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psicologia di marketing e comunicazione

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© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Psicologia di marketing e comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore

Il vissuto psicologico del prodotto

Per risolvere alcune problematiche di marketing è possibile ricorrere alle tecniche di misurazione quantitativa con supporto statistico. Per altre problematiche, e soprattutto quando l’informazione ricercata è al di fuori delle percezioni conscie del consumatore, è necessario il ricorso a tecniche diverse, ad esempio tecniche qualitative non numeriche.

Ad esempio,  per ottenere un profilo comparativo d’immagine tra il marchio Porsche e il marchio Ferrari, è preferibile ricorrere al differenziale semantico (tecnica prevalentemente quantitativa), mentre l’esplorazione dell’orizzonte psicologico di un cliente, la valenza sociale ed emotiva di un prodotto, la sua percezione profonda, richiede l’utilizzo di strumenti qualitativi sviluppati in psicologia, antropologia e semiotica.

Il motivo del ricorso a tecniche qualitative è legato alla locazione, più profonda, dell’informazione ricercata. Mentre il questionario è ottimo come rilevatore di dati di superficie e consapevoli, e questi sono spesso sufficienti a far luce sul quadro di ipotesi che il ricercatore di marketing affronta, le implicazioni psicologiche profonde richiedono metodi più introspettivi. 

Se vogliamo capire cosa evoca la Porsche nella mente del potenziale acquirente, quali sono le implicazioni profonde del marchio a livello subconscio ed inconscio, non possiamo aspettarci di poterlo fare con un questionario somministrato per via postale.

Un ricercatore di marketing esperto in metodi quantitativi potrà realizzare qualche tentativo di ricerca in profondità delle motivazioni psicologiche non espresse. Ad esempio, è possibile praticare ricerca dei moventi tramite matrici di correlazione. Ma queste non potranno mai dire al ricercatore se, per caso, la Porsche venga associata all’immagine di Diabolik ed Eva Kent, o se l’intenzione d’acquisto di un viaggio in Egitto sia correlata all’influsso subconscio della lettura, fatta da bambino, di una favola avventurosa, o al bisogno di immortalità. Questi dati sono localizzati oltre la consapevolezza dell’individuo.

La necessità di ricorrere alle tecniche in profondità si ritrova nella ricerca pubblicitaria. Le reazioni ai messaggi pubblicitari possono essere rilevate con questionari, ma esprimeranno la verità solo quando trattano di temi realmente percepibili e consapevoli (ricordo di uno spot, gradimento, conoscenza del marchio, ecc.). Capire e progettare le implicazioni profonde del messaggio pubblicitario, la sua interazione con il vissuto psicologico della persona, richiede l’intervento delle tecniche in profondità.

Il vissuto psicologico del prodotto riguarda i rapporti soggettivi della persona con il prodotto. Il vissuto psicologico è un fattore individuale. Lo stesso prodotto può avere vissuti psicologici estremamente diversi da individuo ad individuo. 

Come evidenziano Grayson e Shulman (2000)[1], la valenza psicologica del prodotto arriva sino al punto di creare lo stato di irreplaceable possession (possesso non rimpiazzabile, bene o oggetto insostituibile):

un pensionato fa tesoro del libro che sua moglie gli ha dato nel giorno del matrimonio. Uno studente di college custodisce lo scontrino del biglietto di un recente concerto. Il proprietario di un ristorante mette in cornice il primo dollaro guadagnato nella sua azienda. Un professore universitario conserva una bottiglia di champagne che uno studente appena laureato gli ha regalato.

Valenza culturale del prodotto

La valenza culturale del prodotto riguarda la sfera sociale del prodotto, in particolare il rapporto tra i valori intrinseci del prodotto e i valori culturali della persona e della sua cultura di appartenenza. La valenza culturale è di derivazione sistemica, cioè dipende da quale sistema di appartenenza – da quale punto di osservazione sociale – vogliamo osservare il prodotto. 

Il sistema allargato (es: sistema paese) produce una certa valenza culturale del prodotto (la pasta come momento di unione familiare, in Italia), mentre i sotto-sistemi regionali e locali creano strutture culturali ancora diverse. 

Ad esempio, uno studio etnometodologico condotto dall’autore sull’arte brasiliana della Capoeira (forma di lotta/danza importata in Brasile dagli schiavi) in termini di diffusione commerciale in Europa, ha evidenziato una netta distinzione in termini di valenza culturale.

Il valore della Capoeira

  • La Capoeira è una forma che associa lotta e danza contemporaneamente, sviluppatasi in Brasile. Mentre in Europa se ne apprezza la componente atletica e ricreativa, o magari esotica, in Brasile questa forma di arte fisica ha una valenza culturale tutta particolare, implicando e simboleggiando in profondità l’emancipazione dalla schiavitù, i viaggi degli antenati sulle navi negriere, il tempo trascorso in catene, l’ansia della liberazione. 
  • La Capoeira odierna è infatti una forma simbolica di lotta nata quando agli schiavi è stato proibito di praticarla come allenamento alla lotta. La proibizione ne ha trasformato i movimenti in danza, con l’aggiunta di musica, per eluderne il controllo e le proibizioni poliziesche. Nella pratica della Capoeira, il praticante “credente” rivive la storia del suo popolo e si emancipa, mentre il praticante “sportivo” sta semplicemente praticando una disciplina fisica con sottofondo musicale.
  • Quindi, due praticanti della stessa arte possono vivere in essa valenze simboliche sottostanti molto diverse.

Le associazioni valoriali e l’influenza dei valori sul consumo

I valori sono principi guida che indirizzano la vita e il comportamento.

Un valore è definito dalla ricerca sociale come 

«una credenza permanente che uno specifico modo di condotta o motivo ultimo di esistere sia personalmente o socialmente preferibile ad modo di condotta o motivo di esistere di natura opposta o divergente»[2]

Tra i “modi di condotta” su cui agiscono i valori, dobbiamo inserire sicuramente anche le scelte di acquisto e i modi di consumare. 

Un valore, diversamente da un’opinione, è relativamente stabile e frutto di tutti gli input formativi e pedagogici ricevuti dall’individuo, mentre un’opinione, un atteggiamento, una credenza, cambiano più facilmente.

L’atto di acquisto comprende una valutazione sottostante di distanza valoriale. La distanza valoriale misura quanto distante sia l’immagine (ed i valori correlati) espressa dal prodotto rispetto all’immagine (ed i valori correlati) ricercati dall’acquirente. In essa rientra la riflessione condotta dal consumatore tra i propri valori sociali e valori percepiti nel prodotto, o nell’impresa venditrice.

La vicinanza valoriale produce gradimento aumentato, affetto e identificazione con il prodotto. Al crescere della distanza valoriale si innescano invece fenomeni prima di disinteresse, poi di disprezzo, sino al boicottaggio attivo dei prodotti per ciò che essi significano politicamente e culturalmente. Ad esempio, fenomeni di boicottaggio hanno riguardato i prodotti sudafricani durante l’apartheid[3], il cui acquisto era visto come un modo di supportare il regime razzista, le banane delle multinazionali, il cui acquisto veniva (e viene) considerato un modo di finanziare lo sfruttamento dei paesi poveri, o i prodotti della Microsoft, assunti da diversi gruppi hacker a simbolo di imperialismo culturale nel campo del software. Questi, e molti altri casi di boicottaggio valoriale dei prodotti permeano tutta la storia dell’economia occidentale.

I valori culturali, sociali e umani sulle scelte del consumo

L’influenza dei valori sul consumo è un fenomeno osservato anche dalla ricerca in psicologia economica. 

Allen e Ng (1999)[4] evidenziano come i valori culturali e umani possano aver una influenza diretta o indiretta sulla scelta dei prodotti, di direzione sia positiva che negativa.

Una influenza valoriale diretta avviene quando il prodotto viene accettato o respinto soprattutto per ciò che esso simboleggia. Le scelte dirette direzionano tutto ciò che ha una valenza prevalentemente simbolica, ad esempio la propensione maggiore o minore a dotarsi di status symbol. 

Un esempio di influenza diretta negativa (nel senso di ridurre la propensione all’acquisto) è dato dal rifiuto di acquistare carni da animali d’allevamento per motivi di disprezzo delle condizioni di sofferenza in cui essi sono tenuti (scelta valoriale, e non legata alla valutazione qualitativa del prodotto). Quando a questa si assomma una valutazione anche a livello indiretto (le carni d’allevamento sono piene di ormoni, scadenti, ecc..) si produce un ulteriore riduzione dell’intenzione d’acquisto.

Un esempio di influenza diretta positiva che genera incremento della propensione all’acquisto è l’acquisto solidale. Esso viene svolto tramite società (spesso non profit) che instaurano rapporti diretti con paesi del terzo mondo (scambio equo) con lo scopo di lottare contro lo sfruttamento dei paesi poveri.

In questi casi il valore sociale del bene – più che quello funzionale –  determina la scelta: il cliente vi trova una forma di adesione ad una corrente di pensiero, e l’acquisto simboleggia suoi valori sociali ed umani. 

I valori umani possiedono anche una influenza valoriale indiretta sul consumo, stabilendo quali siano le caratteristiche salienti dei prodotti, i fattori che devono essere maggiormente considerati in un confronto.

Esempi di influenza indiretta sono diversi. Es: chi sente fortemente il valore del nazionalismo darà priorità al fattore “paese di provenienza” del prodotto (es: per un paio di scarpe, per un utensile) e ad altri fattori in cui si possa concludere che l’atto d’acquisto, in qualche modo, avvantaggia il proprio paese. Questo dato andrà ad inserirsi tra le diverse valutazioni del prodotto, ma non sarà l’unico elemento valutativo. Se tra i prodotti nazionali non si trovano le caratteristiche ricercate, la scelta potrà anche andare a prodotti esteri.

Allo stesso modo, la scelta di una normale lampadina viene influenzata indirettamente dai valori umani, quando fattori come l’ambientalismo e il risparmio energetico entrano fortemente in gioco nella scelta (piuttosto che la semplice potenza d’illuminazione o durata dei filamenti). Questi elementi valoriali ed al temo stesso prestazionali porteranno a scegliere lampade a risparmio energetico, piuttosto che lampade tradizionali. Lo stesso valore spingerà i soggetti a ricercare soluzioni energetiche per la casa (riscaldamento ambientale, riscaldamento dell’acqua, illuminazione) tramite fonti le più possibili naturali (es: energia solare). E per farlo, il consumatore sarà anche disposto a pagare un extra-price, un prezzo superiore alla soluzione tradizionale. 

Esistono rapporti stretti tra valori, atteggiamenti e credenze. Mentre le credenze possono cambiare, l’atteggiamento, essendo frutto di numerose credenze, è più stabile, in quanto richiede il cambiamento di molte variabili. 

I sistema dei valori è stabile e si modifica nel tempo solo lentamente (o a seguito di forti traumi o input molto incisivi). Gli sforzi aziendali saranno tanto più forti quanto più in profondità si vuole agire per cambiare l’atteggiamento verso un prodotto.

Pertanto,  se non è facile modificare le credenze del consumatore, e ancora più difficile modificarne radicalmente gli atteggiamenti, è decisamente arduo (anche se non impossibile) trasformarne i valori.

Le connotazioni culturali del prodotto

Ogni prodotto assume connotazioni culturali e valoriali, che ne riempiono di contenuti simbolici l’immagine.

I valori culturali del prodotto emergono in diversi campi: ad esempio nel mercato musicale il genere ascoltato da una persona o gruppo arriva persino a connotarne l’ideologia, come durante gli anni della beat generation, o per la musica reggae nella religione Rasta.

I generi musicali vengono utilizzati anche come strumento di affermazione di un’identità. Non solo la musica, ma anche il tipo di abbigliamento può esprimere l’adesione, almeno temporanea, ad una cultura più o meno borghese, più o meno conservatrice, o ad uno stile di vita più o meno sportivo. Il fatto che alcuni prodotti vengano utilizzati proprio per dissimulare, per fingere di essere ciò che non si è, è una riprova del potenziale di carico valoriale che il prodotto assume. Perché mai si dovrebbe consigliare ad un ragazzo di presentarsi ad un colloquio di lavoro presso una banca con giacca e cravatta, se questi non assumessero il valore di segnali di adesione alla cultura del gruppo al quale si chiede di entrare? 

Esistono chiaramente associazioni culturali tra prodotti e valori.

Ad esempio, un ascoltatore di musica punk viene considerato, mediamente, anticonformista e deviante, un ascoltatore di musica “disco” allegro e spensierato, (o non impegnato nel sociale, dal frame valutativo dell’anarchico).

Grazie a regole stereotipiche, l’associazione funziona anche in modalità inversa: i comportamenti di un gruppo particolare di persone – inclusi i comportamenti di consumo e i prodotti “tipici” da essi utilizzati – divengono simboli della cultura del gruppo e “si incollano” semanticamente al prodotto.

Le associazioni determinano l’esistenza di un principio di equilibrio stereotipico. Questo principio, sostanzialmente, trasferisce sull’utilizzatore di un prodotto i valori socioculturali dei possessori tipici di quel prodotto. 

Per questo motivo, l’utilizzo di un certo tipo di prodotto o classe di prodotti acquista valore predittivo persino sul gradimento futuro di persone che non conosciamo.

Lo stesso procedimento di associazione cognitiva viene realizzato in relazione al processo di consumo. Ad esempio, se noto che un certo tipo di persone apprezza un particolare marchio di abbigliamento, e sono personalmente contrario al lifestyle di quel gruppo sociale, sarò portato ad attribuire valori negativi al marchio. Lo stesso accade sul mercato dell’auto, in cui alcuni modelli vengono presi semioticamente come punti di riferimento dell’appartenenza ad una classe sociale o possesso di un certo stile valoriale. 

Questo fenomeno associativo tra stili di vita (o valori) e prodotti determina un fenomeno di polarizzazione sociovaloriale dei prodotti: alcuni prodotti diventano simboli di un modo di essere, di una filosofia di vita, diventano deputati a comunicare l’appartenenza ad un gruppo, o l’adesione ad un sistema di valori. Al solo presentarsi del prodotto altamente polarizzato dal punto di vista valoriale, scattano nella controparte tutta una serie di associazioni che anticipano l’identità del suo possessore.

La presenza di atteggiamenti positivi comuni verso lo stesso tipo di prodotto può divenire motivo di unione tra persone. Si pensi a comunità come quelle dei possessori di Harley Davidson o altri club di prodotto quali i fans di un gruppo musicale. 

Nella ricerca psicologica troviamo ulteriori conferme e spiegazioni per questo tipo di comportamento. Newcomb (1953, 1971)[5] ad esempio ha studiato alcuni aspetti particolari della vita di gruppo e le relazioni di attrazione tra persone. 

Tra i risultati delle sue ricerche si evince che l’attrazione tra persone può essere tanto più forte quanto più elevata è l’attrazione verso un oggetto comune. L’oggetto comune può essere dato sia da un prodotto che da una particolare filosofia di vita o pratica culturale, o altro interesse condiviso. Nel mondo personale dei due soggetti questo costituisce infatti motivo di unione. 

In questo ambito rientrano i tentativi aziendali di creare le mitologie dei marchi e le culture dei marchi, situazioni di alto coinvolgimento emotivo del consumatore con i valori affettivi e culturali espressi dal marchio, sino al punto di creare comunità di fans del prodotto. 

Principio – Del valore di unione del prodotto

  • Quanto più l’azienda riesce a differenziarsi e a costituire posizionamento di immagine e valore simbolico/associativo nel marchio/prodotto, tanto maggiori sono le possibilità che il prodotto assuma un valore addizionale  – quello di elemento di unione tra soggetti –  rispetto al semplice valore d’uso.

In questa direzione vanno le strategie di Community Building, le quali cercano di costruire gruppi sociali attorno all’azienda (club di prodotto, fans club, circoli, comunità scientifiche o religiose). Se non esiste collante valoriale, queste comunità saranno destinate comunque a sparire non appena i vari benefit erogati dall’azienda vengono meno.


[1] Grayson, K., & Shulman, D. (2000). Indexicality and the verification function of irreplaceable possessions: a semiotic analysis. Journal of Consumer Research, 27.

[2] Rokeach, M. (1973). The nature of human values. New York: Free Press.

[3] Regime di separazione tra popolazione bianca e nera, in vigore in Sudafrica sino agli anni ’80.

[4] Allen, M.W, & Ng, S.H. (1999). The direct and indirect influences of human values on product ownership. Journal of Economic Psychology, 20, 5-39.

[5] Newcomb, T. (1953). An approach to the study of communicative acts. Psychological Review, 60, 393-404. Newcomb, T. (1971). Dyadic balance as a source of clues about interpersonal attraction. In Murstein, B.I. (editor): Theories of attraction and love. New York: Springer.

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Altre risorse online

Le parole chiave di questo articolo Il sistema dei valori e le scelte di acquisto sono :

  • Differenziale semantico
  • Vissuto psicologico 
  • Valenza culturale del prodotto
  • Opinione
  • Atteggiamento
  • Credenza
  • Distanza valoriale
  • Boicottaggio valoriale
  • Sistema dei valori
  • Principio di equilibrio stereotipico
  • Polarizzazione sociovaloriale dei prodotti
  • Strategie di community building
  • Posizionamento di immagine
  • Valore di unione del prodotto
  • Valore simbolico del prodotto
  • Mitologie dei marchi
  • Scelte di acquisto
  • Orizzonte psicologico del cliente
  • Valenza emotiva del prodotto
  • Implicazioni profonde del prodotto
  • Stato di irreplaceable possession
  • Prodotto insostituibile

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Psicologia di marketing e comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore

L’equilibrio cognitivo del cliente nelle situazioni d’acquisto

L’equilibrio interno della persona, in termini psicologici (tra opinioni possedute ed espresse, tra azioni e atteggiamenti, e tra i diversi atteggiamenti concatenati), è una necessità  per la stabilità emotiva e per la qualità della vita. 

Ogni persona ha la necessità di possedere un equilibrio psicologico, anche in relazione alle valutazioni e alle scelte di acquisto. La presenza di valutazioni miste, cioè la compresenza di valutazioni sia positive che negative – può portare il soggetto ad uno stato di dissonanza interna – teorizzato nella letteratura psicologica classica come dissonanza cognitiva.

La dissonanza cognitiva è uno stato mentale che avviene ogniqualvolta una persona prova pulsioni tra di loro contrastanti, emozioni di opposta natura, desideri tra di loro antitetici, o si trova a doversi comportare in modo difforme dai propri valori. Le scelte di acquisto sono tra i comportamenti che più sottostanno alle leggi della dissonanza e dell’equilibrio cognitivo.

Non è possibile acquistare tranquillamente un prodotto se questo è fortemente contrastante con i valori della persona. Un prodotto può avere alcune componenti gradevoli ed altre assolutamente indesiderabili. Ad esempio, un ecologista che consideri di acquistare un profumo per lui o lei molto gradevole, si trova in dissonanza cognitiva se viene a conoscenza del fatto che esso è stato testato su animali.

Ancora, può accadere che il gradimento e le preferenze di acquisto di un individuo vadano in direzione opposta alle aspettative dei gruppi di riferimento, le persone per lui importanti: la famiglia, o gli amici, o i colleghi di lavoro, o altri gruppi sociali che contano nella sua vita. Anche questi casi creano dissonanza cognitiva. Ogni azione, comportamento, valore, atteggiamento, ha connessioni con altre azioni, valori, comportamenti, atteggiamenti. Mantenere equilibrio in un reticolo così complesso è un compito difficile.

Tra le aree di più forte interesse nel campo della dissonanza, vi è quella delle contraddizioni tra pulsioni primarie (istintuali, non inibite, impulsive, di natura spesso inconscia) e le pulsioni secondarie, frutto dei doveri, delle norme, della cultura radicata nell’individuo[1].

I lavori di Heider (1946, 1958)[1] nell’area della dissonanza e dell’equilibrio cognitivo hanno prodotto modelli di ampia portata, utilizzabili anche nello studio dei processi di acquisto.

La tensione di cui parla Heider è stata sperimentata da tutti noi, ogniqualvolta ci siamo confrontati con scelte difficili relative ad un acquisto. Ad esempio, acquistare un abito desiderato ma troppo costoso a discapito di altri utilizzi del denaro, oppure un acquisto che sia in grado di generare discordia: l’acquisto di una minigonna eccessivamente corta da parte di una adolescente, ben sapendo che essa sarebbe stata mal digerita dalla famiglia. Oppure l’acquisto aziendale di beni da un fornitore sgradito, ma imposto da equilibri politici della direzione. 

Tra le strategie aziendali di riduzione della dissonanza ha un posto importante la comunicazione post-vendita, che deve tranquillizzare l’acquirente della bontà della scelta effettuata. Ogni atto di vendita importante deve essere seguito da messaggi rassicuranti, affinché venga meno la dissonanza post-vendita

Le applicazioni di marketing della teorie sulla dissonanza trovano un terreno applicativo enorme nella ponderazione dell’acquisto svolta dal cliente e nelle dinamiche che avvengono durante la trattativa di vendita.

Quando si determinano dissonanze interne nel cliente, l’individuo cercherà di ridurre lo stato di tensione, che è sempre in qualche misura doloroso. 

