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psicologia di marketing e comunicazione

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© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Psicologia di marketing e comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore

Il vantaggio competitivo

I concetti cardine della competitività sviluppati nel metodo ALM, acronimo di Action Line Management, sono basati su un presupposto fondamentale: non esiste competitività esterna senza creazione del vantaggio competitivo interno.

In altre parole:

  1. non esistono scorciatoie ed alternative ad un serio lavoro di costruzione di skills manageriali evolute, e
  2. i risultati esterni sono sempre preceduti da risultati interni (organizzativi, nel campo aziendale, e formativi/attitudinali, nel campo del personale).

La sequenza manageriale ALM

Uno schema a 5 stadi caratterizza il metodo ALM.

  1. Scenari
  2. Mission
  3. Mktg mix
  4. Action Line
  5. Front Line

Ciascuna fase, nel metodo ALM, è propedeutica ed interconnessa alla successiva. Ad esempio “gestire un obiezione” è sicuramente una problematica front-line frequente nelle imprese. Sia nel business-to-business (nei colloqui e trattative di vendita), che nel business-to-consumer, ogni azienda impegna forze ed energie notevoli per vendere, proporre, illustrare, pubblicizzare, i propri prodotti e servizi. Una attività spesso irta di ostacoli. 

Quale venditore non ha mai ricevuto un’obiezione? Quale consumatore non ha mai avuto un dubbio prima di acquistare? Questa fase, strategica per ogni azienda, è riconducibile alla vasta gamma delle problematiche di comunicazione Front-Line (fase 5)

Tuttavia, dobbiamo chiederci: può esistere una regola assoluta, per gestire un’obiezione, che prescinda da chi abbiamo di fronte? Che possa essere astratta dalla valenza strategica del soggetto che pone l’obiezione? Chi mi pone quell’obiezione? Il mio cliente più importante o un cliente inutile e anzi dannoso? Che centralità ha quel cliente per il piano di sviluppo aziendale? Che contributo reale fornisce quel cliente al mio parco clienti?

Queste valutazioni fanno immediatamente emergere un punto: la necessità di impostare a priori un “progetto-cliente”, una linea di azione, appunto, che ne definisca il peso, la priorità, e imposti le regole di comportamento specifiche verso quel tipo di cliente. Senza di essa, le risposte del front-line saranno vuote, stereotipate, decontestualizzate e prive di personalizzazione. Inoltre, dovranno essere create di volta in volta ex novo. Non esisterà un repertorio comunicazionale cui attingere, e questo riduce la prontezza di riflessi del comunicatore. In altre parole, il successo della fase 5 – comunicazione frontale – dipende dalla corretta impostazione della fase 4 – la linea di azione cliente – , il suo inquadramento strategico. 

Nella definizione della modalità di comunicazione aziendale front-line, è necessario sviluppare modelli condivisi di Action-Lines ( fase 4 ) : regole di base cui attenersi, griglie di analisi ed inquadramento delle problematiche che si possono verificare nei rapporti con il cliente. Le persone addette alla vendita e al front-line devono sapere se e quanto possono deviare da queste regole, perché e con chi. Sanno come massimizzare la propria creatività comunicativa perché dispongono di un alveo di regole comunicazionali che li guida. 

Il sistema di regole comportamentali richiede l’acquisizione nelle risorse umane front-line di un insieme di competenze comunicative di base (core competences: competenze centrali e condivise) unite alla capacità di adattare tali competenze alla singola occorrenza comunicazionale (Situational Communication Developmento gestione strategica della comunicazione istantanea).

Procedendo a ritroso, notiamo che per definire una linea di azione sul singolo cliente o sulla singola “occorrenza comunicazionale”[1] è necessario avere impostato a priori il marketing mix per il segmento di appartenenza del cliente. In altre parole, devono essere state impostate le strategie di prodotto, di prezzo, di distribuzione e di comunicazione per quel target specifico di clienti, Marketing Mix ( fase 3 ), in seguito ad una attività di segmentazione.

Il mix, a sua volta, si ispira, quale strumento operativo, alla Mission aziendale ( fase 2 ). Il Mktg Mix infatti traduce la mission in obiettivi pluriennali e annuali. 

Procedendo in questo percorso a ritroso, notiamo che gli obiettivi possono essere determinati efficacemente solo se analizziamo attentamente gli scenari economici, competitivi, di mercato, tecnologici, ecologici, sociali e culturali, Analisi di scenario ( fase 1 ).

Fattori esterni di efficacia della comunicazione front-line

  • Qualità dell’Analisi di Scenario – L’analisi ha identificato i punti di forza e di debolezza della concorrenza, i trend tecnologici, culturali, sociali che agiscono sul mercato
  • Qualità della Mission e organizzativa – L’azienda produce obiettivi chiari per tutti, le gerarchie e responsabilità sono chiare, esiste competenza e motivazione nelle risorse umane
  • Sviluppo del Marketing Mix – L’azienda ha strutturato per ciascun target prioritario un mix adeguato di prodotto/servizio (catalogo), una politica di pricing, una strategia distributiva, una adeguata copertura pubblicitaria e di image building
  • Sviluppo delle Action-Lines – Le forze di vendita dispongono di un repertorio comunicazionale per l’approccio al cliente e di griglie di  inquadramento delle diverse situazioni che possono incontrare. L’azienda produce training adeguato e dedica tempo alla formazione

Il metodo ALM consente di attuare una pianificazione a ritroso (Backward Planning), in grado di fornire i migliori risultati reali (approccio radicale) e non unicamente esiti passeggeri o sintomatici (approccio superficiale).

Usando una metafora “biologica”, non è possibile parlare senza pensare, ma pensare richiede energie, quindi bisogna nutrirsi. Per nutrirsi occorre sapersi procurare il cibo, e questo significa imparare a cacciare, e via così. Questo percorso a ritroso di pianificazione dell’azione (Backward Planning) rappresenta il cardine filosofico del metodo ALM: occorrono radici organizzative e manageriali solide per sviluppare azioni frontali efficaci.

Secondo lo stesso principio, capire la natura delle pulsioni d’acquisto è indispensabile per praticare marketing, comunicazione ed educazione al consumo.

Così come per fornire prestazioni eccellenti nel front-line occorre formazione e pianificazione, per progettare prodotti di valore e strategie comunicative di successo occorre comprendere le radici delle pulsioni d’acquisto.

Occorre capire perché la gente acquista, quali sono i moventi consci ed inconsci di acquisto.

I flussi di valore e il marketing relazionale

L’analisi dei flussi di valore, stimola l’entrata in scena in campo aziendale di concezioni di sviluppo d’impresa basate sul networking, cioè sulla capacità di creare relazioni di valore.

Il modello ALM distingue tra flussi materiali e immateriali.

L’analisi mette in primo piano la necessità di massimizzare le componenti intangibili dell’offerta aziendale ( sicurezza, garanzie, immagine, affidabilità, comunicazione, commitment, networking) in grado di “fare la differenza” su un mercato sempre più affollato, ed uscire dalla pura concorrenza di prezzo.

Il modello di analisi dei flussi di valore identifica delle aree di azione strategica per l’intervento sulla competitività, che danno luogo a specifici principi di sviluppo competitivo.

Principio – Competitività nell’acquisto e rapporti con i fornitori

Lo sviluppo competitivo dipende dalla gestione dei flussi di valore azienda-fornitore:

  • Saper gestire i flussi materiali in ingresso dal fornitore (qualità e prestazioni di merci e servizi acquistate) = competenze nelle tecniche di acquisto;
  • Saper gestire ed incrementare i flussi immateriali dai fornitori (scelta dei marchi e utilizzo dell’ “aura” o prestigio del fornitore per incrementare il nostro valore, continuatività, ingresso di know-how, ecc..) = scelta di “partner di fornitura”, capacità di stabilire accordi chiari e di mutua soddisfazione con il fornitore;
  • Saper gestire correttamente i flussi materiali dall’azienda al fornitore =   pagare equamente i fornitori, con flussi corrispondenti al valore, rispetto dei tempi e degli impegni di pagamento presi con il fornitore;
  • Saper creare flussi immateriali per il fornitore, al fine di conseguire riduzioni di prezzo o altre forme di scambio/baratto = pianificare gli acquisti che possono essere pianificati, mettere in atto altre forme di comportamento di acquisto in grado di erogare valore al fornitore, sviluppare correttezza nei rapporti umani, know-how in uscita, garanzie di continuità nell’acquisto, ecc..;

Le ulteriori quattro leve competitive identificate nel metodo ALM sono basate sulla gestione del rapporto con il cliente.

Principio – Fattori di competitività nel rapporto con il cliente

Lo sviluppo competitivo dipende dalla gestione dei flussi di valore azienda-cliente:

  • Saper incrementare i flussi materiali in ingresso dal cliente = saper gestire i pagamenti del cliente, i loro ammontari, tempi e modi, garantendo forme di corresponsione adeguate e non inferiori al dovuto; non accettare compensi inferiori, rispetto a quanto serve per realizzare un lavoro di qualità. 
  • Sviluppare la capacità di ottenere flussi immateriali dai clienti = creazione di immagine utilizzando il prestigio del marchio per cui si lavora, ottenere pianificazioni di acquisto e acquisti ripetuti, opposti a vendite sporadiche (fidelizzazione del cliente); saper scegliere clienti che assicurino pagamenti corretti e puntuali e con i quali si possa sviluppare un rapporto di soddisfazione. Il costo della gestione di un cliente relazionalmente difficile supera molto presto il ricavo ottenibile, sottraendo tempo ed energie mentali preziose utilizzabili su altri progetti;
  • Saper creare valore nei flussi materiali in uscita verso i clienti  = progettare e vendere prodotti intrinsecamente utili per il target, dotati di efficacia risolutiva o preventiva reale sui bisogni, sviluppare customer satisfaction di prodotto e qualità tecnica;
  • Saper creare valore nei flussi immateriali offerti al cliente = sviluppare qualità relazionale e creare un’immagine di affidabilità: il cliente deve potersi fidare della parola dell’azienda, non in quanto atto dovuto, bensì sulla base delle dimostrazioni di serietà da essa fornite (relationship record o storia del rapporto dal punto di vista delle dimostrazioni di affidabilità date in passato); saper corredare il prodotto/servizio di informazioni e comunicazioni di qualità, saper assicurare continuatività nella fornitura, reperibilità, rintracciabilità dei prodotti, delle persone e delle responsabilità, creare prospettive di ingresso in network virtuosi, erogare know-how al cliente (dal punto di vista tecnico, culturale, manageriale).

