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© Articolo estratto con il permesso dell’autore, Dott. Daniele Trevisani dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace. Milano, Franco Angeli

Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti.

Luigi Pirandello

Riconoscere gli archetipi che le persone interpretano

Ogni persona produce consciamente o inconsciamente una “rappresentazione di sé”.

In senso Goffmaniano (da Irving Goffman, pioniere della micro-sociologia della vita quotidiana) si è iniziato a studiare il fenomeno per cui ogni persona durante un’interazione cerca di proiettare l’immagine di un personaggio, ed espone una “faccia” pubblica, coerente con gli obiettivi che si pone. A volte la rappresentazione di sé è sfumata, in altri casi invece stereotipata e prototipica, es.:

  • il “condottiero”;
  • il “tecnico”;
  • il “supermanager”;
  • il “politico”;
  • il “malato” o “paziente”;
  • il “nobile”;
  • la “vittima”;
  • quello che “alla fine qui comando io”;
  • l’insider dei circoli che contano.

Ognuno di noi dentro di sè ha un’anima che si “agita” per essere qualcosa, per diventare qualcosa, per poter dire “io sono questo”. Gli archetipi si aggirano nell’ombra e spesso non siamo consapevoli di quali archetipi ci guidano. Pertanto, ogni comunicatore, deve prima di tutto fare i conti con se stesso, con chi veramente è.

“Conoscere la propria oscurità è il metodo migliore per affrontare le tenebre degli altri.”

Carl Gustav Jung

Questo vale ovviamente anche per il conoscere le proprie bellezze, le proprie luci, le proprie aree che splendono e vogliono esprimersi.

Nella psicologia degli archetipi le persone vengono caratterizzate sulla base del loro bisogno primario. Sulla base dei diversi bisogni, si configurano specifici modi di essere, archetipi, modelli ispirativi, personaggi. L’archetipo è un’immagine mentale, una sorta di prototipo universale per i modi di essere, attraverso il quale l’individuo interpreta la realtà, percepisce e crea i propri bisogni.

Nel linguaggio degli archetipi, questi sono i tipi principali:

  • Ruler. La Guida, il leader. si nutre del bisogni di potere e autorità.
  • Creator. Il Creatore: si nutre del bisogno di novità e creatività.
  • Innocent. L’innocente: si nutre del bisogno di purezza, rinnovamento.
  • Sage: Il Saggio. Si nutre del bisogno di intelletto e curiosità.
  • Explorer. L’esploratore. Si nutre del bisogno di avventura ed esplorazione.
  • Magician. Il mago. Si nutre del bisogno di trasformazioni e sviluppo di sè.
  • Rebel. Il Ribelle. Si nutre del bisogno di sfida all’autorità e alle convenzioni.
  • Hero. Eroe. Si nutre del bisogno di dimostrare coraggio, sfida e determinazione.
  • Lover. L’Amante si nutre del bisogno di attrazione e sensualità.
  • Jester. Il Folle. Si nutre del bisogno di divertimento e spontaneità.
  • Regular guy/gal: Il Ragazzo/a per bene, a volte individuato anche come l’Orfano. Si nutre del bisogno di dimostrare affidabilità e lealtà.
  • Caregiver. L’Aiutante, si nutre del portare cura, sollievo, aiuto.

Ascoltare in modo attivo significa anche ascoltare che tipo di personaggio l’interlocutore stia presentando di sè al palcoscenico della vita. E se quel personaggio gli stia stretto come un vestito di parecchie taglie inferiori, o gli stia bene come un vestito su misura.

È più facile recitare e esibirsi che essere coerenti,

 più facile eccitare e distrarre che far pensare,

 più facile impressionare che convincere.

 (Enzo Bianchi)

Dietro alla maschera portata si celano realtà personali, psicologiche ed esistenziali molto diverse da quello che il soggetto tenta di far apparire.

Un ascoltatore attivo deve essere sensibile a quale rappresentazione di sé la controparte produce e utilizzare queste informazioni per i suoi scopi, che siano il counseling, la consulenza, la vendita o per il progetto cui lavoriamo.

La rappresentazione di sé dell’ascoltatore

Anche chi ascolta, che si tratti di un terapeuta, formatore, venditore o consulente. produce consciamente o inconsciamente una “rappresentazione di sé”.

Costruire attivamente un’immagine significa attuare precise strategie di “image building”, che non devono essere lasciate al caso. Anche per l’ascoltatore, la rappresentazione di sé può essere sfumata, oppure a volte molto evidente, es.:

  • il “problem-solver”;
  • il “tecnico”;
  • il “medico”;
  • lo “scienziato”;
  • il “supermanager”;
  • il “politico”;
  • l’“accusatore”;
  • il “paladino della causa…”;
  • lo “psicanalista”;
  • il “prezioso”;
  • il “bisognoso”.

L’essenza di chi pratica ascolto attivo deve essere quella dell’autenticità, unica forma che è in grado di facilitare veramente ascolto ed empatia.

Ci sono individui composti unicamente di facciata, come case non finite per mancanza di quattrini. Hanno l’ingresso degno d’un gran palazzo, ma le stanze interne paragonabili a squallide capanne.

 (Baltasar Gracián)


Altri materiali su Comunicazione, Ascolto, Empatia, Potenziale Umano e Crescita Personale disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Definizione di ascolto attivo: attività di ascolto nella quale viene realizzata una serie di mosse conversazionali, dalle domande aperte alle riformulazioni, per favorire l’espressione altrui. L’ascolto attivo è il precursore dell’empatia e dell’ascolto empatico. L’ascolto attivo è una tecnica di ascolto e osservazione attenta agli aspetti linguistici (contenuti espressi dal parlante), paralinguistici (toni, accenti, timbri della voce) e ai segnali non verbali, con feedback sotto forma di parafrasi accurata, che viene utilizzata nella consulenza, formazione e risoluzione di controversie o conflitti, nella vendita e nella negoziazione, nel coaching, counseling e in ogni relazione d’aiuto professionale.

