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Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele TrevisaniIl potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance”. Franco Angeli editore, Milano.

Alcuni esempi di format motivazionale

Tra i temi fondamentali da trattare si trova quello della percezione del task da compiere. Ogni task (compito) può avere letture diverse.

Un task può essere demotivante se affrontato con lo spirito sbagliato, e motivante se si trova lo spirito giusto con cui affrontarlo.

Non tutti i tipi di “spirito” o disposizione mentale funzionano nello stesso modo, e ciascuno dovrà trovare in sé o con l’aiuto del coach l’assetto mentale o format che più riesce a motivarlo.

Ad esempio, Victor Martinez, professionista di bodybuilding, afferma:

Io affronto una sfida contro me stesso e sono un gran lavoratore. Quando mi dicono di divertirmi alle gare, io penso che non è affatto così, perché è il mio lavoro. Nessuno dice a uno di andarsi a divertire in ufficio tutti i giorni alle nove di mattina, no? Io faccio il mio lavoro con il massimo impegno, e anche di più[1].

[1] Berg, M. (2006), La svolta di Victor, Flex, n. 4, pp. 70-79. Rif. p. 75.

In questa testimonianza notiamo che il format motivazionale operativo, che funziona su questo atleta, è il costruire un concetto di “lavoro serio” nel suo programma di allenamento, una professionalizzazione di quello che per altri è un normale svago o passione (la palestra), facendolo diventare sfida contro se stesso, e non necessariamente un divertimento.

Per altri, questo format può invece essere distruttivo.

Questo atleta ha trovato un formato motivazionale che funziona su di sé, ma lo stesso formato applicato ad un suo collega potrebbe non funzionare o essere invece fonte di frustrazione continua e portare all’abbandono.

Su ogni persona è necessario un grande lavoro di personalizzazione.

Personalizzare la motivazione è un forte lavoro di coaching e formazione.

La motivazione si ritrova per molti nel format della sfida contro altri: per alcuni, il senso della sfida rimanda ad una visione di sé epica, maestosa, leggendaria, ed è il driver interiore più forte quando si tratta di produrre una performance in alcuni campi di battaglia professionale. In altri casi, il format si arricchisce di più strati motivazionali, ad esempio, sfida + contributo.

Nel caso seguente notiamo come si vadano a stratificare il format della sfida contro il nemico assieme al format della sfida contro la lesa maestà (sfida all’immagine di sé). I due motori psicologici, sommati, aumentano l’effetto.

La testimonianza è tratta da un’intervista ad un combattente professionista, nella quale possiamo notare come l’energia della sfida, se ben canalizzata, possa produrre un dose supplementare di energie per la preparazione di se stessi:

Intervistatore: Quasi tutti ti davano per spacciato contro Tito Ortiz…

Tutti lo credevano imbattibile, tutti credevano che nessuno lo potesse battere nella categoria dei 93 chili, ma io ero li…. Ero anche pronto ad affrontarlo senza ricompensa, volevo questo titolo. Seriamente, mi ha fatto incazzare essere li e sentirli parlare come se io non rappresentassi la benché minima minaccia per lui.

Ciò ti ha offeso? Ma, non veramente. Ciò mi ha dato ancora più energia, mi ha fatto allenare ancora più intensamente[1].

[1] AA.VV. (2004), IceMan Chuck Liddell, Reportage da “Fight Sport”, n. 2, ottobre, p. 30.

I format motivazionali non devono essere unicamente o necessariamente mossi dal motore psico-agonistico. Altri possono trovare motivazione su un fronte opposto, nel format della “relazione di aiuto” (aiutare gli altri), o nell’espiazione (impegnarsi per scontare una pena), o nella vendetta (impegnarsi contro), o per una causa in cui credono (impegnarsi per).

In ogni caso, il lavoro del coach deve consistere nel trovare quale format motivazionale possa meglio funzionare sul soggetto, ma anche localizzare e rimuovere i format attivi sbagliati, che agiscono ora come modello errato e possono risultare distruttivi o controproducenti per la persona stessa, sebbene essi possano risultare buoni per altri, o aver funzionato in passato.

Ciò che ha funzionato in passato, in un contesto diverso può non avere più lo stesso effetto, o diventare persino controproducente. L’esame qui deve essere assolutamente situazionale e personalizzato.