Note:


[1] Singolo evento o mossa relazionale dell’interlocutore.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Le parole chiave di questo articolo Il metodo ALM sono :

  1. Action line
  2. Action Line Management
  3. Backward planning
  4. Competenze centrali e condivise
  5. Competenze communicative di base
  6. Competitività esterna
  7. Core competences
  8. Flussi di valore
  9. Front line
  10. Gestione strategica della comunicazione istantenea
  11. Marketing mix
  12. Marketing relazionale
  13. Metodo ALM
  14. Mission
  15. Regole comportamentali
  16. Relazioni di valore
  17. Repertorio comunicazionale
  18. Scenari
  19. Singola occorrenza comunicazionale
  20. Situational communication development
  21. Vantaggio competitivo interno
  22. Metodi di Marketing
  23. Metodi Marketing
  24. Metodologie di marketing
  25. Metodologie Marketing
  26. Modelli marketing
  27. Modelli di marketing

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Psicologia di marketing e comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore

L’evoluzione della customer satisfaction

L’analisi delle strategie di customer satisfaction può essere migliorata attraverso una ulteriore evoluzione:

  1. la modifica nella addizione delle componenti relazionali al “fattore prodotto” (servizio, post-vendita) e
  2. la inclusione nella customer satisfaction management dell’intero sistema del marketing mix, tramite i concetti di price satisfaction, distribution satisfaction e communication satisfaction.

Si tratta di un allargamento del campo che permette di definire come le strategie di impresa possano giungere alla creazione della overall mix satisfaction, uno stadio ottimale di soddisfazione del consumatore che si espande a tutte le componenti del mix.

Per ciascuna leva andrà analizzato :

  1. il grado di attese esplicite,
  2. la percezione delle prestazioni, e
  3. cosa, per quella specifica caratteristica, può essere considerato l’ideale (inclusione della componente “ideali”). 

Principio – Assioma della customer satisfaction totale (CST)

  • La competitività dipende dalla capacità di soddisfazione del cliente, determinata ad ogni livello della sfera di rapporto cliente-impresa: prodotto, distribuzione, prezzo, comunicazione (immagine e rapporti umani). Dovranno quindi essere realizzate azioni di progettazione per:
  • La customer satisfaction di prodotto/servizio (product satisfaction);
  • La customer satisfaction di prezzo (price satisfaction);
  • La customer satisfaction distributiva (distribution satisfaction);
  • La customer satisfaction di comunicazione, informazione e immagine (communication satisfaction, information satisfaction, image satisfaction);
  • La customer satisfaction delle relazioni personali (relationship satisfaction).

In altre parole, non è più sufficiente ragionare in termini di qualità del prodotto e nel servizio, ma occorre chiedersi se l’impresa stia erogando qualità e rispondendo ad aspettative anche nelle politiche di prezzo e in come queste vengono comunicate ai diversi clienti, ed ancora se si stia producendo comunicazione di qualità, o qualità nella modalità di distribuire il prodotto e renderlo fruibile al cliente.

Price satisfaction

La price satisfaction comprende il sistema di attese e di ideali relativi ai seguenti fattori: 

  • l’adeguatezza del prezzo rispetto alla prestazione ricevuta;
  • la “giustizia di prezzo”: l’assenza di improvvisi ribassi di prezzo su prodotti uguali a quelli appena acquistati, condizioni facilitative di pagamento taciute al momento dell’acquisto, differenze territoriali di prezzo delle quali il consumatore venga a conoscenza giudicandole ingiuste, oppure differenze di trattamento praticate tra diversi clienti senza giustificazioni comprensibili per colui che paga di più;
  • le modalità e termini di pagamento;
  • il rispetto delle promesse di sconto e facilitazioni di pagamento;
  • la variabilità imprevista della spesa;
  • trasparenza dei prezzi.

Un esempio di come le aziende possano determinare customer satisfaction tramite il pricing è dato dalle tariffe fisse telefoniche. Negli ideali di diversi consumatori ed aziende, esiste il desiderio di sapere in anticipo quanto si dovrà pagare al mese, fissando una soglia massima che includa ogni costo telefonico, urbano e nazionale, incluso il traffico internet illimitato. In questo caso il prodotto/servizio rimane invariato (connettività telefonica), ma la formula di pricing per il soggetto è percepita come “liberatoria”, soprattutto perché toglie nel soggetto l’ansia del tempo. L’azienda venditrice potrà poi definire quale sia il suo break-even point (punto di pareggio ricavi-costi) e fissare il prezzo.

Distribution satisfaction

La distribution satisfaction comprende il sistema di attese e di ideali relativi ai seguenti fattori: 

  • il rapporto del cliente con le forze di vendita e di distribuzione;
  • la facilità di accesso al luogo di distribuzione;
  • la soddisfazione riguardante gli ambienti fisici in cui avviene l’acquisto (temperatura, umidità, illuminazione, architetture, comfort, ecc…);
  • la soddisfazione riguardante gli ambienti psicologici in cui avviene l’acquisto (le persone presenti, la loro gradevolezza, ciò che accade nell’ambiente, i climi relazionali ed emotivi);
  • la facilità di acquisizione del prodotto/servizio;
  • il rispetto aziendale dei termini e condizioni di consegna;
  • le modalità di fruizione della prestazione rese possibili dall’offerente.

Dal punto di vista dell’azienda, ogni fattore sopra esposto deve diventare un elemento del proprio piano di qualità. Ma non solo. La capacità di adattarsi ad esigenze distributive non palesate, non intuitive, permette di conseguire vantaggio competitivo ulteriore.

Non dobbiamo dimenticare il potere enorme messo a disposizione da Internet alle imprese che intendano valorizzarne la potenzialità per creare customer satisfaction distributiva e comunicazionale. Attraverso il web è possibile fornire aggiornamenti istantanei ai prodotti nei quali è presente qualche forma di software, fornire notizie in tempo reale, rispondere a quesiti, fornire assistenza, sviluppare addizioni di prodotto (prodotto aumentato). 

Principio – Distribution Satisfaction

La competitività dipende dalla capacità aziendale di generare:

  • aumento di fruibilità del prodotto;
  • riduzione dei tempi e delle distanze di acquisto;
  • azzeramento dello sforzo di approvvigionamento a carico del cliente;
  • qualità relazionale nei sistemi di contatto distributivo (nei contatti umani e nei contatti mediati).

In termini di prodotto aumentato, una banca può vendere un servizio base di gestione titoli, ma corredarla di un sistema automatico di segnalazione ai propri clienti che il titolo in loro possesso ha raggiunto il target price di vendita (segnale di stop-gain). Questo diventa vero valore aggiunto, nel momento stesso in cui una nuova forma distributiva fa risparmiare al consumatore il carico di doversi spostare per ottenere la prestazione.

Communication satisfaction

La communication satisfaction comprende il sistema di attese e di ideali relativi ai seguenti fattori: 

  • La qualità dell’informazione e la soddisfazione per l’informazione aziendale (information satisfaction): riguarda la quantità e qualità di informazioni sulle componenti tecniche che corredano il prodotto (completezza e qualità dei contenuti dei manuali d’uso, etichette di istruzioni, etc.), ma anche la modalità di organizzazione delle informazioni e la fruibilità delle interfacce informative;
  • la qualità dei linguaggi (codici di comunicazione) utilizzati nei prodotti e nelle comunicazione: appropriatezza, comprensibilità, codici e stili, assenza di imperfezioni;
  • la consonanza d’immagine e la soddisfazione che ne deriva (image satisfaction) data dalla conformità tra immagine veicolata del prodotto/marchio e ideal self-image del ricevente-target;
  • La trasparenza delle condizioni commerciali, la comunicazione aperta, chiara, non nascosta, delle condizioni di vendita, tecniche e di prodotto.

In riferimento al tema della consonanza d’immagine, qualora l’immagine di prodotto si discosti o sia in opposizione alla immagine di sé ideale, può nascere dissonanza cognitiva rispetto all’intenzione di acquisto del prodotto. 

Ad esempio, un autovettura fuoristrada può essere pubblicizzata tramite uno spot in cui essa venga utilizzata per un safari di caccia africano, visualizzando l’inseguimento dell’animale e la sua uccisione, con foto finale del trofeo di caccia e presenza dell’auto come sfondo. Tale immagine (accostamento tra il modello e la caccia) potrebbe essere del tutto antitetica rispetto all’immagine di Sé ideale (ideal self-image) che un naturalista ha di se stesso. Un naturalista o ambientalista che intenda acquistare il fuoristrada come strumento di lavoro o mezzo per raggiungere le proprie mete di visitazione cercherà un marchio non connotato semanticamente dalla pubblicità in questa direzione negativa.

La vicinanza dell’immagine di marchio (brand image) al Sé Ideale del target diviene un fattore di successo della comunicazione aziendale. Al contrario, l’associazione di un’immagine indesiderata o di comportamenti controvaloriali rispetto al target è in grado di deprimere persino l’intenzione di acquisto di prodotti-servizi giudicati dal consumatore intrinsecamente, qualitativamente e tecnicamente buoni.

