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© Articolo estratto con il permesso dell’autore, Dott. Daniele Trevisani dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace. Milano, Franco Angeli

L’Analisi della Conversazione è una vera e propria disciplina scientifica

Nota nel mondo anglosassone delle scienze della Comunicazione come Conversation Analysis (CA), si occupa proprio di esaminare questo fenomeno così quotidiano eppure così complicato.

Ne abbiamo già parlato, tuttavia servono approfondimenti perché l’ascolto, senza un’analisi del meccanismo in cui è inserito (la conversazione) sarebbe ben poco affrontabile.

Noteremo subito che l’ascolto è un momento speciale della conversazione, è l’interruzione di un noioso ping-pong dove uno cerca di parlare sull’altro o avere sempre l’ultima parola. È in altre parole, un disintossicante delle conversazioni.

L’analisi della Conversazione ci invita innanzitutto a riconoscere il formato di conversazione in corso, il tipo di conversazione che sta accadendo all’interno di un gruppo o tra due persone, attraverso un’attenta lettura dei segnali verbali, paralinguistici e non verbali che scorrono tra le persone.

Con un adeguato addestramento ed elevata sensibilità naturale, è possibile cogliere in poche battute quali siano gli “stati conversazionali” che predominano in una comunicazione.

Per “stati conversazionali” intendiamo qui una sequenza di mosse comunicative riconducibile a dei prototipi, ad esempio:

  1. la confessione,
  2. la seduzione,
  3. le stilettate reciproche (conflitto strisciante),
  4. la “conversazione da spogliatoio”,
  5. l’autocelebrazione,
  6. la ricerca di aiuto,
  7. l’autovittimizzazione,
  8. l’offerta di aiuto,
  9. l’accusa,
  10. l’analisi scientifica di un problema,
  11. “proviamo a capire”,
  12. lo “sparlare degli assenti”,
  13. lo sfogo,
  14. il “parlar di guai”,
  15. il “sogno ad occhi aperti”,
  16. il litigio,
  17. l’interrogatorio,
  18. il giocare assieme,
  19. il “fare le fusa”,
  20. il “parlare tra simili”.

Le conversazioni si spostano continuamente da uno stato all’altro, e possiamo avere conversazioni che partono in termini di “confessione” per poi spostarsi in seduzione, e scivolare in autocelebrazione, poi ancora in accusa.

Durante una fase di ascolto attivo, chi vuole metterlo in campo deve essere consapevole del fatto che certi formati conversazionali – quali il gioco e lo scherzo – sono rischiosi.

Altri formati conversazionali, quali l’analisi scientifica di un problema, o il “parlare tra simili” (es.: confrontarsi tra “padri di famiglia”) possono far emergere differenze culturali ma con meno margini di errore.

Ogni conversazione (negoziale e non) procede comunque lungo un format finché un altro e diverso format non prende piede.

Quando il format cambia, abbiamo un “Cambio di Footing”, un cambio di passo nella conversazione. Può andare verso un’accelerazione, dove i climi e gli scambi si fanno più serrati e rapidi, o verso un rilassamento dove si nota più spaziosità tra i turni di conversazione, più ascolto empatico, più disponibilità e meno fretta.

Il ruolo della leadership conversazionale è esattamente quello di spostare i format e dirigerli ove sia più produttivo.

Nello schema seguente, si può cogliere visivamente il concetto di “tracciato del format conversazionale”, che esprime un possibile andamento della conversazione.

Ciò che risulta utile, per l’ascolto, è la capacità di capire come la conversazione sta evolvendo lungo il tracciato, e l’abilità di spostare le linee entro spazi comunicativi il più possibile produttivi.

Possiamo dire che questi formati conversazionali siamo in presenza di toni della conversazione, toni generali che danno tuttavia il sale e il sapore della conversazione stessa.

Col tono giusto si può dire tutto, col tono sbagliato nulla: l’unica difficoltà consiste nel trovare il tono.