Un passo importante per la comprensione di questi comportamenti è dato dal riconoscere che il comportamento manifesto, quello messo in atto dalle persone giorno dopo giorno, è il risultato di una diversa serie di pulsioni complesse, anche tra di loro contraddittorie. Capire queste relazioni richiede (1) studio analitico, e (2) possibilità di disporre, collocare, visualizzare i rapporti di forza tra variabili su un media idoneo (carta, PC, o altri formati).

Le dinamiche della dissonanza cognitiva sono al centro dell’analisi del processo persuasivo. Infatti, solo la percezione di una dissonanza è in grado di aprire il varco al cambiamento di atteggiamento duraturo. L’intensità della dissonanza percepita è correlata alla necessità dell’individuo di ritrovare un equilibrio. Al crescere della dissonanza, cresce la necessità di trovare soluzioni. Il marketing cognitivo, basato sulla percezione delle dissonanze e successiva risoluzione, è la chiave strategica per la vendita dei servizi innovativi e intangibili (formazione manageriale, ricerca di mercato, interventi di sviluppo della comunicazione).

Principio – Ridefinizione cognitiva e cambiamento degli equilibri psicologici (rottura-ricostruzione)

  • Ogni acquisto o cambiamento è influenzato dagli schemi cognitivi preesistenti. 
  • Gli schemi cognitivi agiscono in background nel cliente, a livello subconscio e inconscio.
  • L’acquisto di innovazione o il cambiamento comportamentale richiede la presa di coscienza nel soggetto (cliente o buyer) che gli schemi utilizzati precedentemente non sono più adeguati a fronteggiare i bisogni, gli scenari, i nuovi obiettivi o traguardi.
  • Il venditore o consulente può fungere da elemento in grado di scardinare gli schemi preesistenti, tramite tecniche che generano riflessione profonda nel cliente,  rivisitazione e presa di coscienza di schemi cognitivi errati.
  • L’atto di acquisto di prodotti e servizi innovativi –  non rientranti negli schemi preesistenti, o distanti concettualmente dal cliente – deve essere preceduto dalla rottura degli equilibri preesistenti (presa di coscienza).
  • La presa di coscienza che gli equilibri preesistenti non sono più adeguati apre la strada all’inserimento di nuovi comportamenti e atteggiamenti di acquisto, nei quali i prodotti/servizi innovativi possono trovare spazi e fungere da elementi riequilibratori.

Misurazione degli atteggiamenti e immagine del marchio

La misurazione quantitativa degli atteggiamenti verso il prodotto può essere effettuata con due classi di tecniche: metodi quantitativi e metodi qualitativi. La misurazione su base quantitativa segue alcune linee guida generali:

Linee guida per la realizzazione di ricerche quantitative sull’immagine

  • brainstorming[2] e desk-work[3]: Una prima fase qualitativa in cui viene costruito un modello preliminare, che contiene le componenti ipotizzate di atteggiamento sul prodotto. Il lavoro avviene tramite riunioni, analisi della letteratura e studio teorico del problema;
  • pretest: Il modello preliminare viene testato sul campo, tramite ricerca empirica (pretest) per poterlo tarare e migliorare;
  • campionamento: Viene selezionato statisticamente un campione rappresentativo della popolazione che si intende studiare;
  • raccolta dati: vengono realizzate interviste sul campione;
  • elaborazione: I dati raccolti vengono immessi su PC. Le diverse misurazioni sono elaborate statisticamente: la ponderazione delle diverse componenti di atteggiamento restituisce un immagine complessiva della valutazione di prodotto, rappresentata in forma di grafici e tabelle contenenti dati e indicatori statistici;
  • interpretazione: I risultati in formato grafico e tabellare vengono analizzati managerialmente, alla ricerca delle implicazioni per l’azienda e le sue strategie. Viene verificata ulteriormente la validità e affidabilità della metodologia di ricerca, per non rischiare di basare le strategie su dati errati o viziati;
  • implementazione: Dall’interpretazione vengono derivate le strategie (se i dati sono sufficienti a risolvere il problema o prendere la decisione), o viene stabilito di intraprendere ulteriori ricerche utili a far luce sul problema e prendere la decisione giusta

Questa procedura minima si basa su un approccio quantitativo e correlazionale alla misurazione degli atteggiamenti, basato sulla “rilevazione dell’esistente”.

Le ricerche sperimentali (basate su gruppi di controllo) vengono invece utilizzate per valutare quale impatto sull’immagine aziendale possono determinare specifiche modifiche (es: cambiamento di logo o packaging).

La misurazione qualitativa degli atteggiamenti richiede invece l’intervento di esperti in psicologia del profondo e tecniche di intervista psicologica, con il compito arduo, ma raggiungibile, di ricostruire il belief system del soggetto, e capire il ruolo del prodotto al suo interno. Il risultato di tale lavoro di indagine possiede una forte valenza strategica: permette di avviare azioni comunicative ad alto impatto, e di compiere un salto di qualità a livello di progettazione dei nuovi prodotti.

L’azione più incisiva in assoluto proviene dall’utilizzo combinato delle tre tecniche (correlazionale, sperimentale e in profondità).

Errori di misurazione degli atteggiamenti

Esistono diverse possibilità di errore nella misurazione, sia (a) legate al modello teorico adottato che (b) dipendenti dal metodo di rilevazione e da errori pratici accaduti durante la misurazione. 

Costituiscono elementi di errore imputabili al modello l’aver sottovalutato un fattore non inserendolo nel questionario, o aver inserito elementi inutili, aver utilizzato teorie sbagliate, o ipotesi di nessun valore predittivo. Gli errori del modello sono quindi errori fondamentali della teoria su cui si basa il lavoro di misurazione.

Sono da attribuire al metodo errori come il porre il soggetto in condizioni psicologiche sfavorevoli (ad esempio, chiedere ad un soggetto il suo grado di soddisfazione lavorativa in presenza del diretto superiore), o presupporre nella persona una consapevolezza che non esiste, valutare qualcosa del tutto estraneo per il soggetto (chiedere di valutare il potere benefico del ginseng ad una persona che non sappia cosa sia il ginseng), o ancora codificare male i dati statistici (errori di battitura e inserimento dati), o produrre manipolazioni sbagliate sul file (inversione di righe, ordinamenti alfabetici errati, confusione di codici).

L’impatto delle parole sulla percezione del consumatore

Come misurare l’immagine che generiamo negli altri? Come valutare l’immagine di un prodotto o di un marchio, per verificare se sono conformi a quanto dovrebbero? 

Le pulsioni d’acquisto nascono ogni qualvolta un profilo percepito di prodotto combacia con un’immagine ricercata. È quindi importante riuscire a misurare sia l’immagine desiderata che l’immagine percepita.

Il potere evocativo delle parole e l’immagine associata ai marchi è alla base di molti successi o fallimenti di mercato. La misurazione dei simbolismi, delle loro connotazioni semantiche e delle loro ripercussioni sulle vendite è una delle tecniche in grado di prevedere il successo di mercato. Come espone Packard in questo esempio:

..nel corso degli anni l’esperto di pubblicità Louis Cheskin… ha controllato il potere simbolico che le parole hanno per i clienti, con interessanti risultati. Un cliente del Texas, la Plenty Products (cioè «prodotti abbondanza») stava per lanciare una nuova linea di gelati. La ditta aveva deciso che Plentifors sarebbe stato un nome molto adatto. Cheskin osservò che dava l’idea della quantità, non della qualità e pertanto non si poteva vendere il prodotto a un prezzo elevato. Egli mise il gelato in un contenitore con l’etichetta Plentifors e lo espose accanto a quattro altri contenitori con etichette diverse, invitando poi 806 consumatori a dare un giudizio sui vari prodotti. In tutti i contenitori c’era il medesimo tipo di gelato. Il contenitore con l’etichetta Splendors (nome inventato da Cheskin) ottenne voti completamente favorevoli in numero quattro volte maggiore del Plentifors.

Il differenziale semantico originario

Una forma di misurazione dell’immagine, derivante dalla psicologia sociale e dagli studi di psicolinguistica, si attua tramite il “differenziale semantico”[4]. Questo strumento permette di costruire un profilo di immagine del prodotto, del marchio, o persino di una persona.  Esso restituisce al ricercatore il profilo percettivo che un qualsiasi oggetto o entità genera in un valutatore. 

Il modello si presta ottimamente ad essere utilizzato per valutare la performance comunicativa di un venditore, di un politico, di uno speaker, o di un docente, o per capire come gli amici colleghi ci vedono.

Le applicazioni del differenziale semantico sono state utilizzate per diversi scopi, tra cui la misurazione delle reazioni emozionali prodotte da uno stimolo di marketing, l’analisi dell’impatto di un nome di prodotto, di un logo o marchio. Un uso estensivo ne viene fatto anche nella ricerca sociale.

Il differenziale semantico originario aveva tra i suoi scopi primari l’obiettivo di misurare il significato delle parole, e compararlo tra diverse culture o sottoculture.

Il differenziale semantico originario permette di misurare fattori primari della reazione emotiva del consumatore rispetto ad un oggetto d’acquisto, e quindi determinare la potenza dell’oggetto in termini di generazione delle pulsioni d’acquisto. Al crescere dei punteggi lungo entrambi i fattori, aumenta la probabilità che si generi pulsione d’acquisto. Cala inoltre l’importanza del prezzo, in quanto il prodotto assume valenze psicologiche ancor prima che funzionali. Il principio che ne deriva è il seguente:

Principio – Potenza evocativa psicologica del prodotto/marchio

  • La potenza psicologica del prodotto/marchio dipende dal grado di posizionamento sui fattori valutazione, potenza e attività, dall’estremo negativo (lento, debole, spregevole) all’estremo positivo (dinamico, forte, desiderabile).
  • Al crescere della potenza psicologica del prodotto si riduce la sensibilità al prezzo.

Il differenziale semantico nel marketing

Con opportuni adattamenti, è possibile misurare la percezione di un marchio o di un prodotto e compararla con altri marchi o prodotti.

L’applicazione di queste tecniche al marketing ha reso possibile misurare l’effetto che specifiche parole o frasi hanno sul cliente, o la creazione di profili comparativi di immagine tra un’azienda e i suoi concorrenti. L’utilizzo di queste tecniche permette di ottenere risposte a domande non banali, tra cui:

  • Comparazioni d’immagine: Cosa vede il cliente nel mio concorrente diretto, di diverso da noi? Perché è nata una pulsione d’acquisto verso la concorrenza a discapito della nostra azienda? Perché abbiamo perso dei clienti? Realizzando un profilo d’immagine differenziale applicato sugli acquirenti della concorrenza possiamo ottenere queste informazioni.
  • Evoluzioni d’immagine: L’immagine che noi generiamo nei nostri clienti rimane stabile nel tempo, aumenta o si deteriora in seguito all’uso del prodotto e all’esperienza con la rete di assistenza?
  • Prossimità d’immagine: Quali sono i marchi più vicini ai nostri, dal punto di vista del consumatore?
  • Scostamenti d’immagine dall’ideale: quanto è distante il profilo percepito da un profilo di prodotto/servizio ideale?
  • Strategia d’immagine: Costruzione di un profilo di immagine ideale. Valutazione di quali direzioni prendere per ottenere un positioning migliore.

Queste aree sono alla base di qualsiasi strategia realmente competitiva.

Partendo dalla struttura di base del modello, è possibile inserire o eliminare items per rendere la misurazione più aderente a specifiche esigenze: misurazione dell’immagine di un prodotto, di un candidato politico, di un oratore, di un venditore, ecc. Il processo di adattamento consente l’inserimento di nuove dimensioni valutative maggiormente tarate sull’oggetto di studio.

La costruzione di un differenziale semantico adattato richiede la creazione di items specifici e la loro successiva depurazione e selezione, sino ad arrivare allo strumento che meglio si adatta all’esigenza: uno strumento agile (in termini di tempo di somministrazione e sforzo d’intervista) ma sufficientemente esaustivo (completo, globale) rispetto alle variabili che si intendono misurare. 

La correttezza scientifica che lo strumento di misurazione richiede non permette approcci superficiali o poco professionali alla tecnica, in quanto gli esiti della ricerca verrebbero falsati.

La tecnica del differenziale semantico non si ferma alla sola misurazione  del profilo. Essa permette di svolgere analisi avanzate, tra cui:

  • analisi di omogeneità/disomogeneità nelle opinioni dei clienti;
  • analisi fattoriali per l’identificazione di tipologie di variabili giudicate simili dai consumatori; identificazione delle variabili latenti nei giudizi dei consumatori;
  • analisi correlazionali per comprendere quali items o variabili sono maggiormente predittivi, in grado di incidere maggiormente sull’immagine o su altra variabile dipendente, tra cui l’intenzione d’acquisto, o ancora comprendere cosa specificamente incide con più forza sul gradimento complessivo di prodotto; capire cosa genera l’intenzione d’acquisto;
  • analisi di regressione e determinazione della quota di varianza spiegata, per valutare la completezza, predittività ed esaustività del modello da noi utilizzato, in relazione alla variabile dipendente da esaminare (es: intenzione d’acquisto o gradimento complessivo di prodotto). L’analisi di regressione permette quindi di “capire se abbiamo capito” a sufficienza il ragionamento sottostante la logica di acquisto, cioè se disponiamo di un quadro complessivo delle valutazioni del consumatore in grado di realizzare previsioni affidabili su come sia possibile migliorare l’offerta.

Il modello del differenziale semantico si presta anche alla valutazione di persone o prestazioni comunicazionali, per identificare i punti di forza e debolezza del soggetto o della prestazione. 

La valutazione della prestazione può avvenire sia ad opera di un valutatore esperto, sia ad opera di un pool di valutatori, o ancora tramite raccolta dati su campioni rappresentativi di pubblico target.

Terza legge di valore del prodotto

In conclusione, le tecniche proposte permettono di giungere ad un importante risultato: misurare la forza e la distanza semantica del prodotto rispetto all’ideale (grado di scollamento tra profilo ideale e profilo effettivo, tra desiderio e realtà, tra aspirazioni del consumatore e offerta aziendale). Questa considerazione è alla base della terza legge di valore del prodotto, la quale è applicabile anche alla misurazione del valore dell’impresa in generale:

Legge della prossimità del profilo d’immagine

V = PI – PP (Valore = Profilo Ideale – Profilo Percepito)

  • Il valore del prodotto è inversamente proporzionale alla distanza semantica tra il profilo di prodotto ideale del cliente e la percezione reale del prodotto. Quanto più le due percezioni sono distanti, tanto minore sarà il valore del prodotto.
  • Il valore dell’impresa è inversamente proporzionale alla distanza semantica tra il profilo di fornitore ideale del cliente e la percezione dell’immagine aziendale che il cliente ha sviluppato. Il valore sarà tanto superiore quanto minori sono le distanze tra i due profili.

[1] Heider, F. (1946). Attitudes and cognitive organization. Journal of Psychology.

Heider, F. (1958). The psychology of interpersonal relations. New York, Wiley. Trad It. Psicologia delle relazioni interpersonali. Bologna: il Mulino, 1972.

[2] Tecnica di sviluppo della creatività, utile per generare idee, nomi, marchi, strategie.

[3] Lavoro “al tavolo”, in cui si analizza il problema, si sviluppano teorie, ipotesi e modelli, ed eventualmente si raccolgono dati preliminari.

[4] La tecnica del differenziale semantico è stata sviluppata partendo dagli studi di Osgood (1952) e quindi perfezionata da Osgood, Suci e Tannenbaum e pubblicata (1957) in The Measurement of Meaning, con lo scopo, come evidenzia il titolo, di misurare i significati linguistici. Vedi bibliografia per indicazioni sulla pubblicazione originale.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Le parole chiave di questo articolo La dissonanza cognitiva e l’equilibrio psicologico nel processo d’acquisto sono :

  • Dissonanza cognitiva
  • Equilibrio psicologico
  • Pulsioni d’acquisto
  • Comportamento manifesto
  • Potere evocativo delle parole
  • Misurazione degli atteggiamenti
  • Profilo d’immagine del prodotto
  • Differenziale semantico
  • Potenza psicologica del prodotto
  • Valore del prodotto
  • Percezione reale del prodotto
  • Profilo di prodotto ideale
  • Distanza semantica
  • Performance comunicativa
  • Schemi cognitivi preesistenti
  • Marketing cognitivo
  • Aspettative dei gruppi di riferimento
  • Comunicazione post-vendita
  • Dissonanza post-vendita

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Psicologia di marketing e comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore

L’immagine del prodotto

L’immagine dell’impresa nasce dalla somma delle impressioni che un soggetto (ad esempio un cliente) sviluppa nei riguardi di essa, ogni qualvolta viene a contatto con qualcosa (un prodotto, una persona, un simbolo) ad essa collegato o da essa prodotto. Ogni marchio, ed ogni azienda, sono in grado di generare impressioni nei clienti (positive o negative che siano). 

Così come l’azienda assume un’immagine agli occhi dei suoi pubblici, i prodotti acquistano una connotazione, e persino una personalità (debole o forte, definita o vaga, gradita o sgradita). 

Un prodotto forte è dotato di una personalità ben definita che lo fa fuoriuscire dalla concorrenza di prezzo. L’immagine del prodotto, del marchio e dell’azienda può essere misurata scientificamente. La sua costruzione attiva è uno degli obiettivi primari di qualsiasi strategia competitiva.

Quando esiste una connessione tra il prodotto, il marchio e l’immagine proiettata dall’individuo, il prodotto diventa strumento di impressions management

Il prodotto d’immagine assume valenze comunicazionali nella proiezione di un’identità, facilitando il passaggio del cliente da un’identità attuale ad un’identità desiderata (identità target o immagine target). Non importa che ciò sia realmente vero, è sufficiente che questo sia vero nella psicologia individuale dell’acquirente. 

In altre parole, l’immagine del marchio e l’immagine del prodotto diventano strumenti espressivi di un modo di essere, o di un modo di pensare. 

Trasmettono un’identità del possessore, o almeno, il più delle volte, questo è ciò che vorrebbe l’acquirente.

Il prodotto non è solo un assemblaggio di componenti. Una visione puramente merceologica e ingegneristica impedisce di capirne il valore affettivo.

Quando i prodotti si rivolgono a bisogni di ordine superiore – bisogni sociali, autorealizzazione, costruzione d’immagine della persona – essi assumono valenze soprattutto psicologiche, ancor prima che tecnico-funzionali.

I prodotti/servizi (non tutti, naturalmente, ma buona parte di essi) si trasformano da beni asettici a oggetti dotati di anima, e con essi si instaura un rapporto che fuoriesce dalla pura fruizione per entrare nel campo della comunicazione e della psicologia. Diventano, in altre parole, strumenti espressivi con i quali il soggetto cerca di modificare la propria identità, verso un’immagine più vicina al proprio sè ideale.

Nella psicologia del consumo il prodotto assume valenze emotive, quale porzione del vissuto di un individuo. L’acquisto di un viaggio può avere alla base la ricerca di un semplice momento di svago o ricreazione. Ma un viaggio può essere anche il momento di svolta di una vita, nel quale ricercare la propria identità smarrita, e ritrovare un senso nella propria esistenza. 

Sviluppare sensibilità verso la motivazione d’acquisto sottostante, capire le valenze emotive attribuite dal consumatore è un prerequisito per la comunicazione aziendale e la costruzione del prodotto. Come si può notare, elementi estranei al prodotto possono distruggere o rovinare l’esperienza del fruitore e distruggere il tentativo di costruzione attiva dell’immagine.

La presenza di elementi di disturbo, difformi e disomogenei (ad esempio un cesto dei rifiuti di plastica, anziché ricoperto di legno, in un agriturismo) elimina la consonanza tra gli elementi, necessaria per costruire un profilo d’immagine omogeneo e fluido.

Il profilo d’immagine di un marchio o di un prodotto è analizzabile ricorrendo, tra l’altro, a concetti sviluppati dalla psicologia sociale degli atteggiamenti, che esploreremo di seguito.

Gli atteggiamenti del cliente

Gli atteggiamenti sono un concetto fondamentale della psicologia sociale. Il loro utilizzo nelle ricerche psicologiche e nel marketing è ampio e permea diverse funzioni: comunicazione, ricerca di mercato, test dei prodotti, segmentazione del mercato, risorse umane e formazione aziendale.

Come sottolineano Eiser e van der Pligt (1991)[1], gli atteggiamenti non sono vaghi stati d’animo o sensazioni, ma forme di esperienza che (a) si riferiscono a specifici oggetti, eventi, persone o problemi, e (b) sono di natura essenzialmente valutativa, cioè implicano dei giudizi di buono-cattivo, positivo-negativo, giusto-sbagliato.

La relazione tra atteggiamento e obiettivi aziendali è forte e immediata. Gli atteggiamenti verso il prodotto, verso il marchio o impresa, e verso il venditore, generano o eliminano la propensione all’acquisto.

La psicologia degli atteggiamenti applicata al marketing è in grado di fornire numerosi contributi di grande rilevanza per la comprensione di come le persone valutano i prodotti. L’importanza del concetto di atteggiamento proviene dalla sua stretta correlazione con il comportamento. Gli atteggiamenti sono precursori dei comportamenti. In altre parole, la creazione di atteggiamenti positivi (1) verso il prodotto, (2) verso il venditore e (3) verso il marchio, è indispensabile per conseguire successo di vendita.

La ricerca evidenzia che l’atteggiamento individuale non è l’unica causa del comportamento, altri fattori situazionali (ad esempio la pressione degli amici o della famiglia, o tagli alla disponibilità economica, tanto per fornire un dato concreto) possono bloccare l’azione, o dirigerla verso altre mete.

