Tag

analisi dell’incomunicabilità

Browsing

L’incomunicabilità viene descritta nel “Modello delle 4 Distanze” (4 Distances Model) come uno stato dovuto alla presenza di una o più “distanze” tra i due comunicatori:

D1 – Distanza 1: differenze nei ruoli e personalità, tali da rendere impossibile l’accettazione del ruolo e quindi rompere la comunicazione per “inaccettazione dell’altro”

D2 – Distanza 2: differenze che possono riguardare o il tema della conversazione (A vuole parlare di un tema, B di un altro, e nessuno è disposto ad “andare incontro” all’esigenza altrui), oppure incomunicabilità di codice, non avere un codice comune e condiviso per poter comunicare, che si tratti di una lingua vera e propria, o di uno stile comunicativo almeno in parte comune.

D3 – Divergenze nei valori, nelle ideologie, nelle credenze personali – di portata tale da essere totalmente incompatibili tra i due comunicatori, e bloccare la comunicazione, o provocare il ritiro di una delle due parti, non appena emergono.

Dopo questo riassunto delle prime tre distanze, passiamo alla D4 – Distanza Referenziale o Distanza Esperienziale. Il tema della D4, e della rottura della comunicazione lungo la D4, riguarda l’incomunicabilità delle esperienze, o il fatto di avere fatto esperienze completamente diverse di una situazione, o ancora non avere mai condiviso un certo referente, sia esso un oggetto, una situazione, o uno stato emotivo. La esponiamo prima in modo grafico, per poi entrare nei dettagli.

D4 -Incomunicabilità esperienziale

Ci sono esperienze che sono difficilmente comunicabili, altre che non sono comunicabili per niente. Lo sforzo della comunicazione empatica infatti è quello di comprendere esperienze e stati d’animo che noi non abbiamo potuto vivere, capendole come se fossimo la persona che parla. Compito arduo, ma non impossibile. Per certi temi, invece, esiste una sostanziale incomunicabilità di fondo, soprattutto per le sensazioni fisiche, viscerali, corporee,. Trovare forme per trasmettere il “bodily-felt sense” (sensazione corporea provata) è una competenza ancora veramente embrionale per la razza umana., e lo si fa in modo molto primitivo e spesso poco efficace.

La saggezza non è comunicabile. La scienza si può comunicare, ma la saggezza no. Si può trovarla, viverla, si possono fare miracoli con essa, ma spiegarla e insegnarla non si può.
(Hermann Hesse)

Avete mai visto un taxi in un paese orientale, costituito da un triciclo a motore colorato. Ebbene, si usa la stessa parola “taxi” anche per indicare una lussuosa berlina di rappresentanza che puoi prendere all’uscita dell’aeroporto di Amsterdam o New York.

Se non sono mai stato su un taxi colorato a tre ruote, la mia immagine mentale del taxi sarà quella che si è formata in base alla mia esperienza di vita.

E se due persone interagiscono usando lo stesso termine, per due esperienze di vita o oggetti mentali diversi, abbiamo una rottura comunicativa.

Questo vale per tantissime altre cose. Possiamo garantire che la nostra immagine mentale di cosa sia un matrimonio, formatasi in seguito alla partecipazione ad alcuni matrimoni in Italia, si adatta malissimo a quello che potrebbe essere un matrimonio in Asia, in Africa, in Giappone, o in un paese Arabo. Usiamo sì la stessa parola – “matrimonio” – possiamo anche tradurla in una “lingua di mezzo” come l’inglese con “marriage”, ma l’immagine mentale che vi si associa, sarà assolutamente basata sulle diverse esperienze di ciascuno. In altre parole, spesso pensiamo di parlare della stessa cosa, ma non lo stiamo facendo. Da lì ad accadere malintesi, incomprensioni e disaccordi, passa poco.

Parlarsi chiaro vuol dire anche quindi spendere qualche parola in più per “metacomunicare”, per “parlare sulle parole”, spiegare i termini e la nostra immagine mentale e cosa noi intendiamo per un “matrimonio”, o un piatto di spaghetti. Chi sia stato all’estero e abbia visto, ad esempio, gli spaghetti come vengono fatti e presentati, magari con marmellata e stracotti, ha provato quest’esperienza, e sa che non è bene dare per scontato che tutti abbiano le stesse percezioni e significati rispetto ad un termine linguistico.