 (George Bernard Shaw)

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Altri materiali su Comunicazione, Ascolto, Empatia, Potenziale Umano e Crescita Personale disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online


Definizione di ascolto attivo: attività di ascolto nella quale viene realizzata una serie di mosse conversazionali, dalle domande aperte alle riformulazioni, per favorire l’espressione altrui. L’ascolto attivo è il precursore dell’empatia e dell’ascolto empatico. L’ascolto attivo è una tecnica di ascolto e osservazione attenta agli aspetti linguistici (contenuti espressi dal parlante), paralinguistici (toni, accenti, timbri della voce) e ai segnali non verbali, con feedback sotto forma di parafrasi accurata, che viene utilizzata nella consulenza, formazione e risoluzione di controversie o conflitti, nella vendita e nella negoziazione, nel coaching, counseling e in ogni relazione d’aiuto professionale.

ascolto attivo ed empatia

Approfondimento dal libro Ascolto Attivo ed Empatia (Franco Angeli editore)

Esiste una classificazione in letteratura che differenzia i livelli di ascolto dal più negativo sino al più positivo, come segue: ascolto giudicante/aggressivo, ascolto apatico/passivo, ascolto a tratti, ascolto attivo, ascolto empatico, ascolto simpatetico (Trevisani, Daniele (2019), Ascolto attivo ed empatia. Milano, Franco Angeli)

Ascolto attivo ed empatia: I segreti di una comunicazione efficacePersino da una foto si capisce qualcosa. Si può “ascoltare” anche una foto, ebbene si. O un dipinto, o un brano di musica, o un paesaggio.

Di una persona, sul lavoro, potremmo fidarci di quanto scritto sul biglietto da visita, ma insistiamo nel guardare anche alla sua postura, alla schiena dritta o curva, al suo mento e agli occhi tristi od orgogliosi, per capire se è fiero di quel biglietto mentre te lo porge, o se per lui/lei è un peso.

Diciamo pure che siamo curiosi per natura, perché la sopravvivenza richiede il sapere le cose, il capire chi ti è ostile o amico, e saperlo fare in una frazione di secondo, come i veri cacciatori/raccoglitori che eravamo, con lo sguardo, osservando occhi, movimenti, intenzioni.

Annusando istintivamente le situazioni prima ancora che “comprenderle razionalmente”.

Questo fa parte di quell’Intelligenza Inconscia, una forma di intelligenza che in questo volume andiamo ad aggiungere alle tante Intelligenze Multiple di cui disponiamo, risorse mentali e corporee così ben esposte da Howard Gardner[1].

Dell’intelligenza inconscia parla giù Freud (definendola „Unbewussten Verständnis“, o „comprensione inconscia) ma senza evidenziarla come risorsa a disposizione di tutti noi, e ancora prima ne parla il filosofo Schelling (1775 –1854)[2] individuandola come una “intelligenza della natura”, ma ancora una volta senza considerarla per ciò che può essere, una nostra preziosissima risorsa. Noi, invece, vogliamo farlo. Gardner ha dimostrato come il fenomeno “intelligenza” possa essere scomposto in una serie variegata di abilità umane distinte, quindi di diverse intelligenze: linguistica, musicale, logico-matematica, spaziale, corporeo-cinestetica, personale e Interpersonale[3], aggiungendo in seguito, quella Intra-personale legata al conoscere se stessi.

Vicina all’intelligenza Inter-personale, aggiungiamo in questo volume la categoria dell’Intelligenza Inconscia, che qui consideriamo una vera e propria skill, una competenza allenabile per l’ascolto attivo, che deriva da una connessione e da un allenamento più forte nel far dialogare la Neocorteccia (parte recente nello sviluppo del cervello), e altre aree antiche come il cervello rettile e il cervello pre-mammifero, aree abilissime a cogliere informazioni sottili ed istintive.

E qui siamo: sulla parte animale dell’uomo, sul suo “leggere lo sguardo”, sul suo “ascoltare anche il non detto”.

Saper leggere le persone, le loro finalità, richiede un ritorno a capacità ancestrali, quando l’attrazione era segnalata con gli occhi verso altri occhi, e non con un profilo social. Ora, più che mai, è tempo di imparare di nuovo a leggere le persone. Perché da un lato stiamo perdendo la capacità di riconoscere i “cattivi” o nemici, dall’altro lato facciamo di tutta l’erba un fascio e magari diciamo NO a qualcuno che non ci può fare alcun danno e anzi magari ci può portare valore.

