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La Source Credibility – immagine della fonte, credibilità e comunicazione persuasiva

Articolo di Daniele Trevisani, © Studio Trevisani Communication Research

L’importanza della variabile “credibilità della fonte” nella persuasione è stata sottolineata già dai primi studi sulla materia, i quali avvalorano l’ipotesi seguente un’alta credibilità della fonte  ha più effetto nel persuadere un’audience che una fonte a bassa credibilità (Hovland e Weiss, 1952; Hovland, Janis e Kelley, 1953).

Assioma di credibilità

  • L’efficacia della comunicazione è correlata alla credibilità della fonte percepita dal ricevente dell’informazione.
  • Le dimensioni principali della credibilità (expertise e trustworthiness) devono essere entrambi presenti.
  1. La credibilità della fonte è definita da Johnson, Conklin e Pearce (1979) come una serie di percezioni provenienti da un ascoltatore riguardo la possibilità di essere creduto (believability) e accettato da questo.

Dimensioni della credibilità della fonte sono state investigate da vari autori, inclusi Hovland, Janis e Kelley (1953), Berlo, Lemert e Mertz (1969), McCroskey (1966), Tuppen (1974), Whitehead (1968), Markham (1968), e altri.

I primi contributi teorici identificarono alcuni fattori o dimensioni della credibilità  tra i quali  l’affidabilità (trustworthiness), la competenza (competence), ed il dinamismo (dynamism) (Johnson e altri, 1979).

Altri fattori presi in considerazione  in diversi studi sono l’expertise (ovvero esperienza della fonte, competenza tecnica, dal tratto semantico similare al fattore “competence”), il carattere”, e l’intento persuasivo. (Petty & Cacioppo, 1981).

Comunque, come McCroskey e altri autori (1972) indicano, i ricercatori  non dovrebbero aspettarsi esattamente la stessa dimensionalità della credibilità della fonte, dal momento che le dimensioni di valutazione possono variare a seconda di soggetti diversi, popolazioni e culture.

Assioma di variabilità culturale della fiducia

  • Le dimensioni di valutazione della fonte dipendono da fattori culturali e variano in funzione della cultura del ricevente. L’utilizzo di modelli comunicativi culturali funzionanti nella cultura della fonte non assicura il successo quando il messaggio viene trasferito all’interno di un’altra cultura

I due fattori principali, sui quali esiste un accordo generale, sono expertise e trustworthiness.

  • Il fattore expertise (considerato come “competenza” tecnica o “qualificazione”) si riferisce alla conoscenza e preparazione tecnica della fonte riguardo i fatti presentati nel messaggio.
  • Il fattore Trustworthiness si riferisce alla percezione  che la fonte del messaggio dica o meno la verità da essa conosciuta (oppure dia solo una versione parziale dei fatti), con lo scopo di manipolare i riceventi a loro insaputa.

Queste due dimensioni possono essere combinate costruendo una matrice di analisi della credibilità per formare quattro diverse tipologie di percezioni della fonte.

  1. alta expertise- alta trustworthiness: la fonte più credibile, essendo percepita come competente e affidabile;
  2. alta expertise- bassa trustworthiness: fonte inaffidabile
  3. bassa expertise- alta trustworthiness: fonte inesperta
  4. bassa expertise- bassa trustworthiness: fonte inaffidabile e inesperta.

Principio 12 – Assioma di credibilità della fonte

  • La percezione di expertise (esperienza, competenza) e trustworthiness (affidabilità, serietà, fiducia) determinano la valutazione della credibilità della fonte. La comunicazione strategica deve utilizzare fonti alle quali il ricevente riconosca livelli adeguati di expertise e trustworthiness (relativa al tema oggetto della comunicazione)

Altre caratteristiche della fonte, come attrazione fisica, similarità, e potere, sono state trovate positivamente correlate all’efficienza (e efficacia) della persuasione (Petty e Cacioppo, 1981).

La credibilità della fonte non è l’unico fattore che influenza la persuasione, ma può essere considerato un fattore facilitante.

Il concetto di “fattore facilitante” o “fattore facilitativo” è impiegato da Fishbein e Ajzen (1975) per categorizzare la classe di variabili che influenzano positivamente la persuasione, come credibilità della fonte e expertise, stile comunicativo, e altre.

Credibilità e Identità

Una problematica relativa all’interazione tra messaggio e fonte viene esposta da Chaffee (1982) il quale introduce la problematica denominata “Homophily-Credibility Explanation”, ovvero ipotesi uguaglianza-credibilità. Questa ipotesi si riferisce alla supposta maggiore credibilità di fonti che possiedono un alto livello di similarità (omofilia) con il ricevente.

Le ricerche empiriche non supportano pienamente questa ipotesi. Anche in questo caso, le interazioni tra caratteristiche della fonte, lo stile del messaggio e del ricevente giocano un ruolo determinante.

Una ricerca di Luk (1973) realizzata ad Hong Kong, riportata da Chaffee (1982) supporta questa ipotesi. La ricerca analizza il ricordo del contenuto di un messaggio pubblicitario e la valutazione del prodotto in funzione della diversità di codice per i soggetti. I soggetti appartenenevano a diverse classi sociali (Cantonesi – inferiore, e Mandarini – superiore) e ricevevano messaggi nel loro stesso dialetto o in un dialetto diverso. I risultati indicano superiori effetti persuasivi tra i soggetti che soggetti Cantonesi (quindi, parlanti un dialetto diverso).

Questi risultati divergono da altri ottenuti nella letteratura (Mackie, Worth e Asuncion, 1990, cit. in Cavazza, 1996) i cui dati mostrano che in generale i messaggi provenienti da membri dell’in-group (il gruppo di appartenenza del soggetto) hanno un impatto positivo maggiore rispetto ai messaggi provenienti da soggetti out-group (estranei al gruppo di appartenenza).

Tali risultati differenti possono essere spiegati ipotizzando un particolare rapporto con l’immagine del gruppo di appartenenza, in cui il grado di self-esteem (autostima, autovaluzionae) del gruppo funge da variabile interveniente.

In generale, quindi possiamo concludere che la comunicazione persuasiva richiede che la fonte del messaggio sia (1) o un membro dell’ingroup al quale il ricevente sente di appartenere – in caso di autovalutazione positiva dei membri dell’ingroup, o (2) membro di un gruppo diverso ma valutato positivamente in termini di immagine sociale e di credibilità da parte della target audience.

Nella comunicazione interpersonale, possono essere utilizzate diverse strategie del messaggio per ridurre la distanza ingroup-outgroup (ricerca di similarità, ricerca di identità comuni e superiori), oppure al contrario il messaggio può contenere forti elementi di allontanamento tra fonte e ricevente.