Un tema caldo tra quelli trattati è la trasparenza dell’informazione. Un esempio di scarsa trasparenza è dato dal trovare difformità tra prezzo comunicato e prezzo rilevato, anche se la comunicazione è formalmente veritiera. A parte le difformità fraudolente, esistono infatti anche difformità celate. Ad esempio, una compagnia telefonica può affermare che le proprie telefonate costano x al minuto, ma questo è assolutamente fuorviante se poi viene addebitato uno scatto alla risposta e l’Iva. Lo scatto produce una curva di costo iperbolica che aumenta esageratamente il costo reale delle telefonate brevi, e questo viene taciuto. La comunicazione perciò in questo caso è veritiera ma lacunosa, e ciò genera insoddisfazione.

Relationship satisfaction

In ogni tipo di esperienza di acquisto è possibile individuare due componenti: una componente tecnica legata alla prestazione in sé, e una componente relazionale costituita dal rapporto umano (diretto o indiretto, momentaneo o duraturo) che si instaura tra acquirente e venditore.

Di particolare importanza risulta la distinzione tra elementi tangibili del prodotto e elementi intangibili (la qualità del servizio, l’assistenza, i rapporti interpersonali), poiché la soddisfazione del consumatore non si limita alla soddisfazione circa gli attributi (caratteristiche fisiche) del prodotto, ma comprende anche la soddisfazione verso gli aspetti relazionali e di servizio che accompagnano l’acquisto. 

In altre parole, la soddisfazione verso il prodotto si trasforma in soddisfazione verso l’esperienza di acquisto, intesa nella sua globalità: look e feeling del prodotto, prestazioni del prodotto percepite durante l’utilizzo, chiarezza delle istruzioni, capacità di rassicurazione da parte della forza vendita, rinforzi positivi nel post-vendita, garanzie, rapporto interpersonale con i rappresentanti dell’azienda, price satisfaction.

A livello di prodotto è possibile identificare quindi due componenti:

  • Aspetti tangibili: rendimento, caratteristiche, opzioni, stile, durata, resistenza;
  • Aspetti intangibili: qualità del servizio, qualità della comunicazione umana, cortesia, competenza del personale, qualità del servizio post-vendita, qualità dell’assistenza e garanzie, cordialità, capacità di recovery, capacità di ascolto del cliente (active-listening).

Le relazioni umane hanno alto impatto emotivo. In molte situazioni di acquisto ad alto coinvolgimento (high-involvement), il consumatore rimane più colpito dalle componenti relazionali del venditore che non dalle componenti tecniche del prodotto. Un atto di grave scortesia o di malafede del venditore difficilmente verrà rimediato da una buona prestazione di prodotto.

Prodotti molto simili dal punto di vista del contenuto – come la benzina o il caffè in tazza al bar – risentono ancora maggiormente del peso della componente relazionale – un elemento in grado di fare la differenza.

Nel consumare un caffè, l’avventore del bar non si limita a ricercare unicamente il liquido nero che ingerisce, ma spesso respira le atmosfere del locale, è alla ricerca di un momento di svago o di socializzazione, o di un rapporto umano, oppure intende far sapere agli avventori di essere “lì” in quel bar, che – essendo frequentato da una certa classe sociale – fornisce uno scenario piacevole e un’immagine ai suoi frequentatori.

Proprio a causa della crescente uniformità tecnica di fondo, la competizione si sposta dalla differenza sul prodotto alla differenza sulla comunicazione e sulla relazione venditore-cliente.

Caratteristiche relazionali come affidabilità, trasparenza, sicurezza, competenza, capacità di recupero di situazioni critiche, capacità di ascolto, assumono un peso sempre maggiore nella scelta di un fornitore. La capacità empatica di avvicinamento all’altro, per l’erogatore di un servizio, costituisce un elemento di fondamentale importanza. 

Principio – Principio di qualità relazionale

  • La competitività dipende dalla capacità aziendale nel creare relazioni di qualità con i propri pubblici (interni ed esterni), clienti e partner, ed in generale ogni stakeholder[1]
  • La qualità relazionale deriva dall’espressione di comportamenti ad alta affidabilità e  trasparenza, uniti all’utilizzo di capacità di ascolto ed empatia elevate.

Realizzare prodotti “discreti” o accettabili non rappresenta più un traguardo per l’impresa che punti al top della competitività. Il traguardo si sposta verso l’immissione nel prodotto/servizio di caratteristiche in grado di avvicinarlo al “prodotto/servizio ideale” e di componenti relazionali – uno stato di qualità basato su caratteristiche nuove, che a volte il consumatore nemmeno riesce a proiettare in maniera consapevole, eppure centrali rispetto al BSS reale.

Il modello consente un allargamento del concetto di customer satisfaction alle intere aree del mix. Ne consegue che anche la politica della qualità, così come viene contemplata oggi dalle imprese, abbisogna di una sostanziale trasformazione, passando da un focus attuale – molto orientato al prodotto, a tubi, cavi e bulloni –  per dirigersi verso un nuovo modello basato sulla percezione del consumatore.

Una conferma scientifica sperimentale della esistenza di altre variabili, incidenti sul processo di formazione della customer satisfaction, come previsto dal nostro modello, viene da Spreng, MacKenzie e Olshavsky (1996)[2]. Il modello testato dagli autori – introducendo il concetto di information satisfaction del consumatore (similare al nostro concetto di communication satisfaction) – ha trovato significative evidenze scientifiche sul rapporto esistente tra qualità della comunicazione di marketing e customer satisfaction del cliente.

Interazioni tra i diversi tipi di customer satisfaction

Abbiamo considerato come la Satisfaction provenga da un insieme di prestazioni riconducibili agli elementi del mix. 

Tuttavia, il cliente cioè non analizza separatamente le componenti del mix, ma attua una valutazione di sistema, in cui vengono ponderate tutte le interazioni tra tutte le componenti. Ad esempio, in una pizzeria la CS ( Customer Satisfaction )di prodotto può essere alta (la pizza era buona) ma la CS relazionale molto bassa (i camerieri sono veramente scortesi e i tempi di attesa esagerati). L’esperienza totale sarà nel complesso negativa. È quindi opportuno analizzare quali interazioni esistono tra livelli di soddisfazione per ogni componente del mix.

Realizzeremo una analisi delle interazioni di primo livello:

  • interazione CS-prodotto / CS-distribuzione-canale;
  • interazione CS-prodotto / CS-prezzo;
  • interazione CS-prodotto / CS-promozione/comunicazione.

Interazioni prodotto/canale

Troppo spesso le imprese focalizzano le proprie risorse sulla qualità del prodotto, sulle caratteristiche intrinseche del bene o servizio, dimenticando che la qualità complessiva percepita (e quindi la soddisfazione complessiva del consumatore) proviene anche dal canale distributivo e dal rapporto personale con l’erogatore del servizio e con la rete di vendita e di assistenza.

Per questo motivo è necessario distinguere i concetti di customer satisfaction di prodotto (CSP) e customer satisfaction di canale (CSC) o channel satisfaction

La CSP riguarda le caratteristiche intrinseche del prodotto o servizio (composizione, struttura, performance).

La CSC include: (1) componenti relazionali e (2) componenti logistiche, che sommate producono la qualità complessiva del servizio erogato dal canale distributivo: capacità di rapporto interpersonale, cortesia, tempi di risposta, servizio post-vendita e assistenza, la facilità di accesso al luogo di distribuzione, la facilità di acquisizione del prodotto/servizio, il rispetto dei termini e condizioni di consegna.

La CSC determina il fenomeno della fidelizzazione al canale. Il fatto che il parco-clienti si fidelizzi al canale (più che all’azienda produttrice) permette a questo di spostare il parco clienti in blocco (o quasi) presso altre aziende del settore. È il tipico caso in cui l’agente o area manager, cambiando azienda, porta con se tutto il proprio parco clienti. 

Per l’azienda, emerge la necessità di attivare un triplice livello di attenzione: 

  • Gestire la CSC – la soddisfazione del consumatore nei confronti del rivenditore;
  • gestire la CS del cliente utilizzatore finale rispetto all’azienda produttrice;
  • gestire la CS del canale verso l’azienda – la soddisfazione del rivenditore nei riguardi dell’impresa produttrice.

Attivare modalità di contatto diretto tra azienda e cliente finale permette di poter recuperare il rapporto velocemente in caso di problemi con il canale di vendita (ad esempio, contatti telefonici annuali di valutazione generale della soddisfazione del cliente, attuati direttamente dall’azienda). 

La CS del canale, cioè la soddisfazione del canale distributivo rispetto all’impresa, dipende da fattori quali:

  • Supporto fornito dal produttore al lavoro del canale o del venditore. Es.: supporto pubblicitario e promozionale, sconti speciali, formazione;
  • margini di guadagno per il canale e il venditore, resi possibili dal produttore;
  • qualità della relazione con l’impresa;
  • supporto al distributore per le necessità che si presentano con il cliente finale;
  • lealtà e trasparenza dell’azienda nei riguardi dei propri agenti e canali;
  • capacità di motivazione.

Principio – Soddisfazione dei canali distributivi

  • La competitività dipende dall’identificazione di canali distributivi adeguati e dalla creazione di un rapporto di reciproca soddisfazione tra canale di vendita e azienda.
  • La forza del rapporto dipende sia dalla adeguata remunerazione materiale che dalla qualità di rapporto in entrambe le parti.

È necessario sottolineare che esistono connessioni precise tra immagine del canale (es: professionalità percepita della rete di vendita) e immagine dell’impresa.

Questo significa che il comportamento della rete distributiva si riverbera sull’immagine della azienda (mandante, proprietario del marchio). La qualità dell’agente incide sull’immagine di chi gli ha fornito l’incarico di agenzia. Allo stesso tempo un rappresentante concorre fortemente, con il suo comportamento, a formare l’immagine dei marchi per cui lavora.[3]

Behavioral rules e controllo totale

Le ricerche sulle dinamiche di gestione della soddisfazione nei rapporti con le reti di vendita determinano la forte necessità di stabilire standard di comportamento per le reti distributive, consapevoli che esse veicolano la “faccia” dell’impresa. Questo viene attuato tramite specifiche regole comportamentali (behavioral rules) che ogni membro dell’organizzazione estesa (azienda più rete di vendita e distribuzione e assistenza) deve seguire. 

