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Team Leadership e Comunicazione Operativa

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Articolo estratto con il permesso dell’autore, dott. Daniele Trevisani, dal testo “Team leadership e comunicazione operativa. Principi e pratiche per il miglioramento continuo individuale e di team

Stili comunicativi per una conversazione efficace

La teoria degli stati conversazionali nasce al­l’interno del percorso di ricerca del­l’autore sui temi della comunicabilità e incomunicabilità (Trevisani 1992).

La teoria evidenza che gli individui impegnati in una conversazione utilizzano prototipi e schemi comunicativi, modelli di conversazione che possono essere funzionali (efficaci) o disfunzionali (inefficaci) rispetto agli obiettivi.

stati conversazionali

Per esempio, affinché una conversazione tra terapeuta e cliente sia efficace è necessario che la modalità conversazionale del terapeuta sia di ascolto attivo, mentre il cliente si applichi in un prototipo grezzamente assimilabile al “confessionale”. Se il terapeuta diviene “giudice” e il cliente “difensore di se stesso” la conversazione avrà scarsi risultati.

Allo stesso modo, se un leader affronta un insuccesso con un proprio dipendente utilizzando il modello “proviamo a capire le cause del problema”, il risultato sarà certamente diverso (più positivo) del­l’esito di un dialogo “accusa-difesa”. Nulla proibisce di passare al modello accusa-difesa in una fase successiva del dialogo, ma ciò che conta è che questo sia frutto di una scelta consapevole e non di un errore.

E ancora, immaginiamo una coppia (marito-moglie) nelle conversazioni personali che avvenivano durante il fidanzamento. Poi confrontiamole con le conversazioni che avvengono durante il decimo anno di matrimonio, o nel ventesimo. Noteremo, in molti casi, che la conversazione (inizialmente basata su un carico emozionale forte, nei contenuti e nei toni) diviene sempre più “amministrativa”, sempre più orientata a risolvere problemi quotidiani, o al conflitto (nei casi peggiori), e sempre meno al “sognare assieme”.

Ogni rapporto evolve in base a come evolvono gli stati conversazionali tra due persone. Se la conversazione diviene sempre più amministrativa, anche il rapporto lo diverrà.

Gli stati conversazionali si applicano anche a modalità di conversazione allargata o mediata. Possiamo immaginare una comunicazione in pubblico (public speaking) sotto forma di “sequenza di minuti interminabili nei quali sono sotto esame da parte di tutti” (modello di comunicazione come prestazione) vs. “uno spazio di tempo nel quale vorrei aiutare il mio pubblico a capire un concetto” (modello di comunicazione come relazione d’aiuto).

La teoria quindi analizza gli esiti conversazionali strategici, i risultati di un’interazione, il successo o fallimento nel raggiungimento degli obiettivi, evidenziando come essi dipendano largamente dagli stili comunicativi adottati dai vari membri del gruppo, e, nel caso della leadership, soprattutto da parte della direzione (team leader).

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  • Stili comunicativi

Articolo estratto con il permesso dell’autore, dott. Daniele Trevisani, dal testo “Team leadership e comunicazione operativa. Principi e pratiche per il miglioramento continuo individuale e di team

Localizzare le zone di lavoro per dirigere le energie

Il nostro scopo, come manager, formatori, coach o pedagogisti, è aiutare le persone a collocarsi correttamente nelle loro attività, rispetto a una possibile scala, esposta in fig. 3.

zone di lavoro

È sbagliato chiedere eccellenza assoluta nell’imbucare una lettera, perché questo chiederebbe alla persona di dirigere le sue migliori energie verso un atto che può essere condotto con attenzioni mediane. È invece fondamentale chiedere a un collaboratore di mettere passione ed eccellenza, per esempio, nella conduzione di un’intervista di analisi con un proprio cliente o un collega che ha problemi difficili da risolvere.

Come evidenziato in Il potenziale umano:

Localizzare dove si situino le varie attività dell’individuo o del team in questa scala, è fondamentale. Specificamente, localizzare la differenza tra il perfezionismo inutile e l’eccellenza è particolarmente importante nel metodo HPM, vista la presenza della cella “microcompetenze”, che stimola proprio ad andare alla ricerca dei dettagli significativi su cui lavorare.

Essa – ricordiamo – non è da non confondere con l’ossessione maniacale sul­l’inutile e sulla superficie.