In generale, i messaggi basati sul “noi” creano minori barriere ingroup, mente i messaggi basati sul “noi contro voi” (es: “NOI dipendenti pubblici siamo diversi da VOI studenti universitari”, “NOI autisti e VOI pedoni, ecc..) aumentano le distanze tra fonte e ricevente e creano potenziali barriere alla persuasione.

Una identità intergruppo o interculturale emerge ogniqualvolta il messaggio posiziona la fonte in un gruppo di appartenenza diverso da quello del ricevente.

Assioma di distanza nelle identità create dal messaggio/fonte e positioning delle identità

  • La struttura verbale e non verbale del messaggio crea identità e fa emergere l’elemento del gruppo di appartenenza del mittente e del ricevente. Una gestione errata delle identità intergruppo crea potenziali barriere al messaggio persuasivo.
  • L’effetto persuasivo è condizionato dal posizioning d’identità che l’insieme messaggio/fonte emana verso il ricevente. Il positioning d’identità può costituire sia fattore facilitativo (ove si crei ammirazione e credibilità per l’identità emergente) o fattore detrattivo (ove l’identità emergente sia sgradita o contro-valoriale).

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Articolo a cura di Daniele Trevisani, ©  Studio Trevisani Communication Research

Fiducia e cliente

  • Source Credibility: Credibilità della fonte
  • Trustworthiness: essere degni di fiducia, meritevoli sul piano morale, potersi fidare di… sul piano umano
  • Expertise: competenza tecnica
  • Coerenza, nei
    • Messaggi
    • Comportamenti
    • Ambienti
  • Andare a caccia di dissonanze
  • Attenzione al cliente come persona (fattore umano)
  • Rispetto
  • Fiducia e legame con la soddisfazione (customer satisfaction)
  • Emozioni e segnali (consci e inconsci) ricevuti nel punto vendita = reazioni viscerali che si sviluppano nel punto vendita a contatto con ambienti e persone
  • Reazioni viscerali (istantanee, interiori, preconscie, non mediate dalla ragione, frutto di una elaborazione immediata)
  • Fiducia come “bonus” che crea benevolenza
  • Bonus euristico – credito relazionale che “lascia in secondo piano” difetti minori e predispone le persone meglio rispetto a quanto sarebbe se non vi vosse tale atteggiamento positivo verso il brand, il prodotto o la persona
  • Doppio livello di fiducia
  • Fiducia del cliente verso l’azienda
  • Fiducia del collaboratore verso l’azienda – il collaboratore stesso si fida dell’azienda? Che immagine ne ha? Come ne parla con gli altri all’interno? Come ne parla ai clienti?
  • Strategia di intervento sulla fiducia
      1. Analisi dei livelli di fiducia percepita, sia generale che localizzata
      2. Localizzazione di aree critiche
      3. Impegno verso la risoluzione
      4. Intervento concreto per il miglioramento
      • Capacità di localizzare le priorità su cui intervenire
      • Segmentazione e localizzazione (tangibles vs intangibles)
        • Aspetti tangibili e intangibili della fiducia
        • Aspetti tangibili per l’area food
        • Aspetti in tangibili per l’area food
        • Aspetti tangibili per l’area non-food
        • Aspetti in tangibili per l’area non-food

      Relazione tra fiducia e risorse umane

      • Responsabilità organizzative per la fiducia
        • Chi
        • Per cosa
        • In quali ruoli
        • Con quali confini
        • Come avviene la “delega” per il presidio dei fattori che generano fiducia o sfiducia
        • Localizzazione delle penombre organizzative e zone d’ombra nei confini di responsabilità
        • Chiarire le responsabilità
        • Comunicare al personale e sensibilizzarlo
        • Interventi di sensibilizzazione del personale sul tema della fiducia e percezione della fiducia nel cliente, dai comportamenti ai segnali deboli, aspetti visivi, olfattivi, ambientali, di prodotto
        • Buonsenso vs. procedura
        • Stereotipi e falsi miti sul buon senso “lo sanno tutti che…” o “lo capisce anche un bambino che…” non sono ragionamenti sufficienti. Cosa, quando e quanto possiamo lasciare al buon senso
        • Differenza tra addestramento e sensibilizzazione del personale. Addestramento: devo dirti ogni possibile cosa su cui intervenire e come farlo. Sensibilizzazione: devo metterti in condizione di accorgerti da solo delle cose
        • Cosa dobbiamo inserire in “procedure”
        • Quanta discrezionalità dobbiamo lasciare?
        • Autorevolezza vs. autorità. Autorevolezza come capacità di creare partecipazione. Autorità come strumento gerarchico che non genera automaticamente autorevolezza
        • Il valore dell’esempio

      di Roberto Meglioli resp. Servizio Marketing Coop Consumatori Nordest, Roberta Neri Ricerche e Ascolto Coop Adriatica, David Orvieto Area Commerciale Sait

      Tutti i giorni si vendono o si acquistano prodotti e servizi ma incartati di fiducia, significati, valori.

      Il flusso di messaggi trasmessi ai consumatori avviene all’interno di ogni punto di vendita tramite le merci, la loro esposizione, il rapporto con il personale.

      Prodotto servizio e relazione sono ciò che vendiamo, come lo esponiamo e valorizziamo, come lo raccontiamo.

      Ogni segnale, ogni messaggio all’interno del canale comunicativo “punto di vendita” raggiunge il consumatore anche tramite i segni involontari.

      Dobbiamo porre attenzione a come raccontiamo ciò che offriamo con competenza e passione.

      Competenza relativamente al prodotto e passione come accento della relazione.

      Si tratta di trasmettere tramite l’esposizione del prodotto segnali caldi e coinvolgenti che diano la sensazione di aiuto, supporto, accompagnamento, facilitazione visiva dell’atto di acquisto.

      Il consumatore vive sempre con incertezza la fase critica dell’atto di acquisto. Una valida esposizione può semplificare la lettura tra i prodotti e trasmettere informazioni utili per rassicurarlo nella scelta tra soverchianti possibilità.

      Ad esempio valorizzare prodotti stagionali, di provenienza geografica, ad alta intensità valoriale, oppure in apposite isole tematiche per enfatizzare la presenza di prodotti a scarsa rotazione o di nicchia, o penalizzati dall’allestimento e dal facing, dall’acquisto abitudinario e veloce, dall’assenza di comunicazione pubblicitaria.

      Una percentuale significativa di consumatori acquisisce informazioni ritenute importanti per effettuare l’atto di acquisto direttamente a punto di vendita. Ci scontriamo con la necessità da parte del consumatore di capire, decodificare, ricordare, porre attenzione su testi e messaggi.

      Avanza una cultura orale immersa nel frastuono di innumerevoli fonti comunicative.

      La comunicazione nel punto di vendita deve essere semplice, immediata, trasparente, esaustiva quanto basta per essere utile, onesta.