In generale, possiamo affermare che nel marketing l’atteggiamento individuale verso un prodotto o un comportamento è il risultato di una serie di valutazioni specifiche, e si forma come sommatoria delle opinioni e credenze (convinzioni) relative alle componenti del prodotto. L’atteggiamento verso un comportamento emerge come risultato delle varie credenze riguardanti l’esito del comportamento stesso.

L’atteggiamento può avere una valenza positiva o negativa. Inoltre, ciascun atteggiamento avrà una certa “forza”, cioè un livello più o meno alto di radicamento nel soggetto. Perciò potremo identificare atteggiamenti fortemente positivi o fortemente negativi, moderatamente positivi o moderatamente negativi, oppure atteggiamenti neutri o inesistenti, verso qualsiasi tipo di prodotto.

La forza di un atteggiamento verso il prodotto si determina grazie ad un ragionamento moltiplicatorio: è il risultato delle credenze soggettive sul fatto che il prodotto possegga una certa proprietà per la valutazione (positiva o negativa) di quella proprietà.

Ad esempio, il mio atteggiamento verso l’ “oggetto mentale” Internet sarà dato:

  1. dalle proprietà positive che io vi attribuisco (ritengo che Internet renda possibile una ricerca veloce di informazioni; considero anche indispensabile, oggi, poter scambiare dati con altre persone senza spostarmi fisicamente) e
  2. da quanto risulta per me importante quella proprietà (per me la velocità nelle ricerche di informazioni è molto importante, così come poter risparmiare tempo negli spostamenti).

Queste valutazioni spingeranno il soggetto ad avere un atteggiamento complessivamente positivo.

In ogni prodotto è possibile percepire sia componenti positive che negative, le quali vengono soppesate secondo un sistema di bilanciamento che è estremamente individuale e soggettivo. Posso personalmente ritenere che Internet contenga anche informazioni errate ed inutili, e questo possa generare dispersività, ma questo fatto è per me poco incisivo, in quanto sento di padroneggiare bene lo strumento e di poter gestire facilmente il problema. Tutto sommato, quindi, il mio atteggiamento complessivo verso Internet sarà positivo (sommatoria di forti valutazioni positive, con qualche debole valutazione negativa). 

Nell’individuo, le diverse informazioni e valutazioni (positive e negative) compongono un quadro di atteggiamento . Questo sistema complesso di valutazioni deve essere capito, dopo una attenta analisi dei punti di forza e di debolezza del prodotto, se si vuole sperare di ottenere una buona probabilità di successo di mercato. Il valore complessivo dell’atteggiamento consente di migliorare la propria offerta, la progettazione di prodotto, e la comunicazione al cliente.

Il prodotto nel continuum positività-negatività

Gli individui non sono uguali tra loro in merito a posizioni specifiche su diversi argomenti: ad esempio, riguardo alla pena di morte, alcuni hanno posizioni negative molto forti e radicate, altri ugualmente forti, ma in senso favorevole, altri ancora moderatamente a favore o contro, altri ancora non avranno alcun’opinione specifica. Lo stesso vale rispetto ai prodotti.

Ciascun individuo possederà diverse tipologie di atteggiamento nei riguardi di diverse entità di valutazione. La struttura dei diversi atteggiamenti può essere visualizzata lungo un continuum.

Per ogni atteggiamento, esistono ancoraggi valoriali e culturali, a volte chiari e decodificabili immediatamente, altre volte inconsci e subconsci.

È naturale che un qualsiasi tentativo di modificare queste situazioni preesistenti (tentativo di persuasione) si confronterà con la modifica dei valori sottostanti, e porrà problemi di diversa natura.

In generale si può affermare che quanto maggiore è la forza di un atteggiamento, e radicato il suo collegamento con altri atteggiamenti forti e valori elevati, tanto più alta è la difficoltà di cambiarlo. Atteggiamenti molto forti e radicati nel tempo sono difficili da cambiare. Là dove non esiste alcun atteggiamento specifico (ad esempio un tema sul quale l’individuo non ha mai focalizzato la propria attenzione) la creazione di un atteggiamento specifico risulta più semplice.

Implicazioni per il marketing business-to-business

Nel business-to-business, molto spesso la latitudine di accettazione del buyer verso un nuovo prodotto o nuovo servizio non è predefinita, in quanto appunto non vi sono esperienze in merito. Questa rappresenta una problematica generale delle aziende che vendono innovazione.

Una tattica difensiva del buyer è quella di partire da posizioni negative, salvo modificarle in seguito. Non tutti, fortunatamente, adottano questa tattica, in quanto preclude ad una valutazione oggettiva e ponderata delle opportunità che possono essere realmente presenti nell’offerta.

Tra gli individui presenti all’interno di un target o campione eterogeneo di aziende, esistono varietà e differenziazioni in merito alla natura di atteggiamento preesistente. All’interno di una popolazione ampia, spesso la distribuzione degli atteggiamenti preesistenti assume una forma di curva normale (curva gaussiana, in termini statistici), che vede la presenza di un’area di soggetti fortemente positivi, una massa di “incerti” o persone che detengono atteggiamenti deboli, e un’area di soggetti con atteggiamenti negativi. Occorre quindi, per il venditore, capire questo scenario di atteggiamenti preesistenti, poiché con questo quadro egli dovrà confrontarsi.

Segmentazione attitudinale del cliente

Il termine “attitude” nella terminologia psicologica e di marketing anglosassone risponde all’equivalente italiano di “atteggiamento”. Con una piccola traslazione linguistica, utilizzeremo questo termine per definire il concetto di “segmentazione attitudinale”, intesa come stratificazione del mercato in funzione degli atteggiamenti preesistenti. 

La nostra tecnica individua cinque macrogruppi, differenziati in termini di posizioni latenti verso il prodotto:

  • Gruppo A: soggetti aperti e disponibili che dispongono di atteggiamenti fortemente positivi; le credenze possedute sono tutte positive e rilevanti.
  • Gruppo B: i soggetti dispongono di atteggiamenti positivi ma di valenza debole o moderata. Questi soggetti possono collocarsi in B anche quando a credenze positive (prevalenti) si sommano credenze negative (minoritarie).
  • Gruppo C: soggetti che non dispongono di un chiaro orientamento, per indisponibilità di esperienze precedenti o difficoltà nel valutare, o non conoscenza della materia;
  • Gruppo D: soggetti moderatamente negativi. La negatività può provenire o dal riconoscere solo punti negativi, o dal riconoscere più punti negativi (o di maggiore intensità) rispetto a quelli positivi. Eventuali punti positivi, nel quadro di atteggiamenti complessivo verso il prodotto o la proposta, diventano minoritari.
  • Gruppo E: soggetti fortemente negativi; le credenze negative possono essere numerose e sommarsi, oppure possono essere poche ma di intensità molto alta, tali da mettere in secondo piano qualsiasi altra possibile valutazione.

Questi diversi stadi corrispondono a diverse realtà psicologiche che il venditore troverà nel buyer. La difficoltà di vendita sarà crescente man mano che ci si sposta dal gruppo A al gruppo E, con una distribuzione degli atteggiamenti lungo un continuum  positivo/negativo, anche se venditori abili non si scoraggeranno molto nel fronteggiare soggetti E.

La segmentazione attitudinale (identificazione di sottogruppi diversificati in funzione degli atteggiamenti esistenti), ha lo scopo di:

  1. inquadrare la struttura degli atteggiamenti preesistenti,
  2. identificare i target prioritari,
  3. definire strategie di attacco ai diversi target.

Distribuzione delle risorse sui diversi target

Nessuna azienda o organizzazione dispone di un budget di comunicazione infinito, o di infinite risorse di vendita (tempi, uomini e mezzi). Diventa pertanto necessario definire le priorità di intervento, o priorità di vendita, in relazione ai diversi tipi di target.

In genere, queste vanno ottimizzate e distribuite partendo dai target più accessibili e responsivi, tenendo per ultimi i più ostili, i quali richiedono un maggiore costo di vendita (tempo, energie, sforzo persuasivo e abilità necessarie).

Saper identificare con che tipo di soggetti si dovrà avere un confronto è una necessità che va oltre il marketing aziendale, e pervade fortemente anche il marketing pubblico e la comunicazione pubblica. 

L’utilizzo di una strategia standardizzata su target dalle caratteristiche troppo diverse ne riduce sicuramente l’efficacia, soprattutto quando non sia stato trovato un minimo comune denominatore motivazionale.

In base alle considerazioni esposte, formuliamo il seguente principio:

Principio – Assioma di targeting della comunicazione

  • La comunicazione strategica richiede l’attivazione di percorsi e strategie diversificate in funzione dei diversi target. 
  • La comunicazione deve essere tarata in base alla struttura di atteggiamenti esistente nel soggetto ricevente.
  • La necessità di diversificazione della strategia cresce all’aumentare della divergenza/differenza tra soggetti e gruppi sui quali si vuole agire. 

In questo assioma si sostiene, quindi, che l’accettazione di un messaggio sia correlata al grado di “centratura” sui bisogni del target, sulla corretta identificazione delle strutture preesistenti di atteggiamento.

I problemi emergono sia nella pubblicità realizzata senza analisi precedente del target, che nella vendita diretta in cui il venditore fronteggia un soggetto sconosciuto.

In questi casi di blind sales (vendita che avviene su soggetti non conosciuti) la posizione dovrà essere rilevata online, in diretta, sul luogo e durante l’incontro. Le tecniche di rilevazione (domande, probing) non devono tuttavia urtare il sistema difensivo del soggetto, il quale deve vedere nelle domande del venditore una reale forma di interessamento.

Un tecnico di blind sales o un tecnico di vendita creativa è un soggetto molto abile sia in termini di formazione psicologica che in termini di capacità di analisi. Questi professionisti sono decisamente rari.

Nella vendita di servizi (es: finanziari, immobiliari), un’attività preliminare di segmentazione e screening diviene necessaria per fornire al venditore un profilo preliminare dei soggetti da incontrare (un profilo psicografico, oppure la posizione di atteggiamento ed interesse rilevata in precedenza). Questo consente la realizzazione di visite di vendita maggiormente mirate.

Nella comunicazione pubblicitaria, o comunque mediata, e nella vendita indirizzata a più soggetti (quando quindi il target è costituito da un gruppo), vale inoltre il seguente principio:

Principio – Assioma del minimo comune denominatore (MCD)

  • Azioni di comunicazione che hanno come target un gruppo composito di soggetti dovranno basarsi su bisogni e caratteristiche che costituiscono un minimo comun denominatore tra i soggetti membri del gruppo (valori condivisi, atteggiamenti condivisi, passati condivisi). 
  • Al crescere della variabilità interna del gruppo diminuisce la probabilità di trovare modelli validi ed efficaci per tutti i soggetti, e quindi aumenta la necessità di sviluppare strategie comunicative diversificate.

Credenze sul prodotto e belief system del consumatore

Le credenze, secondo Rokeach,[2] sono «proposizioni semplici, consapevoli o inconsapevoli, inferite da ciò che una persona dice o fa, che possano essere precedute dalla frase …Credo che…».

Alla base della formazione degli atteggiamenti verso il prodotto vi sono le «credenze» del soggetto (beliefs) relative al prodotto. La somma delle diverse credenze crea il “sistema delle credenze” (belief system) del cliente relativo alle conseguenze dell’acquisto. 

Credenze e atteggiamenti sono concetti diversi, in quanto le credenze rappresentano le componenti di base degli atteggiamenti, i mattoni costitutivi. Un atteggiamento può quindi essere considerato come una organizzazione di credenze

Il sistema delle credenze è un composto instabile, in cui ogni informazione in ingresso può modificarne la struttura. Le diverse credenze, valutate soggettivamente, producono l’atteggiamento complessivo di prodotto.

Il termine “credenze” evidenzia subito un fatto importante: gli atteggiamenti verso il prodotto sono un fatto psicologico, ed esistono anche senza la prova diretta o test del prodotto svolto in prima persona. È sufficiente un passaparola negativo (o positivo), o una supposizione tutta interiore sul gradimento, o persino il sound del marchio, ad innestare lo sviluppo di credenze e quindi la formazione di atteggiamenti. La credenza è una convinzione, che può anche essere sbagliata. 

Non dobbiamo pensare che il fondamento di una valutazione di prodotto si basi su riscontri oggettivi o valutazioni scientifiche, ma prendere atto che le credenze (beliefs) di prodotto si formano indipendentemente dalla volontà del venditore: sono dati di fatto con i quali egli deve avere a che fare, e che può tuttavia cercare di cambiare.

Gli atteggiamenti hanno quindi componenti cognitive, affettive e comportamentali. 

  • La componente cognitiva degli atteggiamenti riguarda l’insieme di credenze che il cliente possiede relative all’oggetto (ciò che il cliente pensa di sapere)
  • La componente affettiva o valutativa riguarda il grado di favore o sfavore verso l’oggetto, il grado di positività o negatività, che il cliente percepisce nell’oggetto
  • La componente conativa o comportamentale riguarda la tendenza all’azione che l’atteggiamento predispone nel cliente (acquistare o meno, suggerire il prodotto ad altri, non suggerirlo, o addirittura sconsigliarlo, ecc).

La maggior parte degli scienziati sociali è d’accordo sul fatto che un atteggiamento non sia un elemento basilare, irriducibile, all’interno della personalità, ma rappresenti un cluster (aggregazione) di più elementi intercorrelati.

Esistono forti influenze reciproche tra le tre componenti dell’atteggiamento. Se dispongo di una informazione non veritiera su una persona (ad esempio, penso – sbagliando – che abbia tradito la fiducia di qualcuno), la componente cognitiva sarà viziata da un errore di conoscenza. 

Questo errore si trasferirà alla componente valutativa (inizierò ad avere un rifiuto interno di quella persona, se per il mio sistema di valori il tradimento della fiducia è un comportamento indegno) e alla componente comportamentale (non lo inviterò ad una festa). 

La traduzione non è tuttavia automatica, poiché, come ricordato, vincoli esterni possono creare vincoli così forti da non consentire alla persona di agire coerentemente con i propri atteggiamenti.

Persuasione e organizzazione degli atteggiamenti

Abbiamo notato come le credenze su un determinato oggetto o prodotto si inseriscono all’interno del sistema di credenze di cui dispone il soggetto (belief system), che rappresenta «l’universo totale delle credenze di una persona riguardanti il mondo fisico, sociale, e il self». 

Dobbiamo considerare che le attività di persuasione aziendale, o l’autopersuasione di un consumatore  – magari successiva alla prova di un prodotto – costituiscono atti di riorganizzazione del belief system, cioè veri e propri mutamenti nel sistema di credenze della persona, a volta anche dolorosi.

Questa modifica, se avviene, causerà una forte riorganizzazione cognitiva, il cui costo è elevato in termini di sforzo persuasivo per l’individuo, il quale dovrà iniziare a “vedere il mondo” attraverso un sistema diverso di credenze. Il cambiamento di credenze non è di per se negativo, se il sistema di credenze iniziali conteneva bias, errori di valutazione che autolimitano la crescita del soggetto. 

Iniziare a percepire il mondo attraverso una luce diversa, con l’eliminazione dei filtri autoimposti o creati artificialmente dall’ambiente sociale, è del resto uno degli obiettivi della terapia cognitiva e di alcune scuole psicoterapeutiche (scuole Rogersiane[3]), le cui applicazioni alla vendita aziendale sono oggetto di studio da parte dell’autore e altri ricercatori.

La forza coesiva e la resistenza al cambiamento dei belief systems è tale che molti soggetti preferiscono rifiutare nuova informazione, pur di conservare il sistema di credenze in atto. Ad esempio, un razzista etnico sarà tentato a pensare che il ragazzo nero, il quale ha salvato una bambina da un annegamento, lo ha fatto “per ottenere una ricompensa” e non per volontà individuale. Questi meccanismi di “errore di attribuzione” che avvengono per non modificare le proprie strutture concettuali, sono stati dimostrati dalla ricerca sociale sulla comunicazione interculturale, inizialmente per comprendere i meccanismi di comprensione/incomprensione tra culture, ed in seguito per capire alcune valutazioni di prodotto nel marketing internazionale

In questi contesti, infatti, è stato dimostrato che le aziende di paesi ad alta reputazione in un certo settore industriale (moda italiana, meccanica tedesca, elettronica giapponese, ecc.), godono in quel settore di un vantaggio competitivo di immagine del prodotto. Ciò avviene grazie al belief system stereotipico del consumatore, che attribuisce ai prodotti di quel paese, in quel settore industriale, un grado di qualità di partenza superiore.

Questo effetto, determinato country-of-origin effect, è studiato estensivamente[4]. Ricerche nel campo dimostrano che il fattore “paese di origine” viene utilizzato dal consumatore in condizioni di scarsità di tempo di elaborazione (quando, cioè, non esiste tempo sufficiente per testare realmente le prestazioni e compararle tra prodotti).

Non dobbiamo né possiamo basare una strategia di marketing sulle credenze che il cliente “dovrebbe avere”, ma su quelle che effettivamente ha, per quanto sbagliate o distorte siano. Fare il contrario significherebbe ottenere risultati opposti o controproducenti, sia nella comunicazione sociale e pedagogica, che nella comunicazione di mercato.Sono proprio le credenze del momento ciò che l’individuo pensa, gli elementi in base ai quali agisce. Il fatto che le credenze siano distorte, al di là della verità oggettiva, non cambia le cose. Quindi le credenze assumono un peso maggiore rispetto alla “verità” di fatto. 


[1] Eiser, J.R., & van der Pligt, J. (1991). Atteggiamenti e decisioni. Bologna, Il Mulino. Edizione originale: Attitudes and Decisions. London, Routledge, 1988.

[2] Rokeach, M. (1968). Beliefs, attitudes, and values. San Francisco: Jossey-Bass.

Rokeach, M. (1973). The nature of human values. New York: Free Press.

[3] Autore di riferimento: Carl Rogers, psicologo e psicoterapeuta creatore della Client-centered therapy. Vedi Rogers (1951). Per approfondimenti sulle applicazioni rogersiane al marketing e comunicazione aziendale vedi www.medialab-research.com/tecniche/rogersiane/

[4] Vedi Gurhan-Canli, Z. & Maheswaran, D. (2000). Determinants of Country-of-origin evaluations Journal of Consumer Research, 27.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Le parole chiave di questo articolo La psicologia degli atteggiamenti verso il prodotto sono :

  • Psicologia degli atteggiamenti
  • Immagine del prodotto
  • Impressions management
  • Atteggiamento
  • Credenza
  • Comportamento
  • Quadro di atteggiamento
  • Distribuzione degli atteggiamenti preesistenti
  • Segmentazione attitudinale
  • Priorità di intervento
  • Targeting della comunicazione
  • Blind sales
  • Probing
  • Sistema delle credenze
  • Belief sistem
  • Componente cognitiva
  • Componente affettiva
  • Componente comportamentale
  • Vantaggio competitivo di immagine del prodotto
  • Country of-origin-effect
  • Strategie di marketing sulle credenze

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Psicologia di marketing e comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore

Le condizioni reali di fruizione

In ogni campo del marketing percettivo, le condizioni reali di fruizione devono entrare al centro della progettazione.

Nella fruizione visiva di prodotto, una autovettura potrebbe essere stupenda vista da un’altezza di 1,80 mt., ma produrre un impatto molto inferiore se vista dall’altezza di circa un metro, che rappresenta il reale punto di osservazione del guidatore di un’altra auto in strada.

Per questo, molti modelli di auto “cadono” nel design di parti che sono collocate all’interno della linea di visibilità e detengono quindi un carico comunicazionale, ma non vengono normalmente considerate nella progettazione estetica. Tra queste, i longheroni dell’assale posteriore, o tubi di scappamento, magari funzionalmente perfetti ma inadatti al tipo di immagine che il modello vorrebbe trasmettere.

Allo stesso modo, il retro di un hotel o la vista delle cucine, se difformi all’immagine di facciata (sporcizia, incuria), distruggono l’immagine complessiva nel momento in cui il cliente ne viene a contatto.

Dal punto di vista del risultato, le componenti del prodotto o dell’offerta (o dell’esperienza d’acquisto) divengono oggetti non-contributivi, cioè oggetti che non forniscono contributo alla creazione di valore, o persino de-contributivi, quando vanno a danneggiare la percezione totale.

Psicopatologie degli oggetti quotidiani e interfacce del prodotto

Vi è poi un’altra area di ricerca, che fa riferimento alla facilità d’uso, alla funzionalità dei prodotti, alla loro capacità di risolvere problemi anziché crearne: la “psicopatologia degli oggetti quotidiani”, la quale analizza i problemi di interazione del prodotto con l’utilizzatore umano.

Il lavoro di Donald A. Norman The design of everyday things tratta il  tema della problematicità d’uso dei prodotti, i problemi e le frustrazioni che compongono la vita quotidiana delle persone che acquistano e usano merci. In questo rapporto viene evidenziato come la cattiva progettazione e la mancanza di analisi della psicologia del fruitore creino vere e proprie “psicopatologie degli oggetti quotidiani”. 

In molti casi si evidenziano chiare problematiche di staratura tra prodotto e usabilità umana, che vanno a svantaggio del consumatore, sino al caso famoso di un proiettore di diapositive, in cui per l’avanti si doveva premere un bottone per poco tempo, mentre per l’indietro si doveva premere lo stesso bottone, ma a lungo. Dinamiche contro-intuitive di funzionamento che producono difficoltà di apprendimento, ira, e immagine negativa del produttore.