La D4 ci parla anche delle esperienze intraducibili, quelle che puoi condividere solo ed unicamente con chi ha avuto la stessa o simile esperienza.

Ad esempio, “fare una derapata controllata” con una moto da cross o da enduro, è un’esperienza che può aver fatto solo chi ha guidato una moto da cross o da enduro di una certa potenza, e con parecchia pratica alle spalle. Questo verbo contiene in sé la sensazione di perdita di controllo della ruota posteriore che viene continuamente riallineata tramite il comando del gas, esperienza interiore e sensoriale, ma anche emotiva, che può essere espressa a voce, ma mai davvero provata come chi l’ha davvero vissuta.

Questo vale per praticamente tutte le azioni che l’altro con cui comunichiamo non abbia esperito direttamente.

Gendlin e Rogers ci parlano del concetto dei “referenti diretti”: sono quegli stati corporei o mentali che l’individuo percepisce ma che non hanno ancora trovato una manifestazione esterna nella parola. In altre parole sono sensazioni provate ma non ancora uscite o comunicate ad alcuno. Sono condizioni “pre-verbali” che vengono comunicate a fatica proprio perché estremamente soggettive.

Perché tale difficoltà a comunicare? Da un lato si tratta di materiale pre-verbale, quindi non di testo scritto da trasmettere, ma di sensazioni interne, che il linguaggio stesso fatica a catturare. Dall’altro lato, come osserva Gendlin, l’uso della parola “referente” esprime un particolare tipo di sensazione ancora non chiara, alla quale il cliente di una sessione di psicoterapia si riferisce[1]. Il fatto stesso di dare voce a questa sensazione è un atto liberatorio e terapeutico.

Un concetto fondamentale per la comunicazione è quello del “Felt Sense” o “sensazione provata”, sviluppato da Carl Rogers. Questo concetto è importante perché ci avvicina alla vera natura della comunicazione: l’incontro e lo scambio comunicativo sono sempre connotati dai tentativi di espressione di qualche tipo di sensazione difficile da esprimere, un incontro comunicativo tra i “felt sense”, e ciè che emerge nella comunicazione è abbastanza lontano dall’avvicinarsi ad una oggettiva. Il “ponte” che la parola e il messaggio cercano di costruire, è tra i “felt sense” delle persone, per cui non c’è da meravigliarsi su quanto sia difficile comunicare alle persone correttamente come stiamo, ascoltare, ed essere chiari quando il tema conversazionale riguarda i sentimenti e le emozioni, gli stati d’animo, e non oggetti fisici.

E anche quando si tratta di cercare di trasmettere informazioni su oggetti fisici, es. un disegno geometrico da far riprodurre ad un compagno di formazione, nella mia esperienza ho notato che la quota di distorsione del messaggio era sempre grandissima, per cui l’oggetto di partenza, es, un insieme di quadrati e rettangoli, disposti su un foglio, diventava un caos nel disegno finale che il ricevente produceva potendosi fidare e affidare solo alla comunicazione altrui.

In altre parole, stiamo attenti a dare per scontato di essere capiti facilmente, e di capire facilmente i concetti altrui. Teniamo sempre aperta la porta che ci segnala quanto sia facile e probabile che avvengano incomprensioni e malintesi, e molto probabilmente avremo ragione.

Definite sempre un termine quando lo introducete per la prima volta. Se non sapete definirlo evitatelo. Se è uno dei termini principali della vostra tesi e non riuscite a definirlo piantate lì tutto. Avete sbagliato tesi (o mestiere).
(Umberto Eco)

[1] Akiko Doi, & Ikemi, Akira (2003). How getting in touch with feelings happens: The process of Referencing. In: Journal of Humanistic Psychology, Vol 43 no. 4, Fall 2003.

____

Per ricevere aggiornamenti sui nuovi articoli in uscita e inviti alle presentazioni del libro da cui proviene questo articolo, è bene iscriversi al blog.

 

http://www.youtube.com/watch?v=A4VCqrn19u8

D2 – Distanze Valoriali tra Comunicatori

Ogni volta che devo prendere una decisione, ogni volta che mi relaziono con gli altri, inevitabilmente contatto un mio valore. E la D2 è proprio la distanza tra valori che le persone portano con se mentre comunicano l’uno con l’altro.