      L’interazione anche occasionale, che il personale ha con il cliente rappresenta un momento essenziale per trasmettere rispetto e attenzione nei suoi confronti, credibilità e competenza dell’insegna.

      Il consumatore vede il singolo addetto al quale si rivolge per ottenere un consiglio all’acquisto come il rappresentante principale dell’organizzazione di vendita.

      Occorre nei pochi secondi di interazione con il cliente trasmettere messaggi verbali e non verbali che comunichino: accuratezza nell’abbigliamento e nella presenza, disponibilità all’interazione, ascolto e comprensione di quanto comunicato dal cliente, sensazione di interesse e affidabilità, appiglio per la soluzione alla problematica avanzata.

      Non trascurare la fase di chiusura salutando gentilmente.

      La fiducia può portare ad uno stato di benevolenza del consumatore nei confronti di una marca o di un’insegna a tal punto da scusare e giustificare determinati errori a patto che siano riconosciuti ed affrontati anche in caso di risoluzione non positiva.

      Ambiente, punto di vendita, dipendenti devono trasmettere con coerenza segnali che costruiscano passo a passo una fiducia cumulata nell’agire quotidiano.

      Il legame tra soddisfazione del cliente e fiducia nel punto di vendita è stringente e direttamente correlato. Chi è più soddisfatto, è più propenso a raccomandare ad altri il punto di vendita, prova piacere ad effettuare gli atti di acquisto, si sente accolto, si sente come a casa propria.

      Un sorriso si ricorda per un sorriso si ritorna.

      Di: Daniele Trevisani, www.studiotrevisani.it

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      Chi si occupa di comunicazione da tempo e per lavoro, sa bene che le persone non acquistano solo oggetti, ma “comprano” idee, concetti, immagini mentali, simbologie da esibire, luoghi in cui essere.

      Comprano per far contento qualcuno in azienda, o in famiglia, o per conquistare un credito relazionale. Comprano dove gli piace comprare, e non solo il prodotto di cui necessitano. In altre parole, “comprano un ambiente di acquisto” nel quale si sentono a proprio agio. Ma soprattutto comprano fiducia e “segnali di fiducia”.

      In tutti i settori merceologici, dal latte per bambini ai freschi, dai cellulari sino ai servizi come la sanità, il fattore chiave in un mondo di iperscelta, di quantità di prodotti e varianti troppo numerose per poter essere veramente comparata una ad una, diventa semplificare: scelgo chi mi da fiducia.

      Nessuno di noi andrebbe a mangiare in un ristorante dove il cibo è eccellente ma ti servono in malo modo, e molti se ne andranno persino se vedono che un prodotto caduto viene rimesso sul banco. I punti vendita vivono della stessa psicologia. Una psicologia della fiducia.

      I clienti a volte comprano ciò che non gli serve. A volte non comprano ciò che gli servirebbe davvero. Ma dietro ad ogni scelta, per quanto primitiva e irrazionale, si nasconde una logica, che una mente da analista può scoprire.

      La fiducia non è un fattore razionale, insito nella “neocorteccia”. I meccanismi basilari nella fiducia sono insiti nell'”archipallio”, la zona “antica” del cervello che elabora odori, forme, segnali, tracce.

      Dobbiamo quindi distinguere una “psicologia razionale” della fiducia da una “psicologia nascosta” della fiducia, e il primo passo consiste nel diventare noi stessi cavie del nostro comportamento. Di chi o cosa ci fidiamo, e perchè? Di chi o cosa ci fidiamo poco, e quali segnali forti o sottili alimentano il nostro sospetto?

      Il potere di una “osservazione aumentata” è ben superiore a qualsiasi manuale. Fa di ogni nostra esperienza un laboratorio di apprendimento.

      Anche la ricerca si occupa da tempo di questo tema, ma ancora non con la dovuta attenzione ai fenomeni del consumo. Fanno eccezione alcuni comparti di nicchia, che nella Consumer Research alimentano questo filone di ricerca.

      La Consumer Research (scienza del comportamento di consumo), in alcuni dei suoi esponenti di punta, primo di tutti il Semiologo David Mick, ha analizzato le connessioni tra i significati che attribuiamo ai prodotti e le nostre scelte di acquisto[1]. L’esito fondamentale di una grande mole di ricerche, che non possiamo altro che accennare, è il valore di “auto-regalo” che i prodotti assumono (self-gifting), una “carezza psicologica” che le persone si fanno concedendosi un certo prodotto, o un certo marchio, e il valore di “simbolico” che connette larga parte degli acquisti: l’acquisto come dimostrazione di potere, o di status, di differenziazione da… o di appartenenza ad un gruppo.

      Semiotica e Fiducia

      La Psicologia Semiotica del Marketing si occupa di comprendere le connessioni tra “segni” esterni (es. un marchio, un segnale, una macchia, o qualcosa – un oggetto o uno strumento – appoggiato ad un tavolo), significati esistenziali o pratici (cosa significa per me quel marchio o simbolo o segno, cosa decodifico da un certo oggetto che una persona possiede), e comportamenti di acquisto.

      La scienza semiotica si occupa di “denotazione” (i segni visibili, percepiti dai sensi), e della loro interpretazione o “connotazione”. Da questo derivano due tipi di analisi specifiche, analisi denotativa (osservare con attenzione gli ambienti e i comportamenti) e analisi connotativa (chiedersi come le persone interpreteranno quei segni e comportamenti, che significato vi associano, e come reagiranno).

      Se “facciamo un giro” in qualsiasi punto di vendita, attenti a cercare “segnali” che aumentano la fiducia e quelli che la diminuiscono, faremo interessanti scoperte. È un esercizio di sensibilizzazione importante, fatto di attenzione ai dettagli.

      La semiotica è attenta ai simbolismi che le persone associano a un prodotto o un comportamento di acquisto, quali sono i segni e segnali ai quali un cliente presta attenzione, e che valore hanno per lui.

      Senza l’analisi semiotica non potremmo mai afferrare, ad esempio, il legame ancestrale che lega moto e motociclista (la moto come mezzo di libertà), e lo vedremmo solo come mezzo di trasporto. Se entriamo nell’analisi di uno specifico marchio – perderemmo di vista il significato di ribellione, potenza e voglia di trasgressione (e tanti altri simbolismi) che un motociclista appassionato associa alla sua Harley Davidson.

      Oppure non capiremmo perché una semplice mosca che vola sul bancone, magari appena entrata, fa passare la voglia di acquistare qualsiasi cosa, anche magari non toccato dalla mosca stessa (effetto di “amplificazione dei significati”).

      Altri studi analizzano il valore dimostrativo o esibitivo che hanno i comportamenti specifici di acquisto, come il recarsi in un casinò a giocare o il gioco d’azzardo, i tanti “perché nascosti, dimostrativi e auto-dimostrativi” che conducono una persona a farlo[2].