Anche i prodotti devono apprendere a comunicare, a fornire feedback all’utente.

Quando spingi un bottone ti aspetti che succeda qualcosa. Se non c’è feedback inizi ad andare nel panico e pensi che qualcosa si sia rotto.  È importante fornire feedback in tempo reale, non il giorno dopo, non il minuto dopo. [1]

Come evidenzia Wroblewsky[2], nell’introduzione al corso Advanced User Interfaces:

Il cattivo design, nel senso di non essere capaci di capire come funziona la cosa, è più la regola che l’eccezione nella vita quotidiana. Non dovrebbe essere necessario possedere una laurea in ingegneria al MIT[3] per capire come funziona un comune videoregistratore. Ogni nuovo prodotto domestico pubblicizza caratteristiche nuove e migliorate. Molto spesso queste nuove “caratteristiche” aggiungono solo frustrazione nello sforzo di interpretare come funzionano le cose; in questo modo gli avanzamenti tecnologici, che dovrebbero in teoria semplificare le nostre vite, aggiungono sempre maggiore complessità aumentando la frustrazione; questo è il paradosso della tecnologia.

Il design del prodotto e la progettazione delle sue interfacce devono quindi essere user-centered, ergonomiche e tarate sulle esigenze ed abilità dell’utente. 

Ciascun prodotto, ciascuna interfaccia, ed ogni elemento di contatto deve essere testato ampiamente in diverse condizioni d’uso, coinvolgendo in prove e test più utilizzatori, con lo scopo di scoprire i problemi che derivano dall’uso, eliminare la frustrazione, le problematicità, e, in ultimo, aumentare la produttività e la soddisfazione di chi lo impiega. A questo scopo le aziende produttrici possono impiantare specifici laboratori di utilizzo o, nell’esperienza dell’autore, “laboratori di interazione”, in cui i clienti utilizzano i prodotti e riportano al comparto tecnico e marketing i miglioramenti auspicabili.

La tecnica PSA (perceptual steps product-interaction analysis)

Le valutazioni che il cliente sviluppa sul prodotto avvengono in base ad una sequenza temporale di “avvicinamento” al prodotto, una sequenza di steps. Come abbiamo sottolineato in precedenza, nell’ambito del rapporto psicologico con un prodotto, non tutte le componenti dello stesso possiedono uguale gradiente di importanza. Alcuni steps sono più critici di altri.

Alcuni elementi, che denomineremo first above perceptivity line (FAPL, primi in linea rispetto alla percezione umana) possiedono un elevato carico comunicazionale di prodotto, ovvero incidono molto più fortemente di altri sulla percezione del consumatore – sia per la frequenza con cui vi entrano a contatto che per l’ordine di contatto a livello di step di utilizzo.

Se analizziamo il momento di prova di un’autovettura all’interno di un salone, noteremo che il primo elemento valutativo è dato dall’esterno della stessa (carrozzeria, colori, forme). Il secondo elemento proviene dall’apertura della porta, il terzo elemento dalla visione dell’interno. Avremo in seguito l’atto di entrata e quindi l’atto di seduta al posto di guida.

A seconda di quanto in profondità si voglia giungere nell’analisi dell’azione valutativa del cliente, è possibile analizzare diversi stadi: 

  • le micro-azioni, il comportamento del cliente “al microscopio” temporale (ad esempio, i singoli movimenti del capo e oculari che il cliente mette in atto nella valutazione di una vetrina); nel nostro metodo MICRO-PSA (micro-actions perceptual steps product-interaction analysis).
  • le meso-azioni, ad esempio, ciò che il turista compie in un arco di ore, inclusi tutti i diversi passaggi valutativi, precedenti e successivi all’acquisto; l’analisi relativa è denominata MESO-PSA (meso-actions perceptual steps product-interaction analysis). Riguarda azioni complete e distinte, che delimitano le fasi di fruizione del prodotto e possono considerarsi separate (durata: da pochi secondi ad alcuni minuti, es: l’avvicinamento ad un banco di frutta, la valutazione estetica ed odorifera, l’acquisto, e l’uscita dalla scena)
  • le macro-azioni, le sequenze di eventi che il consumatore mette in atto dall’inizio alla fine del processo di acquisto, incluso il rapporto con il personale di vendita, la valutazione dei locali, delle atmosfere, dei climi umani, i test del prodotto, i dialoghi con gli amici, gli avvenimenti critici che accompagnano tutta la vita del prodotto nel suo utilizzo, sino al punto di monitorare il comportamento del cliente durante tutto l’acro di vita e capire come si è formata l’intenzione d’acquisto del prodotto nel corso degli anni). La tecnica relativa è denominata MACRO-PSA (macro-actions perceptual steps product-interaction analysis).

Uno dei risultati della tecnica consiste nel determinare le componenti del prodotto situate in posizione first above the line, per giungere ad una programmazione del prodotto (in fase ideativa o migliorativa) che massimizzi gli investimenti dell’azienda.

In questa trattazione forniremo una breve descrizione di un’analisi di frame realizzato con livello di dettaglio MESO-PSA. Analizzeremo una breve sequenza di durata approssimativa di pochi minuti, relativa alla “prova di seduta” su un autovettura da parte di un potenziale acquirente, all’interno di un autosalone. In questo setting entrano in scena diverse porzioni del sistema di marketing del prodotto:

  • Step 1: visione dell’esterno dell’auto: marketing visivo – valutazione degli elementi visivi, forme, colori, linee;
  • Step 2: apertura della porta: sub-azione “utilizzo della  maniglia” – si attivano i sistemi di pertinenza del marketing tattile per la sensazione provocata dalla maniglia (caldo-freddo, rigidità, forme), del marketing cinestesico per il livello di sforzo e le sensazioni che derivano dal movimento della maniglia (maggiore o minore resistenza, scatti di apertura), del marketing uditivo per quanto riguarda il rumore del meccanismo di movimento della maniglia; uno scricchiolio in questo punto, ad esempio, causa l’immediato innalzamento della criticità valutativa;
  • Step 3: apertura della porta: sub-azione “movimento della porta” – si attivano le valutazioni di marketing cinestesico in riferimento al livello di sforzo necessario, alla sensazione di solidità della maniglia e della porta, alla scorrevolezza delle cerniere di supporto. Si attiva il marketing uditivo per il rumore dovuto agli attriti (ovattato, stridente, alto, basso);
  • Step 4: visione dell’interno – marketing visivo per gli elementi di interior design;
  • Step 5: fase di ingresso nell’abitacolo: sub-azione di entrata – attivazione del marketing cinestesico per l’ergonomia di ingresso, marketing olfattivo per le fragranze, profumi, odori presenti nell’ambiente interno, marketing tattile per le sensazioni provenienti dalle maniglie o altri elementi di appoggio;
  • Step 6: fase di ingresso nell’abitacolo: sub-azione del sedersi – attivazione del marketing tattile per l’ergonomia dello schienale e della postazione di guida, marketing tattile per la sensazione data dal volante e dal pomello del cambio, marketing visivo per la visione del cruscotto e della plancia, marketing emotivo per la sensazione prodotta dalla sinergia degli elementi percettivi (look-&-feel del prodotto).

Nel caso esposto, in pochi minuti entrano in azione una molteplicità di sistemi valutativi e percettivi. Nulla è ancora conosciuto a livello di prestazione dell’autovettura (tenuta di strada, ripresa, consumi, velocità, comfort di guida) e tuttavia gli elementi FAPL (first above perceptivity line) hanno già determinato, in buona parte, il gradimento del prodotto. Hanno quindi predisposto il consumatore in senso positivo o negativo in termini di intenzione di acquisto (fenomeno di imprinting di prodotto). 

Difficilmente la prova del prodotto potrà modificare sensazioni iniziali negative, e comunque si tratterà di un percorso in salita, che richiede l’inversione degli atteggiamenti iniziali, con conseguente dispersione di risorse.

Una analisi delle micro-azioni con il metodo MICRO-PSA (micro-azioni), incentrato su frame di analisi minimali, avrebbe potuto evidenziare particolari di livello quasi subliminale, come ad esempio l’istante di ricerca di feedback che l’attore genera con il contatto visivo nei riguardi dei presenti (moglie o amico), i quali l’accompagnano nell’esperienza, per verificare il livello di accettazione da parte dei gruppi di riferimento (gli “altri rilevanti”) e quindi orientare le proprie reazioni successive.

Planning ambientale e trust-signals

Una variabile di marketing incisiva sui comportamenti di consumo è data dal “clima d’acquisto” o “atmosfera di acquisto”: le caratterizzazioni psicologiche e fisiche degli ambienti nei quali il consumatore realizza il comportamento decisionale e procede all’acquisto. 

L’atmosfera d’acquisto modifica l’attività di information processing, ad esempio (in caso negativo) facilitando l’orientamento verso informazioni negative, o facilitando la ricerca di filtri e obiezioni alle informazioni positive sul prodotto. Si pensi all’impressione generata dalle atmosfere di una discoteca semivuota, o di un ristorante con nessun cliente all’interno, di un cinema vuoto nei quali essere gli unici avventori, e a come questo produca una sensazione di disagio, scarsa intenzione di entrarvi, rimanervi o consumare. 

L’atmosfera può inibire o facilitare la decisione di acquisto e la quantità di beni acquistati. La ricerca di “climi d’acquisto target” costituisce una nuova frontiera del marketing, dove vengono analizzati i fattori contestuali che possono promuovere o frenare l’acquisto. 

La costruzione del clima di acquisto dipende da una accurata progettazione degli ambienti dal punto di vista percettivo (marketing percettivo). Questo significa allargare la progettazione dei punti di vendita (e più in generale dei punti di contatto azienda-cliente), includendo ogni sfera della percezione sensoriale (visiva, uditiva, olfattiva, tattile, emotiva).

In tal senso assume una posizione centrale il concetto di “Gestalt del punto di vendita”, o “Gestalt del punto di contatto”: la percezione dell’insieme percettivo di contatto del consumatore come un tutto intercollegato, e non come somma di componenti senza relazione tra loro. 

Una corretta pianificazione dell’ambiente di acquisto consente di trasformare l’esperienza di acquisto da “impegno” a “piacere”, aumentando la frequenza di visita del punto vendita. Infatti, non tutti ricercano le stesse esperienze d’acquisto nel frequentare un negozio o un ipermercato. Una ricerca di Roy (1994) [4] negli USA, ad esempio, ha rilevato che i visitatori frequenti di grandi centri commerciali (shopping malls) i quali hanno un reddito medio-elevato, non frequentano questi luoghi per via delle promozioni di prezzo – alle quali non pongono grande attenzione – ma sono alla ricerca di una esperienza ricreativa d’acquisto, un momento piacevole e di svago (acquisto ricreativo). I visitatori caratterizzati da un reddito inferiore, invece, sono più attenti agli sconti e visitano il punto di vendita con specifici obiettivi e liste di acquisto (acquisto funzionale).

Le considerazioni svolte in merito alla psicologia della percezione visiva, inoltre, ci portano a riflettere sull’impatto di tali dinamiche in termini di marketing e progettazione dei punti di vendita, e degli ambienti front-line.

Drammaturgia dell’ambiente d’acquisto

La gestione dei segnali ambientali, se non lasciata al caso, dà luogo ad una vera drammaturgia dell’ambiente, basata su una gestione delle scenografie, e persino delle mosse relazionali che avvengono all’interno dell’arena di acquisto. Alcuni direttori commerciali, ad esempio, sono abilissimi nel creare scenografie e sceneggiature ad-hoc in occasione di determinate visite in azienda da parte di clienti speciali, agenti, o potenziali clienti. 

Lunghe file di camion in attesa di caricare, linee di montaggio funzionanti di notte, montagne di ordini appena giunti, ne costituiscono la porzione scenografica materiale. Incontri, telefonate, accadimenti improvvisi, ne costituiscono la parte dinamica e drammaturgica relazionale. 

Al di là dell’aspetto teatrale, occorre sensibilizzarsi alla necessità di attivare una corretta pianificazione comunicazionale. L’impresa deve porre attenzione a ogni elemento della comunicazione, chiedendosi quali – tra gli elementi che vengono in contatto fisico e relazionale con il cliente – possono trasformarsi in trust-signals e distrust-signals.


[1] Wroblewsky, WSU, introduzione al corso Advanced User Interfaces, 2000.

[2] Washington State University, 2000.

[3] Massachusetts Institute of Technology, tra i principali centri di ricerca tecnologici mondiali.

[4] Roy, A. (1994). Correlates of mall visit frequency. Journal of Retailing, 70, 139-161.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Le parole chiave di questo articolo La percezione umana al centro del prodotto sono :

  • Carico comunicazionale
  • Psicopatologia degli oggetti quotidiani
  • User-centered
  • Interfaccia del prodotto
  • Tecnica PSA
  • Perceptual steps product-interaction analysis 
  • Micro-azioni
  • Meso-azioni
  • Macro-azioni
  • Clima-atmosfera d’acquisto
  • Gestalt del punto di vendita
  • Esperienza ricreativa
  • Acquisto funzionale
  • Acquisto ricreativo
  • Drammaturgia dell’ambiente
  • Pianificazione comunicazionale
  • Trust-signals
  • Marketing percettivo
  • Oggetti non-contributivi
  • Analisi della psicologia del fruitore
  • Distrust-signals

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Psicologia di marketing e comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore

Il marketing percettivo

Se ogni elemento della percezione concorre alla valutazione complessiva del prodotto e al suo successo, allora il marketing deve occuparsi di qualsiasi fonte della percezione. 

Identifichiamo sette aree specifiche del marketing percettivo, da cui derivare strategie di intervento sul sistema di marketing: 

  1. Marketing visivo
  2. Marketing tattile
  3. Marketing olfattivo
  4. Marketing gustativo
  5. Marketing uditivo
  6. Marketing cinestesico
  7. Marketing emotivo

Tali aree permettono di giungere alla customer satisfaction globale del consumatore, nella quale ogni elemento fonte di prestazione assume un peso e un ruolo strategico.

Per raggiungere questo risultato, l’impresa deve attivare un percorso di Human Engineering, sia nel prodotto che nei servizi, una progettazione che pone la percezione umana al centro del prodotto, definendo i livelli ottimali di customizzazione (adattamento alle specificità del consumatore target).

Il marketing percettivo determina la necessità di avanzare il concetto di sensazioni target come elemento centrale della progettazione del prodotto e degli ambienti. La sensazione target rappresenta la sensazione ottimale che il prodotto dovrebbe generare, lungo tutte le direttrici percettive possibili. 

L’obiettivo è quello di produrre, nella realtà percettiva dell’individuo-utilizzatore, una Gestalt armonica, un Modello di marketing percettivo-sensoriale a 7 variabili (TPM – Total Perception Marketing), un insieme di sensazioni ottimizzate in funzione del soggetto.

Marketing Visivo : le forme, i colori e i contesti reali

A livello di marketing visivo, la percezione del prodotto è il risultato di un processo interattivo e complesso: l’incontro tra materia e radiazioni elettromagnetiche che colpiscono il prodotto produce una riflessione verso l’occhio umano.

Sulla visione influiranno quindi (1) le caratteristiche della materia (forme, texture), (2) la natura delle radiazioni (es: luce solare diurna, luce al neon, luce radente, luce diffusa, ecc.), e (3) le caratteristiche dell’individuo.

Al variare di ciascuno dei tre elementi, la percezione visiva sarà diversa. Esisteranno differenze percettive in funzione della texture (tessitura superficiale) dell’oggetto, ma anche in funzione del tipo di luce e della persona che osserva.

Considerare la natura interattiva della visione permette di allargare l’area di intervento del marketing visivo, includendo sia le caratteristiche degli oggetti esposti alla radiazione che il tipo di radiazione, che il tipo di illuminazione ricevuta, e le angolazioni visive o contesti di fruizione umana (ed  in generale le caratteristiche del fruitore).

Un prodotto andrà quindi progettato in funzione delle tipologie di illuminazione che lo stesso è destinato a ricevere e delle modalità fruitive reali: gli interni di un’autovettura possono risultare gradevoli in laboratorio o in sala prove, ma eccessivamente spenti se consideriamo le condizioni reali medie di illuminazione nelle quali vengono percepiti, vista la copertura dell’abitacolo, il clima e l’esposizione solare dei paesi target.

La scenografia dell’illuminazione, la sua coreografia, è una variabile di marketing estremamente importante nei punti di vendita, dove luci sbagliate (es: luci al neon di bassa luminosità, in ambienti grandi) creano stanchezza visiva, e persino disturbi visivi. L’illuminazione errata si riverbera sull’immagine dell’ambiente, che viene percepito “triste”, “spento” e smorto, con una influenza duplice: fisiologica e psicologica. Le sensazioni negative, a catena, generano la volontà di uscire dall’ambiente (ad esempio, un centro commerciale) o di non entrarvi nemmeno, e producono le condizioni per la riduzione di fatturato o insoddisfazione rispetto al clima di acquisto.

L’attenzione ai contesti reali di fruizione è importante in ogni ambito di comunicazione. Ad esempio, una video-presentazione ad un gruppo di clienti, sviluppata sul monitor del proprio PC produrrà una resa diversa, inferiore qualitativamente in termini di colori e saturazione, nel momento della proiezione su una parete. In un ambiente anche debolmente illuminato, molti dettagli verranno persi, leggere sfocature renderanno il testo piccolo, praticamente illeggibile, vi sarà minore contrasto, alcune scritte potrebbero risultare incomprensibili. L’effetto sul cliente sarà una presentazione di scarsa qualità. Per prevenire gli errori di comunicazione, è necessario che il messaggio venga pre-testato nel contesto reale.

In generale, per qualsiasi comunicazione strategica, l’effetto va testato sul campo. La necessità riguarda sia le comunicazioni aziendali al cliente (dirette o multimediali, inclusi i siti internet) che qualsiasi prodotto in cui la componente visiva sia importante. 

Un messaggio visivo pensato per la lettura in un quotidiano disporrà di un tempo di elaborazione superiore a quello di un cartello autostradale. Ancora una volta, emerge la necessità di produrre pensando, in anticipo, a quali saranno i contesti reali di ricezione del messaggio.

Marketing Tattile : le sensazioni al tatto del prodotto

Il tatto è costituito dall’insieme di sensazioni – pressione, calore, temperatura, texture –  che i prodotti determinano al contatto fisico.

La morbidezza di un oggetto, nonché altre caratteristiche quali il peso o la scivolosità, verranno giudicate diversamente dalla mano morbida di uno studente adolescente, piuttosto che dalla mano incallita di un operaio di fonderia. La differenza fisica tra i due individui determina quindi una differenza sulla valutazione di funzionalità di un attrezzo o di qualsiasi altro oggetto impugnabile, a parità di caratteristiche prestazionali tecnologiche. 

La gestione orientata alla customer satisfaction globale deve prevedere sensazioni tattili target del prodotto.

Al tatto (valutando peso, rugosità, solidità e tenuta) ci affidiamo ad esempio per determinare – congiuntamente agli elementi visivi – se una tastiera di PC sia “solida” oppure di scarsa qualità, o ancora se un mouse sia funzionale o meno. 

Elementi come la scivolosità, i materiali, le asperità e protuberanze, spazi e distanze tra componenti di un prodotto, devono essere accuratamente progettati al fine di raggiungere la sensazione tattile target che il prodotto ideale deve fornire.

Queste considerazioni ci portano a considerare la necessità di agire – ove possibile – sulla conduttività dei materiali, per sviluppare le sensazioni ottimali di calore tattile dei prodotti. In questo senso, il marketing deve confrontarsi attivamente con le scienze dei materiali per definire quali percorsi evolutivi sviluppare e come produrre innovazioni significative di prodotto dal punto di vista tattile.

La relazione tra proprietà fisiche ed emotive del prodotto ha una valenza di marketing. Come ben sappiamo, la capacità di infondere calore è importante in ambienti freddi (si pensi al pavimento di una baita di montagna), o per abbigliamenti destinati ai climi estremi, non solo in termini fisici, ma anche in termini psicologici. Materiali caldi e soffici producono sensazioni di avvolgenza che spostano la funzione del prodotto dal marketing tattile al marketing emotivo. Per questo, ad esempio, una sciarpa morbida ed avvolgente può assumere una valenza psicologica di protezione che riporta il soggetto ad una condizione di sicurezza emotiva. 

Di contaminazioni (percettive-emotive) tra sensazioni fisiche e potenzialità evocative del prodotto si occupa il marketing percettivo, sino alla pianificazione delle emozioni generate dal prodotto (marketing emotivo).

Marketing Olfattivo : gli odori

L’olfatto è un senso che agisce su base chimica. Le molecole delle sostanze, trasportate dall’aria, entrano in contatto con recettori appositi (recettori olfattivi) collocati nella cavità nasale.

Al di là dei prodotti classicamente deputati a sfruttare l’olfatto, quali profumi e deodoranti, esiste un mondo nascosto di sensazioni olfattive connaturate ai prodotti, che contribuisce a suscitare desiderio di acquisto o repulsione da parte del cliente. 