Una delle funzioni fondamentali del coaching e della formazione consulenziale consiste proprio nell’aiutare le persone a capire su quali aree è bene investire e su quali invece sia inutile farlo ora, o non valga la pena in quanto il livello raggiunto è già sufficientemente buono.

Le persone non riescono, da sole, il più delle volte, a percepire se stesse con lucidità, a fissare bene i propri scopi, ancora meno a raggiungerli o sviluppare performance ottimali. Esiste una coltre di nebbia che offusca la visione di noi stessi e i nostri veri obiettivi. Guardare oltre non è facile, e anche una sfida, per definizione, non è semplice.

L’eccellenza si raggiunge quando si crede in qualche cosa.

I puri di cuore, e coloro che lavorano per una causa, fanno quasi sempre cose eccellenti, poiché vi mettono passione.

La tecnica e la formazione ci possono solo aiutare a trasformare la purezza del cuore e la volontà in progetti reali, tangibili e utili.

Vivere, essere puri di cuore, e morire
Per rendere immortale il nostro spirito.

Gustavo Adolfo Rol (1903-1994)

Ogni zona è caratterizzata da segnali, forti o deboli, che ci indicano la sua presenza, e per ogni zona dobbiamo addestrarci a cogliere questi segnali, nello specifico delle operazioni. Non esistono segnali assoluti validi per ogni operazione, per cui lo sforzo e l’opportunità che ci aspetta è fermarci a riflettere sulle varie zone, sui loro indicatori e segnali, e sulle possibili azioni di miglioramento.

Il coaching, la formazione, la consulenza, sono discipline che, quando fatte con passione e serietà, lavorano sul dare supporto individuale, a una squadra o intera organizzazione, per aiutarla a percepirsi correttamente, senza lenti sfuocate, a fissare veri obiettivi e fare piazza pulita di falsi obiettivi o presupposti fuorvianti, evolvere e andare verso nuove sfide, crescere, progredire. Perché il senso dell’uomo è questo: la ricerca.

Rispetto alle variabili del modello HPM, ciascuna può essere osservata come uno spazio di crescita con territori in parte conosciuti e raggiunti, in parte da conquistare ed esplorare.

La domanda non diventa se andare avanti, ma come.

Il fatto di andare avanti deve diventare un atteggiamento di fondo, forza di volontà costante.

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  • Lavorare sui dettagli significativi
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  • Forza di volontà
  • Energie
  • Sfide
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Articolo estratto con il permesso dell’autore, dott. Daniele Trevisani, dal testo “Team leadership e comunicazione operativa. Principi e pratiche per il miglioramento continuo individuale e di team

La ricerca dell’eccellenza per il raggiungimento degli obiettivi

eccellenza operativa.1

L’eccellenza operativa si colloca in una posizione molto precisa della scala manageriale: al di sopra dell’esecuzione “mediocre” e “media”, e al di sotto del blocco dovuto all’ossessione per la perfezione maniacale per il dettaglio. Entrambi gli stati, precedente e successivo, portano al blocco del­l’eccellenza operativa. Gli errori principali sono:

•     un’esecuzione mediocre annulla qualsiasi vantaggio strategico;

•     un’attenzione ossessiva al dettaglio porta alla sola attenzione tecnica che fa perdere di vista la visione d’insieme e le variazioni situazionali.

Come evidenziato nel volume Il potenziale umano:

Due elementi fondamentali di una prestazione umana sono: (1) gli scopi (obiettivi) e (2) il loro grado di raggiungimento (nullo, intermedio, totale).

Rispetto agli scopi, ci concentriamo soprattutto su quelle prestazioni o performance che hanno un senso di contributo, di liberazione, di espressione, di emancipazione. In altre parole, le prestazioni non solo meccaniche.

Rispetto al grado di raggiungimento, consideriamo che esso sia una funzione strettamente dipendente dal tipo di potenziale raggiunto (dalla persona, dal team, dal­l’organizzazione), e che per l’eccellenza bisogna lavorare sulla crescita strutturale più che sui risultati immediati (Trevisani 2009, p. 34).

Il tema del­l’Eccellenza, nel potenziale umano, si ritrova anche al­l’interno della filosofia orientale dei samurai, in particolare negli scritti di Musashi, dal Libro dei cinque anelli:

Ottavo: non essere trascurato neppure nelle minuzie.

