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© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Negoziazione interculturale. Comunicare oltre le barriere culturali. Dalle relazioni interne sino alle trattative internazionali”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore

L’approccio empatico

L’ascolto è una delle abilità più critiche della negoziazione e della vendita. Lo stereotipo classico del venditore intento a “parlare sull’altro”, a “vincere nella conversazione”, ad avere sempre l’ultima parola, è sbagliato.

L’approccio empatico prevede una concezione opposta: ascoltare in profondità per capire la mappa mentale del nostro interlocutore, il suo sistema di credenze (belief system), e trovare gli spazi psicologici per l’inserimento di una proposta.

Nel metodo ALM distinguiamo alcuni tipi principali di empatia:

In base agli angoli di osservazione:

  • Empatia comportamentale: capire i comportamenti e le loro cause, capire il perché del comportamento e le catene di comportamenti correlati.
  • Empatia emozionale: riuscire a percepire le emozioni vissute dagli altri, capire che emozioni prova il soggetto (quale emozione è in circolo), di quale intensità, quali mix emozionali vive l’interlocutore, come le emozioni si associano a persone, oggetti, fatti, situazioni interne o esterne che l’altro vive.
  • Empatia relazionale: capire la mappa delle relazioni del soggetto e le sue valenze affettive, capire con chi il soggetto si rapporta volontariamente o per obbligo, con chi deve rapportarsi per decidere, lavorare o vivere, quale è la sua mappa degli “altri significativi”, dei  referenti, degli interlocutori, degli “altri rilevanti” e influenzatori che incidono sulle sue decisioni, con chi va d’accordo e chi no, chi incide sulla sua vita professionale (e in alcuni casi personale).
  • Empatia cognitiva (o dei prototipi cognitivi): capire i prototipi cognitivi attivi in un dato momento del tempo, le credenze, i valori, le ideologie, le strutture mentali che il soggetto possiede e a cui si ancora.

L’ascolto attivo e l’empatia

L’empatia viene distrutta o favorita da specifici comportamenti comunicativi e atteggiamenti.

Favorisce l’empatia Distrugge l’empatia
Curiosità Disinteresse
Partecipazione reale all’ascolto, non finzione Fingere un ruolo di ascolto solo per dovere professionale
Riformulazione dei contenuti Giudizio sui contenuti, commenti
Pluralità di approcci di domanda (domande aperte, chiuse, di precisazione, di focalizzazione, di generalizzazione) Monotonia nel tipo di domande
Centratura sul vissuto emotivo Centratura esclusiva sui fatti
Segnali non verbali di attenzione Body language che esprime disinteresse o noia
Segnali paralinguistici di attenzione, incoraggiamento ad esprimersi, segnali “fatici” (segnali che esprimono il fatto di essere presenti e attenti) Scarsa dimostrazione di interesse e attenzione al flusso di pensieroAssenza o scarsità di segnali “fatici” e di contatto mentale

La comunicazione d’ascolto, e la qualità dell’ascolto, comprendono la necessità di separare nettamente le attività di comprensione (comunicazione in ingresso) dalle attività di espressione diretta (comunicazione in uscita).

Durante le fasi di ascolto è necessario:

  • non interrompere l’altro;
  • non giudicarlo prematuramente;
  • non esprimere giudizi che possano bloccare il flusso espressivo altrui;
  • non distrarsi, non pensare ad altro, non fare altre attività mentre si ascolta (tranne prendere eventuali appunti), usare il pensiero per ascoltare, non vagare;
  • non correggere l’altro mentre afferma, anche quando non si è d’accordo, rimanere in ascolto;
  • non cercare di sopraffarlo;
  • non cercare di dominarlo;
  • non cercare di insegnargli o impartire verità, trattenere la tentazione di immettersi nel flusso espressivo per correggere qualcosa che non si ritiene corretto;
  • non parlare di sè;
  • testimoniare interesse e partecipazione attraverso i segnali verbali e il linguaggio del corpo;

Di particolare interesse risultano gli atteggiamenti di:

  • interesse genuino e curiosità verso la controparte: il desiderio di conoscere ed esplorare la mente di un’altra persona, attivare la curiosità umana e professionale;
  • silenzio interiore: creare uno stato di quiete emozionale (liberarsi da emozioni negative e pregiudizi) per ascoltare l’altro e rispettarne i ritmi.

L’ascolto attivo e l’empatia non vanno confuse con l’accettazione dei contenuti altrui.

Le regole di ascolto attivo non sono regole di accettazione del contenuto, ma metodi che permettono di far fluire il pensiero altrui più liberamente possibile. 

La fase di giudizio su quanto espresso, inevitabile durante la negoziazione, deve essere “relegata” a fasi successive della contrattazione, e non deve interferire con la fase di ascolto. È necessario riservare le correzioni o puntualizzazioni solo dopo avere ascoltato in profondità e all’interno di un frame negoziale adeguato.

L’obiettivo delle tecniche empatiche è quello di favorire il flusso del pensiero altrui, e di raccogliere quanto più possibile le “pepite informative” che l’interlocutore può donare. L’empatia, se ben applicata, produce “flusso empatico”, un flusso di dati, informazioni fattuali, sentimentali, esperienziali, di enorme utilità per il negoziatore.

Il comportamento contrario (giudicare, correggere, affermare, bloccare) spezza il flusso empatico, e rischia di arrestare prematuramente la raccolta di informazioni preziose. Esiste un momento nel quale il negoziatore deve arrestare il flusso (momento di svolta, turning point) ma in generale è bene lasciarlo fluire, finche non si sia compreso realmente con chi si ha a che fare e quali sono i veri obiettivi, e tutte le altre informazioni necessarie.

Le tecniche empatiche sono inoltre d’aiuto per frenare la tendenza prematura alla disclosure informativa di sè: il dare informazioni, il lasciar trapelare dati inopportunamente o prematuramente. 

La fornitura di informazioni e dati che potrebbero risultare controproducenti e avere un effetto boomerang sul negoziatore deve essere svolta con estrema cautela. 

L’atteggiamento empatico è estremamente utile per concentrare le energie mentali del negoziatore sull’ascolto dell’altro e frenare le disclosure inopportune.

Le tecniche di ascolto attivo

L’ascolto attivo si collega alla comunicazione paralinguistica e non verbale e comprende in particolare:

  • tecniche verbali di ascolto attivo;
  • tecniche paralinguistiche di ascolto attivo;
  • tecniche non verbali di ascolto attivo.

Le tecniche verbali di ascolto attivo

Comprende parole che segnalano attenzione e comprensione.

  • Domande aperte: chi, dove, quando, come, perché, con chi, in quale modo, in quali tempi, per quanto, cos’altro… e altre domande che consentano di allargare il discorso e precisarlo.
  • Domande chiuse o di precisazione: verifica di parti del contenuto tramite domande che prevedano una risposta di tipo “Si/No” o altre categorie precise “molto/poco”, “prima/dopo” e altre di questo tipo.
  • Tecnica dello specchio (riflessione del contenuto): ripetizione di frasi o parti di frasi dette dalla controparte, senza modifiche e alterazioni. La tecnica dello “specchio” proviene dalle metodologie di ascolto empatico utilizzate nel colloquio terapeutico Rogersiano[1]. È una tecnica di origine psicoterapeutica, che consente al “cliente” di far emergere i contenuti e riflettersi nei contenuti stessi da egli espressi.
  • Parafrasi: utilizzo del “come se”. Ricerca della comprensione di quanto detto, con l’uso di metafore o esempi che cercano di valutare se si è realmente compreso il senso profondo di quanto la controparte dice.
  • Sintesi storica: ripetizione di quanto asserito, sotto forma di riassunto dei punti salienti della “storia”. 
  • Incoraggiamenti verbali: es, “bene”, “interessante”, “si”, “ok”.

Le tecniche paralinguistiche di ascolto attivo

Utilizzo di vocalizzazioni che esprimono interesse per la “storia” e facilitano l’espressione, quali

Uhmm.. ahh….emissioni gutturali o respiratorie…

Lo scopo delle tecniche paralinguistiche (assieme a quelle non verbali visuali) è quello di fornire segnali fàtici (di contatto), affinché l’interlocutore senta che siamo in ascolto, siamo presenti, e siamo interessati.

Le tecniche non-verbali di ascolto attivo

Utilizzano l’atteggiamento del corpo per esprimere interesse:

  • postura, aperta ed inclinata in avanti per indicare disponibilità;
  • avvicinamento e allontanamento (prossemica): ridurre la distanza con l’interlocutore nei momenti di maggiore interesse, allontanarsi nei momenti di distensione;
  • espressione del volto: non dubitativa, ironica o aggressiva, ma attenta e partecipativa;
  • sguardo attento e diretto;
  • movimenti delle sopracciglia associati a punti salienti del discorso altrui;
  • cenni del capo, cenni assenso o di diniego;
  • gesti morbidi, lenti e rotatori per comunicare senso di rilassamento e incoraggiare ad andare avanti nella conversazione;
  • metafore non verbali utilizzando il body language, che dimostrano comprensione di quanto detto dalla controparte.

Sul piano non verbale, dobbiamo sempre considerare che numerose culture frenano l’espressione non verbale delle emozioni (es: quelle asiatiche), ma che anche questo dato è uno stereotipo comunicativo, di valenza solo probabilistica e non consegna certezze.

In sintesi, le tecniche principali per un accolto efficace sono:

  • curiosità e interesse;
  • parafrasi: ripetere con le proprie parole quanto capito (questo non equivale ad essere d’accordo con quanto detto dall’altro);
  • sintesi e riassunti: riformulare la “storia” nei suoi punti salienti, per consolidare quanto raccolto;
  • direzionare l’ascolto tramite domande mirate (ricentraggio conversazionale) per chiarire i punti ancora oscuri o poco chiari;
  • evitare domande eccessivamente personali finche non si sia creato un rapporto;
  • offrire al parlante la possibilità di dare feedback sul fatto che quanto capito sia corretto, accurato o invece distorto o lacunoso;
  • leggere le parole ma anche i segnali non verbali per valutare i sentimenti e stati d’animo;
  • verificare la corretta comprensione sia dei sentimenti che del contenuto, non ignorare l’aspetto dei sentimenti;
  • non dire alle persone come dovrebbero sentirsi o ciò che dovrebbero pensare.

Questi atteggiamenti sono preziosi e determinano la qualità della fase di ascolto, ma non vanno confusi con gli obiettivi di tutta la negoziazione (che prevede sia fasi di ascolto che fasi propositive). 

In una negoziazione è possibile (ed è anzi uno degli obiettivi strategici) modificare ciò che gli altri pensano (ristrutturazione cognitiva e persuasiva) o come gli altri si sentono (azione emozionale), ma questo obiettivo verrà perseguito solo ed unicamente se prima il negoziatore sia riuscito a porre in essere un ascolto attivo, attivando l’empatia necessaria per capire in quale quadro si stia muovendo.


[1] Rogers, Carl R. (1961). On becoming a Person. Boston, Houghton Mifflin.

Rogers, Carl R. (1951). Client-Centered Therapy: Its Current Practice, Implications, and Theory. Boston, Houghton Mifflin.

Altri materiali su Comunicazione, Coaching, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

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Le parole chiave di questo articolo L’empatia e le tecniche di ascolto sono :

  • Approccio empatico
  • Ascolto attivo
  • Disclosure
  • Empatia
  • Empatia cognitiva
  • Empatia comportamentale
  • Empatia emozionale
  • Empatia relazionale
  • Fasi ascolto
  • Fasi propositive
  • Flusso empatico
  • Momento di svolta
  • Pepite informative
  • Ricentraggio conversazionale
  • Ristrutturazione cognitiva e persuasiva
  • Segnali fàtici
  • Tecniche non verbali
  • Tecniche paralinguistiche
  • Tecniche verbali
  • Turning point

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Negoziazione interculturale. Comunicare oltre le barriere culturali. Dalle relazioni interne sino alle trattative internazionali”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore

L’approccio empatico

L’ascolto è una delle abilità più critiche della negoziazione e della vendita. Lo stereotipo classico del venditore intento a “parlare sull’altro”, a “vincere nella conversazione”, ad avere sempre l’ultima parola, è sbagliato.

L’approccio empatico prevede una concezione opposta: ascoltare in profondità per capire la mappa mentale del nostro interlocutore, il suo sistema di credenze (belief system), e trovare gli spazi psicologici per l’inserimento di una proposta.

Nel metodo ALM distinguiamo alcuni tipi principali di empatia:

In base agli angoli di osservazione:

  • Empatia comportamentale: capire i comportamenti e le loro cause, capire il perché del comportamento e le catene di comportamenti correlati.
  • Empatia emozionale: riuscire a percepire le emozioni vissute dagli altri, capire che emozioni prova il soggetto (quale emozione è in circolo), di quale intensità, quali mix emozionali vive l’interlocutore, come le emozioni si associano a persone, oggetti, fatti, situazioni interne o esterne che l’altro vive.
  • Empatia relazionale: capire la mappa delle relazioni del soggetto e le sue valenze affettive, capire con chi il soggetto si rapporta volontariamente o per obbligo, con chi deve rapportarsi per decidere, lavorare o vivere, quale è la sua mappa degli “altri significativi”, dei  referenti, degli interlocutori, degli “altri rilevanti” e influenzatori che incidono sulle sue decisioni, con chi va d’accordo e chi no, chi incide sulla sua vita professionale (e in alcuni casi personale).
  • Empatia cognitiva (o dei prototipi cognitivi): capire i prototipi cognitivi attivi in un dato momento del tempo, le credenze, i valori, le ideologie, le strutture mentali che il soggetto possiede e a cui si ancora.