Non si parla in questo caso solo del cibo, che viene scelto in larga misura in funzione dell’odorato e della vista, ma di sensazioni celate e recondite di prodotto, quali il profumo di un libro o di una rivista, l’odore che emana l’interno di un’autovettura nuova, l’odore delle plastiche di un utensile elettrico, i profumi dei tessuti che permeano una boutique o negozio di abbigliamento, il profumo di un maglione, le fragranze lasciate da un ammorbidente per bucato o da una crema estetica, gli odori ambientali di un ipermercato o shopping-mall, o l’odore fisico di una persona. 

Gli odori sono una delle componenti ambientali che maggiormente colpiscono la percezione e permangono nella memoria. Le sensazioni olfattive lasciano tracce mnestiche profonde, e sono in grado di evocare situazioni, persone e prodotti, luoghi già visitati.

Queste dinamiche hanno implicazioni forti anche per il marketing.

Ad esempio, le aziende consapevoli dell’interazione tra gradimento del prodotto e odori, possono attivare specifiche strategie di odorizzazione mirate dei prodotti o dei contenitori alimentari (packaging), in grado di aumentare l’effetto complessivo sul consumatore. L’aumento dell’odorizzazione mirata del packaging è in grado di rinforzare la decisione d’acquisto.

Il marketing olfattivo dovrà pertanto occuparsi di definire le sensazioni olfattive target del prodotto e del contesto di acquisto. In tal senso, il marketing olfattivo e altri sistemi di marketing percettivo possono essere impiegati proficuamente per realizzare la pianificazione ambientale del punto di vendita (PDV), alla ricerca dei climi di acquisto ideali. 

Marketing Gustativo : i sapori

Le sensazioni principali del gusto sono costituite da quattro tipologie: dolce, acido, amaro, salato – da cui, per combinazione, si formano tutte le altre.

Il gusto è un senso che interagisce fortemente con l’olfatto (interazione sensoriale). Pertanto in caso di deprivazione olfattiva i gusti appaiono molto diversi e a volte prodotti noti stentano ad essere riconosciuti. Come spiegano studi neurobiologici: 

Almeno la metà della sensazione che ci fa apprezzare il buon vino e rimandare indietro sdegnati la bottiglia che «sa di tappo» non dipende affatto dalla lingua, ma dal naso. Il retrogusto, per esempio, «è dovuto all’evaporazione di alcune componenti volatili del vino nella zona più posteriore della cavità orale.

Alla luce delle ricerche nel settore, il marketing agroalimentare deve preoccuparsi quindi molto più di aspetti correlati ad altri sensi (olfatto e tatto) che non al semplice sapore:

Il marketing gustativo è prevalentemente materia di pertinenza del settore agroalimentare – dall’agricoltura alla trasformazione, distribuzione ed elaborazione dei cibi – sino ad intervenire come elemento di progettazione nel settore industriale. Si pensi ad esempio alla progettazione delle cucine e degli utensili da cucina, alla “contribuzione al sapore” che un utensile di cottura ben progettato può dare.

La gestione della componente gustativa/olfattiva, è quindi un elemento centrale per aziende che producono cibi, ma anche per i produttori di attrezzature di trasformazione dei cibi o cottura (pentole, stoviglie, smalti, industrie di trasformazione di alimentari, magazzini ortofrutticoli, ecc..). 

Molti prodotti e strumenti (es: pentole da cucina e altri sistemi di cottura) hanno una mission di prodotto il cui scopo non è solo di cuocere, ma di esaltare le caratteristiche gustative e nutrizionali. La capacità di incidere sulle modificazioni gustative prodotte sugli alimenti, e l’esaltazione delle loro proprietà, costituisce vantaggio competitivo per l’operatore che se ne appropria.

Le sensazioni gustative interessano anche altri tipi di mercato: il biomedicale (medicine, preparati, integratori….) e l’estetico-medicale (pozioni, creme, dentifrici….), per i quali la definizione di sensazioni gustative target assume un valore determinante nella scelta di prodotto.

Marketing uditivo : i suoni e i rumori

L’energia dei segnali acustici viene trasmessa dall’aria o da altri elementi (acqua, gas) per mezzo di onde sonore. Le onde sonore vengono trasformate in messaggi neurali da parte di organi recettori sensibili alle vibrazioni, collocati nell’orecchio.

Nell’essere umano, l’udito, assieme alla vista, assume un’importanza prioritaria anche per via della elevata quantità di tessuto cerebrale (corteccia) destinata ad elaborarne le informazioni.

Le sensazioni uditive per l’essere umano costituiscono una variabile importante nei processi di consumo e di satisfaction, tanto da far emergere la necessità di pianificare e attivare strategie di marketing uditivo.

Il rumore di un’autovettura è una parte integrante del vissuto di molti modelli sportivi. La gradevolezza del rumore, la pertinenza del tipo del rumore per il posizionamento di mercato del modello specifico (auto sportiva, sport-comfort, touring, ecc..) hanno un peso non indifferente nella valutazione complessiva del prodotto, e questo vale anche per motocicli, aerei, treni, e motori per imbarcazioni.

Anche particolari apparentemente insignificanti possono concorrere a determinare le scelte del consumatore. Il rumore di apertura o chiusura dello sportello di una lavatrice, del baule di un’auto, incide sulla sensazione di solidità generale del modello. Toni bassi, soffocati, e livelli sonori ridotti porteranno ad una sensazione di accuratezza costruttiva, robustezza e solidità, mentre suoni alti e vibrazioni poteranno ad una sensazione di “lamiera vuota” e scarsa sicurezza. 

Ad esempio, il raffinato rumore di espulsione automatica dei dischetti dei computer Apple Macintosh ne ha determinato un punto di attrazione (assomigliando vagamente al rumore di apertura di una porta di astronave, o sensazione similare).

In altre parole, elementi non strettamente prestazionali del prodotto, quali il rumore dei componenti, costituiscono fattori di valutazione, incidendo direttamente sulla intenzione di acquisto, a volte inconsciamente. Pertanto la pianificazione uditiva deve rientrare tra i criteri costruttivi e progettuali, sia dei prodotti esistenti che dei nuovi prodotti. 

Il concetto di riflesso d’immagine del prodotto, il fatto che gesti apparentemente semplici possano caricarsi di significato simbolico, è evidenziato anche da Vance Packard[4]:

Il direttore dell’associazione nazionale dei produttori di tabacchi fece presente ai suoi colleghi che «l’uomo che vi offre un pacchetto di sigarette da trentacinque centesimi (in America le sigarette costano normalmente 20 centesimi di dollaro) fa pubblicità a se stesso. Vuol farvi sapere che è ormai arrivato. Tutto ciò che il venditore dice o fa con il prodotto deve tendere a rafforzare nel cliente questa convinzione…».

Marketing Cinestesico : i movimenti e le posizioni

Nel corpo umano sono collocati milioni di sensori nervosi che rilevano le posizioni e il movimento, in modo da fornire continuamente informazioni alla corteccia rispetto ad accadimenti che lo riguardano.

La cinestesi agisce sulla sensazione di comfort, di tenuta, di sicurezza, di piacevolezza di un’ampia gamma di prodotti, che include ad esempio tutti i mezzi di trasporto (aerei, treni, navi, auto, moto, cicli, furgoni, camion, carrelli, carrozzine, ascensori). La progettazione cinestesica delle prestazioni di prodotto incide fortemente sulla forza dell’intenzione di acquisto che segue ad una prova del prodotto. 

Il marketing cinestesico si occupa quindi di analizzare le sensazioni che gli oggetti in movimento apportano all’uomo. Le sensazioni cinestesiche si determinano in due classi di prodotti:

  • prodotti che vengono impugnati o mossi nella loro fruizione o utilizzo (utensili, tasti, monitor di PC rotabili, manopole, ecc.);
  • prodotti in movimento nei quali l’uomo entra e prende posto (autovetture, autobus, ascensori, aerei, treni, navi, poltrone dotate di movimento, da casa o da ufficio, attrezzi ginnici e da palestra, attrezzi riabilitativi). Questa classe comprende anche prodotti meno tradizionali ma tuttavia dotati di proprietà di movimento (es.: materassi e letti, grattacieli ai piani alti, ponti) che possono generare sensazioni cinestesiche in quanto in essi avvengono movimenti o oscillazioni.

I costruttori di prodotti in cui entra la proprietà cinestesica devono porre estrema attenzione alle sensazioni generate (prestazione cinestesica). In generale, in ogni tipo di prodotto in cui avvenga movimento è necessario individuare i fattori generativi di sensazioni cinestesiche positive e negative, e predisporre una progettazione cinestesica in grado di assicurare sensazioni ottimali ai fruitori dei prodotti. 

Ad esempio, il mercato degli utensili deve considerare come ottenere sensazioni cinestesiche target attraverso l’ergonomia del prodotto, il senso di affaticamento generato, la trasportabilità, l’impugnabilità e altri fattori.

Le imprese operanti in questi settori dovranno quindi fissare le sensazioni cinestesiche target, attivando percorsi di ricerca e sviluppo (R&D) in grado di apportare un completo controllo di tali effetti sul consumatore.

Marketing Ergogenico : le emozioni e le sensazioni

In un mercato in cui è difficile “fare la differenza”, è necessario sviluppare  strategie di differenziazione dalla concorrenza che si prefiggano (1) di associare emozioni all’immagine del marchio (branding emotivo), e (2) provocare emozioni nell’utilizzatore. Quali sono le emozioni che il prodotto può produrre? Per rispondere a questa domanda analizziamo più da vicino le ricerche sulla psicologia delle emozioni.

La ricerca ha evidenziato otto emozioni primarie: gioia, accettazione, paura, sorpresa, tristezza, schifo o repulsione, collera, aspettativa. Dalla loro combinazione, emergono emozioni derivate: ottimismo, amore, sottomissione, spavento, delusione, rimorso, disprezzo, aggressività. 

È tempo di chiedersi: il nostro marchio suscita emozioni? E il nostro prodotto? E il modo con cui eroghiamo il servizio e assistiamo il cliente? La nostra azienda è un freddo erogatore e assemblatore di materie prime, o ha una valenza psicologica per il cliente? Produce coinvolgimento emotivo? I venditori parlano solo o sanno ascoltare? Aggrediscono o accolgono? O sono solo dei raccogli-ordini? Sanno sviluppare ottimismo nel cliente? E gioia?

Le emozioni fornite dai prodotti

Capire quali emozioni suscita un’interfaccia di prodotto o un interfaccia di servizio è importante in quanto la gradevolezza dell’esperienza emotiva si correla positivamente alla propensione d’acquisto.

Le emozioni sono eventi mentali successivi alla percezione di un oggetto (ad esempio, la fruizione di un film, la lettura di un libro, la contemplazione di un panorama turistico, l’utilizzo di un robot da cucina). Le esperienze che le persone hanno dei prodotti generano un’attività mentale, un sentimento che determina anche modificazioni organiche (ansia, rilassatezza, sudorazione, spossatezza). Ad esempio un utensile per falciare l’erba mal progettato genera non solo stanchezza fisica, ma anche emozioni di ira verso il venditore o verso se stessi per averlo acquistato. 

Queste emozioni d’uso si trasferiscono verso l’azienda produttrice in un processo di osmosi emotiva. Le osmosi negative producono invece l’odio verso il produttore, derivato dalla frustrazione d’uso o dalle aspettative non mantenute.

Ogni prodotto è quindi in grado di generare emozioni, più o meno forti, più o meno intense. La generazione delle emozioni avviene in seguito ai rapporti che la persona ha con la superficie del prodotto, con le sue “interfacce” (interfacce prodotto). Il concetto di interfaccia esprime infatti ciò che sta tra il prodotto e l’utilizzatore, includendo gli aspetti di superficie, gli elementi visibili e tangibili, i comandi, i controlli, e tutto ciò che del prodotto viene fruito, visto, toccato, respirato.

In termini di marketing e di nascita della pulsione d’acquisto, assume peso la capacità di un’interfaccia di produrre emozioni (piuttosto che semplici input sensoriali, asettici, privi di carica emotiva). In ogni campo merceologico, e per ogni target, tali emozioni dovranno essere adeguatamente tarate. Il solo fatto di emettere più dati (più colori, o altro) non è sufficiente a creare marketing emotivo. Occorre valutare la rilevanza e gradevolezza di quei dati per il soggetto.

Prodotti ergogenici

L’ergogenesi rappresenta il processo di percezione delle sensazioni interne all’organismo. Un dolore ad una parte del corpo – ad esempio il mal di testa – o una sensazione positiva (il gonfiore muscolare provocato da un intenso allenamento, per un bodybuilder) sono esempi di sensazioni ergogeniche, così come la percezione di sensazioni emotive di fiducia, di ansia, di tristezza, di gioia o di intensa speranza. 

I prodotti con funzione ergogenica diretta sono ad esempio gli psicofarmaci – che modificano le percezioni interne dell’organismo e alterano gli stati di coscienza – gli antidolorifici, l’alcool e altre sostanze psicoattive. Possiamo parlare in questo caso di ergogenesi diretta o indotta da sostanze. 

Altri prodotti, servizi, prestazioni e situazioni possiedono funzione ergogenica indiretta, attuata senza introdurre sostanze nell’organismo, basandosi unicamente sulle proprietà del prodotto di infondere emozioni. Ad esempio, la valenza di un prodotto turistico, un tramonto sul mare, accompagnato dal rumore delle onde e dal profumo della salsedine, le sensazioni del ballo, la potenza della guida, un design emozionante. 

Produrre sensazioni costituisce la funzione ergogenica del prodotto. 

Anche in campo alimentare l’Esperienza Totale di Prodotto (ETP) – poniamo un pasto di mezzogiorno – è data da un sistema iniziale percettivo (visione del cibo, gusto, olfatto, sensazioni tattili durante la masticazione), e da un sistema successivo di ergogenesi (pesantezza o lentezza digestiva, effetti sul rendimento lavorativo e sullo stato di veglia).

A livello pratico, è necessario analizzare quali prodotti sono suscettibili di possedere funzioni ergogeniche, per poi stabilire la sensazione ergogenica da sviluppare. Lo sviluppo delle sensazioni ergogeniche target dà luogo a strategie di marketing emotivo, che consiste nel pianificare le emozioni complessive generate dal prodotto (prestazione emotiva del prodotto/servizio) sul consumatore target.


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Altre risorse online

Le parole chiave di questo articolo Strategie di marketing percettivo sono :

  • Marketing percettivo
  • Marketing visivo
  • Marketing tattile
  • Marketing olfattivo
  • Marketing gustativo
  • Marketing uditivo
  • Marketing cinestesico
  • Marketing emotivo
  • Customer satisfaction globale
  • Sensazioni target
  • Human engineering
  • Contesti reali di fruizione
  • Strategie di odorizzazione mirate
  • Interazione sensoriale
  • Pianificazione uditiva
  • Riflesso d’immagine del prodotto
  • Progettazione cinestesica
  • Branding emotivo
  • Osmosi emotiva
  • Funzione ergogenica del prodotto
  • Esperienza totale di prodotto
  • Interfacce prodotto

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Psicologia di marketing e comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore

Il set percettivo

Il set percettivo è un contesto situazionale ampio, che coinvolge le esperienze precedenti dell’individuo e determina l’inquadramento delle nuove informazioni in ingresso.

In base al fenomeno del set percettivo, le persone si auto-condizionano a valutare le esperienze successive sulla base delle prime esperienze. Le prime esperienze di prodotto, in altre parole, formano un imprinting, una “marchiatura” dell’azienda, uno schema di riferimento valutativo che guiderà le future considerazioni.

Ad esempio, una lettera sbagliata, un sito internet mal progettato e dilettantesco, un catalogo male impaginato, macchie, errori grammaticali e ortografici – producono un filtro negativo che guiderà  le valutazioni future del cliente. Le valutazioni di un singolo elemento si trasferiscono per osmosi all’intero sistema aziendale. Se così poca cura è stata posta in una semplice lettera  – pensa il cliente – cosa succederà poi a livello di prodotti, o di assistenza e garanzie?

Il set percettivo, pertanto ci induce a sottolineare l’importanza della cura progettuale degli elementi di primo impatto nei prodotti, e  – in generale – la cura di qualsiasi prima occasione di incontro tra azienda e cliente, o tra persone che non si conoscono ancora.

Le prime impressioni guidano le impressioni future. Modificare le impressioni successive ad una serie di valutazioni iniziali negative, i primi momenti di impatto avuti dal cliente, è opera ardua, e richiede molto sforzo (inversione di atteggiamento).

Il fenomeno della persistenza dell’impressione porta il soggetto a ragionare sulla base di regole euristiche. Le euristiche sono modalità di ragionamento stereotipiche, che utilizzano particolari frame o set percettivi per guidare le future analisi degli oggetti o delle persone. 

La ricerca dell’evitazione di dissonanza cognitiva dirige la percezione lungo una linea di stabilità e uniformità con le sensazioni iniziali. Se il sito internet dell’azienda (elemento altamente esposto nella linea di visibilità) contiene errori o produce immagine negativa, il cliente sarà portato a ricercare errori e negatività anche in altre parti dell’azienda. Se l’impressione iniziale è positiva, gli errori successivi verranno valutati meno negativamente, godendo di un “bonus” euristico, che porta il cliente a convincersi che si tratta di “errori passeggeri” e non di “errori fondamentali”.

La Gestalt del prodotto

La psicologia della Gestalt può essere considerata – in linea molto semplificata – una scuola di pensiero nella quale si pone attenzione ai rapporti tra un “tutto” e i suoi componenti, tra elemento e insieme di appartenenza.

Le ricerche sottolineano che le persone, andando alla ricerca di una coerenza con i propri costrutti mentali, mettono in pratica comportamenti di percezione selettiva, percezione distorsiva e attenzione selettiva. In altre parole, filtrano la realtà e cercano di ricostruirla per ridare ad essa un senso. Nel farlo, utilizzano dei “set” o “frame” (punti di osservazione e modalità di inquadramento), come linee guida.

Le ripercussioni sulla fruizione del prodotto e sulla customer satisfaction sono numerose. Le caratteristiche del prodotto possono infatti venire giudicate in maniera diversa – più o meno positiva – a seconda del frame adottato.

In termini di marketing, questo determina un fenomeno di imprinting (marchiatura), per cui le sensazioni iniziali in un rapporto con il prodotto formano il set (o frame) attraverso il quale il resto dell’esperienza verrà filtrato. Se esse sono negative, tutto il resto della prestazione verrà giudicato tramite un filtro negativo. Ad esempio, una grave “gaffe” comportamentale nei primi secondi di una presentazione di vendita (se il soggetto viene colto mentre fa cenni di nascosto ad un suo collega) è in grado di instillare un frame di sospetto e atteggiamento negativo per tutto il resto dell’incontro. Allo stesso modo, un sito internet poco curato produce un transfer di immagine negativa di cui soffrirà sia la vendita che la valutazione del prodotto.

Le illusioni percettive

Analizzare la Gestalt di marketing significa valutare :

  1. le interazioni tra i molteplici elementi (parti) di cui si compone il prodotto/servizio/prestazione, e
  2. l’effetto complessivo che ne emerge, in termini di impatto sul cliente.

Significa quindi andare oltre la semplice somma delle parti, e capire l’effetto complessivo, globale, sinergico, di un insieme di input con i quali il cliente viene a contatto.

La psicologia della Gestalt[1] ha evidenziato come, di fronte ad un insieme di percezioni, colui che percepisce tende ad organizzare i diversi stimoli in maniera coerente secondo schemi precostituiti, ed il tutto crea qualcosa di diverso dall’insieme delle parti.

La percezione è qualcosa di più di una semplice “ricezione” passiva di stimoli, ma diviene nella mente umana “organizzazione” attiva degli stimoli provenienti dall’esterno.

Il prodotto o servizio offerto è quindi una Gestalt, una realtà complessa superiore ad una semplice somma di componenti : l’organizzazione del design del prodotto e la somma dei suoi elementi percettivi (visivi, olfattivi, tattili, gustativi), creano una realtà che è diversa dalla somma delle parti, un’entità che acquista una personalità propria anche in relazione a come i diversi componenti si rapportano tra loro.

L’impresa stessa, il valore del suo marchio, il valore della sua offerta, costituiscono un’insieme di Gestalt di livello ancora superiore. Le implicazioni che ne derivano sono la contaminazione continua (positiva o negativa) tra elementi comunicativi dell’impresa, tra la comunicazione del sito web e una visita aziendale, tra il packaging e la pubblicità, tra una promozione e la percezione del valore del marchio, in un crescendo di interazioni complesse.

La ricerca della strutturazione e della congruenza con i propri schemi cognitivi è una delle costanti della mente umana. Il tentativo di semplificazione della complessità, la ricerca di categorie in cui incasellare gli eventi e le cose, la strutturazione di elementi in insiemi omogenei, nasce da un bisogno di consistenza, di coerenza tra elementi, di omogeneità di senso e significato.

Le implicazioni per la psicologia del prodotto sono numerose e si riferiscono alla necessità di considerare il prodotto anche nei suoi minimi dettagli. L’esperienza totale di prodotto (ETP) si forma per organizzazione di una molteplicità di dettagli.  La somma dei dettagli costruisce una Gestalt di prodotto – una visione d’insieme. Ogni dettaglio del prodotto è significativo, coerente o incoerente, consonante o dissonante, rispetto all’immagine globale.

Il cliente non valuta un prodotto o un’impresa per quello che sono realmente. Egli elabora input che provengono da un insieme percettivo di contatto (ogni elemento, oggetto, persona, lettera, packaging, media, che veicola qualcosa dell’impresa e del prodotto, nel momento in cui il cliente li incontra).  Questo insieme di contatto può produrre informazioni distorte o divergenti dalle intenzioni aziendali.

