo di persone estremamente motivate.

Il primo fattore a rendere speciale un team è la motivazione e senso di appartenenza, il secondo, l’addestramento continuo, la formazione continua.

Un terzo fattore, è la consapevolezza delle proprie possibilità.

 

Ogni individuo si comporta nella vita come se avesse un’opinione ben definita della sua forza e delle sue possibilità; come se all’inizio di un’azione, si rendesse conto della difficoltà o della facilità di un dato problema: in sintesi come se il suo comportamento dovesse derivare dalle sue opinioni (Adler, op cit, p. 17).

 

Dobbiamo quindi fondere un lavoro molto sottile, come l’immagine che un gruppo ha di se stesso, e una persona ha di se stesso, con un lavoro molto pratico come l’addestramento e la formazione su capacità allenabili. Il tutto confluisce nella ricerca di un vero e proprio “Stile di Vita” (Lifestyle) in cui affrontiamo le nostre paure anziché nasconderci, accettiamo esperienze anche senza la certezza di pieno successo e apprendiamo da esse

Quando una sconfitta non diventa qualcosa che distrugge il nostro senso di valore personale e la nostra personalità, quando elaboriamo un piano di vita che cominci ad avere senso, stiamo imparando atteggiamenti che Adler individua come veramente fondamentale per raggiungere risultati duraturi.

Se predomina il puro timore di un pericolo di sconfitta, se il perdere si confonde malamente con un abbassamento del senso di personalità, si cercherà di scappare dalla situazione. Al contrario, un atteggiamento sano consiste nel fatto di applicarsi, studiarla, allenarsi, lasciarsi allenare, cercare risorse ulteriori, potenziarsi, attivare il fuoco sacro del superare l’ostacolo e andare avanti. Questo è un grande salto di qualità.

Questo è ciò che anima le Forze Speciali, la consapevolezza di poter convivere con l’errore e anzi cercarlo per imparare da esso, e l’inutilità degli orpelli e dei packaging alla propria personalità. Le Forze Speciali si dedicano parecchio alla ricerca di “Lessons Learned” – lezioni apprese dagli errori che accadono e inevitabilmente fanno parte di un ambiente sfidante – e poco alla ricerca di un colpevole umano su cui scaricare tutto.

Se l’ideale di perfezione è una persona che non sbaglia mai, non avremo mai veri leader né veri gruppi, si cercheranno solo vittorie facili e scontate.

Un leader conduce ricerca anche in territori inesplorati, e apprende dagli errori, a volte persino andando a cercare dove sarà il punto di caduta per poi imparare e spostarlo alla prossima occasione un pò in avanti.

Come riferisce Adler, “ogni epoca culturale forma il proprio ideale di perfezione rapportandolo ai suoi pensieri e ai suoi sentimenti”.[1] Per cui è davvero il caso di confrontarsi con la cultura che ci circonda e “farla uscire”, attivando quello che oggi nella scienza memetica possiamo chiamare uno “smontaggio” della cultura in cui siamo immersi, o in termini informatici, un “reverse engineering”, andare a vedere con quale software siamo stati programmati e poi riprogrammarci con maggiore coscienza.

Questo lavoro è indispensabile per fare nella vita quello che vogliamo noi e non quello che la cultura storica in cui siamo nati ci dice sia bene o male senza il nostro permesso.

Grandi riflessioni sulla vita si devono accompagnare a grande addestramento del corpo e delle facoltà mentali.

Le Forze Speciali addestrano le facoltà mentali continuamente, dall’ingresso sino al grado di comando, e ai più alti gradi, la mente viene posta in condizione di apprendere dall’esperienza. La Formazione e l’addestramento sono continui. Perchè quando si va in una missione dove la vita e la morte si toccano con mano, è bene avere con se una mente lucida. Esiste una certa “spiritualità dell’addestramento” che non è mai visto come una perdita di tempo ma un rafforzamento delle proprie facoltà da cui può dipendere il futuro di altre persone e il proprio, e anche la vita. Nelle aziende, al contrario, la formazione viene da alcuni vissuta come una perdita di tempo, da altri come un male minore, da pochi e dai migliori invece come una leva della propria competitività e di riflesso di quella aziendale e del Paese. Questo non è fattore di poco conto. Come vivi la tua formazione, è un aspetto di come vivi la vita.

Quando parliamo di “addestramento”, non intendiamo l’esecuzione di semplici ordini robotizzati, ma l’interiorizzazione e completa assimilazione dell’azione entro un modo di fare e di essere.