L’ascolto attivo e l’empatia

L’empatia viene distrutta o favorita da specifici comportamenti comunicativi e atteggiamenti.

Favorisce l’empatiaDistrugge l’empatia
CuriositàDisinteresse
Partecipazione reale all’ascolto, non finzioneFingere un ruolo di ascolto solo per dovere professionale
Riformulazione dei contenutiGiudizio sui contenuti, commenti
Pluralità di approcci di domanda (domande aperte, chiuse, di precisazione, di focalizzazione, di generalizzazione)Monotonia nel tipo di domande
Centratura sul vissuto emotivoCentratura esclusiva sui fatti
Segnali non verbali di attenzioneBody language che esprime disinteresse o noia
Segnali paralinguistici di attenzione, incoraggiamento ad esprimersi, segnali “fatici” (segnali che esprimono il fatto di essere presenti e attenti)Scarsa dimostrazione di interesse e attenzione al flusso di pensieroAssenza o scarsità di segnali “fatici” e di contatto mentale

La comunicazione d’ascolto, e la qualità dell’ascolto, comprendono la necessità di separare nettamente le attività di comprensione (comunicazione in ingresso) dalle attività di espressione diretta (comunicazione in uscita).

Durante le fasi di ascolto è necessario:

  • non interrompere l’altro;
  • non giudicarlo prematuramente;
  • non esprimere giudizi che possano bloccare il flusso espressivo altrui;
  • non distrarsi, non pensare ad altro, non fare altre attività mentre si ascolta (tranne prendere eventuali appunti), usare il pensiero per ascoltare, non vagare;
  • non correggere l’altro mentre afferma, anche quando non si è d’accordo, rimanere in ascolto;
  • non cercare di sopraffarlo;
  • non cercare di dominarlo;
  • non cercare di insegnargli o impartire verità, trattenere la tentazione di immettersi nel flusso espressivo per correggere qualcosa che non si ritiene corretto;
  • non parlare di sè;
  • testimoniare interesse e partecipazione attraverso i segnali verbali e il linguaggio del corpo;

Di particolare interesse risultano gli atteggiamenti di:

  • interesse genuino e curiosità verso la controparte: il desiderio di conoscere ed esplorare la mente di un’altra persona, attivare la curiosità umana e professionale;
  • silenzio interiore: creare uno stato di quiete emozionale (liberarsi da emozioni negative e pregiudizi) per ascoltare l’altro e rispettarne i ritmi.

L’ascolto attivo e l’empatia non vanno confuse con l’accettazione dei contenuti altrui.

Le regole di ascolto attivo non sono regole di accettazione del contenuto, ma metodi che permettono di far fluire il pensiero altrui più liberamente possibile. 

La fase di giudizio su quanto espresso, inevitabile durante la negoziazione, deve essere “relegata” a fasi successive della contrattazione, e non deve interferire con la fase di ascolto. È necessario riservare le correzioni o puntualizzazioni solo dopo avere ascoltato in profondità e all’interno di un frame negoziale adeguato.

L’obiettivo delle tecniche empatiche è quello di favorire il flusso del pensiero altrui, e di raccogliere quanto più possibile le “pepite informative” che l’interlocutore può donare. L’empatia, se ben applicata, produce “flusso empatico”, un flusso di dati, informazioni fattuali, sentimentali, esperienziali, di enorme utilità per il negoziatore.

Il comportamento contrario (giudicare, correggere, affermare, bloccare) spezza il flusso empatico, e rischia di arrestare prematuramente la raccolta di informazioni preziose. Esiste un momento nel quale il negoziatore deve arrestare il flusso (momento di svolta, turning point) ma in generale è bene lasciarlo fluire, finche non si sia compreso realmente con chi si ha a che fare e quali sono i veri obiettivi, e tutte le altre informazioni necessarie.

Le tecniche empatiche sono inoltre d’aiuto per frenare la tendenza prematura alla disclosure informativa di sè: il dare informazioni, il lasciar trapelare dati inopportunamente o prematuramente. 

La fornitura di informazioni e dati che potrebbero risultare controproducenti e avere un effetto boomerang sul negoziatore deve essere svolta con estrema cautela. 

L’atteggiamento empatico è estremamente utile per concentrare le energie mentali del negoziatore sull’ascolto dell’altro e frenare le disclosure inopportune.

Le tecniche di ascolto attivo

L’ascolto attivo si collega alla comunicazione paralinguistica e non verbale e comprende in particolare:

  • tecniche verbali di ascolto attivo;
  • tecniche paralinguistiche di ascolto attivo;
  • tecniche non verbali di ascolto attivo.

Le tecniche verbali di ascolto attivo

Comprende parole che segnalano attenzione e comprensione.

  • Domande aperte: chi, dove, quando, come, perché, con chi, in quale modo, in quali tempi, per quanto, cos’altro… e altre domande che consentano di allargare il discorso e precisarlo.
  • Domande chiuse o di precisazione: verifica di parti del contenuto tramite domande che prevedano una risposta di tipo “Si/No” o altre categorie precise “molto/poco”, “prima/dopo” e altre di questo tipo.
  • Tecnica dello specchio (riflessione del contenuto): ripetizione di frasi o parti di frasi dette dalla controparte, senza modifiche e alterazioni. La tecnica dello “specchio” proviene dalle metodologie di ascolto empatico utilizzate nel colloquio terapeutico Rogersiano[1]. È una tecnica di origine psicoterapeutica, che consente al “cliente” di far emergere i contenuti e riflettersi nei contenuti stessi da egli espressi.
  • Parafrasi: utilizzo del “come se”. Ricerca della comprensione di quanto detto, con l’uso di metafore o esempi che cercano di valutare se si è realmente compreso il senso profondo di quanto la controparte dice.
  • Sintesi storica: ripetizione di quanto asserito, sotto forma di riassunto dei punti salienti della “storia”. 
  • Incoraggiamenti verbali: es, “bene”, “interessante”, “si”, “ok”.

Le tecniche paralinguistiche di ascolto attivo

Utilizzo di vocalizzazioni che esprimono interesse per la “storia” e facilitano l’espressione, quali

Uhmm.. ahh….emissioni gutturali o respiratorie…

Lo scopo delle tecniche paralinguistiche (assieme a quelle non verbali visuali) è quello di fornire segnali fàtici (di contatto), affinché l’interlocutore senta che siamo in ascolto, siamo presenti, e siamo interessati.

Le tecniche non-verbali di ascolto attivo

Utilizzano l’atteggiamento del corpo per esprimere interesse:

  • postura, aperta ed inclinata in avanti per indicare disponibilità;
  • avvicinamento e allontanamento (prossemica): ridurre la distanza con l’interlocutore nei momenti di maggiore interesse, allontanarsi nei momenti di distensione;
  • espressione del volto: non dubitativa, ironica o aggressiva, ma attenta e partecipativa;
  • sguardo attento e diretto;
  • movimenti delle sopracciglia associati a punti salienti del discorso altrui;
  • cenni del capo, cenni assenso o di diniego;
  • gesti morbidi, lenti e rotatori per comunicare senso di rilassamento e incoraggiare ad andare avanti nella conversazione;
  • metafore non verbali utilizzando il body language, che dimostrano comprensione di quanto detto dalla controparte.

Sul piano non verbale, dobbiamo sempre considerare che numerose culture frenano l’espressione non verbale delle emozioni (es: quelle asiatiche), ma che anche questo dato è uno stereotipo comunicativo, di valenza solo probabilistica e non consegna certezze.

In sintesi, le tecniche principali per un accolto efficace sono:

  • curiosità e interesse;
  • parafrasi: ripetere con le proprie parole quanto capito (questo non equivale ad essere d’accordo con quanto detto dall’altro);
  • sintesi e riassunti: riformulare la “storia” nei suoi punti salienti, per consolidare quanto raccolto;
  • direzionare l’ascolto tramite domande mirate (ricentraggio conversazionale) per chiarire i punti ancora oscuri o poco chiari;
  • evitare domande eccessivamente personali finche non si sia creato un rapporto;
  • offrire al parlante la possibilità di dare feedback sul fatto che quanto capito sia corretto, accurato o invece distorto o lacunoso;
  • leggere le parole ma anche i segnali non verbali per valutare i sentimenti e stati d’animo;
  • verificare la corretta comprensione sia dei sentimenti che del contenuto, non ignorare l’aspetto dei sentimenti;
  • non dire alle persone come dovrebbero sentirsi o ciò che dovrebbero pensare.

Questi atteggiamenti sono preziosi e determinano la qualità della fase di ascolto, ma non vanno confusi con gli obiettivi di tutta la negoziazione (che prevede sia fasi di ascolto che fasi propositive). 

In una negoziazione è possibile (ed è anzi uno degli obiettivi strategici) modificare ciò che gli altri pensano (ristrutturazione cognitiva e persuasiva) o come gli altri si sentono (azione emozionale), ma questo obiettivo verrà perseguito solo ed unicamente se prima il negoziatore sia riuscito a porre in essere un ascolto attivo, attivando l’empatia necessaria per capire in quale quadro si stia muovendo.


[1] Rogers, Carl R. (1961). On becoming a Person. Boston, Houghton Mifflin.

Rogers, Carl R. (1951). Client-Centered Therapy: Its Current Practice, Implications, and Theory. Boston, Houghton Mifflin.

Altri materiali su Comunicazione, Coaching, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Siti in sviluppo

Le parole chiave di questo articolo L’empatia e le tecniche di ascolto sono :

  • Approccio empatico
  • Ascolto attivo
  • Disclosure
  • Empatia
  • Empatia cognitiva
  • Empatia comportamentale
  • Empatia emozionale
  • Empatia relazionale
  • Fasi ascolto
  • Fasi propositive
  • Flusso empatico
  • Momento di svolta
  • Pepite informative
  • Ricentraggio conversazionale
  • Ristrutturazione cognitiva e persuasiva
  • Segnali fàtici
  • Tecniche non verbali
  • Tecniche paralinguistiche
  • Tecniche verbali
  • Turning point

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Negoziazione interculturale. Comunicare oltre le barriere culturali. Dalle relazioni interne sino alle trattative internazionali”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore

La Cooperazione conversazionale

Il risultato della mancanza di una formazione adeguata del negoziatore è il fallimento. 

Come evidenzia Zorzi (1996)[1], la comunicazione richiede cooperazione conversazionale e lavoro sulla negoziazione dei significati:

“Analizzando incontri interculturali  si è visto come l’interazione fra persone di culture diverse sia marcata da una serie di momenti di asincronia, che si manifestano in silenzi, sovrapposizioni, reazioni impreviste, interruzioni, ecc. che mostrano la difficoltà di stabilire e mantenere una cooperazione conversazionale a causa delle differenze nel background culturale e nelle convenzioni di comunicazione. 

I partecipanti, normalmente inconsapevoli sia delle conoscenze socioculturali sia delle convenzioni comunicative che contribuiscono alla loro interpretazione (e, normalmente, inconsapevoli anche delle proprie convenzioni conversazionali), hanno solo la percezione di un incontro fallimentare, le cui cause sono raramente identificate. 

Spiegano quello che è accaduto più spesso in termini psicologici che in termini sociologici o culturali, percependo l’altra persona come non cooperativa, aggressiva, stupida, incompetente o con spiacevoli caratteristiche personali. 

Ripetuti incontri interculturali falliti con diverse persone portano nel tempo, alla formazione di stereotipi culturali negativi (Chick, 1990: 253 e sgg[2]).”

La competenza interculturale consiste nel raggiungere un reciproco adattamento (e non solo l’adeguamento dell’apprendente ai modelli linguistici e culturali del paese ospitante). 

Obiettivo primario della pedagogia interculturale – di conseguenza – è trovare strategie didattiche perché soggetti di origini culturali diverse possano imparare a comunicare fra loro indipendentemente dalle differenze di lingua, comportamenti culturali e credenze. L’attenzione si sposta, quindi, dal lavoro che fa il singolo apprendente al modo con cui due persone di culture diverse riescono a negoziare significati e relazioni tramite un mezzo linguistico in cui hanno competenze molto sbilanciate.

Esiste quindi un common ground linguistico che permette ai negoziatori di uscire dall’impasse della mancanza di un vocabolario condiviso. Cercare di condividere il significato dei termini, di uscire dalla “indeterminatezza semantica”, dalla “confusione semantica”, dalle “penombre connotative” è uno degli strumenti principali del negoziatore interculturale.

Le parole chiave e come eliminare il fraintendimento

Ogni parola molto radicata nel vissuto sociale – poniamo la parola “educare” – porta con sè una enorme varietà di significati possibili: educare come “plasmare”, come “ricondurre il comportamento alle regole”, far diventare il soggetto “come io lo voglio”, educare come “irreggimentare oppure educare come “far emergere il potenziale personale”, e altre. 

Anche la frase “crescita aziendale” porta con se un intero, enorme, spettro di possibili significati. Per un imprenditore può significare “far aumentare il fatturato”, per un altro ancora “avere una organizzazione migliore”, per un altro “essere leader nel proprio settore come capacità di immettere nuovi prodotti sul mercato”.