Come abbiamo osservato, questo precetto segnala il bisogno di entrare nelle microcompetenze, la ricerca dell’eccellenza, l’abbandono di un atteggiamento di pressapochismo e banalizzazione.

Attenzione ai dettagli che contano, amore per quello che si fa e per come lo si fa.

Occorre quindi trovare la posizione corretta all’interno di un continuum. Torniamo quindi a quanto sviluppato in Il potenziale umano, sulla differenza tra l’eccellenza e i perfezionismi inutili.

Chi si occupa di performance è spesso portato a confondere due piani distinti di una prestazione: la perfezione e l’eccellenza.

Una prestazione eccellente è quella che offre contributi significativi a chi ne deve fruire, mentre una prestazione perfetta è spesso autoreferenziale, forzatamente ed esasperatamente sovraccarica di attenzione, anche nei dettagli nei quali nessuno può percepire un contributo in più o vantaggi ulteriori veri.

La vera eccellenza si misura sul valore vero prodotto, non in finezze snob.

I performer non possono essere danneggiati dalla ricerca della perfezione ma devono essere stimolati dalla ricerca del­l’eccellenza.

Si tratta di una differenza sottile ma importante.

Perfezionismo e ricerca del­l’eccellenza sono atteggiamenti diversi. Il perfezionismo assorbe energie in modo maniacale anche oltre il livello in cui un contributo diventa significativo. Consuma energie inutilmente.

Le attività dei cercatori di perfezione non sono mai finite, mai terminate, mai perfette, esiste sempre una ragione per non completarle o non essere soddisfatti di sé.

L’eccellenza richiede che le energie vengano investite là dove un contributo produce effetti, e sino al livello in cui un miglioramento è reale, percepibile, dotato di senso, creatore di valore buono, e non oltre.

Il perfezionismo non aumenta il successo delle persone, è uno stato di maniacalità. Il successo è determinato da talento, energia, impegno, non dal perfezionismo o dalla testardaggine verso i dettagli inutili.

Il successo avviene nonostante il perfezionismo, non a causa di esso. Come evidenzia Greenspon (2008), il perfezionismo è una sorta di malattia: “Il perfezionismo non è fare del proprio meglio, o ricercare l’eccellenza. È una convinzione emotiva sul fatto che la perfezione sia la sola via all’accettazione personale. È la convinzione emotiva che solo essendo perfetto uno sarà finalmente accettato come persona”.

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La consapevolezza emotiva per una comunicazione di qualità

I team ad alte performance, siano essi sportivi, aziendali, civili, affrontano situazioni che altre persone non incontreranno mai nella vita.

Una finale di calcio in uno stadio gremito da 80.000 persone, o il tentativo di salvare persone in una casa che brucia, liberare degli ostaggi da persone armate, o rivoluzionare e rimuovere i parassitismi di un’azienda, sono sfide enormi.

Queste situazioni mettono in gioco inevitabilmente le emozioni.

Comunicazione di qualità.1

•     In molte situazioni bisogna ricorrere alla capacità di suscitare emozioni (altrui) e reagire con consapevolezza delle proprie emozioni.

•     La leadership è una sfida. Come ogni sfida, può essere affrontata tramite la fuga (reazione di evitazione), tramite l’attacco (reazione aggressiva), il blocco (stallo) o il problem solving (reazione analitica). La mancanza di consapevolezza emotiva provoca reazioni incontrollate di fuga o, al contrario, di blocco o di aggressività ingiustificata.

•     La leadership emotiva consente di attivare flussi di comunicazione interna (intrapersonale) e tra membri di un team, dove le emozioni smettono di essere considerate “accessori” per divenire pilastri portanti di una comunicazione di qualità.

•     Tramite la formazione e il coaching, è possibile affinare le tecniche e capacità, aprire il dialogo emozionale sia interno che esterno, ottimizzare i flussi operativi e migliorare sensibilmente le proprie capacità direzionali, far leva sulla componente di fattore umano insita in ogni team vincente o forza speciale per ottenere risultati superiori.

Diventano quindi importanti, essenziali, nuovi strumenti per ottenere partecipazione e risultato. Tra questi, anticipiamo alcune aree di attenzione che svilupperemo nel capitolo dedicato alla leadership emozionale e al test EmLead, da noi elaborato.