Se non partiamo dal miglioramento di sè e delle proprie capacità, avremmo sempre bisogno di dare istruzioni e ordini, senza mai arrivare al fatto che le persone abbiano la volontà interiore di migliorare e la capacità di dirigere le attenzioni dove serve, arrivando ad una autonomia operativa che toglie il bisogno di essere guidati passo per passo. Il vero salto di qualità in un gruppo si ha quando sia sempre meno bisogno di dare ordini e sempre più coscienza autonoma di cosa è bene fare data la situazione, il contesto, la sfida, il compito, lo stato delle cose.

Una Formazione vera deve passare non solo dai concetti ma entrare nell’azione in cui questi concetti possono essere provati, vissuti, toccati con mano.

Il valore dell’esperienza è assoluto, ma serve l’abilità di apprendere dall’esperienza (la ‘meta-capacità’ di apprendere dall’esperienza): potremmo cadere senza capire mai perché siamo caduti, potremmo stare male senza capire mai perché e come siamo arrivati a stare male, potremmo persino avere dei risultati ottimi senza capire se è stato frutto del caso o di qualche nostra strategia che possiamo replicare e potenziare. Possiamo vivere una vita come alghe mosse dalle correnti senza mai mettere a sistema nel nostro repertorio di comportamenti le modalità vincenti che invece ci appartengono.

 

  • Nelle aziende, possono e devono diventare Team Speciali i team di progetto che vogliono sviluppare idee e concetti d’innovazione, si concentrano su come progettare un futuro veramente migliore dando vita a progetti nuovi, innovazione vera e non solo su carta o per fini pubblicitari e di propaganda, cui segua il nulla;
  • diventano Team Speciali anche le famiglie che decidono di far crescere figli sani, coscienti e forti, in una società che offre loro modelli malati, una sfida per certi versi enorme;
  • sono Forze Speciali i corpi scelti dell’Esercito e altre Forze che operano in ambienti difficili e in missioni critiche, rischiando la vita e con sacrificio;
  • sono Team Speciali, in un concetto esteso, le equipe mediche che effettuano interventi difficili che pochi altri riescono a realizzare;
  • sono Team Speciali i team agonistici e sportivi negli sport estremi, che devono trovare il modo di esplorare ogni angolo del potenziale umano, se vogliono sopravvivere;
  • sono Team Speciali i team sportivi anche in sport ordinari, dove la percezione di quello che si fa diventa sacra;
  • sono Forze Speciali gli operatori che agiscono nelle Centrali Operative, di Sicurezza e Protezione Civile, e devono apprendere l’arte del coordinamento di migliaia di flussi informativi, arrivando a comprendere significati nascosti ai più, per poi trasformarli in decisioni e azioni;
  • sono persone speciali e gruppi speciali alcuni gruppi dediti alla spiritualità o alla religione, in cui si giunge alla trascendenza dei limiti umani e alla connessione con valori sovra-umani, sovra-ordinati, percependo un senso dell’universo che sfugge alle persone comuni. Anche la spiritualità ha proprie forme di leadership.

 

Per essere veri leader serve visione. Ma visione vera, proiettata in un futuro migliore, non solo nel prossimo “trimestre finanziario” come accade troppo spesso nelle aziende.

I governanti pensano a inaugurare garage e centri commerciali, mentre gli scienziati ci dicono che dovremmo preoccuparci di altro.

Da una intervista a Stephen Hawking, astrofisico:

 

Quale sarà il nostro destino come specie, secondo lei?

“Credo che la sopravvivenza della specie umana dipenderà dalla sua capacità di vivere in altri luoghi dell’universo, perché il rischio che un disastro distrugga la Terra è grande. Quindi vorrei suscitare l’interesse pubblico per i voli spaziali. Ho imparato a non guardare troppo in avanti, a concentrarmi sul presente. Ci sono ancora molte altre cose che voglio fare”[2]

 

Chi si preoccupa di qualcosa di più grande di se stesso ha capito il valore della vita. Chi cerca di lasciare un contributo fisico o morale, un lascito che può andare oltre la propria vita individuale, è un vero leader spirituale e morale, gli altri sono solo maschere che abusano di questa parola.

[1] Adler, op cit p 31.

[2] Mario Valenza, 27/09/2015. Intervista a Stephen Hawking: “Il futuro dell’umanità è su un altro pianeta“, Il Giornale.