Ogni parola porta con sè evocati mentali (immagini mentali) del tutto soggettivi.

L’uscita dalla indeterminazione e il confronto sulla semantica è uno degli steps primari di ogni progetto che parte da basi diverse.

La regola pratica richiede di “mettere sul tavolo” della negoziazione le parole più forti e cariche di significato che stanno alla base del negoziato stesso, e chiarirle rispetto ai loro tanti significati possibili.

Nel caso di un progetto di formazione sulla leadership svolto in Cina da formatori italiani, dovremmo chiarire ad esempio il significato dei termini primari “formazione” e “leadership”. Nulla sarà possibile senza questo chiarimento iniziale.

Ogni negoziazione porta con se la necessità di chiarire i termini di base su cui si fonda e confrontare le rispettive “semantiche” (i significati possibili).

La chiarificazione dei concetti e la precisione del linguaggio

Sul piano interculturale, come abbiamo notato, anche concetti relativamente semplici e dati per scontati (es: “casa”, “lavoro”, “amicizia”) subiscono fraintendimenti. È opportuno quindi svolgere attività di fissazione dei confini semantici (fissazione dei significati) che permettano di precisare il linguaggio.

Costruire la base comune linguistica richiede una precisazione a più livelli. Ogni parola chiave, ogni parola o concetto in generale, può essere letto attraverso almeno quattro filtri descrittivi. 

Realizziamo un esempio sulla parola italiana “gondola”. Gli attributi possibili sono: 

  • Percettivi: è lunga e stretta:
  • Funzionali: si usa per trasportare i turisti;
  • Associativi: mi fa pensare a Venezia;
  • Socio-Simbolici: ricorda un’esperienza romantica, per persone di classe;
  • Enciclopedici: è composta di legno, viene usata dall’anno ….., è costruita così….

Lo stesso problema accade sul piano aziendale. Immaginiamo di realizzare una “consulenza di marketing” per conto di un cliente indiano, coreano o cinese. Dovremmo innanzitutto confrontare le due immagini mentali della parola “marketing”, capire a quale delle due diverse concezioni del marketing sta pensando il cliente.

Ad esempio:

Concezione A : marketing come strumento operativo

Analisi:

  • Percettiva: il marketing equivale alla pubblicità e promozione, alla vendita, alla pubblicità
  • Funzionale: si usa per vendere di più
  • Associativa: è uno strumento del capitalismo e del consumismo
  • Socio-Simbolica: è per aziende avanzate, grandi, tecnologiche o molto manageriali
  • Enciclopedica: tratta concetti quali il marketing mix, la customer satisfaction, la promozione.

Concezione B : marketing come strumento strategico

Analisi :

  • Percettiva: il marketing equivale alla ricerca di prodotti nuovi o migliori soddisfare i bisogni umani
  • Funzionale: si usa per progettare meglio i prodotti e i servizi
  • Associativa: è uno strumento di ricerca
  • Socio-Simbolica: richiede rispetto per il cliente e volontà di soddisfarlo, può essere usato da chiunque
  • Enciclopedica: tratta concetti quali il marketing mix, la customer satisfaction, la promozione, ma soprattutto la ricerca di mercato, la creatività, l’orientamento al cliente

Avviare una negoziazione interculturale significa prima di tutto fare chiarezza sulle concezioni semantiche, sui significati latenti delle parole, sulle associazioni mentali, e non darle per scontate.

Tramite le tecniche associative, è possibile inoltre ricercare gli “stereotipi” che le persone possiedono rispetto ai concetti trattati.

Ad esempio, trattare la formazione di un venditore significa prima di tutto fare chiarezza su quale sia l’immagine mentale del nostro interlocutore, capire cosa ci sia dietro alla parola “venditore”.

Ad esempio,

Diversa concezione di due culture di vendita:

  • il venditore : deve parlare molto – deve essere un pò stupido e lavorare sodo, non importa che sia laureato – non deve fare strategia, la strategia la facciamo noi – deve stare in giro tutto il giorno – deve portarci i risultati,

oppure

  • Il venditore : deve ascoltare molto – deve essere intelligente e creativo – deve essere stratega del suo territorio, rispettando le linee guida – deve agire con appuntamenti mirati – dobbiamo metterlo nelle condizioni di dare i risultati migliori.

Senza chiarire questi punti ogni azione rischia di essere basata su concezioni sbagliate e fraintese.

Le aree di applicazione della negoziazione interculturale

La negoziazione interculturale è un fenomeno sempre più pervasivo a causa della globalizzazione e dell’intensificarsi dei rapporti interetnici, interreligiosi, internazionali, di business, culturali o sociali. 

Rimanendo nel campo del business, i casi nei quali la negoziazione interculturale diventa più evidente sono:

  1. Vendita all’estero nelle culture prossime e nelle culture distanti.
  2. Acquistare all’estero o costruire accordi di fornitura (supply management), negoziazione con i fornitori esteri.
  3. Accordi di business per la distribuzione all’estero di beni o servizi
  4. Joint ventures (costruzione di aziende dirette da più partners di nazionalità diversa) per insediamenti produttivi all’estero.
  5. Fusioni tra aziende e acquisizioni di aziende in cui le culture organizzative di provenienza siano sostanzialmente diverse (come avviene nella quasi totalità dei casi, sia a livello intra-nazionale, che a livello di acquisizioni e fusioni internazionali).
  6. Gestire le forze di lavoro nei paesi terzi.
  7. Gestire le forze di lavoro straniere che operano nella propria azienda.
  8. Fare formazione multinazionale, programmi di formazione che riguardano risorse umane operanti in diversi paesi.
  9. Formazione interculturale: diversità culturali tra formatore e partecipanti, o diversità culturali all’interno del gruppo di allievi.
  10. Coordinare gruppi di lavoro internazionali.
  11. La negoziazione diplomatica e gli accordi internazionali.
  12. Il Peacekeeping, il mantenimento della pace, la prevenzione e la risoluzione dei conflitti.
  13. La contrattualistica internazionale, la negoziazione giuridica cross-culturale.

Sul fronte delle comunicazioni mediate, vediamo l’urgenza di un approccio interculturale ogni volta che emergono problemi di:

  1. Campagne di comunicazione informativa in culture distanti.
  2. Comunicazione pubblicitaria diffusa in culture diverse e su mercati internazionali.
  3. Creazione di messaggi persuasivi e promozionali su scala internazionale.
  4. Sviluppo di concept di prodotto di valenza internazionale, destinati a funzionare su mercati globali e diversi tra di loro.
  5. Sviluppo di concept di prodotti finalizzati unicamente ad una area linguistica-culturale, la cui progettazione avvenga in una diversa cultura di partenza.
  6. Costruire strutture distributive e di vendita su paesi diversi.
  7. Creare sistemi di incentivazione e motivazione del personale adeguate alla cultura locale.

Sul fronte sociale, vediamo invece una urgenza delle abilità di negoziazione e comunicazione interculturale quando si affrontano i seguenti problemi:

  • Inserimento scolastico di bambini stranieri.
  • Terapia psicologica interculturale e counseling interculturale.
  • Dinamiche dell’adattamento etnico.
  • Dialogo interreligioso.
  • Progetti di sviluppo internazionale.
  • Campagne di comunicazione sociale (sanità pubblica, prevenzione di malattie, educazione alimentare, droga, e altre) condotte in aree culturalmente diverse.

Oltre venti aree di problematiche forti ed urgenti caratterizzano il campo della comunicazione interculturale. La vastità e gravità dei problemi sottostanti – in questa incompleta lista – evidenzia l’urgenza di un’attenzione elevata verso la dinamica di comunicazione interculturale.

I metodi e gli strumenti per l’efficacia negoziale interculturale

Data la vastità del campo, preferiamo fornire una prima visione delle aree e strumenti di soluzione.

Le tecniche di base utili in ogni contesto interculturale sono:

  • empatia e ascolto attivo: capire in profondità i comportamenti, atteggiamenti, emozioni, i sistemi di pensiero dell’interlocutore;
  • dinamiche di ascolto multi-livello: la capacità di disaggregare le componenti multiple del messaggio, tenere “corta” la distanza comunicativa – e quindi il margine di incomprensione – tra gli interlocutori;
  • ricerca della condivisione valoriale e di risultato, approccio win-win: valutazione delle “impossibilità di non comprendersi” su alcuni temi per costruire un approccio win-win, in cui entrambi gli interlocutori possano trarre beneficio dalla negoziazione. Partire dalla considerazione che per  chiedere molto ci si deve preoccupare di dare molto;
  • approccio grounded, sperimentale e role-playing: testare sul campo, sperimentare e affinare le proprie strategie comunicative prima di metterle in azione in situazioni di non ritorno;
  • consapevolezze macro-culturali: capire i macro-fondamenti della cultura con la quale si interagisce;
  • analisi del contesto: capire le intenzioni e goals dell’interlocutore, il punto di arrivo desiderato, lo scenario nel quali egli si muove e come questo lo condiziona;
  • piattaforme negoziali flessibili e line d’azione adattive: costruire spazi negoziali flessibili nei quali potersi muovere;
  • consapevolezze micro-culturali: capire la dimensione culturale nascosta e poco evidente nelle manifestazioni della cultura del nostro interlocutore;
  • diagnosi e stratificazione del comunicatore: disaggregare le componenti multiple dei messaggi per comprendere quali messaggi sono da attribuire alla cultura di provenienza del nostro interlocutore, quali alla sua personalità individuale, quali al ruolo giocato e quali ad altri fattori di contesto;
  • centratura emozionale e rimozione del rumore di fondo psicologico (Mental Noise): predisporsi a negoziare con spirito di analisi, attenzione, liberi da pregiudizi; sapersi liberare da stress fisici e psicologici, per poter dare la migliore prestazione negoziale possibile.

[1] Zorzi, Daniela (1996). Dalla competenza comunicativa alla competenza comunicativa interculturale. Babylonia 2/1996.  46 -52.

[2] Chick, J.K. (1990). “Reflections on language, interaction and context: micro and macro issues“, in Carbaugh, D. (ed.) Cultural communication and intercultural contact. Hillsdale NJ, Lawrence Erlbaum. 

[3] Blommaert, J. (1991). “How much culture?” in Blommaert, J. & J. Verschueren (eds.) The pragmatics of international and intercultural communication. Amsterdam/Philadelphia, Benjamins

Altri materiali su Comunicazione, Coaching, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Siti in sviluppo

Le parole chiave di questo articolo Le strategie e le dinamiche della negoziazione interculturale sono :

  • Analisi del contesto
  • Approccio win-win
  • Ascolto attivo
  • Associativo
  • Associazioni mentali
  • Competenza interculturale
  • Comunicazione interculturale
  • Concezione semantica
  • Cooperazione conversazionale
  • Empatia
  • Enciclopedico
  • Evocati mentali
  • Filtri descrittivi
  • Fissazione dei significati
  • Fraintendimento
  • Funzionale
  • Immagine mentale
  • Mental noise
  • Negoziazione interculturale
  • Percettivo
  • Significati latenti delle parole
  • Socio-simbolico

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Psicologia di marketing e comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore

L ‘utilità dei prodotti: risoluzione, omeostasi, anticipazione

Affinché avvenga un acquisto, è necessario che l’oggetto del desiderio svolga una funzione positiva sull’orizzonte psicologico del cliente. Le indagini svolte sul campo hanno permesso di evidenziare tre proprietà distinte riepilogabili come segue: 

  1. Risoluzioneprevenire problemi che il soggetto ha già: il prodotto agisce come risolutore di un problema esistente, un problema che ha già iniziato ad agire sul campo psicologico del soggetto;
  2. Omeostasimantenere situazioni positive: in questo caso, il prodotto ha una funzione di “manutenzione” o consolidamento di situazioni esistenti;
  3. Anticipazioneagire per arrestare una minaccia futura e prevenirla: in questo caso, il prodotto viene acquistato per via della sua capacità percepita di arrestare minacce future, incombenti, che hanno una certa probabilità di verificarsi e mettono in pericolo la tranquillità psicologica del cliente.

Trattare le pulsioni d’acquisto significa, soprattutto, capire che posizione occupa il prodotto all’interno dello spazio/tempo del soggetto, identificare quale funzionalità il prodotto assume rispetto alla prospettiva temporale del consumatore/cliente.

Le tre macro-categorie di valori/proprietà di prodotto, possiedono una sostanziale differenza data dal tipo di orizzonte temporale sul quale esso agisce. 

Se trasponiamo l’analisi al livello della vendita aziendale, le domande sottostanti sono – indicativamente – le seguenti:

  • Quali sono i problemi che l’azienda vive oggi? (analisi risolutiva).
  • Quali sono le situazioni attualmente positive di quest’azienda? (analisi omeostatica).
  • Quali sono i problemi futuri da prevenire? (analisi preventiva).

Queste domande sono assolutamente preliminari. Infatti, per ciascuna area, è necessario attivare un grado di introspezione superiore e cogliere il dettaglio della fonte pulsionale. 

Per quanto riguarda il quadrante futuro, esisteranno pulsioni più forti se i problemi hanno una elevata probabilità di manifestarsi, ed un impatto sull’azienda estremamente negativo. Ad esempio, il timore della perdita verso la concorrenza dei migliori funzionari commerciali (i quali trasferiscono verso di essa l’intero parco clienti e il patrimonio di conoscenza e contatti).