L’ascolto attivo: Saper cogliere segnali

Urge un ritorno alle nostre sensibilità ancestrali. Urge ripristinare la capacità di percepire correttamente, prima ancora che di valutare logicamente i soli dati. Per farlo, dobbiamo saper usare in modo speciale l’ascolto, facendolo diventare una “percezione aumentata” di qualsiasi segnale entra nella nostra sfera:

  1. Segnali uditivi verbali. cos’ha appena detto Tizio all’altro tavolo?
  2. Segnali uditivi paralinguistici. Riesco a sentire lo stress vocale di una persona?
  3. Segnali tattili-aptici (in questa seggiola si è appena seduto qualcuno? È calda?), o “cosa mi dice questa stretta di mano su di te?”
  4. Segnali cinestesici-visivi: come sta oggi la squadra? Capirlo dalla falcata, dalla postura. Capirlo persino negli spogliatoi. Sembrano tranquilli o agitati? Demotivati o motivati?
  5. Segnali Olfattivi: Che cos’è questo odore di nuovo che sento nell’auto appena comprata, ci ho mai fatto caso? Sono consapevole che è un odore ingegnerizzato o penso sia frutto del caso?
  6. Segnali emotivi: come sto in questo momento, come sta la mia ansia, la mia gioia, il mio cuore, il mio sognare, il mio vivere in relazione con altri e con me stesso? E… Come sta la persona di fronte a me? Come sta respirando, cosa sta sentendo?
  7. Segnali corporali: che mestiere potrebbe fare il secondo da destra su quel tavolo, in base alla tipologia di muscolatura e come è vestito e ai segni che noto sulla pelle?
  8. Segnali olistici: chi è la persona più pericolosa o dissonante in questa carrozza di treno o in questo bar, c’è qualcuno che potrebbe essere pericoloso? In base a cosa lo noto?

I segnali sono tanti. Segnali d’amore, segnali di odio, di indifferenza, di paura, di disgusto, di amicizia. Se solo sapessimo coglierli tutti…

Ma appena cogliamo che il discorso non tocca i nostri interessi vitali, facciamo dietrofront e continuiamo nel nostro fare distratto.

La distrazione è un male dell’epoca.

La “furia dei tempi” e la fretta hanno portato l’ascolto ai livelli minimi assoluti nella storia della civiltà occidentale.

Smartphone e altri dispositivi elettronici hanno sostituito le persone, e siamo quindi diventati bravi ad “ascoltare” i segnali dei dispositivi elettronici, riconoscere un bip da un beeep, a manipolare un telefono o uno schermo touch, ma meno bravi a guardare negli occhi una persona che ci parla dal vivo e coglierne le sfumature, il tono di voce, lo sguardo, i cenni del capo, e capire cosa prova, e se mente o meno.

Nel corso del libro ci saranno decine e decine di strumenti utili per re-imparare l’arte e tecnica del “leggere le persone” – che significa praticare un “ascolto oltre le parole”. L’importante è che si accenda in noi la scintilla. La scintilla del DNA ancestrale. La scintilla della curiosità.

La furia dei tempi ha abituato gli studenti a fare quiz, test a risposta multipla, esami informatizzati, e l’esame orale va sparendo lentamente dal panorama della formazione accademica, perché “richiede troppo tempo”. Così, non impariamo più a “sintonizzarci sul Prof. e sui suoi interessi che magari abbiamo sentito a lezione”, perché è diventato inutile.

Anche nei gruppi di ragazzi e ragazze, seduti a tavola in una pizzeria, si può notare un continuo “fare”, ma con il proprio smartphone, e una assenza quasi fisica del luogo in cui le persone sono veramente, con rare, rarissime conversazioni tra i partecipanti, spesso superficiali.

Non è mai facile ascoltare. A volte è più comodo comportarsi da sordi, accendere il walkman e isolarsi da tutti. È così semplice sostituire l’ascolto con le e-mail, i messaggi e le chat, e in questo modo priviamo noi stessi di volti, sguardi e abbracci.

 

[1] Howard Gardner (1983), Frames of Mind: The Theory of Multiple Intelligences, Edition Hachette UK, 2011.

[2] Friedrich Schelling, Vom Ich als Prinzip der Philosophie oder über das Unbedingte im menschlichen Wissen (L’io come principio della Filosofia o sul fondamento della conoscenza umana), 1795

Friedrich Schelling, Ideen zu einer Philosophie der Natur (Idee per una filosofia della natura), 1797

[3] Howard Gardner (2010), Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza. Feltrinelli, Milano.

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L’ascolto attivo in Wikipedia

Ascolto

Da Wikipedia

L’ascolto è l’atto dell’ascoltare. È l’arte dello stare a sentire attentamente, del prestare orecchio. Ascoltatore è chi ascolta; ascoltare la lezione, un oratore; ascoltare con interesse tutto ciò che il professore dice. Non trattasi di atto superficiale.