      Questi studi esaminano soprattutto i bisogni profondi cui risponde questo atto, nonostante si tratti di un comportamento che esce di ogni logica apparente.

      Sempre in campo semiotico, si producono analisi interessantissime, quali quelle sulle “costellazioni di consumo”: i “raggruppamenti” nei quali troviamo mescolati marchi, prodotti, tipologie di persone e strati sociali.

      Uno studio di Chaplin e Lowrey[3] dimostra che i bambini e ragazzi sono in grado di distinguere con precisione queste “costellazioni”, e compiono scelte di acquisto correlate, hanno “fiuto” per il mondo sociale che li circonda, come emerge da questa intervista fatta dai ricercatori:

      Il mio vicino di casa, . . . è così “Crunchie” . . .hai presente… vegetariano, ambientalista, superintelligente… ma così svaccato.. si mette le Birkenstocks, guida una Prius, mangia solo cibi organici… ci scommetto che lava i panni con il detersivo Seventh Generation. . . l’”Accarezza Alberi”… non so se mi spiego… “ [ride].

      (ragazza 12enne intervistata)

      Ogni “costellazione di consumo” utilizza propri metodi culturali per alimentare le proprie scelte. Una costellazione di consumo è definita come un gruppo di “prodotti complementari, specifici marchi, e/o attività di consumo utilizzate per costruire, dare significato o assumere uno specifico ruolo sociale” (Englis & Solomon)[4].

      Per fare un esempio nazionale, sulla riviera romagnola troviamo Milano Marittima dove si distinguono, entro una tribù sociale comune, i ragazzi o adulti che frequentano il Papeete (stabilimento balneare dei vip), portano i sandali infradito di Armani o Prada, hanno costantemente occhiali da sole in testa anche se piove, bevono cocktail rigorosamente esotici come il Mohito (guai bere un normale The o chinotto… in quanto li farebbe uscire da quella costellazione di vip!).

      Questa costellazione non mangia a tavola alle 19,30 in pensione o albergo, tra i comuni mortali, come fanno le famiglie comuni, ma verso quell’ora consuma un “ape” (che sta per aperitivo o aperi-cena), stuzzicando olive e salatini accompagnati da spumanti o cocktail.

      Alla notte la costellazione frequenta una specifica discoteca “di tendenza”, dove i buttafuori son addestrati (è un dato reale, non inventato, avendoli intervistati di persona) a selezionare e scremare chi far entrare o tenere fuori in base al grado di “firme”, vippismo e look delle persone in coda all’ingresso.

      Parcheggiare davanti a quella discoteca con una normale auto da famiglia e magari un portapacchi da valigie montato, sarebbe una sorta di insulto, e i buttafuori non li lascerebbero nemmeno entrare.

      A duecento-trecento metri da questa “costellazione”, nella cittadina di Cervia esattamente affiancata a Milano Marittima, possiamo avere un’altra tribù di famiglie che vive soprattutto di giorno, si arna di secchielli e retini da spiaggia, i genitori pescano granchi per i bambini, hanno sandali di cuoio o di plastica “non firmati”, bevono the o succhi, giocano a bocce in spiaggia, si alzano quando il popolo dei vip va a dormire e la sera fanno una passeggiata sul viale con i bambini, acquistano al mercato e fanno la spesa alla Coop locale.

      Verso la mezzanotte (prima sarebbe disdicevole, segno di essere poco “in”), la costellazione dei vip o “pseudo-vip e aspiranti tali” esce per la serata, mentre la costellazione delle famiglie va a dormire e chiude la giornata familiare.

      Due mondi vicini fisicamente, ma completamente di fatto separati dal punto di vista esistenziale, del tipo di vita, e dei comportamenti di consumo.

      E noi, come aziende, a quali costellazioni di consumo puntiamo? Siamo certi di essere sempre nel giusto nel dare per scontato che il cliente “medio” o “generico” esista, o sia quello giusto, se mai esistesse? Un ripensamento su questo fronte sarebbe davvero importante.

      I motivi di un acquisto possono essere tanti, ma tutti portano verso il bisogno di comprensione del lato psicologico del cliente, dei comportamento di acquisto, e della correlazione con la strategia di vendita.

      Un cerchio giallo all’orecchio, con sopra “qualcosa che luccica” può avere valore di “gioiello” solo se chi lo indossa lo vede come tale, in caso contrario verrebbe trattato come un sovrappeso, qualcosa di inutile.

      E qui viene il tema della fiducia. La fiducia è tanto difficile da costruire tanto facile da sgretolare come una strada in una montagna scoscesa.

      I Semiologi del marketing hanno segnalato da tempo agli economisti un aspetto fondamentale per chi si occupa di vendita: il bisogno di concentrarsi sul “consumo di simboli”, sull’”acquisto di significati”, il meccanismo che porta una persona a volere non solo il prodotto quanto i simbolismi che quel prodotto porta con sé, per quanto irrazionali essi sembrino.

      Può essere che i simboli e comportamenti che utilizziamo per generare fiducia – sentendoci in qualche modo “diversi” e più meritevoli di altri di averla –  siano davvero quelli giusti e oramai “perfetti” o possiamo trovare margini di miglioramento e nuove prassi, nuovi territori di sperimentazione?

      In questo campo, nessuno può dare per certa la logica razionale, dare per scontato il modo con cui ragiona l’essere umano nel ruolo di acquirente e cliente. Il premio Nobel a Kahneman e Tversky[5] per i loro studi di psicologia economica, dimostra sperimentalmente come i processi decisionali umani non seguono alcuni principi di razionalità. La scienza offre una conferma recente a ciò che da tempo si supponeva: l’essere umano non è sostanzialmente logico, ma si lascia abbagliare da marchi, da emblemi, persino da dittatori (si pensi alla fascinazione per Hitler che ha saputo ipnotizzare l’intera nazione tedesca, popolo seppur basilarmente razionale).

      Si diventa fornitori di fiducia e si vende fiducia non solo in base ai prodotti che si possono mettere a disposizione ma anche per la capacità di generare “segnali di fiducia”. Ma questa fiducia richiede la fuoriuscita dalla logica tradizionale, e da tutti i presupposti noti. La sfida dello scoprire quali sono i presupposti e le azioni da mettere in campo per lavorare seriamente sul rafforzamento del legame di fiducia è una sfida entusiasmante.

      Fiducia come valore aziendale

      La fiducia è un fatto molto personale, richiede attenzioni, sensibilità, avere un’immagine positiva alla quale non sia disdicevole accostarsi.