Le implicazioni per la comunicazione sono immediate: occorre sviluppare strategie persuasive che attacchino una o più leve temporali.

I prodotti a potere risolutivo e leve risolutive

Nei Prodotti a Potere Risolutivo (PPR) la caratteristica principale del prodotto è quella di colmare una lacuna tra uno stato attuale dell’acquirente e uno stato desiderato, risolvendo un problema già esistente. L’abbigliamento per una persona che abbia freddo, il cibo per una persona che abbia fame, un PC per un professionista che debba elaborare dati, un area manager per un direttore commerciale nella cui azienda vi sia un mercato scoperto – sono esempi di valore risolutivo. 

In termini di ricerca di mercato, svolgere analisi risolutiva sul cliente significa sostanzialmente capire quali sono le aree di bisogno che lo caratterizzano, in riferimento ai problemi che il soggetto sente come tali. 

Tecnicamente, essa va realizzata tramite attività di ascolto attivo, intervista e indagine in profondità, finalizzata a comprendere sia questioni generali del consumo, che specifiche problematiche esistenti nel rapporto con il prodotto – e più in generale con il sistema del mix aziendale. 

Il potere risolutivo del prodotto permette di creare leve di vendita risolutive: argomentazioni di vendita nelle quali il prodotto viene esposto come portatore di una o più capacità di eliminare problemi esistenti. Chiaramente, la conoscenza dei problemi esistenti, e quindi la fase di analisi o intervista sui bisogni, è alla base di una corretta impostazione delle leve risolutive. 

Un esempio di leva risolutiva è il seguente (settore food) “questo formaggio light ha la proprietà di eliminare il senso di pesantezza che ti affligge nel post-pranzo” (eliminiamo un problema che in te già esiste). Oppure – nel settore automobilistico – “i nuovi coprisedili ergonomici sono stati appositamente studiati per chi utilizza la vettura come strumento di lavoro: eliminano i problemi di affaticamento legati alla percorrenza di lunghe distanze e restituiscono il piacere di guidare”.

I prodotti a potere anticipatorio e leve anticipatorie

I prodotti a Potere Anticipatorio Anticipatori (PPA) hanno la capacità di anticipare stati di bisogno futuro, prevenendone l’insorgenza. Un esempio è dato dalla categoria di integratori dietetici utilizzati per prevenire malattie (es.: prodotti contro i radicali liberi per prevenire l’invecchiamento cellulare): l’individuo assume tali sostanze non per risolvere un problema organico esistente, ma per anticipare un problema futuro. Il problema organico futuro diventa problema psicologico attuale del soggetto, nel momento stesso in cui il consumatore inizia ad elaborarlo, a percepirlo, a rendersene conto (fase di attualizzazione).

Proseguendo l’esempio nel settore food, una casa produttrice può promuovere un prodotto utilizzando la leva anticipatoria, evidenziando che “il nostro formaggio light previene l’insorgenza di livelli elevati di colesterolo nel sangue” (preveniamo l’arrivo di un problema fisico che tu ora non hai). 

I prodotti anticipatori fanno chiaramente leva su pulsioni d’acquisto negative (ansie, paure, preoccupazioni) per le quali il prodotto/servizio viene proposto come metodo di prevenzione.

Anche in questo caso la competenza nella tecnica di intervista o analisi dovrà essere in grado di evidenziare quali timori caratterizzano il consumatore potenziale – relativamente alla categoria di prodotto – e ne frenano lo sviluppo e diffusione creando barriere mentali. La tecnica permette di progettare le caratteristiche preventive del prodotto (benefit a valore preventivo), realizzando in questo modo una analisi anticipatoria.

Ad esempio, vediamo questa trascrizione di intervista ad una ragazza, nella quale si stanno analizzando i timori che ne caratterizzano la vita quotidiana.

Quando torno da sola alla notte, finito il lavoro al ristorante, mi trovo spesso a pensare a cosa succederebbe se bucassi una gomma in aperta campagna, in una strada isolata, al buio, con la pioggia. Mi piacerebbe moltissimo che esistesse un pulsante di autoriparazione della gomma, qualcosa che non mi costringa a scendere dalla macchina. 

Questo frammento permette di avviare lo studio di un ipotesi di marketing: è possibile creare un sistema di riparazione automatica del pneumatico basato su schiume (o altri metodi) che riparano automaticamente la gomma, attivabile con un comando nel cruscotto?

È naturale che l’analisi anticipatoria debba occuparsi di cogliere dei segnali, capire delle problematiche. Altri metodi di ricerca, di natura più quantitativa, possono permettere di valutare quanto esteso è il problema sul mercato, quante persone ne sono interessate, e quindi se esiste un potenziale di mercato, o se il bacino di mercato è troppo ristretto per consentire un investimento profittevole. Ciò che importa, comunque, è che l’analisi anticipatoria consenta di capire le direzioni del bisogno, guidando di conseguenza gli sforzi aziendali per creare prodotti di successo.

Non esistono limiti all’analisi anticipatoria. Gli unici limiti sono dati dalla fantasia e dai bisogni del consumatore e dalla capacità dell’azienda di coglierli.

Le leve di vendita anticipatorie sono costituite dalle argomentazioni relative alla capacità del prodotto di prevenire l’insorgenza di problemi futuri. Trattandosi di problemi non ancora esperiti dall’individuo, o non al momento, è necessario che le problematiche acquistino concretezza, possiedano una certa gravità, e che il soggetto si senta concretamente esposto in prima persona ai rischi sui quali si applicano le leve anticipatorie. 

I prodotti a potere omeostatico e leve omeostatiche

Il valore erogato da tali prodotti proviene dal mantenere una situazione positiva nelle condizioni in cui si trova.

Ad esempio, un programma di manutenzione del disco rigido di un computer che ne consenta la permanenza in condizioni ottimali.

L’analisi omeostatica andrà quindi alla ricerca di quali situazioni gradevoli siano attualmente vissute dall’individuo in relazione al prodotto, o in relazione alla propria vita, per poi assicurare che tali condizioni non vengano meno, non vengano messe in pericolo da fattori esterni o eliminate in innovazioni errate di prodotto.

Diversi casi di innovazione di prodotto hanno determinato un degrado o la sparizione completa di caratteristiche altamente apprezzate dagli utilizzatori[1]. Se prima di svolgere le modifiche, fosse stato chiesto ad un campione di utilizzatori “cosa ti piace attualmente nel prodotto, cosa vorresti non fosse mai tolto?” questo avrebbe rimosso dal campo il problema.

Le leve di vendita omeostatiche faranno pertanto riferimento alle condizioni attuali di gradevolezza esistenziale e alle proprietà del prodotto di assicurarne la permanenza. 

Da un punto di vista puramente logico, è possibile argomentare che le proprietà omeostatiche sono, in fin dei conti, proprietà preventive: mantenere situazioni invariate, significa prevenirne il cambiamento. Ma la logica non è il terreno della psicologia del consumatore. 

Se il campo della logica di consumo equivalesse al campo della psicologia di consumo, vivremmo in  un mondo completamente robotizzato, non esisterebbero culture, non esisterebbero contraddizioni, non esisterebbero incongruenze. In altre parole, non esisterebbe nemmeno l’uomo.

Proprietà multiple di prodotto

La proprietà del prodotto/servizio è spesso multipla, nel senso che le funzioni temporali possono sommarsi, e non sempre è praticabile identificare una sola funzione nel prodotto. In genere, quando l’azienda riesce nell’intento di moltiplicare la gamma di proprietà del prodotto, esso aumenta di valore. 

Ad esempio, se una soluzione assicurativo/previdenziale assomma le proprietà di :

  1. risolvere un bisogno attuale su come investire il proprio denaro (potere di risoluzione), e
  2. prevenire la spiacevole situazione di trovarsi anziani senza risorse economiche (potere di prevenzione/anticipazione), avrà più valore.

Svilupperà, cioè, più risposte ai diversi bisogni del soggetto.

Il successo di mercato dipenderà da quanto il prodotto è realmente in grado di conseguire il risultato, cioè dal livello di efficacia su ciascuna leva specifica. 

Prima legge del valore di prodotto

Ciascun prodotto/servizio ha un valore totale che è la somma delle sue diverse proprietà di intervento.

Valore totale di prodotto (analisi temporale)

  • Potere anticipatorio e leva anticipatoria – Proprietà del prodotto/servizio di prevenire stati di insoddisfazione futura o situazioni spiacevoli future
  • Potere omeostatico e leva omeostatica – Proprietà del prodotto/servizio di mantenere tali le situazioni piacevoli o gradite per il soggetto
  • Potere risolutivo e leva risolutiva – Proprietà del prodotto/servizio di eliminare stati attuali di insoddisfazione o problemi esistenti

Alla luce di questa teoria, alcune domande importanti, per qualsiasi nuovo prodotto, sono:

  • Quanto è in grado di prevenire problemi futuri importanti per il cliente (meglio di quanto non facciano i prodotti esistenti)?
  • Quanto è in grado di eliminare problemi esistenti che il cliente senta come tali?
  • Quanto è in grado di mantenere situazioni emotive ed esistenziali positive per il cliente?

Se la risposta a tutte queste domande è “per niente”, possiamo assicurare l’insuccesso di questo prodotto. 

Le considerazioni svolte consentono la formulazione del seguente principio :

Principio – Del valore temporale dell’offerta

  • La competitività è correlata alla capacità di creare offerte in cui sia presente elevato valore percepito (anticipatorio, omeostatico, risolutivo). Il valore del prodotto sarà tanto maggiore quanto più il prodotto è in grado di intervenire sulle leve di valore (anticipatorie, omeostatiche, risolutive), e quanto più riesce ad incidere in profondità su tali leve.
  • Il valore può essere percepito consapevolmente, o provenire da moventi subconsci o inconsci. I motivi che creano valore sono spesso sconosciuti al soggetto stesso. 
  • L’analisi del valore temporale deve essere determinata con il coinvolgimento del soggetto e utilizzando tecniche di analisi multipla: brainstorming, osservazione partecipante, in-depth interview, focus group, content-analysis, esperimenti fattoriali, tecniche introspettive ed empatiche, in grado di far luce sulla psicologia del cliente.

La creazione del valore non si limita ai prodotti, ma si estende alle imprese come potenziali partner di relazioni. Ciò che sosteniamo qui, è che ogni impresa, nel rapportarsi ad altre, possiede le stesse proprietà basilari dei prodotti: risolvere, mantenere, prevenire.

Vediamo un esempio. Come evidenzia questa intervista personale, realizzata dall’autore al buyer di un importante rete di importatori francesi nel mercato degli utensili:

Vedi questi due attrezzi, uno è il nostro, l’altro è coreano. Il prodotto è praticamente identico. C’è solo una differenza. Che i coreani non hanno magazzini qui in Francia, e se si rompe il loro attrezzo stai fermo due settimane ad aspettare i ricambi, e il cliente se la prende con noi. Ormai per noi utensilieri non è più importante solo il prodotto, ma quello che riusciamo a fornire al nostro cliente finale come garanzie. La vera differenza tra le diverse marche produttrici, per noi, inizia quando il pezzo si rompe.

Questo, dal punto di vista dell’impresa, significa apprendere a divenire un fornitore che previene problemi.

In altre parole, per ogni azienda è necessario sviluppare una nuova leva di vendita, estranea al prodotto, ma centrale per l’acquirente (finale o intermediario): la vendita del senso di affidabilità globale dell’impresa. Il concetto di “lavorare con noi”, al di là del prodotto, deve divenire un elemento di valore aggiunto anticipatorio (di credibilità e affidabilità). Non solo prodotti e servizi, ma anche persone e aziende devono porsi il problema di quali leve esse siano in grado di attivare per generare valore agli occhi dei propri interlocutori. 

Il vantaggio competitivo, in questo caso, si sposta dal prodotto (aspetto tecnico) alla capacità di sviluppare credibilità aziendale (aspetto manageriale e di comunicazione).


[1] Un esempio concreto è dato dalla creazione di grafici di posizionamento (grafici a dispersione o grafici XY) in cui si voglia ottenere l’inserimento di “etichette dei casi”. L’inserimento di “etichette dei casi”, estremamente facile da realizzare nei modelli di foglio elettronico dei primi anni ’90, era diventato – dopo dieci anni di cosiddette “innovazioni” del software –  praticamente impossibile da realizzare, creando frustrazione negli utilizzatori.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Le parole chiave di questo articolo sono :

  • Leve psicologiche temporali
  • Risoluzione
  • Anticipazione
  • Omeostasi
  • Pulsioni d’acquisto
  • Ascolto attivo
  • Leve di vendita risolutive
  • Leve di vendita anticipatorie
  • Leve di vendita omeostatiche
  • Proprietà multiple del prodotto
  • Valore temporale dell’offerta
  • Partner di relazioni
  • Vantaggio competitivo
  • Valore aggiunto anticipatorio
  • Analisi temporale
  • Legge di valore del prodotto
  • Prodotti a potere anticipatorio
  • Prodotti a potere omeostatico
  • Prodotti a potere risolutivo
  • Utilità del prodotto

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Vi sono diversi tipi di clienti:

  1. Clienti di tipo (1): ottimi. Sono clienti e situazioni che meritano sforzo e attenzione, impegno e dedizione, e possono portare benessere e valore. Su di essi, l’investimento in tempo e risorse di vendita e in tempo e risorse di negoziazione ha senso.
  2. Clienti di tipo (2): inutili. Sono pure perdite di tempo. Non hanno reale interesse o capacità, sono solo curiosi o il tempo da dedicare ad essi supera abbondantemente i rientri di breve, medio e lungo periodo. 
  3. Clienti di tipo (3): dannosi. Costituiscono veri e propri danni, producono assorbimento di risorse e tempo senza restituire alcunché, furto di idee o lavoro non pagato, o danneggiano l’immagine aziendale contaminandola con scarsa reputazione. La loro acquisizione è una tragedia e non certo un successo.