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Approfondimento dal libro Ascolto Attivo ed Empatia (Franco Angeli editore)

Esiste una classificazione in letteratura che differenzia i livelli di ascolto dal più negativo sino al più positivo, come segue: ascolto giudicante/aggressivo, ascolto apatico/passivo, ascolto a tratti, ascolto attivo, ascolto empatico, ascolto simpatetico (Trevisani, Daniele (2019), Ascolto attivo ed empatia. Milano, Franco Angeli)

Ascolto attivo ed empatia: I segreti di una comunicazione efficacePersino da una foto si capisce qualcosa. Si può “ascoltare” anche una foto, ebbene si. O un dipinto, o un brano di musica, o un paesaggio.

Di una persona, sul lavoro, potremmo fidarci di quanto scritto sul biglietto da visita, ma insistiamo nel guardare anche alla sua postura, alla schiena dritta o curva, al suo mento e agli occhi tristi od orgogliosi, per capire se è fiero di quel biglietto mentre te lo porge, o se per lui/lei è un peso.

Diciamo pure che siamo curiosi per natura, perché la sopravvivenza richiede il sapere le cose, il capire chi ti è ostile o amico, e saperlo fare in una frazione di secondo, come i veri cacciatori/raccoglitori che eravamo, con lo sguardo, osservando occhi, movimenti, intenzioni.

Annusando istintivamente le situazioni prima ancora che “comprenderle razionalmente”.

Questo fa parte di quell’Intelligenza Inconscia, una forma di intelligenza che in questo volume andiamo ad aggiungere alle tante Intelligenze Multiple di cui disponiamo, risorse mentali e corporee così ben esposte da Howard Gardner[1].

Dell’intelligenza inconscia parla giù Freud (definendola „Unbewussten Verständnis“, o „comprensione inconscia) ma senza evidenziarla come risorsa a disposizione di tutti noi, e ancora prima ne parla il filosofo Schelling (1775 –1854)[2] individuandola come una “intelligenza della natura”, ma ancora una volta senza considerarla per ciò che può essere, una nostra preziosissima risorsa. Noi, invece, vogliamo farlo. Gardner ha dimostrato come il fenomeno “intelligenza” possa essere scomposto in una serie variegata di abilità umane distinte, quindi di diverse intelligenze: linguistica, musicale, logico-matematica, spaziale, corporeo-cinestetica, personale e Interpersonale[3], aggiungendo in seguito, quella Intra-personale legata al conoscere se stessi.

Vicina all’intelligenza Inter-personale, aggiungiamo in questo volume la categoria dell’Intelligenza Inconscia, che qui consideriamo una vera e propria skill, una competenza allenabile per l’ascolto attivo, che deriva da una connessione e da un allenamento più forte nel far dialogare la Neocorteccia (parte recente nello sviluppo del cervello), e altre aree antiche come il cervello rettile e il cervello pre-mammifero, aree abilissime a cogliere informazioni sottili ed istintive.

E qui siamo: sulla parte animale dell’uomo, sul suo “leggere lo sguardo”, sul suo “ascoltare anche il non detto”.

Saper leggere le persone, le loro finalità, richiede un ritorno a capacità ancestrali, quando l’attrazione era segnalata con gli occhi verso altri occhi, e non con un profilo social. Ora, più che mai, è tempo di imparare di nuovo a leggere le persone. Perché da un lato stiamo perdendo la capacità di riconoscere i “cattivi” o nemici, dall’altro lato facciamo di tutta l’erba un fascio e magari diciamo NO a qualcuno che non ci può fare alcun danno e anzi magari ci può portare valore.

L’ascolto attivo: Saper cogliere segnali

Urge un ritorno alle nostre sensibilità ancestrali. Urge ripristinare la capacità di percepire correttamente, prima ancora che di valutare logicamente i soli dati. Per farlo, dobbiamo saper usare in modo speciale l’ascolto, facendolo diventare una “percezione aumentata” di qualsiasi segnale entra nella nostra sfera:

  1. Segnali uditivi verbali. cos’ha appena detto Tizio all’altro tavolo?
  2. Segnali uditivi paralinguistici. Riesco a sentire lo stress vocale di una persona?
  3. Segnali tattili-aptici (in questa seggiola si è appena seduto qualcuno? È calda?), o “cosa mi dice questa stretta di mano su di te?”
  4. Segnali cinestesici-visivi: come sta oggi la squadra? Capirlo dalla falcata, dalla postura. Capirlo persino negli spogliatoi. Sembrano tranquilli o agitati? Demotivati o motivati?
  5. Segnali Olfattivi: Che cos’è questo odore di nuovo che sento nell’auto appena comprata, ci ho mai fatto caso? Sono consapevole che è un odore ingegnerizzato o penso sia frutto del caso?
  6. Segnali emotivi: come sto in questo momento, come sta la mia ansia, la mia gioia, il mio cuore, il mio sognare, il mio vivere in relazione con altri e con me stesso? E… Come sta la persona di fronte a me? Come sta respirando, cosa sta sentendo?
  7. Segnali corporali: che mestiere potrebbe fare il secondo da destra su quel tavolo, in base alla tipologia di muscolatura e come è vestito e ai segni che noto sulla pelle?
  8. Segnali olistici: chi è la persona più pericolosa o dissonante in questa carrozza di treno o in questo bar, c’è qualcuno che potrebbe essere pericoloso? In base a cosa lo noto?

I segnali sono tanti. Segnali d’amore, segnali di odio, di indifferenza, di paura, di disgusto, di amicizia. Se solo sapessimo coglierli tutti…

Ma appena cogliamo che il discorso non tocca i nostri interessi vitali, facciamo dietrofront e continuiamo nel nostro fare distratto.