Altrettanto importante diviene verificarne i comportamenti tramite indagini indipendenti (survey distributive e ispezioni) svolte con diverse tecniche (interviste dirette al cliente finale, metodi osservazionali tipo ghost customer[4]).

Principio – Principio del controllo totale lungo la catena distributiva

  • La competitività dipende dal grado di controllo aziendale sui comportamenti di ogni elemento della catena del valore, in termini di adeguatezza agli standard aziendali. Tra questi:
  • Personale di contatto e front-line aziendale
  • Personale della distribuzione
  • Personale di vendita e reti di vendita
  • Personale di assistenza

Interazione prodotto/prezzo

Principio – Assioma della psicologia del prezzo

La competitività dipende: 

  • dalla capacità di creare un pacchetto di offerta di valore tale da giustificare il prezzo, creando un prezzo psicologico (somma del dare o somma delle privazioni) più basso del vantaggio/utilità ricevuto (somma dei risultati, effetti positivi totali dell’acquisto), e quindi:
  • dalla capacità di riposizionare il prezzo rispetto ai benefici risultati dall’acquisto;
  • dalla capacità di riduzione del prezzo percepito.

Troppo spesso il venditore concentra la propria comunicazione sui dettagli del prezzo, senza approfondire veramente i benefici ricercati dal cliente. Occorre invece invertire la dominanza del contenuto comunicativo sui prezzi e trasferirla verso i benefici attesi.

La psicologia del prezzo è soprattutto un problema di psicologia di comunicazione, premesso che (e questo è veramente importante) le promesse realizzate al cliente devono essere realmente mantenute. La vendita ottenuta grazie a false promesse non ha alcuna valenza di marketing, ma produce solamente scollamento con il cliente nel futuro e distrugge l’immagine aziendale, materia di valore ben superiore a quello rientrante da una singola vendita.

Principio – Della verità di risultato

  • Le promesse di vendita non corrisposte distruggono il valore d’immagine aziendale e sono controproducenti per il marketing e la competitività.
  • Nessun prezzo è eccessivo se il prodotto/servizio produce veramente il risultato atteso, e questo risultato è davvero importante per il cliente.
  • Il prezzo risulta eccessivo solo quando:
  • (1) Le promesse di vendita non vengono mantenute;
  • (2) esiste scarsa percezione –  nel cliente – dell’importanza del risultato.

Interazioni prodotto/comunicazione

Principio – Della consonanza di immagine

  • La competitività dipende dalla capacità di creare immagine nel prodotto e nell’azienda/marchio. L’immagine ricercata è guidata dal concetto di sé ideale del cliente target, con il quale realizzare consonanze e associazioni proiettive. 
  • Il successo di strategie di Image Building si realizza quanto più il soggetto identifica nell’offerta/prodotto/marchio una porzione espressiva del proprio vissuto ideale e uno strumento per il raggiungimento del sé ideale.

[1] “Portatore di interessi”, soggetto che ha una rilevanza per l’azienda (es: un giornalista del settore, un politico, un finanziatore).

[2] Spreng, R., MacKenzie, S.B., & Olshvsky, R.W. (1996). A reexamination of the determinants of consumer satisfaction. Journal of Marketing, vol 60 (July 1996), 15-32.

[3] Nello studio in questione, le variabili che si correlavano positivamente con l’immagine dell’impresa erano: cortesia dimostrata, competenza tecnica, livello di interesse dimostrato dall’agente. La variabile che si correlava negativamente era il tempo trascorso dall’ultima visita: all’aumentare del tempo trascorso dall’ultima visita diminuiva la percezione di immagine positiva sia dell’agente che dell’impresa. I clienti che erano da molto tempo “trascurati” e non visitati vedevano in questo una dimostrazione di scarso interesse sia da parte dell’Agente, sia da parte della azienda produttrice. 

[4] Tecniche in cui un funzionario o incaricato aziendale simula o attua un acquisto per verificare il comportamento del front-line. Oppure ancora metodi di presenza dell’azienda all’insaputa di altri (es: presenza di un incaricato non dichiaratosi, durante la visita dell’agente al punto vendita, il quale simula una normale “occhiata” al negozio, ma in realtà valuta la puntualità dell’agente, e il suo comportamento).

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Altre risorse online

Le parole chiave di questo articolo sulle strategie della customer satisfaction totale sono :

  • Capacità empatica
  • Communication satisfaction
  • Consonanza d’immagine
  • Customer satisfaction
  • strategie di Customer satisfaction
  • Customer satisfaction di canale
  • Customer satisfaction di prodotto
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  • Esperienza d’acquisto
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  • Product satisfaction
  • Psicologia del prezzo
  • Qualità relazionale
  • Regole comportamentali
  • Relationship satisfaction
  • Relazioni umane
  • Standard di comportamento

 

La Customer Satisfaction: verso il prodotto Ideale

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Psicologia di marketing e comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore

Gli ideali nel modello di customer satisfaction

Progettare la customer satisfaction significa anche saper creare condizioni future in cui l’azienda sia in grado di erogare maggiore soddisfazione dei concorrenti, lungo tutte le leve del marketing mix.

Questo richiede di affrontare il tema delicato di cosa costituisca (1) il prodotto ideale, (2) il servizio ideale, (3) la distribuzione ideale, (4) la comunicazione ideale, (5) il pricing ideale. 

Nella letteratura classica sull’argomento è possibile identificare un “mainstream”, un approccio prevalente alla customer satisfaction che ha finora dominato la pratica di ricerca e manageriale: il “modello di disconferma delle aspettative”.

Questo modello concentra la propria attenzione sulla distanza tra (1) prestazione del prodotto e (2) attese iniziali (aspettative) del consumatore.

Per diversi motivi questa impostazione è riduttiva. È necessario proporre un approccio più evoluto basato sul concetto di esperienza totale di acquisto/esperienza totale di prodotto. 

Il modello attese-prestazioni (modello di disconferma delle aspettative) sostiene che la customer satisfaction è tanto superiore quanto più la prestazione ottenuta dal prodotto supera la prestazione che il cliente si attendeva prima dell’utilizzo. 

Questa visione, seppur utile per introdurre alcuni concetti di base, non è sufficiente per spiegare il fenomeno. 

È infatti possibile avere insoddisfazione da parte del consumatore anche quando le aspettative vengono raggiunte, come ad esempio nell’acquisto di un prodotto di scarsa qualità, le cui caratteristiche negative siano note, ma che venga scelto ad esempio per via di una scarsa disponibilità economica o per mancanza di alternative. 

L’inconsistenza logica del modello emerge quindi in tutta la sua chiarezza, in quanto esso predice ad esempio che quando il consumatore si attende una prestazione pessima ed invece questa risulta scarsa (cioè solo poco più di pessima), egli sia comunque soddisfatto. Se un guidatore si attende una scarsa tenuta di strada da un auto, non potrà comunque accettare questa scarsa prestazione ed essere felice pensando “credevo di uscire di strada 6 volte nel tornare a casa con la pioggia ed invece sono uscito di strada solo 2 volte, sono proprio contento”.

Un primo passo in avanti, nella direzione di comprendere a pieno la portata della customer satisfaction, proviene dalla considerazione della limitatezza del concetto di attesa del consumatore come base per realizzare il benchmarking della customer satisfaction. 

Il concetto di prestazione attesa, alla base della teoria classica, significa essenzialmente “ciò che il cliente pensa di ottenere dal prodotto”, “ciò che il cliente ritiene sarà la prestazione reale del prodotto”, o, come nel caso dei sevizi, le attese sulla qualità del servizio (conformità, puntualità, attenzione).

Il concetto di attese non include un importante area della psicologia del consumo, quella degli ideali. Se tutti i concorrenti riescono a fornire lo stesso livello prestazionale, come può nascere vantaggio competitivo? L’unica possibilità è quella di ricorrere all’analisi degli ideali del consumatore, dei sogni nascosti, senza fermarsi a ciò che il mercato offre attualmente. E senza nemmeno fermarsi a ciò che il consumatore considera “ideale” in prima battuta. 

Sono necessarie diverse introspezioni profonde per raggiungere concetti che una persona non ha mai esplorato. Tra questi concetti vi è proprio quello di “prodotto ideale”, che è sempre e comunque specifico e relativo ad un bisogno sottostante (ad esempio: utilizzare proficuamente il proprio denaro, il bisogno di non perdere, il bisogno di sicurezza economica, ecc..).

Questo significa far luce sulle “prestazioni ideali” o “desideri latenti” del consumatore. 

Il nostro modello include quindi tale componente: la prestazione ideale, la caratteristica auspicata, ciò che si colloca nei sogni del consumatore e non è ancora realtà. Ma proprio per questo, proprio per la sua natura di sogno, rappresenta una formidabile arma per l’azienda che la sappia trasformare in realtà, o immettere almeno parzialmente nel proprio value mix. 

I desideri o prestazioni ideali sono caratteristiche del prodotto e della prestazione che “idealmente” il prodotto dovrebbe possedere, ma che per motivi diversi (tecnologia non ancora matura, o, semplicemente, perché nessuno l’aveva ancora pensato), non fanno parte del prodotto attuale.

Il prodotto ideale è quel prodotto che soddisfa maggiormente il BSS (bisogno sottostante servito).

Questo prodotto ideale è assolutamente soggettivo, diverso da persona a persona. Esso sarà tanto più sofisticato ed elevato, tanto più lontano dal presente, quanto più elevata è la competenza tecnica, la creatività, il livello evolutivo ed intellettuale del consumatore, in relazione al bisogno espresso.