Se non capiamo la realtà del cliente, oltre le sue apparenze, non sapremo mai con chi stiamo veramente trattando.

Capire la realtà del cliente richiede:

  • la raccolta di dati e informazioni preliminari (prima della visita), anche tramite attività di Business Intelligence;
  • l’utilizzo dell’empatia strategica, delle tecniche di domanda, intervista e ascolto attivo (durante la visita).

Dai dati disponibili, è possibile compiere una valutazione del potenziale, una misura del grado di possibile interesse del cliente. 

Il potenziale si può distinguere in :

  • potenziale economico, misura il fatturato generabile dal cliente : volumi di acquisto x LTV (Life-Time Value: valore del ciclo di vita del cliente) – costi progettuali, tecnici e logistici di ingresso.
  • potenziale relazionale, misura i benefici che quel cliente può portare alla nostra rete di conoscenze, al nostro know-how, alla nostra entratura in settori che ci interessano : ampiezza e qualità del network relazionale in cui è inserito + immagine e prestigio – costi relazionali di ingresso.

Analisi e raccolta di dati preliminari di Business Intelligence sul cliente B2B

Fonti principali per raccogliere dati:

  • sito internet dell’azienda: prestare attenzione sia ai contenuti che allo stile comunicativo;
  • materiali cartacei, documentazioni, cataloghi, listini;
  • contatti con soggetti informati (altri clienti, fornitori, consulenti);
  • raccolta di dati da informatori:
  • schede aziendali disponibili su database online;
  • ricerche informative mirate in internet (es: articoli giornalistici), consultazione di siti specializzati in ricerche aziendali;
  • ricerche in internet tramite “frase esatta”;
  • ricerche in internet tramite analisi di chi “punta” (inserisce links) verso l’azienda in questione: analisi delle reti di collegamenti;
  • indagini presso i clienti dell’azienda (per capire forze e debolezze);
  • visite ghost customer o contatti telefonici di simulazione d’acquisto, per raccogliere dati e informazioni non filtrate, tramite sistemi diretti ad osservare le risposte comportamentali reali dell’azienda.

Analisi del cliente durante le fasi di contatto e colloquio

Oltre ai dati reperibili da fonte umana e su internet, larga parte delle informazioni veramente rilevanti del cliente sono insite nel cliente stesso, nella sua psicologia, nelle sue motivazioni.

Per comprendere queste motivazioni d’acquisto e le esigenze sottostanti, è necessario ricorrere a forme di intervista, analisi, interessandosi realmente e cercando di far propria la mission della vendita consulenziale “analizziamo il cliente e offriamo soluzioni adeguate”.

Per capire il cliente in fase di acquisto è necessario saper cogliere le sfumature, interpretare le tensioni sottostanti il movente d’acquisto.

Modello Trevisani Tensione-Impulso-Movente-Azione per un approfondimento relativamente al suo utilizzo nelle fasi di colloquio:

La teoria della motivazione vede come unità motivante di base la tensione. Gli impulsi si innestano su stati di disequilibrio percepito, che creano spinta alla risoluzione del problema. L’impulso diviene movente di acquisto nel momento in cui si crea un collegamento mentale: la percezione che un prodotto/servizio sia lo strumento risolutivo del problema. L’azione di acquisto ne è il risultato, premesso che l’individuo disponga delle risorse o decida di procurarsele.

  1. Tensione : Percezione di un disequilibrio,
  2. Impulso : Ricerca di un nuovo equilibrio,
  3. Movente : Identificazione strumenti di risposta,
  4. Azione : Acquisto del prodotto/servizio.

Si tratta di inquadrare il fenomeno di acquisto all’interno dei vissuti psicologici dell’individuo. Se riusciamo a comprendere cosa provoca tensione nel soggetto, avremo identificato potenziali leve di acquisto, in quanto questa tensione si tramuterà presto in un bisogno di mercato e nella ricerca di un prodotto o di un servizio. Pertanto, la ricerca di mercato sui bisogni latenti o mal soddisfatti permette di aprire grandi opportunità di marketing.

Anche nel campo delle vendite azienda-azienda, se riusciamo a comprendere cosa provoca tensione nel buyer aziendale, avremo identificato le leve motivazionali dell’azienda acquirente, e potremo regolare di seguito (o creare appositamente) la nostra offerta.

L’analisi del cliente, secondo il modello evidenziato, deve permetterci di portare a galla:

  • le differenze tra lo stato attuale e lo stato desiderato, e la tensione psicologica che questa differenza genera: il disequilibrio che il cliente percepisce, chi lo percepisce esattamente, chi no, e per quali motivi
  • le idee o soluzioni che il cliente sta cercando di implementare, come il cliente vede un “equilibrio ottimale” nelle aree che vuole trattare, per esempio : quale rete di vendita ottimale vorrebbe avere, come deve essere composta, che caratteristiche deve avere)
  • gli strumenti di risposta cui il cliente ha pensato, per esempio : formazione, consulenza, affiancamento, acquisto, leasing, outsourcing;
  • i decisori coinvolti nell’azione di acquistare un corso, o una consulenza o un qualsiasi altro prodotto e servizio, come attivarli, quali sono le barriere o resistenze e procedere verso la chiusura positiva.

Dall’analisi del cliente deve quindi emergere un profilo in grado di dirci:

  • cosa lo muove verso la ricerca di un acquisto;
  • che soluzioni ideali sta pensando o elaborando;
  • chi sono i decisori critici coinvolti.

La scheda cliente

Una scheda cliente si compone in genere di due parti:

  1. quantitativa/descrittiva
  2. qualitativa/osservazionale.

In particolare :

La sezione quantitativa/descrittiva contiene le principali informazioni disponibili, includendo:

  • fatturato;
  • numero di dipendenti; 
  • sede centrale e sedi ulteriori;
  • nomi dei principali decisori aziendali;
  • principali prodotti trattati e principali mercati di riferimento;
  • nuovi mercati di interesse, cui l’azienda si sta rivolgendo;
  • trend aziendali primari (fase recessiva, fase di stabilità, fase di sviluppo);
  • disponibilità di budget economici per l’acquisto;
  • apertura dei budget mentali (apertura mentale) verso la tipologia di acquisto e di prodotto da vendere.

Come si può notare, alcune di queste informazioni sono di facile accesso, pubblicamente disponibili, mentre altre richiedono lavoro di Business intelligence accurato.

La Sezione qualitativa e osservazionale contiene le principali informazioni soprattutto qualitative e meno statistiche (salvo alcuni punti), includendo:

  • storia ed evoluzione degli acquisti nei riguardi dei nostri tipi di prodotto/servizio;
  • storia ed evoluzione degli acquisti nei riguardi della nostra tipologia aziendale;
  • mappa dei poteri e dei decisori rilevata in sede di intervista;
  • moventi e possibili motivazioni d’acquisto;
  • tipologia di fornitura possibile e spazi di manovra;
  • rapporti con i fornitori attuali (ottimi, neutri, pessimi, e altre sfumature);
  • problemi passati generati dai fornitori di cui l’azienda ha sofferto;
  • natura dei canali di accesso ai budget economici e budget mentali (finestre temporali, chi e quando può accedervi, chi ne è escluso), chi decide in azienda.

L’intervista di vendita

Ogni intervista di vendita ha scopi strategici. 

Prima dell’intervista è necessario realizzare una lista di informazioni da raccogliere, evidenziando tutte le informazioni indispensabili per poter offrire una buona soluzione consulenziale.

Ogni azienda ha esigenze informative specifiche e peculiari, per cui non è possibile ricorrere a modelli standard. L’invito è piuttosto quello di adattare un approccio di vendita consulenziale alle proprie esigenze.

La tecnica da utilizzare è quella del confronto interno tra colleghi (peer coaching, supporto tra pari) o tra venditore e direzione (coaching direzionale, tutoraggio, mentoring).

Ogni settore merceologico ha le proprie esigenze informative. Ad esempio, per una società di formazione che desidera dare risposta ad un bisogno formativo verso un’impresa, in modo mirato, sarà importante sapere:

  • quanta formazione – rispetto al tema da trattare – è stata fatta sinora presso l’azienda cliente (prospect), e con che esito;
  • quale e quanta abitudine alla formazione esista in azienda, e a quali metodi formativi sono abituati i soggetti;
  • quale è il grado di soddisfazione verso i fornitori precedenti;
  • che modelli di formazione sono stati adottati in precedenza;
  • quali di questi hanno dato risultati e quali no;
  • che tipologia di intervento formativo ha in mente l’interlocutore (residenziale, in outdoor, interno all’azienda, affiancamenti, etc);
  • quali bisogni muovono l’esigenza formativa. Perché nasce e in chi nasce il bisogno di formazione;
  • se esistono fruitori ostili, che non vorrebbero partecipare alla formazione ma saranno chiamati a farlo, e quale linea tenere in questo caso;
  • quale sia il grado di ricettività e collaboratività (gli atteggiamenti d’ingresso) nelle persone da formare, sei vi siano dei possibili boicottatori;
  • se sia stata svolta una analisi dei fabbisogni formativi e se si con metodi e risultati;
  • se siano state analizzate o valutate altre strade per raggiungere l’obiettivo (es: coaching one-to-one);
  • quale clima psicologico e aziendale si vive;
  • se il budget previsto sia adeguato;
  • se sia in corso una “gara” o “appalto” tra diversi possibili fornitori, o si stia cercando una soluzione basata sulla “prima risposta soddisfacente ricevuta” ;
  • se la prestazione richiesta è meramente esecutiva o invece prevalentemente consulenziale, o un mix delle due;
  • quanto sforzo progettuale sia necessario e se il cliente sia disposto a pagarlo;
  • …. altre informazioni necessarie emergenti dall’analisi.

In seguito alla comprensione di questi fenomeni, sarà possibile offrire una soluzione consulenziale diversificata:

  • soluzione A…
  • soluzione B…
  • soluzione C…

Ciascuna di queste avrà diversi benefici e costi, e potrà essere negoziata basandosi sulle risposte del cliente.

Ogni azienda deve adattare l’approccio consulenziale ai propri bisogni specifici, e questi momenti di focalizzazione devono essere condotti tramite riunioni interne (prima), analisi sul cliente e non lasciati alla buona volontà del venditore.

Focalizzare le energie nella vendita consulenziale

Ogni trattativa aperta o in fase di apertura è un fattore di assorbimento di energia. L’energia prende forma di attenzione mentale, ore di lavoro, telefonate, incontri, trasferte, e altri atti necessari per concludere una vendita.

Le energie personali ed aziendali, tuttavia, sono una risorsa preziosa, non sono illimitate o producibili a piacimento. E pertanto, vanno ben gestite.

Dobbiamo chiederci quante trattative aperte contemporaneamente possiamo avere. Il numero di trattative aperte o progetti-cliente aperti, è uno dei fattori di analisi primario per capire se le energie sono ben canalizzate o si stanno disperdendo.

Dobbiamo focalizzare le energie in particolare sulla chiusura delle linee aperte, procedendo per pochi clienti alla volta (principio di focalizzazione) o (al massimo) lavorare per batch (piccoli gruppi di clienti da acquisire, per poi passare ad altri nuovi clienti da acquisire).

In particolare:

  1. Non dobbiamo sopravvalutare le nostre energie.
  2. Non dobbiamo considerarle illimitate. 
  3. Dobbiamo concentrarle dove conta, verso la chiusura di ciò che è avviato. E, prima di tutto, avviare linee su clienti per noi prioritari.

Tramite tecniche di bioenergetica manageriale e psicoenergetica manageriale, ed esercizi di lifestyle training, è possibile decisamente ottenere incrementi significativi nel livello di energie personali, sia biologiche che psicologiche, ma non all’infinito.

Uno dei fattori chiave di successo della vendita consulenziale è quindi saper coltivare le proprie energie e direzionarle con buone priorità.

Fissare i clienti su cui concentrarci

Per fissare le priorità, i clienti su cui concentrarci, possiamo utilizzare una schema che includa: 

  • Flussi economici in ingresso dal cliente,
  • Flussi in ingresso immateriali: denaro, prestigio, know-how.
  1. Clienti di tipo A : sono quelli da cui si può ricavare fatturato e utili, ma scarso apprendimento o scarse entrature e prestigio.
  2. Clienti di tipo B : sono quelli dai quali si ricava modesto utile o fatturato, ma ci aiutano enormemente ad ampliare il nostro prestigio o le nostre conoscenze ed entrature.
  3. Clienti di tipo C : assommano rientri economici elevati a rientri di immagine e conoscenze elevati.
  4. Clienti di tipo D : sono invece poco profittevoli, o scarsi pagatori, e in più assorbono tempo e risorse senza apportare valori aggiunti di immagine o di conoscenza.