La presenza di elementi dissonanti, in questo insieme, contravviene al tentativo del consumatore di formare una immagine coerente di prodotto, e genera un effetto negativo a catena su tutto il processo valutativo.

Ad esempio, nelle prime fasi di contatto con l’impresa, potrebbe succedere che (1) venga visitato innanzitutto il sito aziendale con funzione di orientamento e valutazione preliminare, e (2) vengano ricercate informazioni ulteriori sulla società tramite altre fonti. Se il sito aziendale è sbagliato e proietta un’immagine negativa, le ricerche ulteriori di informazioni sull’impresa saranno guidate da un tentativo latente di ottenere conferme negative, che rinforzino l’opinione iniziale scaturita dalla navigazione del sito, ed evitino l’instaurarsi di una dissonanza interna.

Le contaminazioni tra elementi possono portare a detrazioni di immagine le quali si traducono immediatamente in riduzioni di fatturato, nel momento stesso in cui generano una minore propensione all’acquisto.

Gli schemi cognitivi e la valutazione del prodotto

Gli psicologi della Gestalt[2] sono stati in grado di scoprire alcuni principi fondamentali dell’organizzazione visiva.

Ciò che i principi di organizzazione visiva della Gestalt  suggeriscono è che le persone vedono la realtà secondo schemi cognitivi forniti anche da variabili culturali e apprese, non solo innate. I principi della Gestalt rinforzano la nozione che il mondo non sia semplicemente e oggettivamente “là fuori”, ma venga costruito attivamente dai processi di percezione, a seconda di quali “parti del mondo” si decida di osservare. 

In termini di impatto, ogni esperienza soggettiva è condizionata dagli schemi appresi, cioè dai “filtri” con i quali abbiamo appreso a guardare il mondo. 

Questo spiega, tra l’altro perché sia possibile che alcune persone povere considerino la propria vita dignitosa e felice, mentre per alcune persone ricche la vita sia un inferno, piena di preoccupazioni, stress e ansia, fino al suicidio. 

Benchmarking percettivo

In termini aziendali, la Gestalt evidenzia la necessità di prestare attenzione non solo alle caratteristiche del prodotto “isolato”, ma anche al suo posizionamento relativo rispetto alla concorrenza. Questo posizionamento può essere rilevato efficacemente attraverso apposite indagini di benchmarking (valutazione comparativa delle prestazioni), sviluppando sia benchmarking tecnologici (basati su variabili fisiche, es: misurazione comparativa del grado di resistenza allo sforzo di un utensile) che benchmarking percettivi (basati su variabili psicologiche, es: misurazione comparativa dell’efficacia comunicazionale di siti internet aziendali e della concorrenza).

Come sottolineato, ogni valutazione assume rilevanza soprattutto quando elementi estranei al prodotto aiutano il soggetto a “collocare”, “piazzare” un input in un contesto.

Ad esempio, molte persone apprendono a godere delle piccole cose solo dopo essere stati ammalati o in ospedale per lungo tempo. I problemi di ieri che parevano insormontabili acquistano una nuova connotazione e ora sembrano sciocchezze. Questo effetto produce un refraiming cognitivo, in cui vengono riviste le categorie mentali di giudizio. Ciò che circonda la persona ne influenza le valutazioni.

In termini di psicologia del prodotto, la trasposizione delle leggi della Gestalt richiede capacità di :

  • (1) cogliere il “tutto” del prodotto nella fase di progettazione (elementi visivi, percettivi, prestazionali, di servizio, di comunicazione e di contatto),
  • (2) capire il ruolo delle singole parti nella formazione della Gestalt del prodotto e all’interno dei diversi costrutti mentali dell’individuo,
  • (3) comprendere gli elementi di contesto che agiscono sulla valutazione del cliente e la modificano. 

In termini di comunicazione di vendita, emerge innanzitutto la capacità di saper contestualizzare l’intervento proposto all’interno di altre soluzioni ben meno efficaci. Questo permette di far risaltare l’intervento.

Ad esempio: 

Sig. Rossi, dopo quello che ci siamo detti, vorrei ricapitolare alcune cose: sarebbe possibile fare un intervento – chiamiamolo intervento di emergenza, con il quale l’azienda risparmia apparentemente, ma che porta a ripresentarsi il problema tra pochi anni. La seconda modalità, chiamiamola strada B, produrrebbe risultati altrettanto insoddisfacenti. È disponibile un’alternativa, la strada C, che permette…..» (soluzione soddisfacente). 

L’emergere della soluzione soddisfacente all’interno di un contesto di soluzioni lacunose, è in grado di esaltarne la forza.

La Gestalt e la comprensione del valore del prodotto

Il cliente può avere difficoltà, o non percepire immediatamente, il valore che si nasconde dietro la soluzione o il prodotto.

Tra gli errori più gravi del venditore vi è senza dubbio la “presunzione della chiarezza del valore”.. Compiere questo errore significa supporre che il cliente debba cogliere il valore di una proposta automaticamente. Significa pretendere che tutti debbano vedere e capire ciò che noi vediamo e capiamo perfettamente.

Ad esempio, per l’impresa che propone servizi internet o formazione aziendale, il potenziale e il valore delle soluzioni offerte sono chiari, palesi, e “parlano da soli”. Per il cliente no. 

In questo, ed in altri casi, il cliente va “aiutato a capire”, il che è possibile solamente adottando un approccio centrato sul cliente. Adottare un approccio di vendita e di marketing “centrato sul cliente” significa riconoscere due cose: (1) il cliente non è né un “pollo da spennare”, un soggetto al quale chiedere tanto per poi dare poco, né (2) il padrone dell’azienda o del venditore.

Il cliente è semplicemente una persona, un soggetto, con il quale dobbiamo stabilire un rapporto di business franco, diretto, personale. La base delle relazioni di successo è la trasparenza reciproca. Il cliente è un soggetto che deve essere capito in profondità, ma che al tempo stesso deve essere stimolato a rapportarsi verso l’azienda con la stessa volontà di comprendere.

Questa differenziazione emerge ad esempio nel modo di gestire le obiezioni o di fissare il prezzo. Le scuole tradizionali di vendita insegnano a fissare il prezzo partendo da un punto superiore (target price) per poi scendere a prezzi più bassi man mano che prosegue la trattativa, sino al punto di cedimento (soglia inferiore del range negoziale). 

Un approccio centrato sul cliente produrrebbe invece una modalità di comunicazione del prezzo di questo tipo, di fronte ad un’obiezione: «abbiamo analizzato in profondità i tuoi obiettivi, abbiamo capito che l’azienda è a questo punto del suo ciclo di vita, e vuole fare un salto di qualità. Abbiamo analizzato assieme cosa occorre per fare questo salto, quali sono le risorse necessarie. Se mi chiedi di tagliare il prezzo devi però dirmi cosa vuoi tagliare, quali obiettivi non vuoi più raggiungere, o se vuoi impiegare risorse di qualità più scarsa. È questo che vuoi? Proviamo a ripercorrere assieme cosa succede nel caso A, e cosa può succedere nel caso B …. Tu dove vuoi arrivare veramente?».

Il marketing moderno non è il “regno del più furbo”, ma il regno delle relazioni. Soltanto chi riuscirà a stabilire relazioni forti, empatiche e reciprocamente umane con il cliente può aspirare a qualche forma di successo.


[1] Il termine tedesco Gestalt non ha traduzione esatta in Italiano. I significati più vicini sono: forma, struttura, complesso, insieme. 

[2] Tra cui Max Wertheimer (1880-1943), Wolfgang Köhler (1887-1967) e Kurt Koffka (1886-1941).

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Le parole chiave di questo articolo La Gestalt del prodotto : una visione d’insieme sono

  • Set percettivo
  • Filtri percettivi
  • Imprinting
  • Regole euristiche
  • Prime impressioni
  • Gestalt
  • Frame
  • Esperienza totale di prodotto
  • Visione d’insieme
  • Insieme percettivo di contatto
  • Benchmarking percettivo
  • Valutazione comparativa delle prestazioni
  • Psicologia del prodotto
  • Comunicazione di vendita
  • Approccio centrato sul cliente
  • Target price
  • Relazioni empatiche
  • Valore del prodotto
  • Attenzione selettiva
  • Percezione selettiva
  • Costrutti mentali

 

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Psicologia di marketing e comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore

La funzione di risposta del mercato e le soglie percettive

La funzione di risposta del mercato definisce il tipo di reazione che il consumatore o cliente sviluppa a fronte di un certo stimolo. Nel nostro lavoro, è necessario collegare questa funzione ad alcuni meccanismi che avvengono nella percezione umana, in particolare il fenomeno delle soglie percettive.

La psicologia della percezione identifica due tipi di soglie – soglia assoluta e soglia differenziale – le quali generano altrettanti tipi di prestazione (prestazione assoluta e prestazione differenziale).

La soglia assoluta identifica la quantità minima di stimolazione sensoriale necessaria affinché un particolare stimolo (una vibrazione, un oggetto, un colore) sia percepito da un individuo.

La soglia differenziale fa riferimento al differenziale di stimolazione sensoriale che determina per l’individuo la consapevolezza di un cambiamento, l’accorgersi di una mutazione nello stato precedente. È quindi basata sul concetto di percezione della differenza di intensità.

Questi fattori percettivi devono entrare al centro del processo imprenditoriale di gestione della customer satisfaction. Ad esempio, produrre un miglioramento nelle vibrazioni di un volante (riduzione di vibrazioni) quando non esiste un margine per ottenere un miglioramento percepibile (condizione di ceiling-effect) è un intervento che non supera la soglia differenziale, e sostanzialmente uno spreco di investimenti.

Gli incrementi prestazionali non sono tali, dal punto di vista di marketing, se non superano la soglia di sensibilità del fruitore.

Lo sviluppo del prodotto, pertanto, dovrebbe essere guidato dalla ricerca di miglioramenti percepibili, in cui l’investimento produca effetti tangibili.

Percorsi di scansione dell’immagine (scan path)

In termini di percezione visiva, è utile rivolgersi ad un ulteriore strumento fornito dalla psicologia: l’analisi dei percorsi di scansione dell’immagine (scan path). 

Le ricerche hanno evidenziato che le persone non hanno la capacità di cogliere istantaneamente tutti i punti di una scena o di un’immagine, ma seguono, con tempi più o meno lunghi, dei precisi percorsi di fruizione. Ad esempio, una scena visiva verrà analizzata secondo percorsi dominati da segnali di attenzione e altri meccanismi psichici, e non scansionata come da uno scanner – dall’alto al basso, da destra a sinistra o viceversa. 

La scansione visiva e i segnali di attenzione

I percorsi di scansione variano a seconda del compito specifico richiesto al fruitore. I percorsi oculari saranno diversi se si chiede all’osservatore di cercare di individuare la possibile tipologia di una stanza nella quale avviene la scena (casa, o albergo) o ancora se si chiede di definire cosa stia succedendo nella scena nei rapporti tra le persone (litigio, amicizia, tradimento, ecc.).

Le ricerche illustrano inoltre che l’umore dei soggetti modifica radicalmente l’interpretazione dell’immagine.

Rimanendo in tema di scansione visiva, il procedimento di scansione può essere applicato ad una fotografia, ad un quadro, o alla percezione visiva di un prodotto. Se potessimo seguire i nostri movimenti oculari mentre osserviamo un’immagine, saremmo sorpresi nel notare che i nostri occhi non si muovono lentamente o continuamente, sul piano dell’immagine, ma agiscono freneticamente.

Per notare questo fenomeno, è sufficiente osservare un amico mentre visualizza una fotografia o disegno : alcune zone del campo visivo subiscono numerose fissazioni (zone ad alta concentrazione), mentre altre vengono praticamente ignorate.

Tra gli elementi che danno luogo a questo spostamento di attenzione vi sono in particolare i movimenti non attesi nel contesto in cui ci si trova. Se ad esempio durante la lettura di un libro si coglie un movimento laterale, un oggetto o un’ombra che si muove, l’attenzione si sposta per scansionare quel movimento, alla ricerca di segnali che ci indichino che si può stare tranquilli e possiamo continuare a leggere, o che piuttosto dobbiamo iniziare a preoccuparci.[1]

Oltre alla ricerca di fonti di pericolo, il prodotto viene scansionato attraverso un vero e proprio percorso di scansione (scan path), alla ricerca di segnali interessanti, di elementi evocativi, che si collegano prevalentemente all’inconscio (es: forme anatomiche e sessuali).

La visione dei prodotti, dei punti di vendita e dei punti di comunicazione aziendale

L’attenzione si concentra quindi sui punti salienti dell’immagine. 

La valutazione dei punti salienti è estremamente importante per il marketing. Sia nell’osservazione dei prodotti che nell’osservazione degli ambienti di vendita e degli stabili aziendali, l’attenzione si rivolge ai punti che emergono dal contesto – positivamente – ad esempio una pianta ornamentale, o una persona attraente – o negativamente – come una chiazza di sporco sul muro, o la povere su un tavolo, o un litigio in corso tra due dipendenti.

La sommatoria di tanti dettagli genera l’impressione complessiva.

Sia osservando i prodotti, oppure gli ambienti dei punti di vendita o ancora gli stabili aziendali, gli uffici, o le persone che vi lavorano, i clienti sottostanno alle leggi della fisiologia percettiva, e questo significa che essi: 

a) prestano maggiore attenzione soprattutto ai punti di differenziazione dal contesto (positivi e negativi), e

b) non colgono assolutamente l’intera mole di informazione esistente, ma ne colgono solo una parte, generando impressioni sulla base di informazioni parziali (in quanto elaborare ogni singola informazione presente è eccessivo per le capacità umane e impossibile da praticare). 

Questo determina la necessità per l’azienda di dirigere attivamente l’attenzione del cliente a specifiche porzioni di informazione, più sintetiche e strategiche, da cui emergano le informazioni e le impressioni volute.

Trust Signals

I percorsi di fruizione dell’immagine sono estremamente importanti anche per gli effetti che producono sulla creazione di fiducia e senso di affidabilità aziendale. In termini commerciali, le informazioni che possono essere colte nella fruizione di un negozio, di un prodotto, nella visita di un’azienda, nello scrutare una persona o un prodotto, si categorizzano in due classi importanti:

  • segnali generatori di fiducia (trust signals) e
  • segnali generatori di sfiducia (distrust signals).

A questi segnali deve essere data attenzione primaria, in quanto essi possono accelerare o bloccare l’intenzione d’acquisto.

Durante l’acquisto avvengono numerosi atti di valutazione degli ambienti. La percezione di tali ambienti, proprio per via delle meccaniche visive sottostanti, si soffermerà su alcuni dettagli e non su altri. 

Il percorso valutativo del cliente all’interno del punto di vendita (o qualsiasi altro punto di contatto) sarà costellato, in altre parole, dal ricevimento di segnali e di informazioni.

trust signals svolgono il ruolo di elementi di rafforzamento della fiducia e dell’immagine dell’azienda. I distrust signals sono invece elementi di detrazione, negativi rispetto alla formazione della fiducia. 

L’azienda orientata alla crescita deve analizzare attentamente quali elementi della propria comunicazione stiano funzionando da trust signals e quali da distrust signals, analizzando accuratamente ogni elemento di contatto con il cliente e con il pubblico (vetrine, prodotti, cataloghi, siti web, personale, ecc.) attraverso apposite griglie valutative (griglie di analisi dell’immagine visuale e griglie di emersione dei segnali negativi aziendali).

La ricostruzione della realtà visiva e il costo di fruizione di un prodotto

La nostra esperienza visiva è quella di una realtà continua ed ininterrotta. Sentiamo di vedere le intere scene per tutto il tempo nel quale teniamo aperti gli occhi. La percezione visiva, in altre parole, è una continua opera di ricostruzione della realtà. 

Le dinamiche della percezione visiva spiegano questioni apparentemente strane nella fruizione di un prodotto. Ad esempio, l’eccessiva densità di una pagina web (ripiena di links, oggetti, immagini, grafici, oggetti multimediali, testi), rende necessaria un assorbimento elevato di energia cognitiva. Poiché l’essere umano è alla costante ricerca di una omeostasi energetica, la richiesta di energia elevata significa costo di fruizione elevato, e si riverbera negativamente sulla gradevolezza.

Pertanto, la progettazione visiva dei prodotto e degli elementi grafico-comunicazionali deve considerare diversi elementi: il costo di fruizione, il tempo disponibile per elaborare l’immagine ed il prodotto, e l’impegno/capacità di elaborazione del cliente (maggiore o minore disponibilità ad impegnarsi nella decodifica di segnali complessi).

Solo grazie a questa analisi è possibile determinare strategie di comunicazione visuale efficienti.

La percezione del prodotto

La linea di percettività indica la soglia oltre la quale un sistema (prodotto-azienda) entra in contatto con un altro sistema (cliente-utilizzatore). 

Il contatto avviene non solo attraverso la vista ma in generale attraverso qualsiasi senso della percezione coinvolto (vista, udito, tatto, olfatto, gusto, cinestesi, ergogenesi).

Ad esempio, la valutazione di un PC può essere influenzata negativamente da un primo impatto in cui emergano aspetti non conformi alle aspettative. Tra questi: un tasto di accensione/spegnimento difettoso, un’unità floppy traballante, la presenza di urti ed abrasioni evidenti o palesi errori di assemblaggio (spazi e fessure tra le giunzioni), oppure un mouse dal puntamento irregolare, poco scorrevole, con tasti duri e soggetti ad incastrarsi in continuazione.

Altre caratteristiche del PC non creano performance apparente e quindi satisfaction del consumatore. L’ordine e la cura dell’assemblaggio dei cavi interni è un esempio: i cavi potrebbero essere contorti e attorcigliati ma questo non determina un cambiamento nella prestazione percepita (sempre che il computer non venga aperto e il cliente abbia capacità discriminante tale da capire che l’assemblaggio non è curato).

Il grado con cui un elemento è esposto ai sensi del cliente determina la sua valenza nell’incidere sulla valutazione complessiva, o carico comunicazionale. Da ciò emerge il seguente principio:

Principio – Del carico comunicazionale

  • Ogni elemento del prodotto e dell’azienda assume impatto sul cliente in funzione di quanto è esposto al contatto con esso, lungo tutti i possibili sensi della percezione.
  • La competitività dipende dalla capacità di identificare e gestire gli elementi che assumono carico comunicazionale, sia fisici (oggetti, ambienti) che relazionali (persone). 
  • Gli elementi di disturbo devono essere rimossi o modificati. 
  • L’identificazione delle priorità di intervento dipende dal coefficiente di carico comunicazionale di ciascun elemento (peso o incidenza sulla immagine e valutazione complessiva), da determinare con metodologia di indagine qualitativa e quantitativa.

[1] Alcuni esempi visivi di scan-path, prodotti dall’Internet Psychology Lab della University of Illinois, sono riportati al sito: www.medialab-research.com/alm2/

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Le parole chiave di questo articolo La percezione del prodotto ed il carico comunicazionale sono :

  • Percezione del prodotto 
  • Carico comunicazionale
  • Soglie percettive
  • Soglia assoluta
  • Soglia differenziale
  • Ceiling-effect
  • Scan path
  • Scansione dell’immagine
  • Scansione visiva
  • Segnali di attenzione
  • Percorso di scansione
  • Punti salienti dell’immagine
  • Trust signals
  • Distrust signals
  • Segnali generatori di fiducia
  • Segnali generatori di sfiducia
  • Percezione visiva
  • Energia cognitiva
  • Costo di fruizione
  • Linea di percettività

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Psicologia di marketing e comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore

La percezione del prodotto e la sua valutazione

Nella psicologia del consumo non esiste un prodotto, ma tanti prodotti quanti sono i soggetti che lo valutano. In altre parole, il vissuto di ciascuno in riferimento al prodotto è estremamente personale. Per qualcuno un marchio quale Rolls Royce può significare prestigio, per altri decadenza. Per qualcuno la pelliccia è eleganza e signorilità, per altri arroganza e ignobile tentativo di affermare uno status a spese di creature innocenti. 

Capire l’aspetto percettivo è indispensabile per acquisire vantaggio competitivo nella progettazione.

Entriamo, a questo punto, nella sfera della percezione del prodotto e nella psicologia della fruizione. Tratteremo in particolare del concetto di prodotto psicologico e di come il prodotto sia da considerare, in realtà, una pura entità percettiva, la cui natura fisica viene analizzata da innumerevoli filtri mentali.

A parte gli aspetti culturali, vi sono altri elementi che modificano la percezione e valutazione del prodotto. Tra questi, gli aspetti biologici e fisiologici dell’essere umano – i limiti che essi impongono – condizionano fortemente la percezione dei prodotti e la loro valutazione.

La fonte di valutazione della prestazione

Per direzionare la crescita e lo sviluppo del prodotto/servizio, è necessario introdurre un concetto chiave: la fonte di valutazione della prestazione (PES: performance evaluation source), i fattori in base ai quali il consumatore giudica positiva o negativa una prestazione resa da un prodotto o servizio.

Per raggiungere questo obiettivo è necessario realizzare un’importante rivoluzione, spostando l’oggetto della customer satisfaction dalla prestazione oggettiva alla prestazione soggettiva.