Temi avanzati di leadership emozionale nel modello EmLead 72:

•     analisi e gestione del­l’aggressività;

•     analisi e gestione della passività;

•     competenze e sviluppo delle abilità nelle relazioni di aiuto (coaching, training, counseling, mentoring);

•     ascolto emotivo interiore;

•     capacità di espressione esterna ed espressione degli stati emozionali;

•     microanalisi comportamentale, analisi dei frame comportamentali;

•     locus of control emozionale;

•     bioenergetica della performance professionale nella leadership;

•     gestione e recupero dello stress emotivo;

•     autoefficacia e sviluppo del­l’efficacia personale.

Una squadra che vince tiene ai suoi membri. Sapere che sei in un gruppo dove non verrai abbandonato, non verrai lasciato indietro, dà forza e coraggio a tutti.

Volando in formazione le oche aumentano del 71 per cento la portata del loro volo rispetto al viaggiare da sole. Le oche emettono suoni per mantenersi coordinate in volo. Se chi tira la formazione si stanca, scala e un’altra oca la sostituisce. Se un’oca si ammala o è ferita e deve lasciare lo stormo, due oche la scortano e rimangono con lei fin quando si riprende o muore (http://ancoralearning.com.au/ blog/can-geese-teach-us-teams).

Se questo sanno fare le oche, possiamo noi fare almeno altrettanto, e addirittura di più?

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  • Gestione della passività
  • Ascolto emotivo interiore
  • Espressione degli stati emozionali
  • Microanalisi comportamentale
  • Locus of control emozionale
  • Bioenergetica
  • Stress emotivo
  • Efficacia personale

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Analizzare una conversazione

Se analizziamo una conversazione tra persone, possiamo notare alcune caratteristiche della loro comunicazione, così come se analizziamo una riunione o un dialogo di gruppo.

Leadership conversazionale

Estendendo queste analisi alle comunicazioni dei team possiamo fare interessanti scoperte.

Innanzitutto la prima cosa che si può osservare è chi prende per primo il turno di parola. Chi inizia a parlare per primo si assume, si autoassegna, una leadership conversazionale, e diventa protagonista della gestione delle forme e dei contenuti.

Può accadere poi che un altro soggetto si appropri del turno, autoassumendosi sia la leadership che il ruolo di mediatore del gruppo. Per esempio, uno degli amici, rivolgendosi a ognuno degli altri, chiede: “Voi dove vorreste andare? A te, per esempio, dove piacerebbe andare?”.

Chiedere a tutti a turno “a te dove piacerebbe andare” è una precisa mossa conversazionale, che denota e precisa il ruolo di conduttore.

Altra caratteristica della leadership conversazionale riguarda la modalità della conversazione, la capacità del soggetto di toccare specifici problemi o passare ai metaproblemi.

I “problemi” trattano specificamente l’argomento della conversazione, nel­l’esempio della ricerca di una destinazione comune: il periodo, la meta, la durata ecc., quindi il “viaggio”.

I “metaproblemi” invece osservano il gruppo stesso, il loro funzionamento, lo analizzano dal­l’alto. Si trattano argomenti magari non direttamente collegati al tema della conversazione, per esempio i valori che fanno da collante al gruppo.

Nell’analisi della conversazione viene prestata attenzione primaria alle mosse conversazionali. Possiamo iniziare a sensibilizzarci al valore relazionale delle mosse, distinguendo le mosse di avvicinamento da quelle di allontanamento. La prima si ha quando un soggetto, attraverso il contenuto delle sue parole e soprattutto il tono, crea e rafforza un legame tra se stesso e gli altri soggetti. Al contrario una mossa di allontanamento crea o aumenta una distanza relazionale. Questo atto ha solitamente una connotazione negativa, ma nella gestione dei team vincenti sono necessarie entrambe.

Un’ulteriore capacità indispensabile è la comprensione delle linee di conversazione e della gestione dei turni (vedi a riguardo Goffman 1959). Quando due persone stanno parlando tra loro, sono unite da una linea immaginaria, che può essere verbale, paraverbale o visiva.

Se una terza persona cerca di immettersi nella conversazione, interrompendo tale connessione, si ha un ingresso o tentativo di ingresso, che può essere più o meno appropriato, più o meno aggressivo, più o meno opportuno. Un ingresso rappresenta esso stesso una mossa conversazionale.