La distrazione è un male dell’epoca.

La “furia dei tempi” e la fretta hanno portato l’ascolto ai livelli minimi assoluti nella storia della civiltà occidentale.

Smartphone e altri dispositivi elettronici hanno sostituito le persone, e siamo quindi diventati bravi ad “ascoltare” i segnali dei dispositivi elettronici, riconoscere un bip da un beeep, a manipolare un telefono o uno schermo touch, ma meno bravi a guardare negli occhi una persona che ci parla dal vivo e coglierne le sfumature, il tono di voce, lo sguardo, i cenni del capo, e capire cosa prova, e se mente o meno.

Nel corso del libro ci saranno decine e decine di strumenti utili per re-imparare l’arte e tecnica del “leggere le persone” – che significa praticare un “ascolto oltre le parole”. L’importante è che si accenda in noi la scintilla. La scintilla del DNA ancestrale. La scintilla della curiosità.

La furia dei tempi ha abituato gli studenti a fare quiz, test a risposta multipla, esami informatizzati, e l’esame orale va sparendo lentamente dal panorama della formazione accademica, perché “richiede troppo tempo”. Così, non impariamo più a “sintonizzarci sul Prof. e sui suoi interessi che magari abbiamo sentito a lezione”, perché è diventato inutile.

Anche nei gruppi di ragazzi e ragazze, seduti a tavola in una pizzeria, si può notare un continuo “fare”, ma con il proprio smartphone, e una assenza quasi fisica del luogo in cui le persone sono veramente, con rare, rarissime conversazioni tra i partecipanti, spesso superficiali.

Non è mai facile ascoltare. A volte è più comodo comportarsi da sordi, accendere il walkman e isolarsi da tutti. È così semplice sostituire l’ascolto con le e-mail, i messaggi e le chat, e in questo modo priviamo noi stessi di volti, sguardi e abbracci.

 

[1] Howard Gardner (1983), Frames of Mind: The Theory of Multiple Intelligences, Edition Hachette UK, 2011.

[2] Friedrich Schelling, Vom Ich als Prinzip der Philosophie oder über das Unbedingte im menschlichen Wissen (L’io come principio della Filosofia o sul fondamento della conoscenza umana), 1795

Friedrich Schelling, Ideen zu einer Philosophie der Natur (Idee per una filosofia della natura), 1797

[3] Howard Gardner (2010), Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza. Feltrinelli, Milano.

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L’ascolto attivo in Wikipedia

Ascolto

Da Wikipedia

L’ascolto è l’atto dell’ascoltare. È l’arte dello stare a sentire attentamente, del prestare orecchio. Ascoltatore è chi ascolta; ascoltare la lezione, un oratore; ascoltare con interesse tutto ciò che il professore dice. Non trattasi di atto superficiale.

In psicologia ascolto è uno strumento dei nostri cinque sensi per apprendere, conoscere il tempo e lo spazio che ci circonda e comunicare con noi stessi e il mondo circostante. L’ascolto è un processo psicologico e fisico del nostro corpo per comunicare ai nostri neuroni, al cervello che li traduce in emozioni e nozioni.

Etimologia

Dalla radice Auris “Orecchio”, latino parlato, Ascoltare è verbo transitivo. La parola ascolto nasce in italiano come derivato del verbo ascoltare, che proviene a sua volta dal latino “auscultare”, cioè sentire con l’orecchio. Il significato tradizionale del termine ascolto è appunto quello che indica in genere l’azione e il risultato dell’ascoltare ed è fortemente legato al concetto di attenzione.

Come noi ascoltiamo

Nell’ascolto c’è la componente fisica, tra orecchio e neuroni di come noi assimiliamo stimoli acustici e la componente psicologica, che è l’apprendimento attraverso i cinque sensi. Bisognerebbe parlare di tante cose sull’apprendimento, partendo da Sigmund Freud con la fase orale (che noi apprendiamo per esempio dalla bocca e i bambini attraverso quel mezzo assaporano, il gusto (freddo, amaro…), il tatto (forma, durezza, …) per capire che cos’è. È il loro primo approccio con il mondo esterno. Sempre in quel periodo c’è l’apprendimento attraverso la vista e l’udito, che poi durerà tutta la vita. L’udito è molto importante, perché la percezione dello spazio e del nostro equilibrio si basa sull’orecchio.

Una delle cose che facciamo con l’ascolto è l’apprendimento del linguaggio. Due teorici come Burrhus Skinner e Orval Hobart Mowrer, ritengono che il nostro apprendimento si realizzi attraverso le interazioni con l’ambiente. Prima si apprendono le parole e più tardi si uniscono. Per fare questo si deve ascoltare con la vista e con l’udito. Per imparare la parola mamma, il bambino sente il suono mamma, per esempio “vieni dalla mamma”. Usando sempre questa frase, vede il movimento delle labbra e l’oggetto in quel caso la mamma. Lui non ha associato subito il significato di mamma, ma è stata la ripetizione degli eventi. Questo procedimento vale in generale. Sempre con l’ascolto il bambino piccolo dice la parola mamma, perché fa delle prove vocali. Per esempio dice: “aaaa” “ma ma ma”… Fa tanti versi il neonato, e attraverso l’ascolto e la ripetizione: capisce, impara a dire, prova emozione. L’ascolto non è solo udito, ma tutto quello che noi riusciamo ad apprendere o assimilare attraverso i nostri sensi.

Usi della parola “ascolto”

La fortuna della parola ascolto è cresciuta a dismisura negli ultimi trent’anni. Fino a qualche decennio fa, infatti, la voce ascolto non si usava quasi mai autonomamente, ma serviva soprattutto per formare locuzioni con valore di avverbi come essere in ascoltorimanere in ascolto, o con valore verbale, come dare ascoltoprestare ascolto nel senso di fare attenzione. Al massimo, la funzione dell’ascoltatore poteva interessare i linguisti, i quali distinguono l’analisi del parlare, cioè della produzione dei testi di una lingua, da quella della loro comprensione.