Un esempio di valore forte è il Principio della 7° Generazione, è un valore. Si tratta di pensare in avanti, per ogni nostra scelta valoriale, chiedendosi se questa scelta sarà di beneficio alle generazioni che seguono, fino alla 7° Generazione. In pratica, ci chiede di confrontarci su cosa stiamo lasciando ai giovani e ai posteri con le nostre scelte di adesso. È un principio utilizzato dagli Indiani d’America Iroquesi, chiamato la Grande Legge degli Iroquesi. Un concetto che esorta l’attuale generazione di esseri umani a vivere e lavorare per il beneficio della settima generazione nel futuro ha certamente un impatto sul nostro pensiero, e sul nostro comunicare, sul contenuto e persino sullo stile comunicativo. Oren Lyons, capo degli Irochesi, scrive:

“Stiamo guardando avanti, perché uno dei primi mandati che ci sono stati affidati come capi, è essere sicuri che ogni decisione che prendiamo riguardi il benessere e il benessere del la settima generazione a venire. … Cosa ne sarà della settima generazione? Dove li stai portando? Che cosa avranno?[1]

Oren Lyons, Capo degli Haudenosaunee (Iroquois)

Se io sento questo principio forte in me, e vedo una macchina buttare fuori un sacco di pattume in strada, è ovvio che nasce un immediato contrasto, ed è probabilmente un contrasto giusto, dal mio punto di vista. Potrò persino fermare quella macchina e chiedergli di raccogliere quel sacco. Uno dei miei video postati sul mio canale youtube mostra proprio un comportamento di questo tipo, dove dei giovani scendono per far raccogliere spazzatura gettata dall’auto avanti, e gliela rigettano dentro. È uno dei video più visti e più approvati di tutto il mio canale, segno che questo valore è forte in molti occidentali oggi.

D4 – Distanza Referenziale – Distanza tra le Esperienze

La D4 è la distanza referenziale, la distanza tra i vissuti personali.

Ognuno di noi vive dei “referenti”, in semiotica i “referenti” sono dei tratti di realtà con cui siamo a contatto. I referenti possono essere fisici e materiali (come un telefono cellulare sto toccando o guardando) o mentali, spirituali, emotivi, come stati d’animo e pensieri che vivo.

I nostri referenti hanno sempre un possibile grado di differenza, persino i referenti che stiamo osservando entrambi, vengono percepiti con il filtro della mente e filtri percettivi, che ce ne fanno vedere e cogliere alcuni aspetti specifici mentre altri non vengono osservati, seppur presenti.

Gli esercizi di condivisione dei referenti, sia fisici che emotivi, sono utilissimi per trovare canali di comunicazione più raffinati per la nostra comunicazione e per condividere dei concetti (dei referenti concettuali o mentali, idee o progetti). I referenti emotivi sono “stati psicofisiologici” che la persona sente dentro mentre medita, mentre vive, mentre si ascolta, e descriverli è certamente difficile.

La Distanza Referenziale può essere forte o debole, in funzione di quanta “comunalità” esiste tra i nostri passati.

La formazione per la comunicazione emozionale fa si che si possa passare da una comunicazione fatta di etichette emotive grezze, poco centrate, a etichette emotive sempre più sottili e sempre più vicine alla realtà esperita davvero dalla persona.

La formazione alla comunicazione funziona anche per la comunicazione in pubblico. Ad esempio, nel public speaking possiamo chiederci:

  • D1 – Con che ruolo è bene che io mi presenti, in funzione del tipo di persone che ci sono nella platea? Ci sono dei ruoli che possono creare negazione o repulsione (es. presentarsi come “militarista” ad un pubblico di “pacifisti”, presentarsi come “esperto in grigliate di carne” di fronte ad un pubblico di vegani, ma anche insegnare (avere il ruolo di Maestro o docente) ad un pubblico che non ha voglia di imparare e quindi mettersi nella posizione o status di allievo.
  • D2 – Con che stile comunicativo potrà il mio discorso suscitare interesse ed essere compreso? Uno stile aulico, poetico, direttivo, arrogante, mistico, e tantissimi altri possibili stili. Ogni stile produce specifici risultati. Tra una comunicazione “mistica” e una comunicazione “aggressiva” ci sono dei gradienti intermedi, ad esempio, una messaggio può iniziare richiamando un valore, avere una parte centrale che si concentra su fatti e compiti da svolgere, e una chiusura motivazionale che torna ai valori condivisi. Questo significa dividere la comunicazione in “frames” specifici.
  • D3 – Che valori voglio esprimere e quanti di questi verranno capiti e condivisi? Voglio persuadere o solo essere in linea con i valori dell’audience. Voglio dire alle persone quello che vogliono, o voglio fare una comunicazione che cambi qualcosa?
  • D4 – A quali esperienze passate comuni (esperienze archetipiche) posso fare riferimento per aumentare la comprensibilità del messaggio e dei valori che sto portando avanti? Le esperienze archetipiche sono esperienze che valgono al di la dello spazio e del tempo, ad esempio avere lavorato in condizioni di scadenze molto strette, di qualsiasi cosa si tratti, ha creato un referente comune. Gli operai che lavorano in catene di montaggio di gruppi multinazionali, e ricoprono ruoli simili, hanno moltissimi referenti comuni, sebbene non si conoscano nè parlino le rispettive lingue.