      La distintività, su un mercato affollato di fornitori, arriva oggi dal creare relazioni che possono offrire e valori aggiunti: certezza, garanzia di esserci, rassicurazione, problem solving, assumersi dei carichi che il cliente non riesce a gestire da solo o non vuole gestire.

      La fiducia non dipende solo dagli investimenti pubblicitari, ma dalle azioni quotidiane, da ciò che il cliente osserva momento dopo momento.

      Fiducia e clima aziendale, i comportamenti tra i dipendenti contano

      Pensiamo spesso che la fiducia dipenda da ciò che “riceve” il cliente (un attrezzo, una mela, un tv) e non da ciò che apparentemente non “porta a casa”. Nuovi studi del Journal of Consumer Research (agosto 2010) forniscono evidenza scientifica sul fatto che persino l’osservazione di comportamenti aggressivi o rudi tra il personale, come il personale tratta altro personale (e non il cliente) ha effetti sulla fiducia.

      Chi credesse che dare dimostrazione di “forza” sgridando qualcuno in presenza del cliente sia produttivo, dovrà ricredersi. Ancora peggio, risultano essere le liti tra membri di un gruppo di lavoro, in presenza del cliente.

      Questi studi evidenziano la fortissima caduta di rispetto che il cliente sente verso l’azienda nella quale osserva tali comportamenti. E dopo la perdita di rispetto viene la perdita di fiducia.

      La Psicologia della Fiducia è un intero nuovo settore della psicologia aziendale che si occupa proprio di questo: come generare (non solo a livello esteriore, ma soprattutto nei fatti) un legame di fiducia forte tra azienda e cliente[6], un “filo rosso”, un senso di sicurezza che unisce il cliente all’azienda.

      Questo comprende la nostra capacità di generare certezze, e per il cliente sapere di poter contare su persone genuine, autentiche, credibili, esperte, preparate e serie, tenendo alla larga i tanti improvvisatori e disonesti.

      Chi opera nelle vendite complesse diventa presto consapevole di quanto sia determinante trasferire al cliente un’immagine di identità chiara, forte, vendere chi siamo, far capire dove si colloca il nostro valore, e vendere soluzioni (Solutions Selling), far seguire alle promesse i fatti.

      Alla prima dissonanza, al primo segnale non coerente, questo legame rischia di rompersi, di sfilacciarsi.

      Cerchiamo qualche esempio nella nostra vita privata, di quando abbiamo iniziato a perdere la fiducia in qualcuno o in qualcosa. Cosa è successo esattamente?

      E nei nostri acquisti, proviamo a fare attenzione sui tipi di segnale che cogliamo, e sul loro effetto che provocano sui nostri livelli di fiducia. Questo semplice esercizio, più di tante lezioni teoriche, può insegnarci molto su ciò che noi stessi proviamo e su cosa potremmo fare per migliorare il nostro lavoro.

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      di Daniele Trevisani – www.studiotrevisani.it


      [1] Gli studi fondamentali che aprono questo dibattito sono: Mick, D. (1991), Giving gifts to ourselves: A greimassian analysis leading to testable propositions. Marketing and semiotics. Selected papers from the Copenhagen Symposium. Copenhagen, Handelshojskolens Forlag.

      Mick, D.G. & DeMoss, M. (1990), To Me from Me. A descriptive phenomenology of self-gifts, in Advances in Consumer Research, 17, 677-682.

      Mick, D.G. (1986), Consumer research and semiotics: exploring the morphology of signs, symbols, and significante, in Journal of Consumer Research, 12, 196-213.

      Mick, D.G. (1989), The semiotic motive in consumer behavior: recent insight from North American research, Paper presented at the 14th Annual Colloquioum of the International Association for Research in Economic Psychology, Sept. 24-27, Poland.

      [2] Humphreys, A. (2010), Semiotic Structure and the Legitimation of Consumption Practices: The Case of Casino Gambling, in Journal of Consumer Research, October 2010.

      [3] Chaplin, L.N & Lowrey, T.M (2010), The Development of Consumer-Based Consumption Constellations in Children, in Journal of Consumer Research, Vol. 36, February 2010

      [4] Englis, B. G. & Michael R. Solomon (1995), To Be and Not to Be: Lifestyle Imagery, Reference Groups, and the Clustering of America, in Journal of Advertising, 24 (Spring), 13–28.

      Englis, B. G. & Michael R. Solomon (1996), Using Consumption Constellations to Develop Integrated Communications Strategies, in Journal of Business Research, 37 (3), 183–91.

      [5] Kahneman, D. e Tversky, A. (1979), Prospect Theory: An Analysis of Decision Under Risk, in Econometrica, 47(2), 263-291.

      Kahneman, D. e Tversky, A. (1981), Judgment under Uncertainty. Heuristics and Biases, in Science.

      [6] Tra i tanti articoli in merito, citiamo alcuni tra cui:

      Karmarkar, U. R., & Tormala, Z. L. (2010), Believe Me, I Have No Idea What I’m Talking About: The Effects of Source Certainty on Consumer Involvement and Persuasion, in Journal Of Consumer Research, Vol. 36, April 2010.

      Beverland, M. B. & Farrelly F. J (2010), The Quest for Authenticity in Consumption: Consumers’ Purposive Choice of Authentic Cues to Shape Experienced Outcomes, in Journal Of Consumer Research, Vol. 36, February 2010.

      Le sensazioni corporee prodotte dai materiali con i quali è realizzato il punto vendita e gli stimoli che producono sono osservabili nell’atto dell’acquisto e sono condizionati da fattori ambientali e culturali.

      L’uso di materiali diversi può favorire:

      1. l’avvicinamento ai prodotti,
      2. il contrasto con la tipologia delle merci
      3. nessun effetto sul consumatore.

      Sensazioni corporee e stimoli sensoriali non preconcettuali vengono associati ad una molteplicità di stimoli combinati: illuminazione, spazio, materiali, colori, temperatura, sensazioni olfattive, ecc. che influenzano l’atto di acquisto.

      L’influenza degli stimoli ambientali non è uniforme, assume valenze diverse in funzione della fase di avvicinamento al prodotto e della coerenza con lo stesso (es. illuminazione differenziata per enfatizzare il colore dell’ortofrutta…) e del bagaglio di conoscenze del consumatore.

      In caso di distanza rilevante, ovvero quando siano solo gli stimoli corporei ad essere percepiti questi non sono sufficienti a condizionare valutazioni sui prodotti.

      La fase di avvicinamento è caratterizzata dall’assenza di una valutazione oggettiva permessa da una analisi visiva e tattile del prodotto il contesto in questo caso influisce in maniera significativa per l’atto d’acquisto (esempio la “cantina” come luogo di esposizione dei vini; temperatura, materiali, luce, odore… influiscono preventivamente come stimoli creando una aspettativa più o meno positiva).