Ancora all’inizio degli anni Sessanta, l’ascolto non aveva niente a che fare con il pubblico dei programmi radio o tivvù. L’ascolto radio non era l’indice di gradimento: secondo il più grande vocabolario della lingua italiana, la cui lettera A risale al 1961, l’ascolto radiotelegrafico era il periodo fissato, di qualche ora al giorno, durante il quale le stazioni riceventi sulle coste e sulle navi al largo restano in ascolto per captare eventuali segnali di pericolo. Oggi invece ascolto è una parola molto frequente, soprattutto quando si discute di televisione. Sembra un’incongruenza parlare in questo caso di ascolto, visto che la televisione più che ascoltarla la si guarda. Ma l’apparente incongruenza si spiega in parte come un ricordo dei tempi della radio, in parte perché la parola ascolto, nell’accezione di gradimento di un programma radiofonico o televisivo, traduce l’inglese audience, vocabolo molto usato da noi anche nella forma originaria.

© Articolo estratto con il permesso dell’autore, Dott. Daniele Trevisani dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace. Milano, Franco Angeli

Linee di azione, prototipi comportamentali, euristiche

Un elemento fondamentale del T-Chart e fondamento costitutivo del metodo sono le cosiddette Linee di Azione o Action Lines, le modalità di comportamento che troviamo, le sequenze di azioni che troviamo, e la possibilità che siano non casi isolati ma veri e propri Pattern, modelli che si ripetono.

Andare a caccia di LdA (Linee di Azione)  o Action Lines significa andare a smontare al microscopio un certo episodio, per capire come si è costruito quell’episodio, che precursori ha avuto, come la persona ha ragionato nelle varie fasi di questo episodio, cosa ha provocato cosa, quali sono stati gli antecedenti, sia fisici (es, prima ho parlato con A, poi con B), che mentali (prima pensavo fosse fattibile, poi ho iniziato ad avere dei dubbi).

Ognuna di queste frasi apre la strada a domande apposite, come se fossero alzate di pallavolo, che il Coach o professionista deve “schiacciare” con la domanda adeguata.

Quello che ci interessa in questo ascolto specifico, attivo ed empatico, è arrivare ad avere una mappa completa degli accadimenti sia fattuali che emozionali.

Questo può significare dover far emergere dei punti di svolta, degli attori, dei personaggi, dei cambiamenti interiori, dei cambiamenti nello scenario o nel contesto, degli stati dell’umore o stati mentali, riuscendo ad isolare un episodio critico, positivo o negativo che sia.

Per gli episodi positivi, andremo a caccia di “atteggiamenti efficaci” o “pattern positivi” da poter replicare.

Per gli episodi negativi, andremo a caccia di “errori comportamentali” ed “errori cognitivi” (modalità di ragionamento) ed in particolare di modelli di comportamento ricorsivi o “pattern negativi” da evitare in futuro.

Se si tratta di un successo, avremo smontato gli ingredienti critici di un caso di efficacia personale, e saremo in grado di riprenderne gli atteggiamenti. Sottolineo gli atteggiamenti, non le stesse persone, non le stesse storie, ma gli ingredienti mentali base, il Pattern di una ricetta che contiene le nostre risorse per il successo.

Se si tratta di esaminare un episodio critico invece, un episodio negativo, che si tratti di una “fregatura” o di un insuccesso, qualcosa che si colloca nel quadrante del passato negativo, magari professionale, saremo in grado di smontarlo come un gioco, esaminarne le parti, vedere come si alimenta e costruisce questo gioco, e fare in modo che in futuro nessuno giochi più con noi in questo modo, o non siamo noi stessi ad autosabotarci.

Per l’esame del passato negativo occorre sempre ricordare che si tratta di aree critiche, per cui un conto è esaminare un discorso in pubblico andato non tanto bene, all’interno di un corso sul public speaking, altro conto è esaminare un episodio di attacchi di panico.

Legalmente, occorre assicurarsi che si tratti di un evento trattabile secondo la specifica professione per la quale si è abilitati ad operare.

Dopo questa introduzione breve ma intensa, passiamo ora alla parte avanzata.

Per chi vorrà approfondire tutta la dinamica del T-Chart, così articolata e ricca di spunti per chi pratica ascolto, sviluppo personale e professionale, coaching counseling, terapia, leadership e relazioni d’aiuto, ricordo che una vera formazione può accadere soltanto all’interno di percorsi certificati, e la lettura non sostituisce mai una supervisione, anche se – utilissimo – aiuta a capire le variabili in gioco.

Altri materiali su Comunicazione, Ascolto, Empatia, Potenziale Umano e Crescita Personale disponibili in questi siti e link:

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© Articolo estratto con il permesso dell’autore, Dott. Daniele Trevisani dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace. Milano, Franco Angeli

Il T-Chart come strumento di analisi nel Coaching, Counseling, Terapia, Leadership

La valenza del T-Chart è sia avere uno strumento pratico per indirizzare l’ascolto che, come vedremo, uno strumento che si presta ad azioni precise di coaching, counseling, leadership, motivazione, sviluppo personale e professionale.

La nostra filosofia di ascolto intende esplorare come ed in quali situazioni il rapporto tra ascoltatore e ascoltato possa subire una radicale trasformazione.

Ci interessa arrivare una condizione che permetta all’ascoltatore di fare “domande potenti” per arrivare a divenire “illuminatore di percorsi risolutivi” – all’interno del T-Chart – percorsi che portano il cliente o interlocutore verso una maggiore consapevolezza dei propri pensieri ed un miglioramento sostanziale della propria prospettiva temporale.