I due concetti sono molto diversi :

  • La prestazione oggettiva riguarda aspetti prestazionali misurabili in laboratorio, non discutibili.
  • La prestazione soggettiva riguarda invece la valutazione realizzata dal singolo consumatore, in base a criteri del tutto personali, sotto l’influenza dei propri filtri biologici, psicologici, culturali e sociali.

Non è possibile per il consumatore medio realizzare una misurazione scientifica della qualità. Di fatto egli si affiderà ai propri sensi, agli stimoli che provengono da un rapporto personale con il prodotto, soprattutto con i suoi aspetti di superficie, con i quali esso viene a contatto. 

Per un ingegnere, ad esempio, può essere assolutamente irrilevante il rumore o suono prodotto dal meccanismo di espulsione dei dischetti dal PC. Per un consumatore può essere inconsciamente un segnale molto forte, in quanto utilizza inconsapevolmente questa informazione per trarre inferenze sulla robustezza del prodotto, sul suo grado di tecnologia, e sulla sua cura costruttiva. 

Poco importa se queste sue inferenze, se queste sue deduzioni sono magari sbagliate. Se alla fine determinano un mancato acquisto, o un’impressione negativa di prodotto, diventano molto importanti. Quindi, per uno psicologo del prodotto, per il marketing, e per il fatturato aziendale, esse sono fondamentali.

Filtratura della realtà e percezione del prodotto

Ciò che il cliente valuta nella sua esperienza del prodotto, non è la sua reale consistenza, ma ciò che del prodotto “filtra” attraverso :

  1. i sensi biologici, e
  2. attraverso gli schemi culturali di riferimento o frames culturali, passando per i filtri percettivi e mnemonici (attenzione selettiva, percezione selettiva e ricordo selettivo).

processi di filtratura distorcono la percezione oggettiva, sino a trasformare completamente le valutazioni. 

Ad esempio, questo fenomeno è stato dimostrato da Westcombe e Wardle (1997)[1] in un esperimento riguardante il prodotto dello yogurt. I ricercatori hanno dimostrato che il semplice fatto di apporre una etichetta diversa su una confezione di yogurt (con la dicitura “a basso contenuto di grasso”) causava una valutazione di minore gustosità. Anche se lo yogurt era assolutamente lo stesso. 

Riconoscere i filtri che operano su noi stessi consente di divenire consumatori più consapevoli.

Per il professionista di marketing, riconoscere i filtri che operano sui consumatori significa poter anticipare le reazioni al prodotto e alla comunicazione.

La combinazione di distorsioni percettive e valutazioni soggettive genera comportamenti di acquisto che sono lontani dall’essere facilmente prevedibili con l’intuito. Solo la ricerca è in grado di fare luce dove l’intuito fallisce.

Dobbiamo considerare tutta la gamma di possibili filtri che si frappongono tra la realtà “vera” e la realtà percepita dal consumatore. Questi filtri – biologici, mnemonici e culturali – determinano il passaggio dalla realtà oggettiva ad una realtà interpretativa.

La percezione viene distorta anche a causa di un fenomeno diverso: il punto di osservazione. Qualsiasi oggetto o idea può infatti essere osservato ed esperito da molteplici punti. L’osservazione da tutti i punti possibili è spesso impossibile, richiederebbe troppo tempo. Accade quindi che due clienti sviluppino impressioni diverse dello stesso prodotto o azienda, a causa delle diverse esperienze da loro avute. Lo stesso accade con le aziende, i prodotti, e le prestazioni. 

La presenza di diversi punti di osservazione e di filtri alla percezione (biologici, mnemonici, culturali) determina una trasformazione da realtà oggettiva a realtà percettiva, le cui dimensioni possono assumere un divario anche molto ampio.

Principio – Della psicologia percettiva di prodotto

  • La competitività dipende dalla capacità aziendale di curare gli aspetti percettivi del prodotto/servizio, realizzando qualità percepibile dal consumatore. 
  • L’azienda deve comprendere quali elementi sono esposti alla valutazione del cliente. La realizzazione della qualità percepibile dipende da una corretta analisi della linea di visibilità e linea di percettività dell’organizzazione e del prodotto, unita all’analisi dei meccanismi, dinamiche e filtri percettivi, di fruizione e valutazione. 
  • Il coinvolgimento del cliente (a livello progettuale e di miglioramento) nelle fasi di ricerca è indispensabile alla progettazione delle soluzioni ad esso destinate. 

Attraverso tecniche qualitative e sperimentali è possibile determinare i valori di utilità attribuiti dal fruitore alle specifiche caratteristiche del prodotto/servizio, identificando le variabili critiche della qualità percettiva e i livelli che ne ottimizzano le prestazioni.

I meccanismi percettivi generano effetti a  livello di marketing, nella valutazione dei prodotti e dei servizi. Ad esempio, un viaggio aereo può generare maggiore ansia ed apprensione per la sicurezza rispetto ad un autobus di linea, anche se alla prova dei fatti (statisticamente parlando) la probabilità di incidente è inferiore. 

Allo stesso tempo, un’acqua potrebbe risultare assolutamente gradevole per il consumatore anche se microbiologicamente impura, radioattiva a livelli mortali, o inquinata da elementi non percepibili. Questo determina due tipologie di prestazione: la prestazione oggettiva (rilevabile in laboratorio e basata su dati fisici) e la prestazione soggettiva, la quale risiede unicamente nelle sensazioni del fruitore.

Accanto alla cura tecnica del prodotto che l’etica aziendale deve imporre, assumono un ruolo primario nella progettazione del prodotto e più in generale del mix aziendale fattori di pertinenza psicologica, quali le soglie percettive, la linea di percettività e i fattori di percettività.

Questa impostazione costituisce una importante differenza rispetto al mainstream dominante nelle imprese, focalizzato sugli aspetti prestazionali tecnici piuttosto che sulla psicologia del prodotto.


[1] Westcombe, A., & Wardle, J. (1997). Influence of relative fat content information on responses to three foods. Appetite, 28 (1), 49-62.

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Altre risorse online

Le parole chiave di questo articolo La psicologia percettiva del prodotto sono :

  • Psicologia percettiva del prodotto 
  • Prodotto psicologico
  • Fonte di valutazione della prestazione
  • Prestazione oggettiva e soggettiva
  • Processi di filtratura
  • Frames culturali
  • Filtri percettivi
  • Punto di osservazione
  • Meccanismi percettivi
  • Filtri mnemonici
  • Filtri biologici
  • Filtri culturali
  • Filtratura della realtà
  • Performance Evaluation Source
  • Customer satisfaction
  • Psicologia del consumo
  • Aspetto percettivo
  • Realtà percepita dal consumatore
  • Qualità percepibile dal consumatore

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Psicologia di marketing e comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore

L ‘utilità dei prodotti: risoluzione, omeostasi, anticipazione

Affinché avvenga un acquisto, è necessario che l’oggetto del desiderio svolga una funzione positiva sull’orizzonte psicologico del cliente. Le indagini svolte sul campo hanno permesso di evidenziare tre proprietà distinte riepilogabili come segue: 

  1. Risoluzioneprevenire problemi che il soggetto ha già: il prodotto agisce come risolutore di un problema esistente, un problema che ha già iniziato ad agire sul campo psicologico del soggetto;
  2. Omeostasimantenere situazioni positive: in questo caso, il prodotto ha una funzione di “manutenzione” o consolidamento di situazioni esistenti;
  3. Anticipazioneagire per arrestare una minaccia futura e prevenirla: in questo caso, il prodotto viene acquistato per via della sua capacità percepita di arrestare minacce future, incombenti, che hanno una certa probabilità di verificarsi e mettono in pericolo la tranquillità psicologica del cliente.

Trattare le pulsioni d’acquisto significa, soprattutto, capire che posizione occupa il prodotto all’interno dello spazio/tempo del soggetto, identificare quale funzionalità il prodotto assume rispetto alla prospettiva temporale del consumatore/cliente.

Le tre macro-categorie di valori/proprietà di prodotto, possiedono una sostanziale differenza data dal tipo di orizzonte temporale sul quale esso agisce. 

Se trasponiamo l’analisi al livello della vendita aziendale, le domande sottostanti sono – indicativamente – le seguenti:

  • Quali sono i problemi che l’azienda vive oggi? (analisi risolutiva).
  • Quali sono le situazioni attualmente positive di quest’azienda? (analisi omeostatica).
  • Quali sono i problemi futuri da prevenire? (analisi preventiva).

Queste domande sono assolutamente preliminari. Infatti, per ciascuna area, è necessario attivare un grado di introspezione superiore e cogliere il dettaglio della fonte pulsionale. 

Per quanto riguarda il quadrante futuro, esisteranno pulsioni più forti se i problemi hanno una elevata probabilità di manifestarsi, ed un impatto sull’azienda estremamente negativo. Ad esempio, il timore della perdita verso la concorrenza dei migliori funzionari commerciali (i quali trasferiscono verso di essa l’intero parco clienti e il patrimonio di conoscenza e contatti).

Le implicazioni per la comunicazione sono immediate: occorre sviluppare strategie persuasive che attacchino una o più leve temporali.

I prodotti a potere risolutivo e leve risolutive

Nei Prodotti a Potere Risolutivo (PPR) la caratteristica principale del prodotto è quella di colmare una lacuna tra uno stato attuale dell’acquirente e uno stato desiderato, risolvendo un problema già esistente. L’abbigliamento per una persona che abbia freddo, il cibo per una persona che abbia fame, un PC per un professionista che debba elaborare dati, un area manager per un direttore commerciale nella cui azienda vi sia un mercato scoperto – sono esempi di valore risolutivo. 

In termini di ricerca di mercato, svolgere analisi risolutiva sul cliente significa sostanzialmente capire quali sono le aree di bisogno che lo caratterizzano, in riferimento ai problemi che il soggetto sente come tali. 

Tecnicamente, essa va realizzata tramite attività di ascolto attivo, intervista e indagine in profondità, finalizzata a comprendere sia questioni generali del consumo, che specifiche problematiche esistenti nel rapporto con il prodotto – e più in generale con il sistema del mix aziendale. 

Il potere risolutivo del prodotto permette di creare leve di vendita risolutive: argomentazioni di vendita nelle quali il prodotto viene esposto come portatore di una o più capacità di eliminare problemi esistenti. Chiaramente, la conoscenza dei problemi esistenti, e quindi la fase di analisi o intervista sui bisogni, è alla base di una corretta impostazione delle leve risolutive. 

Un esempio di leva risolutiva è il seguente (settore food) “questo formaggio light ha la proprietà di eliminare il senso di pesantezza che ti affligge nel post-pranzo” (eliminiamo un problema che in te già esiste). Oppure – nel settore automobilistico – “i nuovi coprisedili ergonomici sono stati appositamente studiati per chi utilizza la vettura come strumento di lavoro: eliminano i problemi di affaticamento legati alla percorrenza di lunghe distanze e restituiscono il piacere di guidare”.

I prodotti a potere anticipatorio e leve anticipatorie

I prodotti a Potere Anticipatorio Anticipatori (PPA) hanno la capacità di anticipare stati di bisogno futuro, prevenendone l’insorgenza. Un esempio è dato dalla categoria di integratori dietetici utilizzati per prevenire malattie (es.: prodotti contro i radicali liberi per prevenire l’invecchiamento cellulare): l’individuo assume tali sostanze non per risolvere un problema organico esistente, ma per anticipare un problema futuro. Il problema organico futuro diventa problema psicologico attuale del soggetto, nel momento stesso in cui il consumatore inizia ad elaborarlo, a percepirlo, a rendersene conto (fase di attualizzazione).

Proseguendo l’esempio nel settore food, una casa produttrice può promuovere un prodotto utilizzando la leva anticipatoria, evidenziando che “il nostro formaggio light previene l’insorgenza di livelli elevati di colesterolo nel sangue” (preveniamo l’arrivo di un problema fisico che tu ora non hai). 

I prodotti anticipatori fanno chiaramente leva su pulsioni d’acquisto negative (ansie, paure, preoccupazioni) per le quali il prodotto/servizio viene proposto come metodo di prevenzione.

Anche in questo caso la competenza nella tecnica di intervista o analisi dovrà essere in grado di evidenziare quali timori caratterizzano il consumatore potenziale – relativamente alla categoria di prodotto – e ne frenano lo sviluppo e diffusione creando barriere mentali. La tecnica permette di progettare le caratteristiche preventive del prodotto (benefit a valore preventivo), realizzando in questo modo una analisi anticipatoria.

Ad esempio, vediamo questa trascrizione di intervista ad una ragazza, nella quale si stanno analizzando i timori che ne caratterizzano la vita quotidiana.

Quando torno da sola alla notte, finito il lavoro al ristorante, mi trovo spesso a pensare a cosa succederebbe se bucassi una gomma in aperta campagna, in una strada isolata, al buio, con la pioggia. Mi piacerebbe moltissimo che esistesse un pulsante di autoriparazione della gomma, qualcosa che non mi costringa a scendere dalla macchina. 

Questo frammento permette di avviare lo studio di un ipotesi di marketing: è possibile creare un sistema di riparazione automatica del pneumatico basato su schiume (o altri metodi) che riparano automaticamente la gomma, attivabile con un comando nel cruscotto?

È naturale che l’analisi anticipatoria debba occuparsi di cogliere dei segnali, capire delle problematiche. Altri metodi di ricerca, di natura più quantitativa, possono permettere di valutare quanto esteso è il problema sul mercato, quante persone ne sono interessate, e quindi se esiste un potenziale di mercato, o se il bacino di mercato è troppo ristretto per consentire un investimento profittevole. Ciò che importa, comunque, è che l’analisi anticipatoria consenta di capire le direzioni del bisogno, guidando di conseguenza gli sforzi aziendali per creare prodotti di successo.

Non esistono limiti all’analisi anticipatoria. Gli unici limiti sono dati dalla fantasia e dai bisogni del consumatore e dalla capacità dell’azienda di coglierli.

Le leve di vendita anticipatorie sono costituite dalle argomentazioni relative alla capacità del prodotto di prevenire l’insorgenza di problemi futuri. Trattandosi di problemi non ancora esperiti dall’individuo, o non al momento, è necessario che le problematiche acquistino concretezza, possiedano una certa gravità, e che il soggetto si senta concretamente esposto in prima persona ai rischi sui quali si applicano le leve anticipatorie. 

I prodotti a potere omeostatico e leve omeostatiche

Il valore erogato da tali prodotti proviene dal mantenere una situazione positiva nelle condizioni in cui si trova.

Ad esempio, un programma di manutenzione del disco rigido di un computer che ne consenta la permanenza in condizioni ottimali.

L’analisi omeostatica andrà quindi alla ricerca di quali situazioni gradevoli siano attualmente vissute dall’individuo in relazione al prodotto, o in relazione alla propria vita, per poi assicurare che tali condizioni non vengano meno, non vengano messe in pericolo da fattori esterni o eliminate in innovazioni errate di prodotto.

Diversi casi di innovazione di prodotto hanno determinato un degrado o la sparizione completa di caratteristiche altamente apprezzate dagli utilizzatori[1]. Se prima di svolgere le modifiche, fosse stato chiesto ad un campione di utilizzatori “cosa ti piace attualmente nel prodotto, cosa vorresti non fosse mai tolto?” questo avrebbe rimosso dal campo il problema.

Le leve di vendita omeostatiche faranno pertanto riferimento alle condizioni attuali di gradevolezza esistenziale e alle proprietà del prodotto di assicurarne la permanenza. 

Da un punto di vista puramente logico, è possibile argomentare che le proprietà omeostatiche sono, in fin dei conti, proprietà preventive: mantenere situazioni invariate, significa prevenirne il cambiamento. Ma la logica non è il terreno della psicologia del consumatore. 

Se il campo della logica di consumo equivalesse al campo della psicologia di consumo, vivremmo in  un mondo completamente robotizzato, non esisterebbero culture, non esisterebbero contraddizioni, non esisterebbero incongruenze. In altre parole, non esisterebbe nemmeno l’uomo.

Proprietà multiple di prodotto

La proprietà del prodotto/servizio è spesso multipla, nel senso che le funzioni temporali possono sommarsi, e non sempre è praticabile identificare una sola funzione nel prodotto. In genere, quando l’azienda riesce nell’intento di moltiplicare la gamma di proprietà del prodotto, esso aumenta di valore. 

Ad esempio, se una soluzione assicurativo/previdenziale assomma le proprietà di :

  1. risolvere un bisogno attuale su come investire il proprio denaro (potere di risoluzione), e
  2. prevenire la spiacevole situazione di trovarsi anziani senza risorse economiche (potere di prevenzione/anticipazione), avrà più valore.

Svilupperà, cioè, più risposte ai diversi bisogni del soggetto.

Il successo di mercato dipenderà da quanto il prodotto è realmente in grado di conseguire il risultato, cioè dal livello di efficacia su ciascuna leva specifica. 

Prima legge del valore di prodotto

Ciascun prodotto/servizio ha un valore totale che è la somma delle sue diverse proprietà di intervento.

Valore totale di prodotto (analisi temporale)

  • Potere anticipatorio e leva anticipatoria – Proprietà del prodotto/servizio di prevenire stati di insoddisfazione futura o situazioni spiacevoli future
  • Potere omeostatico e leva omeostatica – Proprietà del prodotto/servizio di mantenere tali le situazioni piacevoli o gradite per il soggetto
  • Potere risolutivo e leva risolutiva – Proprietà del prodotto/servizio di eliminare stati attuali di insoddisfazione o problemi esistenti

Alla luce di questa teoria, alcune domande importanti, per qualsiasi nuovo prodotto, sono:

  • Quanto è in grado di prevenire problemi futuri importanti per il cliente (meglio di quanto non facciano i prodotti esistenti)?
  • Quanto è in grado di eliminare problemi esistenti che il cliente senta come tali?
  • Quanto è in grado di mantenere situazioni emotive ed esistenziali positive per il cliente?

Se la risposta a tutte queste domande è “per niente”, possiamo assicurare l’insuccesso di questo prodotto. 

Le considerazioni svolte consentono la formulazione del seguente principio :

Principio – Del valore temporale dell’offerta

  • La competitività è correlata alla capacità di creare offerte in cui sia presente elevato valore percepito (anticipatorio, omeostatico, risolutivo). Il valore del prodotto sarà tanto maggiore quanto più il prodotto è in grado di intervenire sulle leve di valore (anticipatorie, omeostatiche, risolutive), e quanto più riesce ad incidere in profondità su tali leve.
  • Il valore può essere percepito consapevolmente, o provenire da moventi subconsci o inconsci. I motivi che creano valore sono spesso sconosciuti al soggetto stesso. 
  • L’analisi del valore temporale deve essere determinata con il coinvolgimento del soggetto e utilizzando tecniche di analisi multipla: brainstorming, osservazione partecipante, in-depth interview, focus group, content-analysis, esperimenti fattoriali, tecniche introspettive ed empatiche, in grado di far luce sulla psicologia del cliente.

La creazione del valore non si limita ai prodotti, ma si estende alle imprese come potenziali partner di relazioni. Ciò che sosteniamo qui, è che ogni impresa, nel rapportarsi ad altre, possiede le stesse proprietà basilari dei prodotti: risolvere, mantenere, prevenire.

Vediamo un esempio. Come evidenzia questa intervista personale, realizzata dall’autore al buyer di un importante rete di importatori francesi nel mercato degli utensili:

Vedi questi due attrezzi, uno è il nostro, l’altro è coreano. Il prodotto è praticamente identico. C’è solo una differenza. Che i coreani non hanno magazzini qui in Francia, e se si rompe il loro attrezzo stai fermo due settimane ad aspettare i ricambi, e il cliente se la prende con noi. Ormai per noi utensilieri non è più importante solo il prodotto, ma quello che riusciamo a fornire al nostro cliente finale come garanzie. La vera differenza tra le diverse marche produttrici, per noi, inizia quando il pezzo si rompe.

Questo, dal punto di vista dell’impresa, significa apprendere a divenire un fornitore che previene problemi.

In altre parole, per ogni azienda è necessario sviluppare una nuova leva di vendita, estranea al prodotto, ma centrale per l’acquirente (finale o intermediario): la vendita del senso di affidabilità globale dell’impresa. Il concetto di “lavorare con noi”, al di là del prodotto, deve divenire un elemento di valore aggiunto anticipatorio (di credibilità e affidabilità). Non solo prodotti e servizi, ma anche persone e aziende devono porsi il problema di quali leve esse siano in grado di attivare per generare valore agli occhi dei propri interlocutori. 

Il vantaggio competitivo, in questo caso, si sposta dal prodotto (aspetto tecnico) alla capacità di sviluppare credibilità aziendale (aspetto manageriale e di comunicazione).


[1] Un esempio concreto è dato dalla creazione di grafici di posizionamento (grafici a dispersione o grafici XY) in cui si voglia ottenere l’inserimento di “etichette dei casi”. L’inserimento di “etichette dei casi”, estremamente facile da realizzare nei modelli di foglio elettronico dei primi anni ’90, era diventato – dopo dieci anni di cosiddette “innovazioni” del software –  praticamente impossibile da realizzare, creando frustrazione negli utilizzatori.