      Da questo punto di vista la mancanza di dati razionali di valutazione può essere dovuta sia alla lontananza fisica (non riconosco la marca o il packaging) sia dalla distanza culturale (non conosco il prodotto) in entrambi i casi la valenza degli stimoli sensoriali è elevata.

      Nella fase di contatto prossimale con il prodotto e dell’analisi visiva razionale l’influenza del contesto non è più così determinante.

      Conclusioni

      Quali stimoli sensoriali possono identificare l’identità Coop?
      Quale coerenza tra gli stimoli e la molteplicità degli stimoli specializzati nel contesto del punto vendita (cantina, farmacia, freschi, ortofrutta…)?
      Quali stimoli in rapporto alle differenti componenti sociali e in un contesto multietnico?

      Francesco Scanu – Lorenzo Pisoni – Valter Molinaro

      Bibliografia: Joan Meyers – Levy; Rui (Juliet) Zhu – Lan Jiang

      “Context Effects from Bodily Sensations”

      Journal of consumers research June 2010

      Le sensazioni olfattive legate al prodotto possono agire sul comportamento d’acquisto?
      Di Roberta Neri – responsabile ufficio ricerche e ascolto Coop Adriatica Maura Sammartino – capo servizio formazione canale ipermercati Nova Coop

      Parole chiave

      ODORE/ESSENZA
      MEMORIA
      PRODOTTO

       Le sensazioni olfattive, evocate da profumo/odore/essenza dei prodotti, creano delle connessioni nella memoria maggiormente durevoli rispetto ad altre caratteristiche del prodotto stesso.

      Ad oggi le ricerche si sono focalizzate sullo studio dell’odore dell’ambiente mentre ulteriori analisi ci dicono di concentrare l’attenzione sul prodotto.

      Questo perché l’odore dell’ambiente crea associazioni complesse nella memoria mentre quello del prodotto si fissa in modo più semplice e immediato.

      L’odore agisce su marcatori somatici precognitivi che fanno “scattare” delle reazioni viscerali.

      Questo significa che:
      –  si può intervenire sull’essenza del prodotto
          –  esempio nei prodotti per l’igiene evocare sensazioni di benessere legate 
             all’infanzia attraverso l’utilizzo di essenze talcate

      –  occorre evitare dissonanza tra ambiente e odore atteso del prodotto
          –  esempio entrando in un punto vendita di prodotti per l’infanzia si sente
             un odore acre

       ANDARE OLTRE: COME?

      Ricerca delle coerenze tra:
      –  odore del prodotto ossia sensazioni olfattive evocate e gli altri attributi del prodotto stesso (visive,tattili,ecc)
      –  odore che il prodotto ha e aspettative del consumatore
      –   odore del prodotto e messaggio complessivo e significato che si vuole dare: questo come distintività del brand

      SFIDA

      Se le sensazioni olfattive ci guidano, creando connessioni forti e solide nella memoria e influenzando le scelte future, come possiamo utilizzare questo elemento finalizzandolo alla fidelizzazione del consumatore?

      Bibliografia: Aradhna Krishna, May O. Lwin, Maureen Morrin “Product Scent and Memory”, Journal of Consumer Research June 2010

      Siti italiani riguardanti l’approccio del “Neuromarketing”:

      con il contributo di: dott.ssa Eugenia Guidoboni

      Neuromarketing ed emozioni (breve descrizione)     http://www.spaziodigitale.net/blog/neuromarketing-ed-emozioni/441/

      Il Neuromarketing rilancia la strategia focalizzata sul cliente          http://www.mark-up.it/articoli/0,1254,41_ART_4472,00.html

      L’alba del Neuromarketing    http://www.aism.org/index.php?option=com_content&view=article&id=367:lalba-del-neuromarketing&catid=80:la-scienza-di-marketing&Itemid=176

      Neuromarketing: vendere è psicologia          http://www.psicozoo.it/index.php/2010/03/29/neuromarketing-vendere-e-psicologia/

      Neuroscienze ed economia

      Neuromarketing

      Metodi delle Neuroscienze    http://sites.google.com/site/psychomarketing/Home/neuromarketing

      Neuromarketing: tecnologie e applicazioni

      (pubblicazione: Gianluca Zaffiro)            http://www.telecomitalia.it/content/dam/telecomitalia/it/archivio/documenti/Innovazione/NotiziarioTecnico/2010/fd_numero01/01neuromarketing.pdf

      Neuromarketing.

      Le nuove frontiere del controllo e del condizionamento      http://www.asia.it/adon.pl?act=doc&doc=604

      Esempio video di ricerca di mercato tramite EEG (inglese)            http://www.amigdala.info/blog/neuroscienze/neuromarketing-e-ricerche-di-mercato/

      “Buyology” and Neuromarketing

      (inglese)          http://www.martinlindstrom.com/

      Articoli in inglese:

      The New York Times 19 ottobre 2004

      “If You Have a ‘Buy Button’ in Your Brain, What Pushes It?”

      SANDRA BLAKESLEE      http://www.uky.edu/AS/PoliSci/Peffley/pdf/Blakeslee%20NYT%2004%20_If%20You%20Have%20a%20%27Buy%20Button%27%20in%20Your%20Brain,%20What%20Pushes%20It.pdf

      Neuroeconomics:

      How neuroscience can inform economics

      Camerer C., Loewenstein G., Prelec D.        http://www.uky.edu/AS/PoliSci/Peffley/pdf/Blakeslee%20NYT%2004%20_If%20You%20Have%20a%20%27Buy%20Button%27%20in%20Your%20Brain,%20What%20Pushes%20It.pdf

      Time magazine 18 settembre 2006

      “What make us buy?”

      Grose T.K.      http://www.time.com/time/magazine/article/0,9171,1535836,00.html

      Autori: Giorgio Agosto (Dirigente vendite canale supermercati Nova Coop), Matteo Canato (Capo servizio formazione canale supermercati Nova Coop), Maura Sammartino (Capo servizio formazione canale ipermercati Nova Coop)