L’ascolto assume connotati molto diversi in funzione dello scopo.

Se voglio sapere come è andata una vacanza di un amico o familiare, non andrò mai nel futuro positivo e nel futuro negativo, ma starò possibilmente sull’ascolto attivo dei momenti del passato recente. Come è andata la vacanza? Cosa avete visto di bello? Cosa hai mangiato di buono? E tra di voi come è andata? Ci sono stati degli episodi che mi vuoi raccontare? E via così.

Sarà quindi un ascolto concentrato sul passato, dove io applicherò un atteggiamento di empatia per capire non solo i nomi dei luoghi visitati ma anche e soprattutto gli stati d’animo, le emozioni, i vissuti, e le storie.

Esaminiamo invece il colloquio di coaching: Quali sono i tuoi obiettivi? Che goal vorresti raggiungere? Quando li vorresti raggiungere? Con l’aiuto di chi li potresti raggiungere? E via così. generalmente un colloquio tutto spostato al quadrante a destra in alto, orientato agli obiettivi futuri partendo dall’”ora”, e all’inquadramento delle prossime sfide e strategie migliori per esse.

Che si tratti di sfide aziendali, sportive o esistenziali, saremo in un T-Chart che parte sostanzialmente dal presente e si prolunga in un futuro positivo. Questo futuro può essere persino “aspirazionale”, lontano, per poi arrivare a trovare i primissimi “step praticabili, le azioni che possiamo fare, da subito, per dare corpo alla strategia.

Se parliamo invece di un colloquio psicoterapeutico, esso probabilmente partirà dal “Come ti senti ora? Cosa non va nella tua vita? Cosa ti porta a sentirti insoddisfatto, o infelice? Di cosa vorresti parlarmi? (in genere domande che traguardano il lato negativo).

I dati emergenti sono soprattutto legati ad un vissuto negativo, il cliente medio non va da uno psicoterapeuta per raccontare i suoi successi e vittorie, ma in genere, ha bisogno di esaminare un trauma, una fobia, uno stato di ansia o di panico, o un disagio esistenziale.

Il T-Chart partirà quindi dal “qui ed ora” per andare indietro nella zona del passato negativo, a caccia di eventi e modelli di pensiero di cui però la persona dovrebbe liberarsi, e che si stanno probabilmente trascinando nell’oggi.

Distinguere che tipo di ascolto stiamo praticando, con il T-Chart, è anche visivamente molto chiaro.

Grazie a questa  rappresentazione grafica, siamo ora in grado di comprendere meglio quali sono le specificità di un certo tipo di ascolto.

E se pratichiamo un approccio di tipo olistico, possiamo anche visualizzare il fatto che, risolti alcuni aspetti legati al passato, ora compreso ed esaminato, possiamo poi spostarci verso il futuro, per non stare solo in un “angolo del lamento” ma entrare in un “laboratorio di costruzione del futuro positivo.

Ogni professionista, in base alla Scuola di appartenenza, utilizza un modello più o meno centrato su uno dei quadranti, e persino su più quadranti.

L’importante è sapere che cosa vogliamo ascoltare, che cosa vogliamo esplorare, e che fine abbiamo. Se il fine è curare, o aiutare ad elaborare una strategia di gara, o lavorare su una relazione matrimoniale, o sullo stile di leadership. La chiarezza è tutto.

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Ascoltare la latitudine di accettazione di una persona, di un’idea, di un prodotto, di un servizio, di un concetto

La comunicazione è sempre interculturale e l’ascolto è sempre interculturale. È un incontro tra culture e background diversi, e se ci pensiamo bene, queste diversità non sono solo nazionali o etniche, ma persino professionali o legati agli studi compiuti, e alle famiglie e zone di provenienza, vi sono diversità culturali persino con la persona che ci abita accanto.

Essere diplomato in ragioneria o al liceo classico, piuttosto che come perito elettronico o ad un liceo artistico, provoca mutazioni nel modo di pensare. Lo stesso in base alla città di nascita, o alla diversa professione compiuta, e alla diversa cultura della famiglia di provenienza.

“Abbiamo tutti dentro un mondo di cose: ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci, signore, se nelle parole ch’io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo com’egli l’ha dentro? Crediamo di intenderci; non ci intendiamo mai!”

Luigi Pirandello

Se si parte dal principio che ascoltare e intendersi sia un risultato che merita sforzo, e non una caramella magica, partiremo probabilmente con più attenzioni e più cure.

Per questo, ascoltare non significa solo “far entrare parole dalle orecchie”, ma svolgere una pratica ben più raffinata.

  1. Ascoltare gli altri ad un livello più profondo delle singole parole: saper cogliere le credenze che emergono durante l’ascolto, le convinzioni politiche, religiose, gli stati d’animo, la personalità, il livello di energia emergente in una persona, le cose che pensa e magari non dice, il volto, il linguaggio del corpo, e cosa fa mentre parla;
  2. ascoltare se stessi mentre si ascolta: come evolvono le mie emozioni interne in base a quanto sto ascoltando? Sono concentrato o deconcentrato? Quello che ascolto mi piace o mi fa arrabbiare, mi acquieta o mi agita? L’ascolto di sè stessi – autoascolto – è un elemento fondamentale del processo globale di ascolto

Fare buona comunicazione significa avere la capacità di attivare un flusso di ascolto che faccia emergere elementi localizzati in un sistema diverso dal nostro, e far passare messaggi attraverso barriere culturali.

Diamo tutti troppo per scontato che gli altri ci capiscano, quasi fosse un automatismo. Non lo è!

Ad esempio, se cito Proust o Pirandello, do per scontato che l’altro abbia un background umanistico e letterario. Se parlo di ROI (Return on Investment, il ritorno su un investimento) o peggio di “partita doppia”, sto dando per scontato che l’altro abbia una formazione aziendalista.