Altri materiali su Comunicazione, Coaching, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online:

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ripensare il Potenziale Umano e la propria auto-immagine

Articolo Copyright Dal volume “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, di Daniele Trevisani

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L’immagine di sé corrisponde a ciò che noi pensiamo di noi stessi. Guida tutte le nostre scelte. Ci fa decidere se siamo o meno in grado di prendere un aereo, di parlare in pubblico, di puntare ad un determinato lavoro, piuttosto che evitare perchè “sento di non essere all’altezza”. Questo “Sentire di essere, o al contrario Sentire di non essere” è il succo più profondo dell’immagine di sè.

Costituisce una forma di auto-percezione, di auto-immagine, con la quale ci misuriamo costantemente.

Fare pulizia interiore su quello che siamo e quello che possiamo essere e fare davvero, rivedere chi siamo e il nostro potenziale, significa fare un grandissimo  regalo  a se stessi.

Risponde in pratica alla domanda “cosa penso davvero di me?”, “come mi vedo?”. La “fotografia di noi stessi” può piacerci o meno, ed in genere, quanto più e bassa tanto più diminuiscono le energie mentali. Con alcune importanti eccezioni da esaminare.

In genere le energie mentali crescono quanto meglio riusciamo a sentirci con noi stessi, accettarci, piacerci.

L’importante eccezione è la seguente: le situazioni in cui non ci sentiamo bene con noi stessi possono svolgere funzione positiva quando questa insoddisfazione si trasforma in un piano di lavoro e azioni concrete di cambiamento. In altre parole, non piacersi e macerarsi in questo stato è distruttivo per le energie mentali, mentre non piacersi, ma trovare una strada di miglioramento e praticarla, è un modo efficace per generare energie.

Uno dei compiti essenziali del coaching, sul piano etico, è quello di determinare se il “non piacersi” sia su variabili importanti e “giuste” o su aspetti di vita pericolosamente sbagliati, o assorbiti da modelli altrui improduttivi, mode effimere, esempi esposti dai media, il cui perseguimento finirebbe per fare danni elevati alla persona.

Ad esempio, molte modelle non si piacciono e vorrebbero vedersi sempre più magre, diventando anoressiche, con casi accertati di morti per anoressia.

Un coach (LifeCoach o FitCoach, o un consulente, o un medico) che aiuti questa persona ad essere tanto magra al punto di morire non è un coach ma un perfetto idiota e un delinquente. Aiutare le persone a perseguire obiettivi distruttivi è moralmente sbagliato. L’aiuto ha sempre uno sfondo etico.

Nessun problema invece per un coaching in cui una persona non sia soddisfatta delle proprie capacità di comunicazione, di negoziazione, o di leadership, o di vendita, e voglia migliorarle, o ancora non accetti un corpo evidentemente fuori forma, flaccido, e voglia essere tonico e sano, o ancora sia in perfetta forma ma voglia trovare una condizione agonistica di picco.

Trasformare gli stati di insoddisfazione in azioni positive quindi è uno dei compiti fonda­mentali del coaching.

Su quali temi può lavorare un coaching profondo?

Le forme specifiche di autoimmagini possono essere numerose e provenire da diversi angoli di osservazione.

Distinguiamo alcuni piani di osservazione o analisi:

 

Self-image intellettuale: l’immagine di noi stessi sul fronte dell’intelligenza che ci attribuiamo, della capacità di interagire con le persone su un piano culturale, di usare la mente in modo raffinato;

Self-image dello spessore umano e morale: il nostro auto-giudizio su co­­me applichiamo alcuni valori in cui crediamo, il nostro valore morale. Comprende il giudizio su alcune delle scelte fatte in passato, il gradimento o rifiuto che abbiamo per noi e il valore morale che ci attribuiamo. Sul piano del coaching, è essenziale che il coach riesca ad isolare i fallimenti passati e ripulirli da giudizi errati sul proprio spessore umano e morale (au­toflagellazione improduttiva), per inquadrarne invece le reali condizioni, situazioni e difficoltà incontrate;

Self-image di ruolo professionale attuale: analisi limitata al piano della per­cezione di sé sul lavoro, come professionisti, lavoratori, o comunque nell’occupazione attuale;

Self-image dei ruoli e identità del passato personale: autovalutazione e gradimento di chi e come eravamo in diversi momenti della nostra vita passata;

Self-image bloccata nell’evento: un’immagine di sé negativa legata ad un evento critico (critical incident), es., una perdita, un fallimento, un atto spiacevole compiuto – che non viene accettata, superata, metabolizzata;

