Alla scoperta delle intelligenze artificiali
Per dare risposta a questa domanda dovremmo in primo luogo definire cosa intendiamo per macchina. Erroneamente la maggior parte delle persone pensa ad un robot dalle sembianze umane, come abbiamo visto in innumerevoli pellicole cinematografiche.
Innanzitutto, per macchina potremmo definire i risultati ottenuti dagli studi dell’intelligenza artificiale, disciplina che progetta un insieme di hardware e software (o, in un linguaggio meno “tecnico”, componenti tecniche e programmi) che sono tanto efficaci da avvicinarsi o essere potenzialmente del tutto identiche all’intelligenza umana.
Rinchiudere tutti i mezzi tecnologici in grado di avvicinarsi all’intelligenza umana sotto un’unica famiglia sembra un passo al quanto azzardoso, perciò, in base alle caratteristiche di queste “macchine” distinguiamo tra intelligenza artificiale forte e intelligenza artificiale debole.
Un’IA (intelligenza artificiale) debole è uno strumento molto potente, che, come dice Searle all’interno di Minds, Brains and Programs, ci permette di calcolare in maniera precisa e veloce ogni sorta di ipotesi e di formulazione:
«Secondo l’IA debole, il pregio principale del calcolatore nello studio della mente sta nel fatto che esso ci fornisce uno strumento potentissimo: ci permette, ad esempio, di formulare e verificare le ipotesi in un modo più preciso e rigoroso».[1]
Un IA forte, non è più uno strumento, ma è considerata da Searle come una vera e propria mente:
«Secondo l’IA forte, invece, il calcolatore non è semplicemente uno strumento per lo studio della mente, ma piuttosto, quando sia programmato opportunamente, è una vera mente; è cioè possibile affermare che i calcolatori, una volta corredati dei programmi giusti, letteralmente capiscono e posseggono altri stati cognitivi». [2]
E, in quanto tale, possiede una propria cognizione delle cose. All’interno dell’IA forte, i programmi di cui fa uso quest’ultima per spiegare i fenomeni psicologici, sono essi stessi queste spiegazioni. Quindi, riformulando quest’ultima parte, sembrerebbe che un IA forte, appositamente programmata, possegga degli stati cognitivi (come il cervello umano) e che quindi i programmi di cui fa uso, spieghino i processi cognitivi dell’uomo.
Ci soffermeremo in particolar modo sul ruolo dell’intelligenza artificiale forte, per scoprire se davvero essa può pensare e cosa questo determina per l’essere umano. John Searle scrive Minds, Brains and Programs nel 1984, ponendo come primo obiettivo quello di dimostrare come il cervello umano e la mente non abbiano nulla in comune con un programma o una macchina. Queste ultime non riusciranno mai a pensare e avere un concetto di intenzionalità simile a quello degli esseri umani.
[1]John R. Searle. Menti, cervelli e programmi, traduzione di Graziella Tonfoni, 1984, pp. 54.
[2] Ibid.