      Se consideriamo gli incontri di Consumattore come un laboratorio di ricerca, l’apprendimento rappresenta uno degli obiettivi principali, ma la vera ambizione è la trasferibilità dei concetti e delle idee sviluppate nella realtà lavorativa quotidiana delle nostre Cooperative.
      L’obiettivo finale è lo sviluppo del business con il coinvolgimento della linea, dove l’idea creativa e vincente può fare la differenza.
      Dal laboratorio sperimentale di Scuola Coop abbiamo deciso, coinvolgendo i colleghi della formazione del canale supermercati, di proporre un intervento formativo sulle tematiche del marketing percettivo a tutti i capi negozio della rete vendita Nova Coop.
      Per darvi solo alcuni elementi di contesto sul progetto: nella nostra Cooperativa è da circa due anni che si sta lavorando sul tema dello standard di servizio. I capi negozio e dei capi reparto dei punti vendita sono stati coinvolti responsabilizzandoli sulle aree di pertinenza nel monitoraggio dei fattori chiave di presentazione del negozio.
      I parametri, che definiscono i fattori chiave, vengono verificati e annotati su check-list, create dalla Direzione Commerciale di canale, che vengono poi imputate su un programma di elaborazione, fatto ad hoc, per produrre grafici e tabelle evidenzianti i reparti, o alcuni aspetti dei reparti, che hanno presentato delle criticità nel corso di un periodo di tempo definito.
      Come potete immaginare, questo tipo di rilevazioni che ha l’obiettivo di una presentazione impeccabile dei punti vendita è influenzato ancora dallo sguardo tecnicistico e professionale di “noi addetti ai lavori” e tenta solo in parte di fare quel salto nella testa del cliente; quello spostamento che farebbe vedere i nostri punti vendita con gli occhi del socio cliente e ci permetterebbe di avere sempre di più un ruolo di leader (“Anticipare le anticipazioni dell’altro”. G. Kelly, 1955) nei confronti di chi ci sceglie per fare la spesa.
      Lo sviluppo della sensibilità nel prevedere le reazioni di un cliente che entra in un nostro negozio, e quindi la capacità di allestire una vera e propria esperienza sensoriale del momento spesa, è stato lo sfidante obiettivo che ci siamo posti.
      Ingredienti fondamentali per la riuscita del progetto: un gruppo di capi negozio disponibile a mettersi in gioco e ad accogliere nuovi stimoli, un gruppo di progetto e di tutoraggio flessibile e dinamico e Daniele Trevisani come facilitatore esperto e coinvolgente per accompagnarci e guidarci nel processo.
      Suddivisi in due gruppi, tutti i quarantotto capi negozio con gli assistenti di settore sono stati coinvolti in un percorso formativo della durata di tre giorni.
      Trevisani ha presentato in modo stimolante ed interattivo alcuni dei contenuti di marketing percettivo, metodologia di marketing finalizzata allo sviluppo di una percezione positiva nel cliente, focalizzata sul prodotto, sull’ambiente di acquisto e sulle sensazioni che il contatto con l’azienda e con i prodotti suscitano nel cliente.
      Anche se questa materia può all’apparenza sembrare astratta e concettuale, è stata in realtà presentata valorizzando e rinforzando quella che è l’esperienza quotidiana di chi opera a contatto con l’area vendita; sono state presentate fotografie di nostri allestimenti ed è stata avviata un’analisi critica per individuare quali potessero essere gli elementi ancora migliorabili.
      Uno dei momenti importanti di questo incontro formativo è stata l’uscita dei gruppi in modalità “ghost customer”: i capi negozio hanno scelto negozi della concorrenza, non solo appartenenti alla grande distribuzione, per simulare un acquisto e confrontarsi successivamente sulla loro esperienza personale secondo una griglia ed i criteri scelti e condivisi in aula, razionalizzando i numerosi spunti emersi.
      Messaggio importante di questo intervento è stato il significato di “immergersi nell’esperienza”; oltre a presidiare gli aspetti tecnici dell’attività lavorativa l’esperimento proposto è stato quello di provare a “sentire, vedere e toccare” quello che potrebbe provare il cliente nell’entrare nei nostri negozi e cercare di preparare un ambiente che massimizzi il piacere dell’esperienza di acquisto, cercando di sfruttare al meglio le risorse disponibili.
      Dopo aver stimolato la creatività dei partecipanti è stato lanciato il compito ai capi negozio di allestire delle isole esperienziali legate alla Pasqua con l’obiettivo di confrontare le esperienze in una giornata di follow –up successivo in un’ottica di miglioramento continuo.
      La risposta all’iniziativa è stata positiva, tanto che sono state dedicate due pagine intere del nostro giornalino aziendale per presentare alcuni dei lavori allestiti e ha indotto noi a scrivere questo resoconto.
      Che la creatività sia contagiosa?…beh questo potrebbe essere l’oggetto di una nuova ricerca che volevamo condividere con voi!

      Vi invitiamo a vedere alcuni immagini delle giorante formative e degli allestimenti attraverso il video realizzato da Daniele Trevisani. http://www.youtube.com/watch?v=IEZS_ILbPC4

      E’ oramai passato un anno dall’istallazione della prima ed unica vending machine in Trentino Alto Adige ( almeno di quella tipologia e con quel tipo di servizio).

      Quella voluta da Sait per il proprio punto vendita del centro città ha queste caratteristiche: circa 90 prodotti proposti in assortimento metà dei quali appartenenti alla categoria freschi e freschissimi. Funziona solo con contante, è attiva 24 ore su 24 (anche a negozio aperto) e presenta un trend costante di vendita. L’obiettivo che ci siamo prefissati è stato quello di dare al consumatore una scelta base di beni di prima necessità.

      A tal proposito vorrei sottoporre alcune domande come spunti di riflessione e discussione:

      • Il tipo di localizzazione è fondamentale per il suo successo? E se fosse di inserirla in un contesto di paese o zona privo di servizi primari, avrebbe pari riscontro?
      • Chi la usa?
      • Quando la usa?
      • Cosa compra?
      • Che peso ha averla posizionata sulla vetrina di un negozio ad insegna Coop?
      • Essere innovativi….paga?
      • E’ comodo e facile l’acquisto?
      • Quali forme di promozione del servizio utilizzare?
      • Acquistando dal distributore non si ha l’obbligo di entrare nel punto vendita: perdo un cliente potenziale o ne raggiungo uno che altrimenti perderei?
      • Il disservizio legato a rotture/inceppamenti del distributore ed alle rotture di stock quanto impatta sull’immagine del punto vendita e dell’insegna?
      • Che tipo di interpretazione dare al fatto che la concorrenza non si sia ancora adeguata?

      Se vi sembra un argomento interessante lasciate i vostri commenti e le vostre curiosità. Al prossimo nostro incontro, se lo riterrete opportuno, potremo discuterne insieme con anche l’ausilio dei dati di vendita in mio possesso ( suggerimenti sulla tipologia dei dati utili sono graditi).

      Autore: Lorenzo Pisoni

      Copyright, Articolo a cura di Daniele Trevisani, Studio Trevisani Communication Research

      ________

      La Way of Buying Competition riguarda non tanto la scelta tra prodotti quanto la modalità di acquistarli.

      Le applicazioni sono numerose.

      Per la Grande Distribuzione, significa pensare al concetto stesso di cosa significa la parola stessa “distribuire” e alle distorsioni che possono nascere se pensiamo che sia sufficente limitarsi a focalizzare il prodotto (che il cliente può trovare quasi ovunque, oramai) anzichè prodursi in una ricerca su come fare una differenza distintiva sulla componente intangibile di servizio.