Dal­l’attento ascolto di una conversazione emergono non solo le caratteristiche appena descritte, ma anche la personalità dei soggetti. Infatti, da ciò che uno dice e dal modo in cui si esprime si può dedurre se il soggetto è aperto o chiuso, introverso o estroverso, se ha un atteggiamento verso la vita positivo o negativo.

Questa considerazione introduce un altro importante concetto delle ricerche sulla leadership nel metodo HPM (Human Potential Modeling), i prototipi cognitivi, o “modelli dominanti di pensiero”. Essi sono una sommatoria di variabili psicologiche tra cui credenze, atteggiamenti e valori. Permettono di creare delle “etichette”, o punti di osservazione, attraverso i quali è più facile identificare le caratteristiche del soggetto. Un’“etichetta” molto usata è la “visione del mondo”, che trasuda dal modo di esprimersi e dal contenuto di ciò che il soggetto afferma.

Utilizzando i prototipi cognitivi è possibile avvicinarsi al mondo soggettivo, decodificare le mappe mentali del soggetto e stimolare l’empatia, che è la capacità di intuire che cosa si muove nel­l’universo mentale dell’interlocutore, come si senta in una situazione e che cosa realmente provi al di là di quello che esprime verbalmente.

Le persone durante una conversazione possono attuare giochi di faccia, così definiti da Goffman, e cioè giochi sulla propria immagine o su quella di altri (Goffman 1969).

Per esempio, il leader della conversazione, rivolgendosi a uno dei presenti, chiede: “Tu, avventuroso come sei (detto in modo ironico), dove vorresti andare in vacanza?”.

In questo modo il leader attribuisce l’aggettivo ironicamente “avven­turoso” al­l’amico, lo etichetta e lo definisce in termini di immagine sociale in pratica come un codardo, e questo può rappresentare un grave attacco alla faccia sociale.

Tali giochi di faccia possono essere utilizzati anche per intervenire a favore o a sfavore di qualcuno o per proteggergli la “faccia”.

Guardando alla conversazione come a un gioco di stimoli e risposte, si possono identificare diverse modalità con cui il soggetto stimolato può rispondere agli input. Le ALC (Action Lines Conversazionali) definite dal metodo HPM sono scelte tattiche rispetto a una gamma di opzioni.

Si posso avere risposte di tipo:

•     accondiscendenza (dimostrarsi d’accordo);

•     negazione (dimostrarsi in disaccordo);

•     up-keying (drammatizzare ciò che è stato detto);

•     down-keying (sdrammatizzare ciò che è stato detto);

•     depistaggio conversazionale (cambiare discorso evitando di rispondere, distogliere la conversazione dal tema);

•     ricentraggio conversazionale.

Nella scelta della risposta a uno stimolo si può anche mettere in pratica la cultura dei confini (altro tema di ricerca peculiare del nostro approccio), cioè la capacità di tenere a distanza l’interlocutore o decidere le distanze relazionali adeguate entro le quali far girare il rapporto.

Per esempio esplicitare in modo diretto o indiretto al proprio partner occasionale o professionale che non si desiderano ingerenze riguardo alla vita privata, o il modo di educare i figli, è un modo di fissare la dinamica del rapporto, di decidere e dire “fino a qui puoi entrare, oltre no”.

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  • Comunicazione dei team
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  • Mosse conversazionali
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  • Modelli dominanti di pensiero
  • Mappe mentali
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  • Distanze relazionali
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  • Dow- keying
  • Depistaggio conversazionale
  • Ricentraggio conversazionale
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Comunicazione efficace

Una delle questioni più critiche nella creazione e gestione di gruppi vincenti è l’incomunicabilità. Non capirsi, andare in direzioni diverse, non parlarsi, litigare, rimanere a un livello di coscienza e conoscenza solo superficiale sono solo alcuni sintomi.

comunicazione efficace.1

Mancano modelli specifici che ne indagano le possibili cause, e lo sforzo di ricerca che sto portando avanti si è concentrato da decenni nella ricerca delle leve su cui agire per arrivare alla risoluzione del problema “inco­municabilità”, cercando l’efficacia resa possibile solo da una comunicazione profonda e di alto livello. L’incomunicabilità è spesso identificata come contrario di empatia, o capacità profonda di capire l’altro. In questo nostro approccio vogliamo invece opporla al suo vero rivale: l’efficacia. Incomunicabilità ed empatia affondano le proprie radici nella conversazione, la quale è oggetto di una scienza specifica (analisi della conversazione) che ne analizza le caratteristiche. L’analisi della conversazione può avere una forte implicazione sia sul piano terapeutico che all’interno delle organizzazioni.