Self-image relazionale: l’immagine che abbiamo delle nostre abilità di re­lazione con gli altri. All’interno, ancora più in profondità, possiamo trovare altri piani sempre più analitici, alcuni dei quali citati di seguito;

Self-image della seduttività: l’immagine che abbiamo di noi come seduttori, amatori, comunicatori efficaci, sino alle relazioni sessuali;

Self-image agonistica: l’immagine di ruolo che abbiamo di noi come lottatori, sia in azioni proattive (di “attacco” a problemi e situazioni) che difensive, quando qualcuno attacca il nostro territorio fisico o psicologico. La ricerca del prototipo interiore può assumere le sfumature di guerriero fisico, di mediatore, o di soggetto abile nelle sfide verbali, di chi “non si lascia pestare i piedi”, o ancora di chi “preferisce sempre parlarne”, o di uno con cui “è meglio lasciare perdere”, o del “perdente”, e altre;

Self-image di ruolo genitoriale: l’immagine che abbiamo di noi come buoni (o cattivi) padri o madri, reali o potenziali;

Self-image di ruolo filiale: l’immagine che abbiamo di noi come buoni o cattivi figli, rispetto ai doveri sociali introiettati e attivi in noi;

Self-image corporea: l’immagine che abbiamo del nostro corpo, anch’es­sa connessa al gradimento o rifiuto che proviamo per essa (self-sa­tisfaction corporea).

Prendiamo queste “autoimmagini”, riflettiamo su quanto di vero o di falso ci sia nel “film” che ci siamo fatti su di esse, e facciamo la maggiore pulizia possibile. Fissiamo chiaramente come vorremmo vederci tra qualche tempo, es. tra un anno. E lavoriamoci un poco ogni giorno. I risultati saranno enormi.

NB….non esitate ad ottenere aiuto da psicologi, psicoterapeuti, formatori, coach o counselor accreditati, ma evitate gli improvvisatori, i coach da baraccone sempre microfonati, quelli capiscono di psicologia tanto quanto un cantante rock ubriaco… e meno capiscono più dichiarano di essere i numeri 1. Alla larga.

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Articolo Copyright Dal volume “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, di Daniele Trevisani

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Gli Archetipi ti guidano… ma tu puoi condurli

Gli archetipi in qualche modo si impossessano delle persone e li fanno agire a proprio comando. L’immagine che hai di te stesso è il più potente “calco” che ti guida. Se quell’immagine è triste, la tua vita sarà triste. Se è forte e valorosa, la tua vita sarà valorosa.

E’ eccezionale pensare che noi possiamo modificare la nostra auto-immagine. Se impariamo a farlo, allora esiste uno strumento fantastico che può rivoluzionare tutto.

La riflessione su noi stessi è la nostra leva di sviluppo.

La domanda: “che archetipo sto usando ora”, come mi vedo, come posso cambiare?

Noi, come esseri coscienti, possiamo compiere l’azione eccezionale di capire quale archetipo ci guida e sceglierne uno diverso, se quello non ci piace o ci sembra riduttivo o peggio amputante rispetto alla nostra vita.

L’ho fatto per me, lo rifaccio quasi ogni giorno, per me e per i miei clienti. E’ una ricerca continua… continua come il respiro. Se il respiro continuamente alimenta il nostro sangue di ossigeno, “respirare” un archetipo buono alimenta continuamente la mente di idee e pensieri positivi.

L’archetipo ci permette di seguire una strada, una via che l’archetipo stesso ci indica una volta assimilato.

Ogni archetipo infatti porta con sé credenze, comportamenti, e stati mentali.

Ad esempio osserviamo l’archetipo del Samurai, tratto dall’antico testo Hagakure, il Codice dei Samurai:

Il Samurai deve possedere:

· senso del dovere (Giri)

· risolutezza (Shiki )

· generosità (Ansha )

· fermezza d’animo (Fudo)

· magnanimità (Doryo)

· umanità (Ninyo).

Cosa significa questo per te? Chieditelo. Chiediti cosa significa ad esempio risolutezza, fare le cose e non aspettare oltre, e quando applicarla. Chiediti cosa significa magnanimità, o fermezza d’animo.

Quando queste energie entrano in te e diventano operative, attive, reali nei tuoi comportamenti, sentirai una forza che non hai mai provato prima.

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Testo Copyright by Dr. Daniele Trevisani, Formatore e Coach per lo Sviluppo Personale e dei Team. Anteprima editoriale dal volume di Daniele Trevisani “Personal Energy”.