Tutte queste componenti si congiungono per formare il livello prospettico del consumatore, ovvero la capacità del consumatore di percepire la limitatezza attuale del prodotto e sviluppare desideri evoluti su nuove caratteristiche e forme di soluzione. Consumatori di ridotto livello prospettico vedranno il prodotto ideale all’interno delle possibilità tecnologiche attuali, mentre consumatori di alto livello prospettico sapranno indicare caratteristiche anche nuove e estranee alle tecnologie attuali, tuttavia centrali rispetto al bisogno sottostante servito. Saranno inoltre più consci della limitatezza del prodotto rispetto ad un ipotetico prodotto ideale. 

La stimolazione del livello prospettico del consumatore, tramite campagne informative e di sensibilizzazione, costituisce quindi un importante risultato sociale – sia per lo sviluppo di una cultura di consumo intelligente che per la funzione di stimolo che il consumatore evoluto può apportare all’impresa.

Realizzando un esempio nel settore auto, un guidatore di basso livello prospettico potrebbe indicare come vettura ideale “un’auto onesta che consumi poco”. Un consumatore più evoluto prospetticamente potrebbe indicare “un’auto che utilizzi fonti di energia alternative, con elevati livelli di comfort e sicurezza”. Un consumatore di livello prospettico ancora superiore potrà invece indicare come prodotto ideale:

un oggetto sul quale impostare la destinazione, in grado di portarmi presso essa automaticamente, mentre consumo la colazione o dò un’occhiata al giornale. Viaggiando spesso per lavoro, questo oggetto dovrebbe potermi portare in un qualunque luogo in Europa in massimo 1 ora, più o meno, ed essere molto confortevole, consentendomi di arrivare fresco e riposato sul luogo di lavoro o di riunione. Posso immaginare una sorta di automobile che si eleva dal piano terreno, viaggia in “corridoi aerei sopraelevati” e raggiunge la destinazione tramite un sistema di guida automatica controllato da computers. Mi piacerebbe moltissimo volare, ma senza tutti gli svantaggi dell’aereo, doverlo prenotare, i ritardi, gli aeroporti. Vorrei un aeromobile personale grande quanto un’auto. E quando intendo destinazione non penso ad una stazione di approdo centralizzata, ma esattamente l’indirizzo specifico presso il quale devo arrivare. Ogni metro più in là è dispersione di tempo. Perciò mi piacerebbe che questa auto mi depositasse presso una piattaforma di attracco sullo stesso piano dell’ufficio dove devo recarmi, ed andasse a parcheggiarsi automaticamente. Finiti gli impegni di lavoro, chiamo la vettura con un telecomando e mi raggiunge, aprendosi comodamente ed offrendo il sedile che fuoriesce dall’abitacolo per facilitare l’accesso. E poi spingo il pulsante “casa” e mi guardo un pò il panorama dall’alto. Sarebbe stupendo.

Questa descrizione visionaria contiene molti dei benefits e plus che le autovetture moderne cercano di introdurre nei loro modelli – stanti naturalmente le limitazioni delle tecnologie correnti.

Come si vede, ciò che cambia è il quantum di scollamento tra prodotto attuale e prodotto ideale, la visione di nuove modalità per meglio risolvere il BSS (spostarsi fisicamente). Osserviamo però, che spostarsi fisicamente è in realtà una delle tante possibilità esistenti per realizzare un “incontro con altre persone”. Se  questo BSS può essere risolto da altri strumenti (es: una videoconferenza multimediale può risolvere la componente dello scambio informativo) –  e in futuro forme di comunicazione olografica potranno risolvere questo bisogno ancora meglio – siamo in presenza di una forma di potenziale concorrenza allargata. 

Per quanto futuribili appaiano queste considerazioni, non v’è dubbio, tuttavia, che conoscere le “aspirazioni” dei consumatori in merito al “prodotto ideale” aiuta a comprendere la direzione di sviluppo del prodotto, il percorso che meglio soddisfa il bisogno sottostante servito, costituendo una utile guida, un faro per direzionare gli sforzi di ricerca e di innovazione di prodotto.

Porzioni del “prodotto ideale”, prese e inserite nella produzione corrente, possono determinare forti vantaggi competitivi.

Si pensi ad esempio ad un sistema di guida sicura in condizioni di scarsa visibilità, ai sistemi di navigazione satellitare, ai sistemi per migliorare la tenuta di strada, a sistemi di self-parking, a funzioni di evitazione attiva di incidenti (correzione automatica di manovra) e altre innovazioni di alto valore per il cliente.

L’asse evolutivo del prodotto (R&D)

Per progettare customer satisfaction competitiva, ogni azienda dovrebbe porsi il problema oggi di come sarà il proprio prodotto futuro tra 20, 50 o 100 anni. Ieri avevamo le carrozze, oggi le auto, e domani? Quali percorsi di sviluppo avranno i prodotti? E come potremo indirizzare la ricerca e sviluppo se non sappiamo prevederlo? Ed ancora, ieri esistevano i segnali di fumo, i piccioni viaggiatori, i messi a cavallo, oggi i telefoni, e la telefonia diventa sempre più miniaturizzata e portatile. Come evolveranno domani i prodotti e le tecnologie della comunicazione? Possiamo permetterci di non fare riflessioni sul futuro?

Qualcuno potrebbe dire: basta aspettare. Questo, tuttavia, solo per l’azienda di scarse o nulle ambizioni. Le aziende che vogliono godere di un vantaggio competitivo domani, devono saper prevedere oggi quali saranno le evoluzioni più probabili alla luce della psicologia del consumatore, ed indirizzare lì gli sforzi di ricerca. E sottolineiamo psicologia del consumatore, e non tecnologia, in quanto nessuna tecnologia fine a se stessa può avere successo di mercato, se non si innesta su qualche bisogno umano reale.

I bisogni delle persone plasmano la direzione di sviluppo di qualsiasi tecnologia, ed anche le più sofisticate innovazioni tecniche possono valere nulla sul mercato se non si indirizzano ai bisogni di un bacino sufficiente di consumatori. 

È necessario capire, quindi, l’asse evolutivo del prodotto, delineare le diverse ipotesi e procedere verso quelle che si verificheranno con maggiore probabilità, sino a capire quale sarà il futuro del prodotto.

L’analisi del futuro si realizza tramite ipotesi di scenario e permette di delineare quali saranno i terreni nei quali l’azienda sarà chiamata a muoversi, quali saranno le nuove sfide, cosa faranno i concorrenti, cosa possiamo fare noi prima di loro.

Le possibili evoluzioni del modo di soddisfare il BSS si basano sul concetto di prodotto ideale, cioè sui sogni dei consumatori, i quali evolvono con il progredire del tempo.

Il prodotto ideale è un concetto psicologico, non tecnologico. 

Per capire quale tipo di futuro attende il prodotto, l’impresa deve porsi nell’ottica della valutazione della distanza tra il prodotto attuale e il prodotto ideale, analizzando cosa i consumatori intendono per “prodotto ideale”. Questo richiede il ricorso a tecniche di ricerca “in profondità” sui bisogni umani.

Il gap tra prodotto attuale e prodotto ideale costituisce il percorso di innovazione e miglioramento da attuare per l’azienda, lungo un ipotetico asse delle prestazioni

Nel tempo anche l’immagine del “prodotto ideale” si evolve, cambia e si adegua alle culture individuali e sociali, prefigurando nuove mete e nuovi orizzonti. Il processo di evoluzione della consapevolezza del consumatore ne accresce infatti la criticità e le attese. In altre parole, il prodotto ideale è un concetto in continua evoluzione che pone continue sfide all’impresa. Il concetto di miglioramento è da intendere in senso continuo. 

L’ideal product check (il momento in cui l’impresa fotografa il prodotto ideale nella mente del consumatore target) deve essere ciclico e ripetersi con una cadenza stabilita (almeno ogni 5 anni, ma anche prima se le tecnologie del settore sono in rapida evoluzione).

Il prodotto ideale abita spesso in un territorio situato oltre la consapevolezza del consumatore, eppure esiste, e ad un certo punto (momento sociale, momento psicologico) emerge per guidare il consumatore nella  comparazione tra ciò che egli ha (o gli viene offerto dal mercato) e ciò che egli sogna di avere o vorrebbe avere. Quando questo avviene, si determina una immediata riformulazione degli standard di mercato, e ciò che costituiva prodotto soddisfacente ieri diviene vecchio ed obsoleto oggi.

L’azienda che intuisce il vettore di sviluppo del prodotto e si sforza di realizzare nuove soluzioni acquista vantaggio competitivo. 

Principio 18 – Del vettore di sviluppo del prodotto

  • La competitività è correlata alla capacità aziendale di identificare il vero vettore di sviluppo del prodotto/servizio
  • Il vettore di sviluppo rappresenta il percorso evolutivo che porta il prodotto sempre più vicino al Bisogno Sottostante Servito (BSS)
  • La competitività si correla al grado di centratura del marketing e della produzione sul vettore di sviluppo e alla sua capacità di implementazione in progetti concreti
  • Si correla positivamente alla considerazione del marketing come strumento di comprensione e anticipazione del bisogno nel mercato, opposta ad una concezione di marketing come strumento di promozione dell’esistente.

La ricerca dei prodotti straordinari

I prodotti straordinari sono quelli che stupiscono il consumatore, in quanto dotati di proprietà e caratteristiche innovative e tuttavia intrinsecamente legate alla risoluzione del BSS. Spesso si tratta di caratteristiche alle quali nemmeno il consumatore stesso aveva mai pensato, in quanto troppo lontane dal proprio sistema prospettico, o perché ritenuti irrealizzabili tecnicamente.

Le prime proiezioni nelle sale cinematografiche facevano fuggire gli spettatori per l’incredibile novità rappresentata dal vedere un treno in movimento proprio di fronte ai loro occhi. Oggi questo non stupisce più. I primi modelli di auto dotate di navigatore satellitare GPS e sintesi vocale hanno stupito gli utilizzatori proprio per l’incredulità verso l’esistenza di un’auto che “parla”, indica quando curvare e quale direzione prendere per raggiungere la meta, avvisando di essere giunti a destinazione esattamente quando ci si trova di fronte all’indirizzo ricercato.