La coscienza della realtà e la presa d’atto della realtà da parte di un gruppo: Shared Situational Awareness (SSA)

Una delle sfide che attende un gruppo ad alta efficacia e che opera in condizioni difficili o estreme è la grande capacità di distinguere il vero dal falso, le opinioni dai dati, la percezione falsata da una buona percezione.

Oltre a questo, sarà anche necessario imparare a condividere, a scambiare, a ricercare una percezione condivisa, ove le percezioni individuali siano diverse.

Senza questa capacità, al posto di un team avremmo un insieme di cani randagi, al posto di un branco di lupi un insieme di individui sconnessi.

Vediamo come viene definito il concetto da fonti militari.

Shared Situational Awareness (SSA)

La situational awareness (conoscenza, consapevolezza della situazione) indica il grado di precisione con cui la percezione di una situazione da parte di un individuo corrisponde alla realtà effettiva.

Quando la conoscenza della situazione è patrimonio comune di un insieme di attori (nel caso specifico, sensori, decisori e attuatori), si parla di “conoscenza condivisa” (shared).

I fattori che possono ridurre la consapevolezza della situazione sono fatica, stress, sovraccarico di lavoro, insufficienza della comunicazione, degrado del­l’ambiente operativo; fra quelli che al contrario contribuiscono a migliorarla vi è in primo luogo un efficiente networking della forza, che abilita la distribuzione tempestiva e capillare di informazioni precise, aggiornate e affidabili (Ministero della Difesa 2012).

Ogni singola riga di questa definizione merita grande approfondimento. In particolare:

•     il tema della precisione con cui la percezione individuale di una situazione corrisponde alla realtà effettiva;

•     i fattori di stress che contribuiscono a degradare la capacità di percezione;

•     la distribuzione delle informazioni e la condivisione.

Per compiere tutto questo, un team deve essere in grado di comunicare bene al suo interno.

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  • Percezione condivisa
  • Coscienza della realtà
  • Capacità di percezione

 

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Chi riesce a trascinare i propri uomini con sé portando le loro anime nello scopo ha conseguito un risultato. Chi porta solo i loro corpi non ha conseguito nulla. Pertanto:

•     la leadership emozionale, o leadership emotiva, analizza e sviluppa la capacità di attingere con successo alle risorse emozionali per coordinare e dirigere i team, i progetti e le operazioni;

•     gestire le proprie emozioni precede la capacità di gestire le persone;

•     i tipi di comunicazione osservabili, gli scambi conversazionali, di segni e di segnali, sono potenti denotatori dei climi dei gruppi;

•     occorrono specifiche abilità per cogliere i segnali deboli che spesso caratterizzano gli stati emotivi (Emotional Detection Skills).

leadership emotiva.1

È difficile essere efficienti ed efficaci quando a predominare, nello stato d’animo, sono ansia, paura, depressione, timore e altre emozioni negative (nonostante le situazioni da affrontare possano essere difficili).

È altrettanto raro essere efficaci se non si possiedono doti di autoriconoscimento dei propri livelli di energie e stati individuali, e di quelli dei membri dei team. Il tormento interiore è parte della vita di chi opera in condizioni difficili, e le emozioni possono prendere il sopravvento “sequestrando” le risorse delle persone, come evocato in questo passaggio suggestivo di un brano di letteratura bulgara, che evoca alcuni passaggi di antiche guerre balcaniche tra i briganti bulgari ribelli che combattevano contro gli invasori turchi:

Quella notte Sinap non poté dormire, e pensò a lungo a ciò che era avvenuto. Un ceppo ardeva debolmente nel focolare, gettando sulla parete grandi ombre che si intrecciavano e correvano come fossero esseri vivi; passavano velocemente come cavalieri e sparivano, ed egli le guardava fissamente (Stoianov 1936).

I team inefficaci sono molto frequenti. Altrettanto frequenti sono i leader inefficaci, persone incapaci di entrare realmente nel ruolo e farsi riconoscere come leader. Il viaggio verso la leadership è un “viaggio eroico” (prendendo a prestito i concetti della psicologia degli archetipi), nel quale ci confrontiamo con i goals da raggiungere ma anche con le nostre capacità attuali, con chi siamo veramente, con che ruolo di vita stiamo giocando, e soprattutto con la nostra capacità di evolvere.