In psicologia ascolto è uno strumento dei nostri cinque sensi per apprendere, conoscere il tempo e lo spazio che ci circonda e comunicare con noi stessi e il mondo circostante. L’ascolto è un processo psicologico e fisico del nostro corpo per comunicare ai nostri neuroni, al cervello che li traduce in emozioni e nozioni.

Etimologia

Dalla radice Auris “Orecchio”, latino parlato, Ascoltare è verbo transitivo. La parola ascolto nasce in italiano come derivato del verbo ascoltare, che proviene a sua volta dal latino “auscultare”, cioè sentire con l’orecchio. Il significato tradizionale del termine ascolto è appunto quello che indica in genere l’azione e il risultato dell’ascoltare ed è fortemente legato al concetto di attenzione.

Come noi ascoltiamo

Nell’ascolto c’è la componente fisica, tra orecchio e neuroni di come noi assimiliamo stimoli acustici e la componente psicologica, che è l’apprendimento attraverso i cinque sensi. Bisognerebbe parlare di tante cose sull’apprendimento, partendo da Sigmund Freud con la fase orale (che noi apprendiamo per esempio dalla bocca e i bambini attraverso quel mezzo assaporano, il gusto (freddo, amaro…), il tatto (forma, durezza, …) per capire che cos’è. È il loro primo approccio con il mondo esterno. Sempre in quel periodo c’è l’apprendimento attraverso la vista e l’udito, che poi durerà tutta la vita. L’udito è molto importante, perché la percezione dello spazio e del nostro equilibrio si basa sull’orecchio.

Una delle cose che facciamo con l’ascolto è l’apprendimento del linguaggio. Due teorici come Burrhus Skinner e Orval Hobart Mowrer, ritengono che il nostro apprendimento si realizzi attraverso le interazioni con l’ambiente. Prima si apprendono le parole e più tardi si uniscono. Per fare questo si deve ascoltare con la vista e con l’udito. Per imparare la parola mamma, il bambino sente il suono mamma, per esempio “vieni dalla mamma”. Usando sempre questa frase, vede il movimento delle labbra e l’oggetto in quel caso la mamma. Lui non ha associato subito il significato di mamma, ma è stata la ripetizione degli eventi. Questo procedimento vale in generale. Sempre con l’ascolto il bambino piccolo dice la parola mamma, perché fa delle prove vocali. Per esempio dice: “aaaa” “ma ma ma”… Fa tanti versi il neonato, e attraverso l’ascolto e la ripetizione: capisce, impara a dire, prova emozione. L’ascolto non è solo udito, ma tutto quello che noi riusciamo ad apprendere o assimilare attraverso i nostri sensi.

Usi della parola “ascolto”

La fortuna della parola ascolto è cresciuta a dismisura negli ultimi trent’anni. Fino a qualche decennio fa, infatti, la voce ascolto non si usava quasi mai autonomamente, ma serviva soprattutto per formare locuzioni con valore di avverbi come essere in ascoltorimanere in ascolto, o con valore verbale, come dare ascoltoprestare ascolto nel senso di fare attenzione. Al massimo, la funzione dell’ascoltatore poteva interessare i linguisti, i quali distinguono l’analisi del parlare, cioè della produzione dei testi di una lingua, da quella della loro comprensione.

Ancora all’inizio degli anni Sessanta, l’ascolto non aveva niente a che fare con il pubblico dei programmi radio o tivvù. L’ascolto radio non era l’indice di gradimento: secondo il più grande vocabolario della lingua italiana, la cui lettera A risale al 1961, l’ascolto radiotelegrafico era il periodo fissato, di qualche ora al giorno, durante il quale le stazioni riceventi sulle coste e sulle navi al largo restano in ascolto per captare eventuali segnali di pericolo. Oggi invece ascolto è una parola molto frequente, soprattutto quando si discute di televisione. Sembra un’incongruenza parlare in questo caso di ascolto, visto che la televisione più che ascoltarla la si guarda. Ma l’apparente incongruenza si spiega in parte come un ricordo dei tempi della radio, in parte perché la parola ascolto, nell’accezione di gradimento di un programma radiofonico o televisivo, traduce l’inglese audience, vocabolo molto usato da noi anche nella forma originaria.