Messaggio: ogni cliente può apportare un valore economico o un valore relazionale (entrature, prestigio, immagine), ed è necessario ricercare la costruzione attiva di un parco clienti che contenga clienti dal valore economico e relazionale elevato.

Il parco-clienti va costruito, e non subìto.


Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Tecniche di ascolto attivo

L’ ascolto attivo si collega alla comunicazione paralinguistica e non verbale e comprende in particolare:

  • tecniche verbali di ascolto attivo;
  • tecniche paralinguistiche di ascolto attivo;
  • tecniche non verbali di ascolto attivo.

Tecniche verbali di ascolto attivo

Comprende parole che segnalano attenzione e comprensione.

  • Domande aperte: chi, dove, quando, come, perché, con chi, in quale modo, in quali tempi, per quanto, cos’altro… e altre domande che consentano di allargare il discorso e precisarlo.
  • Domande chiuse o di precisazione: verifica di parti del contenuto tramite domande che prevedano una risposta di tipo “Si/No” o altre categorie precise “molto/poco”, “prima/dopo” e altre di questo tipo.
  • Tecnica dello specchio (riflessione del contenuto): ripetizione di frasi o parti di frasi dette dalla controparte, senza modifiche e alterazioni. La tecnica dello “specchio” proviene dalle metodologie di ascolto empatico utilizzate nel colloquio terapeutico Rogersiano[1]. È una tecnica di origine psicoterapeutica, che consente al “cliente” di approfondire i propri contenuti e riflettersi nei contenuti stessi da egli espressi.
  • Parafrasi: utilizzo del “come se”. Ricerca della comprensione di quanto detto, con l’uso di metafore o esempi che cercano di valutare se si è realmente compreso il senso profondo di quanto la controparte dice.
  • Sintesi storica, riassunto: ripetizione di quanto asserito, sotto forma di riassunto dei punti salienti della “storia”.
  • Incoraggiamenti verbali: es, “bene”, “interessante”, “si”, “ok”.

Tecniche paralinguistiche di ascolto attivo

Utilizzo di vocalizzazioni che esprimono interesse per la “storia” e facilitano l’espressione, quali Uhmm.. ahh….emissioni gutturali o respiratorie…

Lo scopo delle tecniche paralinguistiche (assieme a quelle non verbali visuali) è quello di fornire segnali fàtici (di contatto), affinché l’interlocutore senta che siamo in ascolto, siamo presenti, e siamo interessati.

Tecniche non-verbali di ascolto attivo

Utilizzano l’atteggiamento del corpo per esprimere interesse:

  • postura aperta ed inclinata in avanti per indicare disponibilità; posizione del corpo rilassata e di disponibilità;
  • avvicinamento e allontanamento (prossemica): ridurre la distanza con l’interlocutore nei momenti di maggiore interesse, allontanarsi nei momenti di distensione;
  • espressione del volto: non dubitativa, ironica o aggressiva, ma attenta e partecipativa;
  • sguardo attento e diretto;
  • movimenti delle sopracciglia associati a punti salienti del discorso altrui;
  • cenni del capo, cenni assenso o di diniego;
  • gesti morbidi, lenti e rotatori per comunicare senso di rilassamento e incoraggiare ad andare avanti nella conversazione;
  • metafore non verbali utilizzando il body language, che dimostrano comprensione di quanto detto dalla controparte.

Sul piano non verbale, dobbiamo sempre considerare che numerose culture frenano l’espressione non verbale delle emozioni (es: quelle asiatiche), ma che anche questo dato è uno stereotipo comunicativo, di valenza solo probabilistica e non consegna certezze.

In sintesi, le tecniche principali per un accolto efficace sono:

  • curiosità e interesse;
  • parafrasi: ripetere con le proprie parole quanto capito (questo non equivale ad essere d’accordo con quanto detto dall’altro);
  • sintesi e riassunti: riformulare la “storia” nei suoi punti salienti, per consolidare quanto raccolto;
  • dirigere l’ascolto tramite domande mirate (ricentraggio conversazionale) per far luce sui punti ancora oscuri o i passaggi ancora non ben chiari;
  • evitare domande eccessivamente personali finche non si sia creato un rapporto solido e “caldo”;
  • offrire al parlante la possibilità di dare feedback sul fatto che quanto capito sia corretto, accurato o invece distorto o lacunoso;
  • ascoltare non solo le parole ma anche i segnali non verbali per valutare i sentimenti e stati d’animo;
  • verificare la corretta comprensione sia dei sentimenti che del contenuto, non ignorare l’aspetto dei sentimenti;
  • non dire alle persone come dovrebbero sentirsi o ciò che dovrebbero pensare (nella fase di ascolto, limitarsi a trarre informazioni, senza voler insegnare o valutare).

Ancora una volta, sottolineiamo che questi atteggiamenti sono preziosi e determinano la qualità della fase di ascolto, ma non vanno confusi con gli obiettivi di tutta la negoziazione (che prevede sia fasi di ascolto che fasi propositive e affermazioni anche dure o assertive). 

In una negoziazione è possibile (ed è anzi uno degli obiettivi strategici) modificare ciò che gli altri pensano (ristrutturazione cognitiva e persuasiva) o come gli altri si sentono (azione emozionale), ma questo obiettivo verrà perseguito solo ed unicamente se prima il negoziatore sia riuscito a porre in essere un ascolto attivo , attivando l’empatia necessaria per capire in quale quadro si stia muovendo.

I livelli di ascolto

Possiamo individuare una scala del livello di ascolto:

  • Ascolto schermato / distorsivo: non capire, non prestare attenzione, distorcere i dati in ingresso, i dati reali (fisici e emotivi) non vengono veramente percepiti, ma distorti, percezione limitata e/o errata, barriere culturali, di ruolo, pregiudizi, antipatie, antecedenti, stati emotivi del momento, scarse energie fisiche e mentali, poca umiltà.
  • Ascolto giudicante / aggressivo : interrompe continuamente, attacca, giudica e valuta, disapprova quanto detto, nessuno sforzo di capire o approfondire, caratterizzato dal fatto che non si ascolta veramente, ma si raccolgono informazioni per poi emettere immediatamente sentenze e giudizi. L’ascolto giudicante può emergere anche da una smorfia sottilissima emessa con un segnale non verbale quale “storcere il naso” durante un’affermazione altrui che non approviamo, e non è da confondere con la partecipazione emotiva a quanto detto dall’altro.
  • Ascolto apatico / passivo: privo di energia, stanco, “morto”, spento, nessun cenno del capo o altro segnale “fàtico” (segnali di contatto), disinteresse verso il comunicatore
  • Ascolto a tratti: attento in alcuni momenti, distratto in altri, viene espressa attenzione discontinua, vi sono pensieri o attività che interferiscono, poca concentrazione, si perdono brani.

Abbiamo poi fasi decisamente migliori quali:

  • Ascolto attivo / supportivo : Il soggetto viene incoraggiato a proseguire, aiutato ad esplorare i concetti, supportato tramite domande di approfondimento, aperte e chiuse. Forte partecipazione del body language, utilizza segnali corporei e verbali di partecipazione a quanto detto, riformulazioni e altri dispositivi linguistici e non verbali che servono per dare il segnale “quello che dici mi interessa, ti sto seguendo”.
  • Ascolto empatico: Sospensione del giudizio, interesse genuino, ascolto avalutativo, curiosità, azioni di approfondimento e metacomunicazione, l’ascolto degli strati profondi, la capacità di sintonizzarsi e capire i livelli più nascosti, emotivi e personali, del vissuto del nostro interlocutore, più che i dati numerici o oggettuali che ci espone.
  • Ascolto simpatetico: Dimostrazione di vicinanza, affetto, piacevolezza, esprime non solo comprensione ma apprezzamento, calore umano, piacere della relazione, gradimento dell’altro. 

Una nota importante sull’espressione di simpatia durante le fasi di ascolto: dimostrare simpatia non è obbligatorio. Se la nostra espressione è finta, verrà colta. Dobbiamo essere il più possibile autentici e veri. Non consigliamo di inoltrarsi in un ascolto simpatetico falso ma di compiere un’operazione decisamente più difficile e professionale: cercare nell’altro le “cose buone” che emergono, partendo dal principio che anche persone che non ci piacciono possono tuttavia avere alcuni tratti e caratteristiche che sono comunque interessanti. Non dobbiamo partire con un senso di superiorità ma con un atteggiamento di vero interesse per la scoperta di quanto può emergere.

Se poi la gradevolezza è vera, questo livello di ascolto verrà fuori naturalmente, ma è essenziale non bloccarlo a priori in nome di una presunta “freddezza professionale” che non è l’obiettivo vero di un ascolto di qualità.

Dobbiamo anche distinguere un altro aspetto fondamentale dell’ascolto: la presenza di almeno due diversi piani di ascolto: i dati e gli stati emotivi. Questo qualifica la differenza tra un ascolto informativo e un ascolto psicologico.

Ascoltare dati non equivale ad ascoltare stati emotivi.

Possiamo infatti applicare un ascolto di tipo:

  • psicologico : Interesse per gli aspetti psicologici, ascolto viscerale, delle sensazioni, del livello umano, attenzione centrata sulla persona e sul suo vissuto, ascolto di emozioni, stati umorali, sensazioni, rapporti umani.
  • tecnico-informativo : ascolto meccanico, concentrato sui dati, numeri e fatti.

Un negoziatore avanzato e un venditore di alto livello saranno in grado di applicare il livello di ascolto corretto, o entrambi, a seconda delle situazioni, senza entrare in uno stato di ascolto prefissato, stereotipato e rigido.


[1] Rogers, Carl R. (1961). On becoming a Person. Boston, Houghton Mifflin.

Rogers, Carl R. (1951). Client-Centered Therapy: Its Current Practice, Implications, and Theory. Boston, Houghton Mifflin.

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Altre risorse online

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

I livelli delle domande: domande interiori e domande esterne

La fase di analisi ed ascolto richiede il ricorso a:

  • domande aperte,
  • domande chiuse,
  • domande di precisazione,
  • riformulazioni e verifiche di comprensione,
  • riepiloghi, sommari,
  • rispecchiamento dei contenuti.

Le domande devono essere poste solo dopo che si sia creato lo spazio psicologico per farle, chiedendo il permesso al cliente di porgli alcune domande che servono per poter realizzare proposte sensate.

Durante la fase di analisi è essenziale il ricorso alla carta e penna per prendere appunti, sotto forma di parole chiave, ed un precedente allentamento alle tecniche di memorizzazione, intervista e Analisi della Conversazione (Conversation Analysis, CA).

Tutti noi abbiamo curiosità e dubbi, che però raramente esprimiamo. 

A volte non lo facciamo per pudore (quante volte fai sesso in un mese? = invasione dello spazio psicologico altrui), altre volte per titubanza strategica (vorrei chiedergli quanto sono disposti a pagare ma non lo faccio per timore che mi dicano una bugia sulla quale poi non saprei come argomentare), e per tante altre ragioni.

Un’operazione fondamentale è distinguere tra:

  • domanda interiore: la domanda reale che ci stiamo ponendo e a cui vorremmo risposta (es: quanti soldi avete a disposizione?), quello che vorremmo davvero sapere, quello che abbiamo bisogno di sapere, i bisogni informativi di base
  • domanda esteriore: la domanda che è adeguata e consentita ad un certo stato di relazione, in base al grado di familiarità con il soggetto, di trasparenza comunicativa, di tempo disponibile (es: avete già fissato un budget per questa iniziativa?), le mosse conversazionali che poniamo in essere, i modi con i quali arriviamo ad ottenere quelle informazioni.

Ogni mancata informazione è un rischio

Ogni volta che il decisore non dispone di informazioni si apre un rischio.

Ogni mancata informazione è un rischio potenziale. 

Si richiede pertanto il il ricorso a domande mirate:

domande latenti – fabbisogno informativo – cui è necessario dare risposte e rischi correlati al non sapere le risposte.

Il management scientifico non può permettersi soglie di rischio irragionevoli. Questo non vuol dire chiudersi in una roccaforte, o non accettare una componente di rischio imprenditoriale e di vendita, ma capire in quale terreno ci stiamo muovendo, cioè muoversi con consapevolezza.

Empatia e tecniche di ascolto empatico

L’ascolto è una delle abilità più critiche della negoziazione e della vendita. Lo stereotipo classico del venditore intento a “parlare sull’altro”, a “vincere nella conversazione”, ad avere sempre l’ultima parola, è sbagliato.

L’approccio empatico prevede una concezione opposta: ascoltare in profondità per capire la mappa mentale del nostro interlocutore, il suo sistema di credenze (belief system), e trovare gli spazi psicologici per l’inserimento di una proposta.