L’incomunicabilità è un processo che in larga misura può essere risolto, se c’è la volontà di entrambe le parti di lavorarci sopra. Se c’è un atteggiamento di fondo, un valore che dice “non mi interessa assolutamente niente condividere qualcosa con te, o con l’altro”, l’incomunicabilità è invece garantita.

 

Esempio di Analisi di Episodi (AdE) con il modello 4 Distances Model

Il caso del Tapis Roulant

Una mattina un ragazzo si reca in palestra. Sale sul Tapis Roulant e comincia a correre. Dopo 10 minuti, spinge il tasto STOP e con un lieve balzo si poggia sui lati della macchina. Scende e sale su un’altro attrezzo. Un signore anziano si reca dal ragazzo e lo rimprovera per “avere lasciato la macchina accesa perchè è molto pericolosa così”. La risposta del ragazzo è “si ma io ho spinto il tasto STOP“. L’anziano ribadisce che la macchina fosse in movimento, il ragazzo chiude con un “Ok ok”. In questo caso la D1 non è significativa perchè il ragazzo accetta la comunicazione dell’anziano anche se di tipo Top-Down (rimprovero), chiedendosi se ci sia del vero in quanto dice. La D2 non è significativa in quanto i due si comprendono linguisticamente alla perfezione. La D3 è solo apparentemente significativa. L’anziano ha un valore elevato nella sicurezza, ma anche il giovane, e come vedremo il vero problema è nella D4, la distanza referenziale. Infatti il giovane è sceso dalla macchina convinto che avendo spinto il tasto STOP nell’arco di due secondi la macchina si sarebbe arrestata. Per inerzia la macchina ha invece continuato per altri 5 o 6 secondi. L’anziano ha visto solo circa 10 secondi di scena, cogliendo la quale sembra effettivamente che il ragazzo fosse saltato giù lasciando la macchina in corsa rapida. Chi abbia ragione in questo caso non è il tema. Sicuramente l’inesperienza del ragazzo sull’uso di quello specifico Tapis Roulant ha avuto un ruolo. Allo stesso tempo ha avuto un ruolo il fatto che l’anziano abbia visto solo un breve frame, probabilmente 6-8 secondi e abbia giudicato in base a qello. Di fatto però la D4 o Distanza Referenziale (o Esperienziale) è molto alta. L’avvenimento è uno solo, ma le percezioni di quell’avvenimento sono due, e sono contrapposte. Il ragazzo era convinto di avere effettuato una procedura corretta e di avere ragione. L’anziano era certo che il ragazzo fosse una persona disattenta alle regole della sicurezza e lo ha rimproverato. Sicuramente, con spirito di apertura, il ragazzo potrà fare tesoro di questa esperienza e scendere dal Tapis Roulant solo dopo che la macchina abbia compiuto un arresto totale. Ma di fatto, se non fosse stata accettata la D1, l’episodio sarebbe diventato un conflitto anche abbastanza grave, in pubblico e con possibili escalation.

Vecsey C, Venables RW (Editors) (1980), An Iroquois Perspective. Pp. 173, 174 in American Indian Environments: Ecological Issues in Native American History. Syracuse University Press, New York.

Visualizzazione del 4 Distances Model (Modello delle Quattro Distanze) in versione grafica

le 4 distanze della comunicazione umana

Copyright dott. Daniele Trevisani www.danieletrevisani.com www.medialab-research.com www.danieletrevisani.com

Anteprima editoriale riservata

 

Dr. Daniele Trevisani - Formazione Aziendale, Ricerca, Coaching