Se ascolto molto bene e ho le conoscenze che mi servono, saprò anche dedurre che quando cita il termine “partita doppia”, molto probabilmente è una persona di età medio-avanzata, si è formato in un periodo pre-informatico, in cui la contabilità era soprattutto manuale e i calcoli fatti a mano o con calcolatrice, ma non con il computer.

Se invece la persona mi parla di un E.R.P (Enterprise Resource Planning – software di gestione delle risorse aziendali) probabilmente abbiamo a che fare sempre con un aziendalista, ma più moderno, probabilmente più giovane, con una formazione più recente.

L’ascolto diventa quindi una forma di percezione aumentata, e ancora una volta, può portarci molte più informazioni di quante il parlante avesse intenzione di darne.

“Cercare di vedere le cose in profondità e vederle attraverso la propria interpretazione personale sono due modalità completamente diverse.”

Banana Yoshimoto

Durante l’ascolto emergono e si parla di idee, persone, concetti.

È importante osservare le reazioni della persona.

In particolare il professionista dovrà analizzare attentamente i segnali verbali e non verbali che informano rispetto alla latitudine di accettazione dell’interlocutore, la reazione emotiva di accettazione/neutralità/rifiuto e la sua intensità, che il soggetto produce nel parlare.

Es.

  • Coach “Abbiamo parlato di auto di grossa cilindrata”
  • Supervisore: Ok, ma secondo te, ne parlava con apprezzamento, con neutralità, o con disprezzo?

Come vedete il supervisore in questo caso invita ad andare a cercare la “sensazione sentita” o atteggiamento della persona rispetto all’oggetto del discorso.

Come ho già evidenziato in altri testi, in particolare in “Psicologia di Marketing e Comunicazione”:

All’interno di una popolazione ampia, spesso la distribuzione degli atteggiamenti preesistenti assume una forma di curva normale (curva gaussiana, in termini statistici), che vede la presenza di un’area di soggetti fortemente positivi, una massa di “incerti” o persone che detengono atteggiamenti deboli, e un’area di soggetti con atteggiamenti negativi. Occorre quindi, per il venditore, capire questo scenario di atteggiamenti preesistenti, poiché con questo quadro egli dovrà confrontarsi.

Segmentazione attitudinale del cliente

Il termine “attitude” nella terminologia psicologica e di marketing anglosassone risponde all’equivalente italiano di “atteggiamento”. Con una piccola traslazione linguistica, utilizzeremo questo termine per definire il concetto di “segmentazione attitudinale”, intesa come stratificazione del mercato in funzione degli atteggiamenti preesistenti.

La nostra tecnica individua cinque macrogruppi, differenziati in termini di posizioni latenti verso il prodotto.

Il nostro ascolto, quando è finalizzato a capire il livello di gradimento di una proposta, deve poter categorizzare la persona che abbiamo di fronte in uno di questi gruppi:

  • Gruppo A: soggetti aperti e disponibili che dispongono di atteggiamenti fortemente positivi; le credenze possedute sono tutte positive e rilevanti.
  • Gruppo B: i soggetti dispongono di atteggiamenti positivi ma di valenza debole o moderata. Questi soggetti possono collocarsi in B anche quando a credenze positive (prevalenti) si sommano credenze negative (minoritarie).
  • Gruppo C: soggetti che non dispongono di un chiaro orientamento, per indisponibilità di esperienze precedenti o difficoltà nel valutare, o non conoscenza della materia.
  • Gruppo D: soggetti moderatamente negativi. La negatività può provenire o dal riconoscere solo punti negativi, o dal riconoscere più punti negativi (o di maggiore intensità) rispetto a quelli positivi. Eventuali punti positivi, nel quadro di atteggiamenti complessivo verso il prodotto o la proposta, diventano minoritari.
  • Gruppo E: soggetti fortemente negativi; le credenze negative possono essere numerose e sommarsi, oppure possono essere poche ma di intensità molto alta, tali da mettere in secondo piano qualsiasi altra possibile valutazione.

Questi diversi stadi corrispondono a diverse realtà psicologiche che possiamo trovare ascoltando attivamente.

La segmentazione attitudinale (identificazione di sottogruppi diversificati in funzione degli atteggiamenti esistenti), ha lo scopo di:

  • inquadrare la struttura degli atteggiamenti preesistenti,
  • identificare i target prioritari,
  • definire strategie di attacco ai diversi target.

Supervisore: E tornando all’esempio di prima, la persona con cui hai parlato sarebbe un A, un B un C, un D, o un E, rispetto alle auto di grossa cilindrata? Lo hai colto?

Mentre realizziamo l’ascolto attivo ricordiamo sempre alcune regole basilari:

Segnali che esprimono interesse verso l’interlocutore:

  • sorrisi; viso che si apre;
  • commenti non verbali positivi;
  • richieste di precisazione;
  • richieste relativi a dubbi o obiezioni;
  • domande di reale interesse e approfondimento;
  • segnali di attenzione visiva.

Alcuni segnali che esprimono disinteresse:

  • orientamento del corpo verso altre direzioni;
  • mancanza di cenni di ascolto;
  • dinieghi svolti con il corpo;
  • smorfie e cenni di disapprovazione.

Altri materiali su Comunicazione, Ascolto, Empatia, Potenziale Umano e Crescita Personale disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

© Articolo estratto con il permesso dell’autore, Dott. Daniele Trevisani dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace. Milano, Franco Angeli

Come Ascoltare Empaticamente

L’ascolto attivo ci chiede di apprendere diverse competenze:

  • capire le emozioni che viviamo in ogni preciso istante
  • capire come il nostro corpo reagisce alle comunicazioni altrui (es.: tensioni muscolari, sudore)
  • imparare a rilassarsi, a non subire le emozioni,
  • imparare a vivere i tempi entro quadranti che siano più produttivi per noi.