Nel metodo ALM distinguiamo alcuni tipi principali di empatia, in base agli angoli di osservazione:

  • Empatia comportamentale: capire i comportamenti e le loro cause, capire il perché del comportamento e le catene di comportamenti correlati.
  • Empatia emozionale: riuscire a percepire le emozioni vissute dagli altri, capire che emozioni prova il soggetto (quale emozione è in circolo), di quale intensità, quali mix emozionali vive l’interlocutore, come le emozioni si associano a persone, oggetti, fatti, situazioni interne o esterne che l’altro vive.
  • Empatia relazionale: capire la mappa delle relazioni del soggetto e le sue valenze affettive, capire con chi il soggetto si rapporta volontariamente o per obbligo, con chi deve rapportarsi per decidere, lavorare o vivere, quale è la sua mappa degli “altri significativi”, dei  referenti, degli interlocutori, degli “altri rilevanti” e influenzatori che incidono sulle sue decisioni, con chi va d’accordo e chi no, chi incide sulla sua vita professionale (e in alcuni casi personale).
  • Empatia cognitiva (o dei prototipi cognitivi): capire i prototipi cognitivi attivi in un dato momento del tempo, le credenze, i valori, le ideologie, le strutture mentali che il soggetto possiede e a cui si ancora.

Elementi positivi e distruttivi dell’empatia

L’empatia viene distrutta o favorita da specifici comportamenti comunicativi e atteggiamenti.

Favorisce l’empatiaDistrugge l’empatia
CuriositàDisinteresse
Partecipazione reale all’ascolto, non finzioneFingere un ruolo di ascolto solo per dovere professionale
Riformulazione dei contenutiGiudizio sui contenuti, commenti
Pluralità di approcci di domanda (domande aperte, chiuse, di precisazione, di focalizzazione, di generalizzazione)Monotonia nel tipo di domande
Centratura sul vissuto emotivoCentratura esclusiva sui fatti
Segnali non verbali di attenzioneBody Langage che esprime disinteresse o noia
Segnali paralinguistici di attenzione, incoraggiamento ad esprimersi, segnali “fàtici” (segnali che esprimono il fatto di essere presenti e attenti)Scarsa dimostrazione di interesse e attenzione al flusso di pensieroAssenza o scarsità di segnali “fàtici” e di contatto mentale

La comunicazione d’ascolto e la qualità dell’ascolto, comprendono la necessità di separare nettamente le attività di comprensione (comunicazione in ingresso) dalle attività di espressione diretta (comunicazione in uscita).

Regole per un ascolto di qualità

Durante le fasi di ascolto è necessario:

  • non interrompere l’altro;
  • non giudicarlo prematuramente;
  • non esprimere giudizi che possano bloccare il flusso espressivo altrui;
  • non distrarsi, non pensare ad altro, non fare altre attività mentre si ascolta (tranne prendere eventuali appunti), usare il pensiero per ascoltare, non vagare;
  • non correggere l’altro mentre afferma, anche quando non si è d’accordo, rimanere in ascolto;
  • non cercare di sopraffarlo;
  • non cercare di dominarlo;
  • non cercare di insegnargli o impartire verità, trattenere la tentazione di immettersi nel flusso espressivo per correggere qualcosa che non si ritiene corretto;
  • non parlare di sè;
  • testimoniare interesse e partecipazione attraverso i segnali verbali e il linguaggio del corpo;

Di particolare interesse risultano gli atteggiamenti di:

  • interesse genuino e curiosità verso la controparte: il desiderio di conoscere ed esplorare la mente di un’altra persona, attivare la curiosità umana e professionale;
  • silenzio interiore: creare uno stato di quiete emozionale (liberarsi da emozioni negative e pregiudizi) per ascoltare l’altro e rispettarne i ritmi.

Differenza tra empatia e simpatia: applicare l’empatia e non la simpatia

Empatia e simpatia non sono sinonimi

Empatia significa capire (es: capire perché un cliente posticipa un acquisto o vuole un prodotto di basso prezzo, o ci parla di un certo problema). 

Simpatia significa invece apprezzare, condividere, essere daccordo. 

La vendita richiede l’applicazione dell’empatia e non necessariamente della simpatia.

L’ascolto attivo e l’empatia non vanno confuse con l’accettazione dei contenuti altrui o dei loro valori. 

Le regole di ascolto attivo non sono regole di accettazione del contenuto, ma metodi che permettono di far fluire il pensiero altrui più liberamente possibile per ricavarne apertura e informazioni utili.

La fase di giudizio interiore su quanto ascoltiamo, inevitabile durante la negoziazione, deve essere “relegata” alla nostra elaborazione interna, tenuta per fasi successive della contrattazione, e non deve interferire con la fase di ascolto.

Quando il nostro scopo è ascoltare dobbiamo ascoltare.

Per farlo dovremo:

  • sospendere il giudizio,
  • dare segnali di assenso (segnali di contatto, segnali fàtici),
  • cercare di rimanere connessi al flusso del discorso,
  • fare domande ogniqualvolta un aspetto ci sembra degno di approfondimento,
  • non anticipare (es: sono certo che lei…) e non fare affermazioni,
  • limitarsi a riformulare i punti chiave di quanto detto dall’altro,
  • non interrompere inopportunamente.

È necessario riservare il nostro giudizio o fare puntualizzazioni solo dopo avere ascoltato in profondità e all’interno di un frame negoziale adeguato.

L’obiettivo delle tecniche empatiche è quello di favorire il flusso del pensiero altrui, e di raccogliere quanto più possibile le “pepite informative” che l’interlocutore può donare. L’empatia, se ben applicata, produce “flusso empatico”, un flusso di dati, informazioni fattuali, sentimentali, esperienziali, di enorme utilità per il negoziatore.

Il comportamento contrario (giudicare, correggere, affermare, bloccare) spezza il flusso empatico, e rischia di arrestare prematuramente la raccolta di informazioni preziose. 

Esiste un momento nel quale il negoziatore deve arrestare il flusso del discorso altrui (momento di svolta, turning point) ma in generale è bene lasciarlo fluire, finche non si sia compreso realmente con chi si ha a che fare e quali sono i veri obiettivi, e tutte le altre informazioni necessarie.

Le tecniche empatiche sono inoltre d’aiuto per frenare la tendenza prematura alla disclosure informativa di sè: il dare informazioni, il lasciar trapelare dati inopportunamente o prematuramente su di noi. 

Dare al cliente informazioni e dati che potrebbero risultare controproducenti genera un effetto boomerang. Ogni informazione deve essere fornita con estrema cautela. 

L’atteggiamento empatico è estremamente utile per concentrare le energie mentali del negoziatore sull’ascolto dell’altro e frenare le nostre disclosure inopportune.


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Altre risorse online

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Livelli di vendita e target di risultati

Possiamo identificare alcune grandi approcci e tipologie di vendita ed il relativo target di risultato:

  • Vendita distributiva – Cogliere le opportunità già focalizzate dal cliente, acquisire gli ordinativi per categorie di prodotti noti e abituali.
  • Vendita consulenziale – Esplorare il sistema cliente, svolgere analisi e diagnosi approfondite, trovare le soluzioni giuste per il cliente, costruire pacchetti personalizzati, diventare fornitore di riferimento per una intera gamma di bisogni, sia attuali che futuri, sostituire i fornitori precedenti che non assicurano il grado di servizio ottimale.
  • Vendita complessa – Vendere a diversi livelli all’interno del sistema-cliente presidiando tutti i decisori chiave, acquisire commesse importanti ad alto impegno relazionale e “politico”, diventare il fornitore di riferimento.
  • Key Accounting – Presidiare la relazione con il sistema-cliente, mantenere continuità di rapporto, evitare rotture di rapporto e malfunzionamenti della relazione.
  • Corporate Relationship Building – Creare le condizioni di vicinanza relazionale con elementi del sistema-cliente, creare “entratura” relazionale.

Vendita distributiva

La vendita distributiva riguarda una tipologia di rapporto a basso livello di contatto umano, come l’invio di mailing o il semplice “passare per vedere se serve qualcosa” di un rappresentante in un’azienda già cliente o andare in un bar per fare un riordino di latte o patatine.

Il suo scopo è distribuire l’esistente e non creare il nuovo.

Vendita consulenziale

La vendita consulenziale si definisce tale quando il venditore applica una dose elevata di analisi prima di confezionare una proposta o pacchetto di vendita. 

La vendita consulenziale è necessaria in ogni relazione profonda. 

La vendita consulenziale è necessaria soprattutto quando si cerca di esplorare il potenziale di un cliente e non ci si accontenta dei suoi bisogni apparenti o di superficie. È utile anche quando si vuole uscire dalla routine e si desidera portare soluzioni non preconfezionate ma tarate sulla condizione esatta di quel cliente in quel particolare momento del tempo.

Vendita complessa

La vendita complessa è il livello di vendita che oltre ad essere consulenziale tocca molteplici decisori nell’azienda cliente e coinvolge molteplici protagonisti nell’azienda venditrice. 

Si tratta di una vendita many-to-many, in cui molte persone del sistema cliente si interfacciano con molte persone del sistema del fornitore.

In questo territorio delicato occorre presidiare numerosi gradi di relazione e stare attenti al fatto che tutti giochino lo stesso gioco e nessuno rovini la relazione con messaggi inappropriati o comportamenti non concordati.

Sul fronte del fornitore possono essere coinvolti i funzionari commerciali, i tecnici, il marketing, sino alla direzione generale. Sul fronte del cliente possono essere coinvolti l’ufficio acquisti, la direzione commerciale, i tecnici, gli utilizzatori, i decisori e gli influenzatori, e numerosi altri stakeholders[1] e opinion-leaders, sino alla massima direzione.

Una disattenzione nelle comunicazioni di livelli poco presidiati (es: tecnici con tecnici, responsabili assistenza dell’azienda venditrice che si rapportano ad altri tecnici dell’azienda cliente su dettagli di prodotto) può produrre effetti dirompenti e distruttivi. Una sola informazione sbagliata che sfugga può risalire la piramide aziendale in modo distorto e minare l’intera operazione.

Il training necessario per le vendite complesse

Le aziende evolute, soprattutto multinazionali, effettuano specifici training sulle relazioni con il cliente (Brand Communication Management) finalizzati ad insegnare ai tecnici a valorizzare il marchio con comportamenti e atteggiamenti di front-line adeguati, a non inquinarlo con errori comportamentali. 

Il problema non è solo dei rapporti tra tecnici ma riguarda ogni soggetto coinvolto nel front-line, come un magazziniere che deve consegnare un prodotto già acquistato (e può con il suo comportamento dare conferme positive o invece rovinare l’immagine aziendale faticosamente costruita durante la vendita). tocca anche chi risponde al centralino, l’immagine dei siti web, la qualità delle comunicazioni commerciali e persino le comunicazioni di servizio (email, fax, note). Ogni aspetto della comunicazione ha un impatto.

Le situazioni one-to-many (un venditore che fronteggia diversi interlocutori nell’azienda cliente) sono spesso da inquadrare nelle vendite complesse, e dobbiamo eliminare la tendenza a darvi meno importanza del dovuto. Quando un team di acquisto ben preparato fronteggia un solo e singolo rappresentante dell’azienda venditrice, possono facilmente crearsi condizioni di difficoltà, soprattutto se il team di acquisto applica strategie appositamente preparate per creare difficoltà, ed è formato per farlo.

Ricordiamo inoltre che molte aziende praticano training intensivi di negoziazione d’acquisto ai propri buyer e negoziatori, spesso con l’intento di “spremere” il più possibile dal venditore e metterlo in difficoltà[2].

Questo deve trovare un contraltare adeguato in eccellenti training di vendita consulenziale e psicologia della vendita.

Le situazioni many-to-one (diversi rappresentanti dell’azienda venditrice che fronteggiano un solo buyer o altro decisore sul fronte cliente) sono abbastanza rare ma in genere rientrano nella categoria della vendita consulenziale.

In ogni e qualsiasi condizione, un training di vendita consulenziale è necessario e deve includere almeno:

  • elementi di psicologia della comunicazione verbale, paralinguistica e non verbale,
  • tecniche di ascolto, ascolto attivo ed empatia strategica,
  • tecniche di mappatura dei decision-makers,
  • tecniche di Key-Leader-Engamenent,
  • tecniche conversazionali,
  • tecniche di intelligenza emotiva e autocontrollo emotivo,
  • elementi di marketing per la vendita,
  • tecniche di chiusura e concretizzazione.
  • tecniche di qualità totale della comunicazione;
  • tecniche per la costruzione delle linee di vendita e gestione delle strategie di vendita e linee di azione (Action Line Management).

Questi sono solo alcuni dei molti elementi che devono essere parte di un piano di formazione per la vendita consulenziale.

Key-accounting e Solutions Selling

Il Key-Accounting rappresenta il grado di relazione in cui un soggetto (Key-Account) viene incaricato della missione di presidiare la relazione con un cliente importante, mantenerla “calda” e “lubrificata”, sondare continuamente i trend che accadono entro l’azienda cliente, capirne gli equilibri decisionali e i loro mutamenti, anticiparne le possibili mosse, e prepararsi adeguatamente.

Il Key-Account (a seconda di come il ruolo viene definito e interpretato nelle singole aziende) è responsabile anche dei budget del cliente, delle offerte economiche, della formulazione delle soluzioni di vendita, preventivazione e verifica della customer satisfaction. 

Opera soprattutto con uno spirito di vendita consulenziale centrato sulla ricerca di soluzioni (Solution Selling).

Corporate Relationship Building

Il Corporate Relationship Building rappresenta l’attività di costruzione di relazioni tra imprese (marketing relazionale). 

Il CRB è un’attività propedeutica alla vendita, essendo finalizzato alla “entratura” in un sistema-impresa da angolazioni non strettamente commerciali o non unicamente commerciali. 