Il modello che propongo prevede che la straordinarietà dei prodotti derivi dalla distanza percepita tra prestazioni e ideali, sottraendo le prestazioni prevedibili. Minore è la distanza rispetto al prodotto ideale, maggiore sarà la straordinarietà. Ma allo stesso tempo, la straordinarietà deriva dal superamento delle attese prevedibili, e dalla capacità di colpire il consumatore con innovazioni inattese.

Il cardine di ogni processo di sviluppo competitivo straordinario, come si osserva, è l’investigazione dei sogni del consumatore o cliente (dreams), attorno ai quali far ruotare tutto il marketing e la ricerca e sviluppo aziendale.

Principio – Principio di straordinarietà dei prodotti/servizi

  • La straordinarietà del prodotto/servizio emerge come differenziazione tra innovazioni/caratteristiche migliorative prevedibili e innovazioni/caratteristiche non prevedibili ma centrali rispetto ai BSS (customer dreams).

Come produrre queste innovazioni inattese? Certamente non aspettando che lo facciano i concorrenti, ne depositino i brevetti e ne ricavino leadership per anni. Essere leader in innovazione richiede attivazione – propulsione manageriale, orientamento alla ricerca e ad un grado ottimale di risk-taking. Questo significa realizzare periodiche sessioni di creatività, progetti di ricerca, analisi delle evoluzioni prospettiche del consumatore, laboratori di interazione azienda-utilizzatore, e altre forme di ricerca. 

Questo approccio richiede sinergia tra le attività di marketing e le aree tecnologiche e produttive nell’impresa, con l’inserimento in azienda dei sogni del cliente come motore dello sviluppo. L’azienda, organismo attuativo, deve tradurre questi sogni in strategia e darsi un’organizzazione appropriata.

Principio – Sinergia marketing/produzione/utilizzatore

  • La competitività dipende dal livello di sinergia tra marketing, produzione e utilizzatore/cliente nella fase di progettazione del prodotto o servizio.
  • Il principio ispiratore di ogni settore aziendale deve essere l’orientamento a meglio soddisfare i BSS, prevedendo e anticipando le caratteristiche più vicine alle evoluzioni delle aspettative ed ideali del cliente (presenti e latenti)
  • Il coinvolgimento del consumatore nella ricerca sul prodotto ideale e l’investigazione in profondità delle sue aspirazioni e desideri sono un prerequisito per la creazione di prodotti competitivi.

Deve essere attivato quindi un processo di Ricerca e Sviluppo per l’evoluzione del prodotto fino alla revisione del concetto stesso di prodotto. 

Dalla discussione di cui sopra, emerge la necessità di introdurre un nuovo modello di customer satisfaction denominabile come “modello di disconferma delle aspettative e distanza di desiderio”, o “prestazioni-aspettative-ideali” (P-A-I).


 

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Le parole chiave di questo articolo La ricerca del prodotto ideale sono :

  • Analisi degli ideali del cliente
  • Aspettative 
  • Asse delle prestazioni
  • Asse evolutivo del prodotto
  • Bisogno sottostante servito
  • Customer dreams
  • Customer satisfaction
  • Desiderio latente
  • Ideal product check
  • Ideali
  • Livello prospettico del consumatore
  • Modello prestazioni-aspettative-ideali
  • Prestazione ideale
  • Prestazioni
  • Processo di Ricerca e Sviluppo
  • Processo di sviluppo competitivo straordinario
  • Prodotto ideale
  • Prodotto straordinario
  • Vantaggio competitivo
  • Vettore di sviluppo del prodotto

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Psicologia di marketing e comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore

La creazione del valore per il cliente

Esistono una molteplicità e varietà di bisogni del consumatore, di modi di acquistare, di moventi, che partono spesso dalla presenza di pulsioni contrastanti. Questo rende gli sforzi aziendali per generare customer satisfaction (la soddisfazione del consumatore) alquanto ardui. Anche perché i moventi e gli scenari cambiano velocemente.

Per raggiungere l’obiettivo della soddisfazione del consumatore, dobbiamo ricorrere ad una lettura psicologica del concetto di valore, alla ricerca di qualche elemento di stabilità cui ancorare solide strategie operative.

Il marketing mix si compone notoriamente di quattro leve di marketing: il prodotto, il prezzo, la distribuzione e la promozione/comunicazione.

Il passaggio cruciale è spostare l’attenzione aziendale dal concetto di marketing mix (incentrato sull’organizzazione interna), al concetto di value mix (il mix di valore), in cui le leve di marketing vengono analizzate unicamente quali strumenti di creazione del valore per il cliente.

Ciascuna leva deve essere considerata occasione per creare valore nel consumatore, e non semplice adempimento organizzativo o manageriale. Creare valore è possibile attraverso lo studio delle caratteristiche del prodotto, ma anche attraverso forme di pricing innovative e maggiormente vicine alle attese del cliente, forme distributive semplicemente più funzionali, forme di comunicazione aziendale e assistenza di superiore qualità.

Per ciascuna delle quattro leve di marketing, è necessario fare un passo in avanti decisivo, valutando cosa costituisca valore in essa. Il valore, come abbiamo notato, deriva dalla capacità di una caratteristica di corrispondere ai bisogni consci, inconsci e subconsci dell’individuo. Al centro della progettazione della customer satisfaction, quindi, devono entrare i concetti di prestazione ideale, prodotto ideale, distribuzione ideale, pricing ideale, e comunicazione ideale. 

La wish-list del cliente

La prima necessità operativa e immediata in una gestione orientata alla competitività è quella di ottenere la wish-list del cliente (lista dei desideri). 

La wish-list può essere considerata un’elencazione della situazione desiderata, ciò che si deve verificare in seguito all’acquisto/utilizzo/fruizione del prodotto o del servizio. La wish-list permette di regolare di conseguenza l’offerta aziendale, e costituisce il primo strumento operativo della customer satisfaction.

Sviluppare la wish-list risulta particolarmente indispensabile nei rapporti consulenziali e nel business-to-business, ove diventa necessario fare assoluta chiarezza sui risultati attesi e sui tempi e modi realizzativi. La fase di intervista al cliente, la sua capacità di far emergere le esigenze, assume un valore  determinante per far esplodere il bisogno sottostante e articolarlo. Senza comprensione anticipata dei desideri non vi può essere soddisfazione del cliente.

Il modello XY

Nella wish-list è insito, a livello psicologico, il desiderio di cambiamento. In ogni acquisto si cela un desiderio di modificare uno stato di cose. Una mela per cambiare il senso di fame. Una cravatta per cambiare il look, un computer per cambiare la propria produttività, ecc. Acquistare significa cambiare qualcosa in qualche stato psicologico del cliente. Perché acquistare se tutto va bene e nessun bisogno appare all’orizzonte futuro?

In che direzione deve avvenire il cambiamento? Se al tempo zero, prima dell’acquisto e utilizzo del prodotto/servizio, la situazione era “X”, la situazione che si deve determinare grazie al prodotto/servizio è la “Y”. Il venditore deve assolutamente capire in quale direzione il cliente vuole cambiare le cose. E soprattutto, su quali specifiche situazioni si vuole agire.

Il modello XY è pervasivo e si applica ad ogni bisogno umano.

Ad esempio, in campo medico la X è la presenza di una malattia, la Y è la eliminazione della malattia. Oppure – nel caso di una consulenza di vendita – la situazione X rappresenta un calo di vendite in corso la cui natura non è stata ben decifrata, la situazione Y consiste nella comprensione scientifica delle cause e nello sviluppo di indicazioni operative sul da farsi. 

Ed ancora, per quanto riguarda il campo aziendale, può verificarsi la consapevolezza che attualmente il sistema informatico dell’azienda sia dispendioso, lento, fonte di elevati costi di manutenzione e di difficoltà d’uso (stato X: alto TCO – Total Cost of Ownership e bassa efficienza). La situazione desiderata è una maggiore efficienza, velocità, e capacità d’uso degli strumenti informatici in azienda da parte degli operatori, con riduzione del TCO (stato Y: riduzione TCO e aumento di efficienza del sistema).

A questo punto, il consulente o venditore informatico dovrà predisporre un quadro di possibili soluzioni per la trasformazione da X a Y. Ma questo può essere svolto solo in seguito ad una analisi accurata, che faccia luce sulle false Y e sulle false X – nascoste nello stato di cose, nel dal caos aziendale, o da una scarsa consapevolezza nella mente del cliente.

La diagnosi e chiarificazione degli obiettivi (Goals Analysis)

Il cliente spesso non ha ben chiara la Y, ma percepisce la necessità di un cambiamento, di un miglioramento, di un risultato (goal). Aiutare il cliente a chiarificare la Y è dovere del venditore. Anzi, è proprio su questo campo che si misura la vera abilità del consulente o venditore.

Questo significa sviluppare la capacità di discriminare tra falsi risultati e veri risultati. Non sono rari i casi in cui gli obiettivi reali del cliente sono schermati da uno strato di confusione organizzativa e mentale, che ne sfoca il quadro.

Un esempio di risultato apparente, è dato dal “volere un corso di informatica per il proprio personale”, mentre il vero risultato sottostante è “l’aumento dell’efficienza organizzativa tramite strumenti tecnologici”. I due risultati possono sembrare simili, ma così non è. Infatti, l’aumento dell’efficienza organizzativa richiede non solo maggiore capacità nell’uso del PC ma anche la conoscenza di alcune regole di time-management e di comunicazione organizzativa interna, senza le quali si crea scarsa produttività.

Conoscere la “Y”, oltre le apparenze, rappresenta quindi uno degli obiettivi della wish-list, che può essere utilizzata sia come strumento per conoscere le attese del cliente, che come strumento per la gestione strategica delle aspettative. 