Nella maggior parte dei casi, la vera differenza (il vantaggio competitivo o il punto debole, nei casi di insuccesso) si colloca:

•     nelle abilità di comunicazione intrapsichica (il dialogo interno al­l’individuo stesso);

•     successivamente nella comunicazione ai membri dei gruppi, one-to-one e one-to-many;

•     nella gestione dei flussi comunicativi interni tra i diversi membri del team, dei climi emotivi che ne risultano, con ovvie ripercussioni sul­l’efficacia operativa.

In questa sfera di problematiche, l’intento del leader è di produrre una distinctive contribution, un contributo originale che proviene da un modo completamente diverso di analizzare un problema o una tematica (Mick 2003)[1].

Alcuni leader, apparentemente ottimi, non portano alcuna contribuzione distintiva, non identificano azioni positive da compiere, inconsistenze o lacune nelle conoscenze precedenti, non portano nuova luce.

Andare alla ricerca di un contributo creativo significa impegnarsi nella ricerca di contaminazioni: analizzare la leadership attingendo contemporaneamente all’antropologia, al management, allo sport, alla semiotica, alle scienze spirituali, alla drammaturgia, alla psicologia della comunicazione, a ogni possibile area del sapere, con l’aggiunta di esperienze di ricerca sul campo, concrete, nelle aziende (approccio olistico)[2].

Anche tra chi si sforza di superare i confini delle varie discipline, sono pochi coloro i quali riescono a generare un contributo applicabile e pragmatico, concreto, in grado di aiutare una persona, una coppia, un gruppo, un’azienda, a progredire.

Chi vi riesce agisce nella prospettiva che nel metodo ALM (Action Line Management) viene definita olistico-pragmatica. Olistica, perché aperta a ogni possibile contribuzione e campo dell’esperienza o del sapere, e pragmatica, perché necessariamente orientata a essere utile, contributiva, praticabile, e quindi “filtrante” rispetto a un puro esercizio intellettuale.

Con questo intento e questa sfida nella mente, la leadership operativa ha bisogno di appropriarsi di diverse aree tematiche, alcune delle quali introducono importanti innovazioni. Tra queste segnaliamo:

•     la teoria degli stati conversazionali;

•     la teoria dell’ecologia della comunicazione;

•     la teoria della leadership emozionale;

•     le tecniche di training mentale e psicoenergetica.


[1] David Mick, amico personale e tra i più brillanti ricercatori mondiali di management.

[2] Per un esempio di ricerca crossdisciplinare in area manageriale, vedi il lavoro di congiunzione tra marketing e semiotica condotto da Mick, Burroughs, Hetzel e Brannen (2004).

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  • Generare contributi innovativi
  • Approccio olistico-pragmatico

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Ogni leader di un team ad alte prestazioni deve capire quando è il momento di agire e non posticipare l’azione. Che si tratti di un incontro relazionale (un briefing, un debriefing), la preparazione di un’operazione, o la gestione sul campo.

team performance.1

Perché intervenire subito, durante, mentre l’incontro o interazione accade?

•     Per i risultati, che altrimenti non arriverebbero.

•     Per dare importanza al modo di lavorare e non solo al risultato delle operazioni.

•     Per non contaminare il gruppo, facendo sì che un atteggiamento negativo non si diffonda ad altri nel gruppo o passi come lecito.

•     Perché se non reagisco, e lascio passare di tutto, chiunque può pensare che non ci credo nemmeno io, cosa ancora più importante se siamo in gruppo.

•     Perché non posso permettermi di tenere nel mio team dei segni meno, delle palle al piede, qualcuno che avvelena e inquina il gruppo stesso.

•     Perché un non intervento andrebbe a propagare un modo di essere sbagliato verso i collaboratori.

•     Per non corrodere la mia autostima.

•     Per evitare tutti gli altri effetti negativi che derivano dal calo di autostima.

Essere forze speciali riguarda sia chi compie azioni cinetiche (interventi fisici), che non cinetiche (interventi comunicativi).

È forza speciale un team che si occupa di generare successo nel Key Leader Engagement (coinvolgimento di decisori chiave in un certo territorio fisico o sociale), svolgendo azioni comunicative di alto livello. O chi si occupa di sradicare una malattia dal genere umano, o di generare energia in modo pulito e diverso. Ciò che ci rende speciali è che cosa facciamo, e perché lo facciamo.