È necessario imparare a trovare l’orientamento, non sorprenderci dal sentirsi noi disorientati o trovare disorientamento iniziale nel soggetto che pratica questa tecnica.

È necessario prendersi i propri tempi, senza rinunciare.

Quando ci si sente disorientati, il suggerimento è quello di rallentare, lasciare che il focusing e l’introspezione facciano il proprio lavoro e non avere fretta di chissà quale magico risultato.

Se anche solo una connessione emotiva o un’ancora emotiva trova un appiglio, quello sarà già un grande risultato empatico.

Le stesse competenze sono valide anche per l’osservazione del quadro emotivo che viviamo noi, o che la controparte esprime, anche non verbalmente e tramite segnali deboli.

Non tutto l’ascolto è fatto di domande. Larga parte è fatta di attenta osservazione, di percezione fine, di osservazione mirata.

Si ascolta anche per ascoltare quello che le persone non dicono e non solo ciò che dicono.

Allora, ascoltare bene diventa una sfida, l’empatia diventa una sfida. Ed è solo quando ti trovi di fronte ad una sfida che puoi andare a scavare nelle tue risorse, in quello che hai dentro veramente

Nella vita è molto importante imparare ad ascoltare quello che non ti dicono.
(Heart_Hamal, Twitter)

Spesso una delle cose meno dette è l’emozione in corso.

Per la strada è raro vedere persone andarsene in giro dichiarando apertamente a sconosciuti le proprie emozioni, per paura che gli altri se ne servano. Ma nell’ascolto, è fondamentale imparare ad osservarle.

Il fatto di inquadrare le diverse forze emotive in gioco, discernere le emozioni come intense, intermedie o deboli, di dare loro un’etichetta, permette di parlarne con maggiore specificità.

Permette inoltre di localizzare meglio le diverse emozioni miste (Mixed Emotions), le condizioni in cui sono compresenti più emozioni contemporaneamente, situazione simile a quella in cui in una stanza vi siano più radio accese che trasmettono più canzoni contemporaneamente.

Decodificare i diversi segnali e uscire dalla confusione dei segnali e delle “voci” richiede strumenti di differenziazione, strumenti di analisi e ascolto raffinati.

Nell’esempio, osserviamo un ulteriore modello di stati emotivi esistente in letteratura.

Questo modello, o altri similari, possono offrire un grande contributo per giungere ad una possibilità di consapevolezza aumentata sui diversi vissuti che li accompagnano, e rendere possibile la loro rivisitazione.

Come abbiamo notato, è importante “vedere” non solo quali emozioni si attivano in relazione alle azioni da intraprendere. Anche la modalità per raggiungere il risultato è importante.

La perseveranza viene sempre ripagata quando si tratta di migliorare l’ascolto attivo e l’empatia.

Ogni qualvolta cerchiamo di essere migliori di quello che siamo, anche tutto quanto ci circonda diventa migliore.

 (Paulo Coelho)

La vita quotidiana ci offre continui spunti per allenare le nostre capacità di riconoscimento emotivo. Se odio pulire le scarpe infangate utilizzando una spazzola, e adoro farlo con un getto d’acqua o idropulitrice, di questo dovrò tenere conto. Posso iniziare ad ascoltare partendo da me stesso.

Nel primo caso avremo infatti ottenuto scarpe pulite ma con forte dispendio emotivo (e successiva riduzione di energie per altre azioni), nel secondo caso non solo le scarpe saranno pulite (obiettivo primario), ma ci saremo divertiti, e i nostri budget energetici saranno disponibili per altre azioni, e questo non è poco. Ascoltare non è diverso. Possiamo ascoltare per lo scopo unico di estrarre informazioni, o avere il piacere di ascoltare. Non è sufficiente quindi credere nell’obiettivo, ma trovare soddisfazione nel percorso, nelle modalità, esplorarle come flusso esperienziale positivo. Spesso fare un lavoro sulle emozioni permette di far riemergere dall’oscurità ricordi e stati d’animo repressi, soffocati, dimenticati, ma che avevano bisogno di esprimersi.

Se questo è vero per azioni minimali, immaginiamo quanto sia importante per obiettivi molto più sfidanti, in cui è necessario saper dare tutto di se stessi, come le performance sportive, gli ambienti ad alto rischio, le imprese ingegneristiche.

Tutte queste situazioni sono intrise del fattore più difficile da gestire, il fattore umano. E ascoltare cosa le persone sentono, è uno dei modi migliori per scovare i problemi prima che diventino guai.

La perfezione non esiste – ma puoi sempre fare meglio e puoi sempre crescere.

 (Les Brown)

La sfida è elevata negli obiettivi alti e complessi, ma non è da meno quando riguarda le azioni ripetute, in cui il nemico diventa la noia e la ripetitività. I compiti sono spesso ripetitivi e quotidiani. Un compito come la relazione d’aiuto, la consulenza, la vendita o la negoziazione, se vissuto con sfondo emotivo sbagliato, diventa corrosione dell’anima, di se stessi, e della volontà.

Se vissuto con piacere, è un flusso esperienziale che ci accompagna e ci diverte in ogni singolo contatto. Questo vale per ogni lato della vita umana. Ne sono esempi l’allenamento fisico, che richiede sessioni quotidiane, il lavoro quotidiano (in qualsiasi professione), e le azioni quotidiane che un genitore, marito, o moglie svolgono a favore della propria famiglia, dal lavare i piatti, al fare la spesa, cambiare i pannolini, sino alle azioni minimali di ogni giorno. Ciascuna di queste può essere vissuta come piacere o fastidio.