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© Daniele Trevisani. Testo estratto dal libro Team leadership e comunicazione operativa. Principi e pratiche per il miglioramento continuo individuale e di team. Franco Angeli editore

SA-coaching-tab1(c) Daniele Trevisani. Estratto con rielaborazioni, dal volume Personal Energy.

Selezione di alcune delle migliori frasi citate da diversi autori, inserite nell’inizio del volume

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La nostra paura più profonda non è quella di essere inadeguati.
La nostra paura più grande è che noi siamo potenti al di là di ogni misura.
E’ la nostra luce, non il nostro buio ciò che ci spaventa.
Ci domandiamo: “Chi sono io per essere brillante, magnifico, pieno di talento, favoloso?”.
In realtà, chi sei tu per non esserlo? Tu sei un figlio dell’Universo.
Il tuo giocare a sminuirti non serve al mondo.
Non c’è nulla di illuminato nel rimpicciolirsi in modo che gli
altri non si sentano insicuri intorno a noi.
Noi siamo fatti per risplendere come fanno i bambini.
Noi siamo fatti per rendere manifesta la gloria dell’universo che è in noi : non solo in alcuni di noi, è in ognuno di noi.
E quando permettiamo alla nostra luce di risplendere, noi, inconsciamente, diamo alle altre persone
il permesso di fare la stessa cosa.
Quando ci liberiamo dalle nostre paure, la nostra presenza automaticamente libera gli altri.
(Nelson Mandela)

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Che stupidi che siamo,

quanti inviti respinti, quanti…

quante frasi non dette,

quanti sguardi non ricambiati…

tante volte la vita ci passa accanto

e noi non ce ne accorgiamo nemmeno.

 

dal film “Le fate ignoranti” di Ferzan Ozpetek

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Il Samurai deve possedere:

· senso del dovere (Giri)

· risolutezza (Shiki )

· generosità (Ansha )

· fermezza d’animo (Fudo)

· magnanimità (Doryo)

· umanità (Ninyo).

Hagakure, il Codice dei Samurai

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In una battaglia, chi vorresti al tuo fianco?

Bene… quella persona devi diventare tu.

 (Daniele Trevisani)

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Essere deboli non è utile a nessuno. Anni di diseducazione hanno confuso la pace con la debolezza, la cortesia con l’accettazione dei soprusi.

Grande falsità.

La forza, se direzionata verso fini e cause importanti come la difesa dei deboli, la formazione e l’educazione, è un valore.

Finché abbiamo il tempo, finché abbiamo questo dono, finché la natura ce lo permette, usiamo questo privilegio raro.

Daniele Trevisani

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Possiamo perdonare un bambino che ha paura del buio.

La vera tragedia della vita è quando gli uomini hanno paura della luce.

(Platone)

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“A volte il vincitore é semplicemente un sognatore che non ha mai mollato.”
(Jim Morrison)

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Se ci fosse un momento per osare, per fare la differenza, per iniziare qualcosa che vale la pena fare, è adesso.

Non per una grande causa, ma per qualcosa che accende il tuo cuore, per qualcosa che è d’autentica ispirazione, per un tuo sogno.

Lo devi a te stesso, per rendere speciale ogni tuo giorno sulla terra. Divertiti. Scava in profondità e riemergi. Respira la vita. Vivi i tuoi sogni!
Stephen Littleword, Aforismi

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Ogni giorno in cui ci dedichiamo energie alla nostra crescita spirituale, fisica, mentale, è un omaggio alla vita. La nostra forza aumenta.

E ogni volta che ne facciamo buon uso, qualcuno in cielo ringrazia.

Daniele Trevisani

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…Rimandare sistematicamente è un modo per evitare di fare.

Chi non fa è assai spesso uno che critica,

ossia sta a guardare quelli che fanno

e si gonfia del proprio illuminato parere sul loro operato.

E’ facile criticare, ma agire costa fatica, esige che si corrano dei rischi e che si vada incontro a mutamenti.

Wayne Dyer

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“Tener duro quando si perde, combattere con l’amarezza della sconfitta e la debolezza del dolore, vincere l’ira, sorridere quando si vorrebbe piangere, resistere ai malvagi e bassi istinti, odiare l’odio e amare l’amore, andare avanti quando si preferirebbe morire, inseguire pur sempre la gloria e il sogno, credere con indefettibile fede un qualcosa che dovrà accadere; ecco quel che un Uomo può fare e con questo essere grande”

(Zane  Gray)


(c) Daniele Trevisani. Estratto con rielaborazioni dell’autore, dal volume Personal Energy, Franco Angeli editore.