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Altre risorse online

Le parole chiave di questo articolo sono :

  • Leve psicologiche temporali
  • Risoluzione
  • Anticipazione
  • Omeostasi
  • Pulsioni d’acquisto
  • Ascolto attivo
  • Leve di vendita risolutive
  • Leve di vendita anticipatorie
  • Leve di vendita omeostatiche
  • Proprietà multiple del prodotto
  • Valore temporale dell’offerta
  • Partner di relazioni
  • Vantaggio competitivo
  • Valore aggiunto anticipatorio
  • Analisi temporale
  • Legge di valore del prodotto
  • Prodotti a potere anticipatorio
  • Prodotti a potere omeostatico
  • Prodotti a potere risolutivo
  • Utilità del prodotto

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Psicologia di marketing e comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore

Strategie di Marketing. Il bilanciamento mentale nell’acquisto

L’analisi delle pulsioni si pone l’obiettivo di capire quali leve decisionali scattano, portando un soggetto a separarsi da un valore (il proprio denaro, il proprio tempo, ed altri valori per sé importanti) in cambio di altro (una prestazione, un bene, un servizio, un favore). L’analisi dei meccanismi mentali che avvengono durante una scelta deve portarci a riflettere su quali siano le aree del pensiero umano coinvolte nella decisione. 

I primi risultati delle nostre ricerche evidenziano due fenomeni:

  • il costo di acquisto reale è molto diverso dal costo monetario: il costo di acquisto è una sommatoria di costi economici e costi psicologici – correlati all’acquisto – che il cliente anticipa, percepisce, teme o prevede.
  • Il rientro percepito derivante dall’acquisto è molto diverso dal bene o proprietà realmente acquisito: anche in questo caso sono presenti (con forza maggiore o minore) flussi di valore psicologico che influenzano la percezione di valore del bene o servizio acquistato. Pertanto, anche il rientro totale dell’acquisto è una somma: beni materiali (o servizi) più rientri psicologici di varia natura.

Possiamo quindi parlare di un Costo Totale di Separazione (CTS: sommatoria del denaro o beni ceduti + costi psicologici connessi all’acquisto) e di un Rientro Totale dell’Acquisto (RT, sommatoria dei rientri fisici e di servizio + rientri psicologici).

In generale, affinché avvenga un acquisto, il costo totale di separazione (separazione da denaro + costi psicologici) deve essere inferiore al rientro totale dell’operazione (rientro fisico o in servizi + rientro psicologico).

Strategie di Marketing. Il costo psicologico latente

Acquistare non richiede unicamente un esborso in denaro. Spesso un acquisto si carica di costi psicologici nascosti che ne aumentano il gravame.

Costo Totale :

  • Costo Monetario / Economico legato all’acquisto
  • Costo Psicologico legato all’acquisto ( Personale e Sociale/normativo)

Un costo psicologico può essere di natura relazionale e d’immagine. Il buyer che decide di passare al nuovo sistema operativo potrebbe venire giudicato dai dipendenti come incapace di programmare (Perché mi avete fatto fare un corso su questo sistema operativo, se poi appena appreso non lo devo utilizzare, e devo iniziare da capo? – potrebbe chiedersi il dipendente). Di questa reazione negativa attesa il buyer può sentire con forza il peso, e decidere di non acquistare, soprattutto temendo le ripercussioni nell’ambiente circostante, anche se la valutazione del prodotto è buona.

Un altro esempio di costo psicologico nascosto, per un ecologista/animalista convinto, acquistare un hamburger non significa unicamente sborsare alcuni dollari, ma rifiutare a tutti i valori in cui crede. Il costo psicologico in questo caso è enormemente superiore al costo monetario. Lo stesso vale (nell’ecologista) per l’acquisto di una pelliccia, o di un’auto che consuma molto. 

I costi psicologici si dividono quindi, nella nostra prima categorizzazione, in costi psicologici personali (effetti indesiderati dell’acquisto legati ai propri valori o credenze) e in costi sociali o normativi (determinano un non-acquisto causato delle possibili reazioni negative degli altri: colleghi, amici, parenti, superiori, ecc.).

Tra i costi psicologici rientrano possibili perdite di immagine, di valori, cambiamenti di abitudini consolidate, diminuzioni di sicurezza, calo di approvazione sociale, riduzioni di qualità della vita, aumento di ansie e tensioni, e altre preoccupazioni legate in qualche modo (nella mente del cliente) all’atto di acquisto. Esse incidono sul comportamento di acquisto anche se frutto di immaginazione o basate su dati in realtà non fondati.

Questi costi psicologici nascosti possono essere il fuoco che alimenta le obiezioni di superficie. Capirli, per poi gestirli, è assolutamente necessario.

Strategie di Marketing. Il rientro psicologico latente

Così come il costo totale si carica di costi psicologici latenti, il rientro totale si può caricare di rientri psicologici addizionali. I rientri possono infatti essere sia funzionali (utilizzo il prodotto che mi mancava e mi serviva), che psicologici (l’atto di acquisto in se apre orizzonti psicologici positivi).

In altre parole, l’acquisto non viene più valutato puramente in termini di rientri fisici o funzionali, ma viene valorizzato da rientri psicologici (potere, carriera, immagine personale in azienda), e questo ne aumenta il valore. Il flusso di rientro si carica di orizzonti psicologici positivi, personali o legati alla reazione attesa dei gruppi di riferimento (sociali/normativi).

Ad esempio, l’imprenditore che acquista un sistema di e-commerce evoluto : l’acquisto rappresenta non solo un salto di qualità nel management commerciale, ma un motivo di vanto presso il gruppo di imprenditori e colleghi che lo circondano. Sostanzialmente, diventa fonte di orgoglio e autorealizzazione, facendo sentire l’imprenditore come colui che ha saputo portare l’innovazione nell’azienda. In questo caso avremo un carico addizionale di self-image che aumenta il peso del rientro psicologico totale.

L’atto di acquisto va gestito, da parte dell’operatore di marketing, ponendo attenzione sia ai costi psicologici latenti che ai rientri psicologici potenziali.

Rientro Totale :

  • Rientro Funzionale legato all’acquisto + eventuali risparmi
  • Rientro Psicologico legato all’acquisto (Personale e Sociale/normativo)

La scelta di acquistare o meno emerge da un insieme di ponderazioni relative al costo totale e al rientro totale dell’operazione di acquisto.

Formula della probabilità di acquisto in base al bilanciamento cognitivo

  • Probabilità di acquisto = (Rientro Totale Funzionale + Rientro Totale Psicologico) – (Costo di Separazione Economico + Costi Psicologici)
  • In sintesi: P.A. = (RTF + RTP) – (CSE + CP)

La comunicazione di vendita deve possedere l’abilità di :

  1. creare interesse per il rientro totale, sviluppando argomentazioni che si basino sulle utilità soggettive del cliente, e
  2. creare un posizionamento percettivo efficace del costo di separazione totale (strategia di framing dell’investimento). In altre parole, la strategia di framing deve riuscire nell’intento di minimizzare il costo psicologico per il cliente.

Il modello Costo Totale / Rientro Totale, sopra esposto, è importante per la nostra elaborazione in quanto ci permette di affrontare un problema: il focus della comunicazione (pubblicitaria o di vendita), troppo spesso incentrato sulla emissione di parole a vuoto, che non hanno relazione con le utilità soggettive del cliente, con i costi latenti e i rientri psicologici latenti.

Principio – La differenza positiva tra rientro totale psicologico e costo totale psicologico

La competitività aziendale dipende dalla capacità di:

  • capire i costi totali di separazione connessi all’acquisto (costi monetari + costi psicologici percepiti o latenti) e saperli ridurre tramite la comunicazione;
  • sviluppare comunicazione efficace in grado di esaltare l’intensità dei rientri totali (funzionali e psicologici), sapendo inserire valore psicologico nel pacchetto di offerta;
  • sviluppare comunicazione efficace relativa al bilancio totale dell’operazione di acquisto, in cui i rientri totali percepiti (funzionali e psicologici) superino i costi totali percepiti (economici e psicologici).

Strategie di Marketing. Razionalità interna nelle scelte di acquisto

Dobbiamo definitivamente abbandonare il concetto che i consumi siano razionali in funzione di qualche norma superiore o legge universale (razionalità esogena o normativa). Spesso comportamenti apparentemente stupidi assumono una razionalità interna o endogena per il sistema di valori dell’individuo, per il suo stato psicologico del momento. Ad esempio, l’atto del fumare è chiaramente irrazionale secondo ogni logica esterna, ma può essere del tutto coerente e razionale rispetto alle pulsioni interne che esperisce l’individuo (es: fumo per calmarmi, o per premiarmi, o per fare una pausa). 

Questi moventi fanno parte della razionalità interna, non della razionalità esterna. Sono intrinsecamente coerenti, anche se visti dal di fuori non hanno alcun senso. Lo stesso vale per l’atleta anabolizzato. Il desiderio di potere, la supremazia, l’apparire forti e vincenti, sono estremamente razionali nella logica interna del consumatore di anabolizzanti.

L’analisi dei moventi deve andare ben più in profondità e non accontentarsi di giudicare “irrazionali” dei comportamenti. Deve scoprire come e quando nasce il movente, quali comportamenti dimostrativi sono in corso, se ad esempio la ricerca di costruzione di un personaggio o di un’identità, oppure ancora ricercare i moventi imitativi di persone reali o personaggi mediatici (eroi), i quali hanno inconsapevolmente agito sull’individuo.

Strategie di Marketing. Acquisto e motivazione all’azione

Da qualsiasi angolatura la si osservi, la problematica dell’acquisto deve, prima o poi, essere confrontata con quella della motivazione all’azione (i fattori che spingono l’individuo ad agire). 

La teoria della motivazione vede come unità motivante di base la tensione. Gli impulsi si innestano su stati di disequilibrio percepito, che creano spinta alla risoluzione del problema. L’impulso diviene movente di acquisto nel momento in cui si crea un collegamento mentale: la percezione che un prodotto/servizio sia lo strumento risolutivo del problema. L’azione di acquisto ne è il risultato, premesso che l’individuo disponga delle risorse o decida di procurarsele.

  1. Tensione : Percezione di un disequilibrio
  2. Impulso: Ricerca di un nuovo equilibrio
  3. Movente : Identificazione strumenti di risposta
  4. Azione : Acquisto del prodotto/servizio

Sul funzionamento della mente è stato scritto molto, e le scienze cognitive sono tra le aree in più forte sviluppo, anche grazie alla ricerca dell’intelligenza artificiale e la creazione di “sistemi esperti”, veri e propri “agenti” in grado affrontare problemi offrendo soluzioni.

Nonostante tutte le ricerche recenti, vogliamo esporre un punto di vista per niente contemporaneo. Nella nostra analisi, riteniamo assai utile partire da alcune considerazioni fatte da Freud. Questo non tanto perché il nostro lavoro si ispiri alla scuola freudiana più di altre, ma perché vi sono presenti spunti di ispirazione che non possiamo ignorare. Come fanno notare Greenberg e Mitchell (1986)[1],

…all’interno del sistema di Freud, la caratteristica più saliente e costante del funzionamento dell’apparato psichico è la spinta verso la regolazione delle tensioni, altrimenti nota come principio di piacere. Lo scopo ultimo di tutti gli impulsi è una riduzione della tensione corporea, sperimentata come piacere. L’impulso originario non ha una direzione – è un quantum di tensione che aspetta di essere ridotto. Gli impulsi vengono diretti verso oggetti esterni soltanto quando questi oggetti si presentano e si dimostrano utili nella riduzione della tensione.

Le implicazioni per il nostro lavoro sono ampie. Innanzitutto, questa riflessione ci permette di osservare l’acquisto come atto di riduzione della tensione – sia a livello consumer che a livello business-to-business – una prospettiva molto interessante e ricca di potenziali per il marketing.

Nel caso non vi siano oggetti esterni che il cliente veda in qualche modo “utili” a ridurre lo stato di tensione, questo può rimanere latente, ed in questo caso si crea un bisogno non soddisfatto. Oppure, il bisogno può essere represso o eliminato (ad esempio, cambiando le proprie priorità di vita, i propri valori).

La riduzione della tensione riguarda sia acquisti positivi (es: un software che permette di allargare la gamma dei servizi aziendali) sia acquisti negativi, la cui funzione è unicamente quella di prevenire un accadimento spiacevole nel futuro (come una polizza antigrandine per un agricoltore).

Si tratta di inquadrare il fenomeno di acquisto all’interno dei vissuti psicologici dell’individuo. Se riusciamo a comprendere cosa provoca tensione nel soggetto, avremo identificato potenziali leve di acquisto, in quanto questa tensione si tramuterà presto in un bisogno di mercato e nella ricerca di un prodotto o di un servizio. Pertanto, la ricerca di mercato sui bisogni latenti o mal soddisfatti permette di aprire grandi opportunità di marketing.

Anche nel campo delle vendite azienda-azienda, se riusciamo a comprendere cosa provoca tensione nel buyer aziendale, avremo identificato le leve motivazionali dell’azienda acquirente, e potremo regolare di seguito (o creare appositamente) la nostra offerta.

Strategie di Marketing. Teoria e realtà negli acquisti attuati dalle imprese

Chi conosce più da vicino il mondo degli acquisti aziendali e della vendita, sa benissimo che le regole della “matematica formale” imposte dalle procedure di acquisto organizzate, anche nelle grandi imprese, non vengono sempre rispettate. 

Dal fattore umano, dalle simpatie-antipatie, dalle valutazioni soggettive, dagli stereotipi, dalle pressioni sociali, dalle pulsioni subconscie ed inconscie, è difficile sfuggire. Questo determina, a volte, lo stravolgimento dei risultati formali, il fatto che vengano ricercate strade per “far vincere qualcuno” nella gara tra i fornitori, a discapito ed in barba delle procedure e delle regole scritte.

Questo accade in genere quando nelle procedure formalizzate di acquisto non sono presenti tutti i fattori reali di scelta (e del resto, è difficile inserirvi fattori subconsci ed inconsci). Ad, esempio, la nostra azienda può  – abbastanza inconsapevolmente – considerare di fatto molto importante la capacità di ascolto dimostrata dal potenziale fornitore, ma nelle procedure di acquisto non vi è traccia di tale fattore. Questo genera distorsione ed errori.

Anticipando quanto diremo in seguito, per il venditore, in altre parole, è necessario agire sul terreno psicologico dell’impresa acquirente, inserendo le proprie offerte all’interno dell’orizzonte psicologico soggettivo del buyer.

Questo richiama la nostra attenzione sulla necessità, per qualsiasi azienda, di dotarsi di un metodo di vendita per lo sviluppo della competitività.

Strategie di Marketing. Moventi apparenti e moventi reali dei consumi

Quali sono i motivi reali per cui acquistiamo o ci comportiamo in un certo modo? Quali sono i moventi sottostanti per cui, ad esempio, uno studente sceglie di studiare in una biblioteca pubblica piuttosto che nella propria camera? Ed ancora, perché una specifica biblioteca universitaria (poniamo, la biblioteca di Lettere) e non un’altra (es: la biblioteca di Ingegneria)? Per ogni comportamento esistono dei moventi, delle ragioni sottostanti.

L’analisi dei moventi apparenti in un’intervista ad uno studente potrebbe portare a queste conclusioni: lo studente (Gianni) si reca in biblioteca perché lì si studia meglio. La biblioteca di lettere risponde al BSS (bisogno sottostante servito) meglio della propria camera. Offre un ambiente più silenzioso, quando servono vocabolari specialistici sono a portata di mano.

L’analisi dei moventi reali può portare a conclusioni diverse:

  • Gianni sta cercando una compagna. Sente un vuoto nella propria vita, e intuisce che sarà più facile incontrare una ragazza in un luogo pubblico piuttosto che nella propria camera. 
  • Gianni cerca anche motivazione ad impegnarsi. La visione di altre persone che studiano conforta il nostro studente e lo incoraggia. 
  • Gianni cerca anche di sentirsi a posto con se stesso. Sa benissimo che in casa accenderà lo stereo, navigherà in Internet, riceverà telefonate, questo lo distrarrà e alla fine della giornata si sentirà, come spesso gli capita, un perdente.

Per tutti questi motivi e molti altri ancora, il nostro amico Gianni frequenta quella biblioteca. Alcuni di questi moventi possono essere in qualche modo emersi dal suo subconscio, altri no, agendo in background.

Quello che interessa nella nostra analisi è capire che il bisogno sottostante servito (BSS) ha sfaccettature multiple. Accanto al BSS primario, di facciata, o motivo principale di frequentazione della struttura bibliotecaria, esistono BSS secondari (moventi nascosti) che possono persino superare la forza del BSS primario.

Implicazioni dei moventi nascosti per le strategie di marketing

Proseguiamo il nostro esempio sul marketing culturale, anche se le implicazioni di quanto esponiamo valgono in ogni settore. Quello che un manager deve capire, rispetto a queste dinamiche, è la necessità di “caricare” l’offerta costruendo un pacchetto che soddisfi sia il BSS primario che i BSS secondari. Se nella biblioteca ciò che conta è la possibilità di interazione offerta dagli ambienti circostanti, un intervento di “pulizia” (o meglio di “polizia”) che liberi gli spazi di incontro dai frequentatori distruggerebbe uno dei più forti moventi reali per cui quelle persone vi si recano.

Un intervento di marketing culturale dovrebbe cercare di costruire un ambiente di fruizione (un punto di vendita, per dirla in termini di marketing), che massimizzi la possibilità di interazione. Questa tecnica ad imbuto utilizza i BSS secondari per aumentare la domanda complessiva e superare i limiti del BSS primario.

Il concetto stesso di mission viene stravolto da questo ragionamento. Il manager della biblioteca il quale veda nella sua organizzazione unicamente un luogo di studio (mission essenziale), perderà tutte le opportunità legate al corollario di BSS secondari. Un manager culturale più attento al marketing vedrà invece in queste dinamiche una forte opportunità per trasformare la biblioteca in luogo di studio e contemporaneamente di incontro, svago, ricreazione, aggregazione, e persino di divertimento (mission allargata). 

Questo significa massimizzare l’estensione della mission organizzativa.

Il principio di base, in termini di marketing, è che :

  1. se le persone vengono attratte dai BSS secondari offerti dalla biblioteca, diversi di questi finiranno per usufruire anche della biblioteca stessa, producendo un effetto acquisitivo verso i nuovi clienti, e
  2. chi abitualmente usufruisce della biblioteca vi troverà nuove opportunità (un bar, punti gratuiti di consultazione internet, salotti, bacheche di annunci, sino ad un centro fitness), sviluppando effetto di ritenzione del cliente esistente e crescita della customer satisfaction. 

Possedere una visione allargata di marketing è un requisito indispensabile per conseguire obiettivi importanti. Questa visione allargata permette di fuoriuscire dagli stereotipi e dalle limitazioni autoimposte. 

Quando l’azienda perde il contatto con il vero movente di acquisto, e si concentra solo sul proprio prodotto, si apre un baratro, una caduta libera in cui le vendite possono precipitare. Inoltre, i concorrenti riusciranno presto a fornire un servizio o prodotto in grado di risolvere il bisogno di base meglio e più efficacemente. Il focus manageriale sul prodotto fa spesso perdere di vista il bisogno sottostante del cliente, che costituisce il vero movente di acquisto. Su questo bisogno sottostante deve concentrarsi il nuovo marketing.

La visione allargata di marketing ha effetti anche sul marketing sociale e culturale.

Di certo, l’obiettivo di allargare l’orizzonte di marketing non può essere posseduto dal burocrate aziendale, dal brontosauro dell’organizzazione, colui che – arroccato sulle proprie posizioni e timoroso del cambiamento – vede nella ri-focalizzazione della mission una perdita di potere, abitudini, e orizzonti certi.

La competitività, in questo senso, richiede l’esplorazione profonda del senso di esistere dell’impresa, e un’apertura totale a nuove modalità di soddisfazione di bisogni primari e secondari, espressi e latenti.

Un intervento di marketing culturale applicato ad una biblioteca può seguire un percorso a 3 stadi:

  1. Primo stadio troviamo l’obiettivo di incremento delle prestazioni legate all’utilità tradizionale (reperire libri, disporre di locali di studio), e quindi l’intervento sul catalogo, il miglioramento degli ambienti, ecc.
  2. Secondo stadio troviamo i progetti che si basano sulla massimizzazione delle utilità non tradizionali ma che comunque creano valore socializzante per la struttura (possibilità di incontro, ambienti per lo svago, eventi che creano spirito di gruppo e fidelizzazione alla struttura).
  3. Terzo stadio possiamo fare un ulteriore salto concettuale basato sul fatto che il motivo profondo di esistere della struttura si lega al bisogno umano di crescita culturale, di sviluppo professionale dell’individuo, e che i libri sono solo uno degli strumenti per raggiungere tale scopo.

Naturalmente, occorre evitare confusione tra i diversi obiettivi. Massimizzare i BSS secondari per una biblioteca non significa realizzare interventi che mettano in pericolo la tranquillità degli ambienti di studio, delle sale di lettura. Significa fare marketing della struttura basandosi sui bisogni reali delle persone, incrementare la customer satisfaction degli utenti, ricercare nuove modalità per far fronte sia all’esigenza reale (crescita culturale e studio) che ai bisogni secondari che vi si accompagnano (socializzazione, ecc.).

Questo approccio produce un ripensamento del rapporto tra mission e marketing.


[1] Greenberg, J. R., & Mitchell, S. A. (1986). Le relazioni oggettuali nella teoria psicanalitica. Bologna: Il Mulino. Edizione originale: Object relations in psychoanalytic theory. Cambridge: Harvard University Press, 1993.

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Altre risorse online

 

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  • Comunicazione
  • Cliente
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