      Anche per chi vende servizi in cui il prodotto non è tangibile il problema non è da meno . Immaginiamo una agenzia immobiliare in cui la parte del servizio consulenziale consiste nell’aiutare a trovare la casa adeguata, una capacità consulenziale di fatto umana, e intangibile sinchè non ci abiteremo davvero.

      Che si tratti di prodotti, o di servizi, dobbiamo porci il problema di ampliare la gamma di modalità di offerta, pensando ad alternative quali gli Shop in the Shop, in grado di soddisfare i clienti che cercano specializzazione, così come l’acquisto virtuale (per gli amanti delle tecnologie), la navigazione di prodotti in 3D, la customizzazione o tailoring di prodotti via siti web, l’acquisto assistito (per chi necessita di assistenza), e l’acquisto amplificato (es, acquisto il nuovo TV supertecnologico + un servizio che mi installi il TV e faccia funzionare tutto quanto ad esso era prima collegato, in modo da togliermi l’ansia di dover configurare da solo 4-5 apparati diversi che non capisco).

      Tutte queste modalità possono convergere all’interno di uno stesso Brand che riesce ad armonizzarle, mettendo le persone di fronte ad un unico fornitore di soluzioni (Solutions Selling) che usi una multimodalità o multicanalità di possibilità di approccio, anzichè considerarsi un fornitore di prodotti standardizzabile.

      Essere “fornitore di soluzioni”, anzichè distributore di prodotti, è una differenza sottile ma concettualmente molto forte.

      Espongo questo piccolo contributo da un mio volume ora esaurito “Comportamento d’acquisto e comunicazione strategica” edito da Franco Angeli, (chi desidera il capitolo originale lo invio volentieri via mail a chi ne fa richiesta – per il mio indirizzo mail ricordo che è visibile presso il sito www.studiotrevisani.it in basso, come immagine gif)

      Scelte di fondo e filosofia d’acquisto

      Per molti beni e servizi il consumatore oggi può scegliere la modalità di acquisto. Questo produce una maggiore gamma di concorrenza, amplia le scelte, e crea da un lato maggiore libertà, ma dall’altro maggiore confusione, maggior tempo necessario ad orientarsi. In molte scelte di mercato il cliente deve oggi porsi diverse domande:

      • La concorrenza tra prodotti e marchi: brand competition. Esempio: voglio una bibita, scelgo una Pepsi o una Coca?

      • La concorrenza tra luoghi di acquisto: point-of-sale competition. Esempio: ho già deciso di acquistare un computer portatile marcato XYZ, ma devo scegliere se comprarlo presso il negozio informatico all’angolo, o in un grande ipermercato, considerando fattori quali le distanze dalla mia abitazione, i prezzi dei diversi punti vendita, le garanzie e numerosi altri elementi.

      • La concorrenza tra modalità di acquisto: way-of-buying competition. Esempio: voglio dedicare un pomeriggio allo shopping. Andrò al mercato o in un grande centro commerciale? Questo stato di concorrenza riguarda il tipo di relazione di acquisto e di esperienza di acquisto ricercata.

      Fig. 6 – Analisi del comportamento di acquisto in funzione delle modalità

      In termini di way-of-buying, per molti beni siamo di fronte alla possibilità di compiere l’acquisto in luoghi diversi: dal supermercato al mercatino locale, dall’acquisto in un sito di e-commerce alla visita diretta presso il produttore.

      La concorrenza in questo stadio riguarda prevalentemente i vissuti d’acquisto (relational competition).

      È basata sulle relazioni umane, sul modo desiderato di vivere il tempo, sulla natura delle relazioni personali che desidero avere durante l’esperienza stessa di acquisto.

      Nel caso della concorrenza sul way-of-buying, entrano in gioco elementi altamente personali, quali:

      • Il bisogno di informazione: quale grado di assistenza desidero nell’acquisto? Sono completamente autonomo e dispongo di tutti gli elementi per scegliere correttamente, oppure vorrei disporre di un consulente che mi aiuti e guidi nel momento di acquisto, dandomi informazioni e consigli? Se sono in un negozio di scarpe sportive, il commesso è in grado di aiutarmi a scegliere il modello che tecnicamente si adatta al mio bisogno? Es: corro sullo sterrato, a velocità medio-alte, pesando 80kg – qual è la scarpa adatta per me? Una qualsiasi? No. Il commesso sa diventare consulente? Ma sa anche capire se in quel momento desidero assistenza o preferisco fare da solo? Sa percepire il cliente? Possiede abilità di diagnosi relazionale istantanea, abilità di customer perception?

      • Lo scenario e l’ambiente: ciò che contorna l’atto di acquisto stesso. Ad esempio, acquistare abbigliamento per Andrea non è equivalente ad “approvvigionarsi”, ad Andrea piace fare acquisti in piazza, ama il centro storico e il passeggio, desidera incontrare persone, vedere e farsi vedere. Paola invece non sopporta l’esibizionismo d’acquisto (fare “shopping in centro”, per lei, è un’ostentazione insopportabile), preferisce un negozio specializzato in un grande centro commerciale, dove l’elemento fondamentale sia il prezzo ridotto e la gamma ampia. Paola non fa shopping. Paola si rifornisce di ciò che le serve.

      • L’elemento umano e socializzante: le persone che voglio o non voglio incontrare durante l’acquisto. Preferisco un acquisto che mi permetta anche di dialogare e socializzare con un venditore/consulente, oppure preferisco non avere alcuna interazione sociale – o il minimo possibile – durante l’acquisto? Preferisco fare un ordine su un sito web o catalogo postale, o mi piace la possibilità di vivere relazioni sociali? Voglio essere “lasciato in pace”, o voglio essere “coccolato, curato e custodito”?

      Ad ogni scelta si associano concezioni della vita specifiche. La concezione della vita (Weltanschauung) è un concetto cardine dell’antropologia culturale, e si riferisce al modo di concepire se stessi, gli altri, l’ambiente che ci circonda. L’antropologia di marketing deve quindi considerare come centrale anche il modo di acquistare (way-of-buying), e le valenze culturali che vi si associano.

      In altre parole, per essere distintivi non occorre solo variare la gamma dei prodotti ma la gamma delle modalità di acquito. Questo richiede alle imprese uno sforzo di analisi di scenario volto a capire come variano le attese dei clienti su questo momento fondamentale della vita di ogni giorno.

      ______

      • Articolo a cura di Studio Trevisani – www.studiotrevisani.it – Consulenza di Direzione in Comunicazione, Marketing e Management • Fonte: Daniele Trevisani ” Comportamento d’Acquisto e Comunicazione Strategica: Dall’analisi del Consumer Behavior alla progettazione comunicativa “. Franco Angeli editore.