Larga parte delle azioni di coaching per il potenziale e le performance di ascolto consiste nel:

  1. trovare le modalità migliori per conseguire l’obiettivo, ma anche
  2. nel cambiare obiettivi che non ci attivano davvero, goals che in realtà non hanno valenza per noi, trovare ciò che ci motiva davvero,
  3. saper gustare/apprezzare il flusso esperienziale come valore in sé (spostare l’attenzione dall’obiettivo puro al “percorso” come valore addizionale).

L’insieme delle percezioni inerenti sia l’azione che l’obiettivo diventa materiale di lavoro nel coaching finalizzato a potenziare la capacità di ascolto, affinché l’individuo sia in grado di vivere con maggiore piacere, energia, armonia, efficacia, le sue azioni in entrambi i piani.

Gli strumenti di coaching possono utilizzare tecniche anche sofisticate per l’analisi dello sfondo emotivo che accompagna un’azione, come il “solido emozionale” di Plutchik, e altri strumenti derivanti dalla ricerca sulle emozioni e sull’intelligenza emotiva.

Ascoltare empaticamente può diventare tanto piacevole quanto lo è fare dell’escursionismo: è un escursionismo nelle menti altrui,Daniele Trevisani


Altri materiali su Comunicazione, Ascolto, Empatia, Potenziale Umano e Crescita Personale disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

© Articolo estratto con il permesso dell’autore, Dott. Daniele Trevisani dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace. Milano, Franco Angeli

Turn-Taking: la gestione dei turni di parola

Le linee di conversazione rappresentano gli assi ideali che congiungono due soggetti impegnati nella conversazione.

Le linee di conversazione sono ciò che unisce due persone durante una fase di ascolto. In ogni colloquio, senza una linea di conversazione, non ci sarebbe alcuna forma di comunicazione.

Le linee di conversazione si creano con lo sguardo, con la parola, con un gesto, con il tocco. Con qualsiasi mezzo della comunicazione verbale e non verbale possiamo avviare una linea di conversazione.

La delicatezza nel creare una linea, è fondamentale, in quanto in fondo si tratta di entrare nello spazio psicologico altrui.

Una parola delicata, uno sguardo gentile, un sorriso bonario possono plasmare meraviglie e compiere miracoli.

 (William Hazlitt)

  • Interrompere due persone che parlano significa rompere la loro immaginaria linea di conversazione.
  • Dare il turno ad una persona significa stabilire una linea di conversazione tra se stessi e un altro soggetto.
  • Invitare due persone a confrontare un punto significa stabilire una linea di conversazione tra i due soggetti.

Le linee di conversazione possono essere sia manifeste ed evidenti (tramite il sistema verbale) che sotterrane e sottilmente mascherate (tramite il sistema non verbale, segnali, gesti, cenni, come nel caso di due giocatori di poker che si stiano scambiando informazioni in modo sotterraneo o tramite codici).

Anche il solo fatto di fare un cenno di assenso o diniego verso una persona presente all’interazione significa stabilire – anche se per brevi istanti, frazioni di secondo – una linea di conversazione, attuata in questo caso come dialogo non verbale.

L’ascolto attivo richiede la capacità di gestire i turni di parola: quando parlo io, e cosa dico – quando parli tu, e cosa dirai.

I turni di parola sono un fenomeno molto elaborato, studiato nell’Analisi della Conversazione, per cui nell’ascolto attivo vanno gestiti meticolosamente.

I meccanismi di gestione dei turni di parola sono estremamente complessi, sebbene praticati da ciascuno di noi ogni giorno.

Voler parlare è quasi una forza primordiale, una forza da tenere a bada, se vogliamo praticare l’ascolto. Voler parlare, e avere anche ragione, è altra forza primordiale. E ricordiamo, questa è una delle massime consigliate da Paul Watzlawick per rendersi immediatamente infelici: “Si tratta, in fondo, della convinzione secondo cui c’è un unico punto di vista valido: il proprio”.

Cedere il turno di parola e ascoltare il punto di vista altrui, è un modo per annullare questa sventura.

Uno dei principali obiettivi del training negoziale e di ascolto nel metodo ALM è quello di stimolare il negoziatore ad ascoltare, a non interrompere o farlo il meno possibile e solo per motivi estremamente seri e consapevoli. Ad esempio, è utile imparare a fare dei Recap o ricapitolazioni, o chiedere il permesso di prendersi un appunto, e ricordando sempre che un’interruzione del turno di parola ha spesso bisogno di una riparazione (repair).

Il flusso informativo che proviene dagli interlocutori è estremamente prezioso, ricco di “pepite informative”, e richiede l’abbandono di una “strategia di inondamento informativo” tipica della comunicazione aggressiva, verso una strategia dell’ascolto.

Io non conosco nessun altro segno di superiorità nell’uomo

che quello di essere gentile.

 (Ludwig van Beethoven)

Il training alla gestione dei turni sviluppa le capacità del negoziatore in fasi delicate, come:

  1. riconoscere i meccanismi di gestione dei turni;
  2. saper come entrare nella conversazione rispettando le regole;
  3. identificare i momenti e strategie di ingresso e di uscita dalla conversazione;
  4. creare le mosse di riparazione adeguate (repair) a fronte di mosse che possono essere percepite come offensive;
  5. applicare una leadership conversazionale, consistente nel prendere le redini dei turni e divenire gestore di turni, morbidamente, e senza forzature.
  6. utilizzare i turni conversazionali soprattutto per far parlare l’altro (quando lo scopo sia l’ascolto attivo ed empatico).

Questo significa anche auto-monitorarsi, dirsi mentalmente la frase “sto parlando troppo io! Malissimo, adesso devo cedere il turno di parola, e fare una domanda che permetta all’altro di partire con un suo discorso” e fare il possibile affinché l’altro sia la persona che parla, e io l’ascoltatore.


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Dr. Daniele Trevisani - Formazione Aziendale, Ricerca, Coaching