© Articolo estratto con il permesso dell’autore, Dott. Daniele Trevisani dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace. Milano, Franco Angeli

Turn-Taking: la gestione dei turni di parola

Le linee di conversazione rappresentano gli assi ideali che congiungono due soggetti impegnati nella conversazione.

Le linee di conversazione sono ciò che unisce due persone durante una fase di ascolto. In ogni colloquio, senza una linea di conversazione, non ci sarebbe alcuna forma di comunicazione.

Le linee di conversazione si creano con lo sguardo, con la parola, con un gesto, con il tocco. Con qualsiasi mezzo della comunicazione verbale e non verbale possiamo avviare una linea di conversazione.

La delicatezza nel creare una linea, è fondamentale, in quanto in fondo si tratta di entrare nello spazio psicologico altrui.

Una parola delicata, uno sguardo gentile, un sorriso bonario possono plasmare meraviglie e compiere miracoli.

 (William Hazlitt)

  • Interrompere due persone che parlano significa rompere la loro immaginaria linea di conversazione.
  • Dare il turno ad una persona significa stabilire una linea di conversazione tra se stessi e un altro soggetto.
  • Invitare due persone a confrontare un punto significa stabilire una linea di conversazione tra i due soggetti.

Le linee di conversazione possono essere sia manifeste ed evidenti (tramite il sistema verbale) che sotterrane e sottilmente mascherate (tramite il sistema non verbale, segnali, gesti, cenni, come nel caso di due giocatori di poker che si stiano scambiando informazioni in modo sotterraneo o tramite codici).

Anche il solo fatto di fare un cenno di assenso o diniego verso una persona presente all’interazione significa stabilire – anche se per brevi istanti, frazioni di secondo – una linea di conversazione, attuata in questo caso come dialogo non verbale.

L’ascolto attivo richiede la capacità di gestire i turni di parola: quando parlo io, e cosa dico – quando parli tu, e cosa dirai.

I turni di parola sono un fenomeno molto elaborato, studiato nell’Analisi della Conversazione, per cui nell’ascolto attivo vanno gestiti meticolosamente.

I meccanismi di gestione dei turni di parola sono estremamente complessi, sebbene praticati da ciascuno di noi ogni giorno.

Voler parlare è quasi una forza primordiale, una forza da tenere a bada, se vogliamo praticare l’ascolto. Voler parlare, e avere anche ragione, è altra forza primordiale. E ricordiamo, questa è una delle massime consigliate da Paul Watzlawick per rendersi immediatamente infelici: “Si tratta, in fondo, della convinzione secondo cui c’è un unico punto di vista valido: il proprio”.

Cedere il turno di parola e ascoltare il punto di vista altrui, è un modo per annullare questa sventura.

Uno dei principali obiettivi del training negoziale e di ascolto nel metodo ALM è quello di stimolare il negoziatore ad ascoltare, a non interrompere o farlo il meno possibile e solo per motivi estremamente seri e consapevoli. Ad esempio, è utile imparare a fare dei Recap o ricapitolazioni, o chiedere il permesso di prendersi un appunto, e ricordando sempre che un’interruzione del turno di parola ha spesso bisogno di una riparazione (repair).

Il flusso informativo che proviene dagli interlocutori è estremamente prezioso, ricco di “pepite informative”, e richiede l’abbandono di una “strategia di inondamento informativo” tipica della comunicazione aggressiva, verso una strategia dell’ascolto.

Io non conosco nessun altro segno di superiorità nell’uomo

che quello di essere gentile.

 (Ludwig van Beethoven)

Il training alla gestione dei turni sviluppa le capacità del negoziatore in fasi delicate, come:

  1. riconoscere i meccanismi di gestione dei turni;
  2. saper come entrare nella conversazione rispettando le regole;
  3. identificare i momenti e strategie di ingresso e di uscita dalla conversazione;
  4. creare le mosse di riparazione adeguate (repair) a fronte di mosse che possono essere percepite come offensive;
  5. applicare una leadership conversazionale, consistente nel prendere le redini dei turni e divenire gestore di turni, morbidamente, e senza forzature.
  6. utilizzare i turni conversazionali soprattutto per far parlare l’altro (quando lo scopo sia l’ascolto attivo ed empatico).

Questo significa anche auto-monitorarsi, dirsi mentalmente la frase “sto parlando troppo io! Malissimo, adesso devo cedere il turno di parola, e fare una domanda che permetta all’altro di partire con un suo discorso” e fare il possibile affinché l’altro sia la persona che parla, e io l’ascoltatore.


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