Figura 2 – Alcuni concetti fondamentali per la leadership

file word leadership

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Temi e Keywords dell’articolo:

  • Team Leadership
  • Prestazioni
  • Risultati
  • Reazioni istantanee
  • Reazioni automatiche immediate
  • Capacità di intervenire
  • Psicologia del gruppo
  • Spirito di squadra
  • Attivare le risorse individuali
  • Leadership emotiva
  • Risorse emozionali

Articolo estratto con il permesso dell’autore, dott. Daniele Trevisani, dal testo “Team leadership e comunicazione operativa. Principi e pratiche per il miglioramento continuo individuale e di team

tecniche di comunicazione

La gestione dei team richiede tecniche di comunicazione efficaci a vari livelli:

•     fase direzionale-> comunicazione top-down: dare ordini, istruzioni, direttive, delegare bene;

•     capacità di interiorizzazione dei ruoli-> empowerment, dare potere ai ruoli, dargli piena capacità operativa e gradi di autonomia;

•     capacità di sviluppo della relazione-> equilibrio tra empatia, saper ascoltare gli altri, e assertività, saper imporre una visione e tirare le somme;

•     capacità motivazionale-> comunicazione persuasiva, alimentare energie positive, forza, coraggio, motivazione;

•     capacità di sviluppare leadership in azione-> comunicazioni operative, ordini, direttive chiare, deleghe chiare, informazioni chiare, quando servono, a chi servono, evitando noise (rumore e degrado informativo) e riducendo il rumore di fondo.

Le tecniche necessarie per gestire un team sono molte, e cito solo alcune delle principali:

•     diagnosi organizzativa e dei flussi di comunicazione: chi comunica che cosa e a chi, a chi servono informazioni, quando, perché;

•     diagnosi degli stili di comunicazione: “Comunichi nel modo giusto per poter stare in questo team?”;

•     diagnosi dei climi emotivi: “Che aria tira?” “Chi porta energie positive?”;

•     valutazione dei potenziali dei singoli;

•     valutazione della corretta attribuzione dei ruoli: “Ci sono le persone giuste al posto giusto?”;

•     combat readiness e team readiness; valutare se un individuo sia o meno “pronto al combattimento” (in senso metaforico), ovvero nello stato di forma fisico e mentale per eseguire la performance, per ricevere un certo compito, entrare in azione e dare il reale contributo necessario.

Gli interventi che bisogna apprendere a svolgere per incrementare le capacità di un team sono anch’essi diversificati:

•     interventi correttivi diretti su singoli;

•     interventi di comunicazione informativa all’intero team;

•     condivisione di piani e strategie;

•     condivisione di visioni e obiettivi;

•     mentoring; counseling, training, coaching e ogni processo utile ad alimentare di competenze le persone.

Tutte le diverse tecniche formative, peculiari, sono da assorbire e studiare per affilare le armi della capacità di dirigere un vero team.

Se prendiamo un gruppo di persone accatastate in un autobus, persone che non si conoscono, questo non fa di loro una forza speciale e nemmeno un team. Ma anche persone che si conoscono e comunicano tra di loro poco e male non potranno essere una forza speciale, un vero team ad alte prestazioni.

Ogni team, e ogni persona, ha una propria psicologia e struttura caratteriale, un certo livello di competenze, valori, energie, forze e debolezze.

Essere a capo di un gruppo (una squadra, un’azienda, un’area) non equivale a possederne la leadership. Esistono numerose realtà nelle quali gli organigrammi del potere e del carisma reale non corrispondono agli organigrammi ufficiali.

La leadership reale, il carisma e il potere, sono nelle mani di chi è più abile nel gestire la comunicazione sul campo, applicando la leadership conversazionale ed emozionale in ogni singolo contatto.

Un leader si distingue per la capacità di capire quando è bene frenare l’azione e quando è bene saper agire subito.

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Temi e Keywords dell’articolo:

  • Leadership
  • Stili di comunicazione
  • Comunicazione organizzativa
  • Comunicazione assertiva
  • Comunicazione empatica
  • Leadership conversazionale
  • Gestione del team
  • Motivazione
  • Comunicazione persuasiva
  • Empowerment

Dr. Daniele Trevisani - Formazione Aziendale, Ricerca, Coaching