Parafrasando alcune domande: «Dimmi qual’è la vera situazione attuale», è il tema della X. «Dimmi dove vuoi arrivare veramente», è il tema della Y. 

La diagnosi dello stato attuale (Situation Analysis)

Errori di progettazione in grado di minare la soddisfazione provengono da una eventuale cattiva identificazione della posizione di partenza (la x), dalla quale discendono errori a catena.

In molti casi di intervento consulenziale realizzati dall’autore, è stato posto come requisito indispensabile un’analisi dello stato dell’arte (situation analysis), realizzabile tramite diversi strumenti. L’obiettivo dell’analisi è quello di andare oltre l’intenzione espressa per identificare il reale quadro di partenza, nella consapevolezza che solo una diagnosi dello stato X permette di assicurare il conseguimento della Y secondo tempi e modalità concordabili e rispettabili dai contraenti.

Tra gli strumenti utilizzati per la Situation Analysis figurano:

  • benchmarking tecnico-prestazionale
  • benchmarking funzionale-organizzativo
  • benchmarking del front-line personale
  • benchmarking del front-line mediato
  • auditing dei sistemi e procedure di marketing
  • auditing dei livelli motivazionali
  • skills auditing delle metacompetenze manageriali
  • vision & mission analysis.

Il gap-management

Una delle skills più forti del consulente di vendita (e del professionista di marketing in generale) sta nel saper identificare correttamente sia le Y reali (obiettivi da perseguire), che le X reali (situazione di partenza).

Nei casi in cui lo stato iniziale su cui si vuole agire sia stato male identificato, e l’obiettivo risulti impreciso, falsato o poco chiaro, i rischi di errore e insoddisfazione reciproca sono elevatissimi.

Far emergere la X significa determinare la situazione attuale del cliente, identificare la natura delle pulsioni sottostanti, i bisogni che spingono il cliente verso il cambiamento. Solo così potrà essere determinato il divario esistente tra X (situazione attuale) e Y (situazione desiderata dal cliente), e quindi lo sforzo da attuare per raggiungere l’obiettivo. Il venditore o il consulente agiscono in questo caso utilizzando criteri di Gap-management, un approccio duale concentrato sugli scostamenti tra situazioni attuali e situazioni obiettivo, e sul ruolo del prodotto/servizio come strumento di cambiamento.

La triplice componente della wish-list

La wish-list contiene una triplice componente: 

  • la componente di risultato: cosa deve accadere, cosa ci si attende realmente dal prodotto o dal servizio, che effetti deve produrre;
  • la componente di metodo: come ci si attende che l’esecutore del servizio debba raggiungere quel risultato, con che metodi esecutivi;
  • la componente temporale: quando devono verificarsi gli effetti finali e parziali dell’intervento o dell’acquisto.

Oltre a far emergere la Y di risultato, è necessario sapere come e quando la Y debba realizzarsi pienamente, ovvero tempistica di realizzazione desiderata. Allo stesso tempo è necessario capire se esistono eventuali limitazioni o vincoli sulle “modalità realizzative”.

Molti casi di insoddisfazione reciproca derivano dal fraintendimento tra acquirente e offerente in merito alla esatta definizione della prestazione da realizzare (Y di risultato), ai tempi (Y temporale) o ai metodi utilizzati (Y metodologica). 

Far emergere entrambe le componenti è assolutamente necessaria per prevenire l’insoddisfazione, ed evitare problemi ad entrambi i soggetti (venditore/consulente e cliente). 

La wish-list di risultato

Cosa desideri? Quali sono i tuoi obiettivi? Cosa ti aspetti? Questo tipo di domanda sottostà la definizione della wish-list di risultato. Un fraintendimento a questo livello causa effetti devastanti. 

Ad esempio, poniamo il caso di un consulente cui sia stato richiesto di “realizzare una ricerca di mercato in merito all’iniziativa NewProduct presso 20 top-aziende della regione”. Farà egli un buon lavoro se consegnerà un report accurato sulla propensione d’acquisto rilevata sul campo? Dipende. Se il committente stava cercando 20 clienti per il NewProduct, e intendeva l’incarico come “reperimento di 20 clienti” (risultato atteso A), il suo lavoro sarà considerato pessimo. Se il suo incarico sottintendeva il “sondaggio delle intenzioni su 20 potenziali clienti” (risultato atteso B), avrà fatto un ottimo lavoro. Reperimento di clienti e sondaggio di intenzioni sono due obiettivi estremamente diversi. In generale, in caso di fraintendimenti, le responsabilità possono essere a due livelli:

  • Responsabilità del venditore: il fornitore si è impegnato per spiegare esattamente cosa darà in cambio del pagamento? Ha chiarito le differenze di risultato e significato che nella sua esperienza possono esistere dietro a concetti del tipo “ricerca di mercato” o “formazione”, o “assistenza”? Ha affrontato i  concetti che abbisognano di spiegazione in quanto soggetti ad elevato margine di interpretazione soggettiva?
  • Responsabilità del cliente: il cliente ha una quota di responsabilità quando chiede una soluzione a costo inferiore auspicando un risultato superiore. Se il fornitore non si è tutelato tramite una specifica lettera di incarico sulla wish-list di risultato, sarà esposto a problemi ed azioni legali. Oppure il cliente può anche non avere ben chiaro il risultato atteso nella sua mente, e il compito del venditore è quello di divenire consulente e chiarificatore delle esigenze sottostanti, esplicitatore di bisogni presenti o latenti.

Il problema deve essere affrontato sin dall’inizio, secondo il seguente principio:

Principio – Principio di gap management (principio XY)

La customer satisfaction dipende:

  • dall’individuazione esatta del quadro di partenza (oggettivo e psicologico) del cliente (X);
  • dalla esatta identificazione degli obiettivi, dalla loro individuazione, emersione e chiarificazione (Y), in termini di effetti attesi;
  • dallo sviluppo di soluzioni atte a ridurre la distanza X-Y (gap);
  • dalla identificazione ed esplicitazione delle tempistiche e delle modalità esecutive;
  • dalla valutazione esatta e successivo reperimento delle risorse di investimento necessarie a colmare il gap.

Il venditore deve assolutamente informare il cliente se percepisce che le risorse messe in campo siano insufficienti per soddisfare la wish-list di risultato e metodologica: in questo caso, o si modificano le attese e si produce una wish-list meno ambiziosa, o si incrementano le risorse (i miracoli non esistono).

Anche su prestazioni che sembrano abbastanza predefinite, la wish-list di risultato rappresenta uno strumento utile. Nell’esempio di una ricerca di mercato, il fornitore del servizio potrebbe dare per scontato che il cliente si aspetti una indagine su un campione, utilizzando un questionario semistrutturato, fornendo al cliente dati, grafici e tabelle (risultato A). Può accadere che invece dall’altra parte, il cliente si attenda una serie di indicazioni operative sul da farsi, e sia assolutamente non interessato ad avere dati, grafici e tabelle. Questo cliente vuole “indicazioni su come muoversi” (risultato B). 

I due risultati sono in realtà assai diversi, e rappresentano due diverse wish-list: in un caso “ricevere informazioni utili alle decisioni da prendere”, che comunque spetteranno all’azienda, nell’altro caso “ricevere una serie di indicazioni operative e ottenere soluzioni”. Nel caso A il cliente acquista “dati”, nel caso B acquista “strategie”, due prestazioni estremamente diverse.

Se il cliente non riesce o non vuole mettere per iscritto la propria wish-list in una lettera d’incarico, è assolutamente indispensabile evitare di avviare una collaborazione, poiché, nel caso, si aprirebbe la strada al diverbio sul risultato, o al mancato pagamento, e al rischio di lavorare senza sapere con quale fine.

La wish-list metodologica

La wish-list metodologica riguarda le modalità realizzative, gli strumenti da utilizzare per produrre il risultato atteso.

Possono esistere preferenze non espresse in merito alla wish-list metodologica, che vengono date per scontate dal cliente o dal fornitore, mentre l’altra parte non ne è a conoscenza.

Osserviamo il caso di un cliente che orienta la propria wish-list non solo al risultato, ma anche al metodo: ipotizziamo che un cliente desideri svolgere una verifica di efficacia della rete distributiva, analizzando il comportamento sul punto di vendita tramite uno specifico metodo: la ghost customer research. La specifica del metodo “ghost customer” vincola il realizzatore ad una precisa modalità esecutiva. Queste indicazioni devono essere conosciute a priori, pena la creazione di ampi spazi di insoddisfazione reciproca e malintesi.

Proponiamo di seguito alcuni esempi e modelli di wish-list da sottoporre al cliente. 

Il primo modello (wish-list generale) ha lo scopo di inquadrare la problematica, sviluppare il tema dell’intervento. Qual’è il problema al centro dell’intervento? La situazione attuale come si può definire? Qual’è la situazione desiderata? Esistono vincoli di realizzazione? Che budget è disponibile per realizzare l’intervento? È adeguato?

Il secondo modello proposto è maggiormente dettagliato. Esso cerca di comprendere la componente anticipatoria, omeostatica e preventiva dell’intervento, le restrizioni metodologiche, le scadenze intermedie e finali.

Include anche la valutazione del budget, e se esso risulta adeguato all’obiettivo atteso; se siano state affrontate e risolte tutte le problematiche, se la natura del rapporto sia stata chiarificata.

Un ottimo test della chiarificazione del rapporto si ottiene quando le aspettative reciproche possono essere messe per iscritto, formulando un incarico chiaro e preciso, nel quale entrambe le parti si identificano.

Fintanto che non vi è sufficiente chiarezza, o focalizzazione degli obiettivi, i margini di errore e insoddisfazione sugli esiti del rapporto saranno molto ampi. 

Se si è al punto di non riuscire a scrivere – nero su bianco – quali siano le aspettative reciproche (prestazione da un lato, tempi e modalità di pagamento dall’altro), un rapporto business-to-business non dovrebbe essere nemmeno iniziato.