Può trattarsi di creare conoscenza tra tecnici e tecnici, in un incontro organizzato da una terza parte. Può richiedere la partecipazione ad eventi politici o associativi da parte della direzione, o di manager. Può includere scambi di favori o di informazioni, ricerca di eventi sociali cui parteciperanno le persone che ci interessa contattare, e altre linee di azione (action lines) di avvicinamento ad un sistema-impresa.

Nel CRB la preoccupazione principale non è siglare un contratto ora e subito (fretta di concludere), ma creare le condizioni affinché si possa avviare un rapporto commerciale saltando i filtri e le barriere classiche, negoziando a livelli più elevati nell’organizzazione, o riducendo le difficoltà che si presentano a chi si avvicina ad un sistema che non conosce e nel quale non ha entrature.

Un’impresa moderna deve fare formazione su tutti i livelli, ad esempio:

  • Corporate Relationship Building: per avviare nuovi contatti
  • Solution Selling; per apprendere la vendita consulenziale basata sulla costruzione di “soluzioni”
  • Brand Communication Management: a tutti i livelli aziendali, per evitare che comportamenti e comunicazioni inquinino l’immagine di marchio o distruggano le trattative in corso, o riducano la customer satisfaction di chi ha già comprato e vogliamo fidelizzare.

Un’impresa che intenda affrontare la vendita in modo serio dovrebbe decisamente praticare training e coaching costante, permanente, a cadenze fissate, e non solo come soluzione d’emergenza.

Quando le cose vanno male o le vendite calano, l’intervento formativo deve essere accompagnato da una buona dose di diagnosi organizzativa e ristrutturazione organizzativa, che porti a localizzare e rimuovere gli elementi che hanno portato a quella condizione negativa.


[1] Stakeholder: portatore di interessi, soggetto in grado di avere influenza sulle decisioni.

[2] Ricordiamo a questo fine alcune “deviazioni” delle tecniche PICOS, nate inizialmente come tecniche di co-makership tra industrie automobilistiche e loro fornitori, e trasformate da altri come strumenti scientifici di indebolimento psicologico del venditore.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Copyright. Articolo estratto dal libro “Direzione Vendite e Leadership. Coordinare e formare i propri venditori per creare un team efficace” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Risultati di vendita

“Non importa il risultato che raggiungi facendo una cosa; l’importante è esserci dentro con tutto te stesso, con la consapevolezza di aver dato il massimo senza mai arrenderti e senza rimpianti, credendoci fino all’ultimo senza chiederti se la scelta è giusta o meno. L’importante è non mollare.”

Samuele Diglio

La valutazione dei risultati e il potenziale dei venditori

Una frase come questa ci porterebbe a pensare che i risultati non contino, ma non è questa la chiave di lettura che vogliamo dare. 

Quello che sosteniamo, è che nella vendita, i risultati, quando arrivano, sono sempre frutto di una semina e di una forte determinazione, mai del caso, e quando il caso butta alla porta, la persona formata e pronta lo sa cogliere, la persona non formata e non pronta non lo vede nemmeno passare.

Aree di valutazione : atteggiamenti e comportamenti

Le possibili aree di valutazione dipendono strettamente dal job-profile di vendita, dal tipo di ruolo organizzativo che l’azienda chiede al venditore consulenziale di assumere.

I diversi mandati organizzativi possono essere classificati in:

  • Capacità di apertura di contatti.
  • Capacità di analisi e negoziazione.
  • Capacità di chiusura.
  • Numero di contratti conclusi.
  • Gestione del post-vendita.

Valutare significa chiedersi:

  • Come si muove il venditore all’interno dell’imbuto di vendita (Funnel di Vendita o Sales Funnel)? 
  • Quale curva assume il suo tempo? 
  • Su quali aree è forte e su quali è debole?
  • Sta seguendo il mandato assegnato?
  • Che cosa caratterizza i diversi venditori secondo voi? 
  • Come li descrivereste? 
  • E voi in che tipo di Funnel vi rivedete? 

Facciamo un’autoanalisi il più possibile oggettiva.

In generale, è indispensabile analizzare non solo i risultati di vendita ma anche atteggiamenti e comportamenti consulenziali del venditore nelle diverse zone temporali.

Atteggiamenti e comportamenti relativi alle soft-skills da valutare nel venditore

La valutazione dei risultati e il potenziale dei venditori
  • Capacità di Public Speaking e di presentazione
  • Capacità di ascolto attivo del cliente
  • Comportamenti empatici nel front-line
  • Comunicazione interpersonale
  • Gestire riunioni
  • Time Management
  • Capacità di negoziazione
  • Intelligenza Emotiva
  • Resilienza: capacità di risollevarsi dopo una difficoltà
  • Contributo al team
  • Autonomia organizzativa
  • Qualità dell’azione sul mercato
  • Curve di apprendimento (rapide o scarse)
  • Disponibilità ad apprendere e mettersi in gioco
  • Flessibilità vs. rigidità nel condurre mansioni e compiti non naturali per il ruolo per far fronte ad emergenze organizzative.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

©Copyright. Estratto dal testo di Daniele Trevisani “Psicologia della libertà. Liberare le potenzialità delle persone”. Roma, Mediterranee. Articolo estratto dal testo e pubblicato con il permesso dell’autore.

Il confine corporeo della libertà

In questa ricerca di libertà, abbiamo un confine, il corpo, e questo limite fisico è anche una risorsa straordinaria.

Siamo menti che “abitano” un corpo, degli “embodied minds”, menti incorporate, creature viventi dotate di autocoscienza, cellule e atomi che miracolosamente prendono atto di esistere, e possono muoversi. Ma non per questo, automaticamente, diventiamo liberi. Ad esempio, non possiamo volare, né teletrasportarci.

Poniamo sul tavolo un’ipotesi di lavoro: la libertà è un sentimento vissuto, un sentire corporeo, una forma di dialogo interno, che ci dice che stiamo vivendo a pieno la nostra vita come la vogliamo e senza essere ingabbiati da forze subdole.

Attenzione. Non ha a che fare strettamente con catene, con mura, con “non libertà” fisiche molto ovvie come la prigione. Alcuni pensano che essere single sia un’enorme forma di libertà, altri lo vivono come una prigione (la prigione della solitudine e dell’isolamento). Lo stesso per l’avere famiglia e figli. Prigione esistenziale per alcuni, “il mio focolare più bello” per altri. 

Allenarsi e combattere senza paura e senza ansie inutili è possibile. Lo stesso vale per il lavoro, o fare una presentazione o public speaking. Se lo vivi come un obbligo, viene meno ogni forma di gusto e gioia di vita e dell’atto stesso. Possiamo scoprire i piaceri nascosti in questi brani di vita?

Si tratta di vivere allenamenti e gare, o performance lavorative, come atti di libertà, atti di vita, momenti di festa e di gioia, nel rispetto delle tradizioni. Pensieri come “devo vincere” o “devo fare bella figura” non portano a libertà ma danno sostegno ad emozioni negative, che vogliamo invece tenere lontane da noi nel Dojo, sul ring, o sul lavoro.

La libertà ha come contraltare l’imprigionamento, la paura, l’ansia. Ebbene, queste “prigioni” sono molto più corporee di quanto pensiamo. Costruiscono muri invisibili che ingabbiano le persone peggio delle sbarre.

Un messaggio importante: esistono esercizi, seri, molto seri, che ti aiutano a distinguere le “percezioni”, le “sensazioni” di paura e di ansia inutili e controproducenti, e possono liberarti da paure inutili. Li conduco personalmente, derivano dalle Arti Marziali e dal training mentale per gli sport da ring. Del resto non puoi combattere ad alti livelli se hai paura di farti male, paura della gara, paura di confrontarti, paura del pubblico, vergogna di poter perdere, e quasi tutti gli atleti e potenziali campioni si arrestano per queste paure e non per veri traumi. 

Ne farò omaggio prima possibile alla comunità tramite video, essendo quasi impossibili da descrivere a parole.

Ma torniamo a quanto invece si può scrivere.

Vorresti essere libero dalla paura, libero dall’ansia? Tutti lo vorremmo, ma se fossimo completamente liberi dalla paura, nessun segnale arriverebbe a dirci “stop” nell’attraversare una strada piena di camion e saremmo schiacciati come topi. Quindi, vogliamo liberarci di “tutte” le paure o vogliamo imparare a gestirle diversamente e discriminarle?

Io ascolto i messaggi della paura, li tratto con rispetto e imparo da essi, ma non mi faccio limitare”. Questa frase di Ross Heaven, che proviene dalle tecniche usate nella formazione dei Ninja, i guerrieri giapponesi, esprime bene come un certo approccio di consapevolezza aumentata possa liberare la persona da fardelli inutili.

 

Focusing porta di libertà? L’approccio degli “Embodied Minds”

Così come Paul Watzlawick ha ben espresso, “non è possibile non comunicare”, e che quindi ogni azione o non azione fatta in presenza di altri ha un valore comunicativo[1]. Allo stesso modo, noi dobbiamo renderci conto pienamente che “non è possibile non abitare un corpo”, e il corpo ci condiziona, positivamente o negativamente, ci parla. Che lo ascoltiamo o meno, ci manda segnali e flussi di comunicazione non meno importanti di quelli che scorrono tra le persone (comunicazione mente-corpo).

La libertà richiede prendere atto del corpo e gestirlo in modo consapevole-assertivo, prendere atto del valore della comunicazione mente-corpo e gestirla in modo il più possibile deciso da noi e non esserne solo vittime.

Occorre riconoscere che per comunicare bene all’esterno, è utile capire cosa sta succedendo ai nostri stati interni, stati fisici come le emozioni, stati corporei, i livelli di stanchezza e di stress, stati pre-verbali ancora prima che parole. 

Immaginate una persona che non sa ascoltare bene i propri stati d’animo. Come mai farà ad esprimersi in una comunicazione autentica e libera?

Le emozioni, ricordiamolo, abitano nel corpo[2]. Fare Focusing[3] significa esattamente questo. Andare ad ascoltarsi. Ascoltarsi dentro. Lasciare spazio ai propri segnali interni. Questa è una forma suprema di libertà.

Dal momento in cui capisci di esistere, fino al decidere di dare un’impronta speciale alla tua vita passa molta strada. Questa comprende un atteggiamento altrettanto assertivo sul come esistere e dove voler vivere – sia in termini di ambienti fisiche che di ambienti psicologici.

Da soli è davvero difficile riuscire ad impostare una vita veramente propria e consapevole, fuori dagli schemi proposti con violenza da pubblicità, mass media, esempi negativi attorno a noi e altre forme che subdolamente cercano di dirci “cosa” sia la vita. 

Siamo travolti da messaggi che sin da bambino ti dicono che tu vali in funzione del tuo telefono o della tua auto o della dimensione dei bicipiti o della tua casa o del marchio delle tue scarpe. 

Coaching e Counseling portano un messaggio diverso. Tu vali perché sei, per quello che pensi, per il contributo che dai e darai a questo pianeta, alla cultura umana, sia che tu ci riesca o che tu anche solo ci provi. Tu vali. A prescindere.

Una delle più alte forme di liberta è esprimere se stessi senza nessuna maschera.

Ma come ci ha ricordato Goffman, pioniere su questo tema, siamo creature sociali, e in qualche modo diamo sempre una “rappresentazione” di noi stessi, anche quando cerchiamo di essere genuini.

“Come esseri umani siamo principalmente creature dagli impulsi variabili, con umori ed energie che cambiano da un momento all’altro, come personaggi davanti a un pubblico tuttavia, non possiamo permetterci alti e bassi”.[4]

Le forme del nostro comportamento esterno non sono spesso congruenti con il sentire corporeo interno, le nostre sensazioni, gli stati emotivi che proviamo.

Ecco, forse allora una delle forme estreme di libertà è quella di mostrare anche fuori i nostri sentimenti interni e gli stati interni che viviamo, uscire dal “personaggio” ed essere più veri possibile, anche a costo di apparire “variabili” o come altri dicono, “umorali”. Umorali ma veri, è meglio che standardizzati sempre, ma falsi.

E se sei davvero libero, questo comprende una grande varietà di libertà, ad esempio cercare le emozioni che una certa musica ti dà, anziché ascoltare la stupida radio commerciale. La musica produce emozioni[5]. E tu che emozioni vuoi vivere? 

Che si tratti di musica “epica”, classica, o rock anni ’70, poco importa. Ma accendere la radio e pensare che quella e solo quella che passa il convento radiofonico sia la musica, non è grande esempio di libertà.


[1] Watzlawick, Paul, Janet H. Beavin, and Don D. Jackson. Pragmatics of Human Communication: A Study of Interactional Patterns, Pathologies, and Paradoxes. New York: Norton, 1967.  

[2] Buck, Ross. The Communication of Emotion. New York: Guilford P, 1984.

[3] Letteralmente, “focalizzazione”, nel senso indicato da Gendlin. Vedi bibliografia per approfondimenti.

[4] Goffman, Erving (1959), The Presentation of Self in Everyday Life. New York, Doubleday. Trad. it. La vita quotidiana come rappresentazione, Bologna, Il Mulino, p. 68.

[5] Budd, Malcolm. Music and the Emotions. London: Routledge & Kegan Paul, 1985.

 

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