Il processo di Narrowing-down

In generale, la customer satisfaction evidenzia l’esigenza di realizzare un processo di narrowing-down, cioè di restrizione di possibilità e focusing dal generale al particolare, fino alla determinazione delle specifiche richieste dall’intervento, dal prodotto o dal servizio.

Le specifiche di prodotto/servizio esprimono in maggior dettaglio le attese del cliente rispetto a tempi, modi, obiettivi della prestazione. Naturalmente, il livello di dettaglio deve essere ragionevolmente finalizzato: gli eccessi porterebbero ad una riduzione degli spazi creativi, mentre un difetto renderebbe difficile la misurazione dell’accuratezza realizzativa del progetto.

Le specifiche possono riguardare aspetti tecnici, ad esempio la dimensione delle viti da utilizzare in un macchinario, o aspetti di macro-risultato, ad esempio la potenza che un utensile dovrà erogare in Watt e il numero di ore giornaliere per il quale l’utensile dovrà operare senza presentare problemi.

Anche nel campo del servizio le specifiche costituiscono una componente importante della wish-list. Ad esempio, in un corso formativo la wish-list dovrà indicare il risultato atteso in termini di cambiamento e di effetti da conseguire. Le specifiche dovranno invece approfondire aspetti metodologici rilevanti, tra cui il numero di partecipanti, l’articolazione oraria dei moduli formativi, l’utilizzo di modalità formative specifiche, sedi e orari, ecc..

Sia la wish-list che le specifiche costituiscono un importantissimo momento di focalizzazione e di dialogo tra cliente e fornitore, un dialogo nel quale il prodotto o servizio viene “costruito assieme”, una forma di co-progettazione a vantaggio della chiarezza del rapporto e dei risultati.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Le parole chiave di questo articolo Strumenti di base per ottenere customer satisfaction sono :

  • Comunicazione
  • Customer satisfaction
  • Desiderio di cambiamento
  • Distribuzione
  • Gap management
  • Goals analysis
  • Lista dei desideri del cliente
  • Marketing mix
  • Modello XY
  • Obiettivi
  • Prezzo
  • Processo di narrowing-down
  • Prodotto
  • Promozione
  • Situation analysis
  • Situazione di partenza
  • Soddisfazione del consumatore
  • Value mix
  • Wish-list
  • Wish-list di risultato
  • Wish-list metodoligica

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Psicologia di marketing e comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore

I livelli di concorrenza

Tra le caratteristiche salienti del processo di elaborazione considerate nel metodo ALM trova posto il livello di concorrenza tenuto in considerazione dal consumatore. Un ragionamento sul livello di concorrenza reale si prefigge di allargare l’ampiezza dell’orizzonte competitivo e la comprensione del quadro reale di competizione nel quale opera l’azienda, spesso radicalmente diverso da quanto in genere considerato. Abbiamo già esposto l’assioma secondo il quale i veri concorrenti di un’azienda sono “coloro i quali riescono a risolvere meglio il BSS” (bisogno sottostante servito), indipendentemente dal prodotto utilizzato allo scopo. Per fare un esempio, il turismo virtuale assume efficacemente il ruolo di competitor rispetto alle forme di turismo tradizionale.

La concorrenza laterale rappresenta una forma di concorrenza che esula dal prodotto e riguarda le diverse forme di appagamento di una classe di desideri sottostanti. L’allargamento del contesto competitivo – che l’impresa deve tenere costantemente monitorato – è uno degli effetti generati da questo particolare processo di consapevolezza manageriale ed elaborazione strategica. 

Sulla base del bisogno da soddisfare, il consumatore effettua le scelte del tipo di prodotto e la scelta della marca da acquistare: la valutazione delle alternative riguarda sia il tipo di prodotto da utilizzare, che i livelli di concorrenza allargata. 

I prodotti sono in concorrenza psicologica ogni qualvolta si avvicinano tra loro in termini di percezioni, come potenziali risolutori del bisogno sottostante. L’attacco al prodotto può provenire sia da prodotti concorrenti che da nuove modalità completamente diverse di risolvere il bisogno.

Le strategie di posizionamento

Le strategie di posizionamento percettivo (positioning) si prefiggono di creare uno spazio psicologico del prodotto nel quale esso possa essere distante il più possibile da concorrenti pericolosi. 

Attraverso mappe di posizionamento mentale è possibile determinare quale sia la collocazione del prodotto nello spazio mentale del singolo cliente. 

Effettuando valutazioni su più clienti, su campioni rappresentativi del target, la tecnica permette di ricostruire lo spazio mentale del mercato e capire in questo spazio dove si colloca uno specifico marchio o uno specifico prodotto. 

Tramite il perceptual mapping possiamo analizzare e capire cosa si nasconde dietro alle mosse strategiche di un concorrente. Visualizziamo in questo caso il riposizionamento attuato da Mercedes a livello di immagine. 

Il riposizionamento avviene attraverso l’esposizione mediatica, prodotta accostando il marchio alla partecipazione alle gare di Formula 1, con la maggiore evidenza del marchio sulle monoposto, tramite nuove associazioni pubblicitarie che utilizzano auto di serie (berline) in circuiti da corsa, cercando di aggredire un segmento meno addensato da marchi concorrenti.

Le tecniche di positioning permettono di identificare eventuali spazi di mercato liberi e capire quali potranno essere gli sviluppi del prodotto.

Capire la percezione del consumatore in riferimento a questo contesto è necessario, sia per creare differenziazione, che per identificare i tentativi di aggressione dei propri spazi di mercato. Tramite le tecniche di perceptual mapping è possibile capire inoltre il grado e le aree di dinamismo del mercato.

Scelte di concorrenza allargata

Un primo fattore di scelta del consumatore consiste nell’identificare la categoria di prodotto (e non il prodotto specifico) che possiede la proprietà di soddisfare il BSS (bisogno sottostante servito). Un esempio di macro-scelta può essere: come utilizzare proficuamente il tempo libero del sabato sera? Le soluzioni che vengono considerate dal consumatore entrano nel campo psicologico – ad esempio la scelta tra la categoria “cinema” e altre possibilità di utilizzo del tempo libero – costituiscono la vera scelta di partenza. La scelta di un film specifico richiede che il consumatore abbia già compiuto una precisa scelta di campo: “acquistare” il macro-prodotto “cinema”, piuttosto che il macro-prodotto “discoteca” o “ristorante”.

Una delle prime fasi della vendita è infatti l’ingresso del prodotto nel campo psicologico dell’acquirente, dove prima esisteva un vuoto, o esistevano unicamente alternative della concorrenza.

Se il consumatore decide di utilizzare il tempo libero andando al cinema, la scelta di marca consiste nello scegliere quale film vedere, e la scelta di canale determina in quale cinema recarsi, se la stessa pellicola è presente in più sale. 

Lo stesso procedimento avviene per altri settori. Vediamo un esempio nel settore finanziario. Se il bisogno da soddisfare riguarda un investimento, la scelta si orienta prima di tutto tra le diverse alternative possibili: beni, deposito bancario, azioni, buoni del tesoro, polizze vita e altre forme di investimento. 

In seguito – scelta la categoria di investimento ritenuta migliore, poniamo l’azionario – vengono comparate le opzioni presenti all’interno di quella. 

La mancanza di un’offerta confacente alle aspettative a livello di marca (la mancanza di una offerta appetibile di investimento azionario) può ri-orientare il consumatore verso la scelta di una diversa categoria di prodotto (ad esempio, un investimento in immobili).

In altre parole, il contesto competitivo, o arena competitiva, è in realtà assai più vasto rispetto a quanto può apparire a prima vista considerando solo la concorrenza tra marchi.

Ricordiamo che questo modello di consumer behavior (comportamento del consumatore) è basato su criteri di razionalità abbastanza elevati. Infatti è molto logico (ma difficile) fare una valutazione esaustiva delle innumerevoli forme di investimento possibili per impiegare una certa somma, spaziando dall’oro alle case, dai diamanti ai titoli di stato, dalle azioni ad un appartamento o terreno, e questo richiede un consumatore evoluto. 

Il consulente professionale di vendita/acquisto deve riuscire a sviluppare un ampio arco di soluzioni (funzione di orientamento), per poi indirizzare il cliente verso le scelte migliori (funzione di focalizzazione), ed infine individuare la scelta adatta (funzione localizzativa).

Per quanto riguarda l’implicazione manageriale del concetto di concorrenza allargata, dobbiamo considerare che il suo mancato riconoscimento genera una sottovalutazione della reale arena competitiva, con relativi rischi. 

L’arena competitiva è infatti costituita da:

  • marchi concorrenti nella stessa categoria di prodotto (concorrenti diretti);
  • tipologie di attività potenzialmente alternative nella risoluzione del BSS (concorrenza sul BSS);
  • tipologie di prodotto succedaneo o alternative (concorrenti indiretti);
  • diversione dal BSS e reindirizzamento ad altri bisogni (concorrenza extra-BSS).

In termini aziendali questo richiede la capacità di osservare e monitorare la concorrenza da un punto di vista molto ampio:

Principio – Della concorrenza allargata

  • La competitività richiede la considerazione della concorrenza come ogni  potenziale forma di soluzione che porta alla soddisfazione del Bisogno Sottostante Servito.
  • La competitività dipende dall’identificazione di tutti i livelli possibili di concorrenza reale (di prodotto, di categoria e di desiderio), incluse le soluzioni alternative ed innovative con le quali il consumatore possa appagare il BSS.
  • Verso ciascun livello dovranno essere impostate strategie di inglobamento (inserire la nuova modalità di risposta al BSS nella propria offerta) o di superamento (creazione di valore superiore).
  • La competitività è correlata positivamente alla capacità di diversificazione della propria offerta in relazione ai mutamenti della domanda e dei trend di scelta esistenti nei consumatori, rispetto al modo di soddisfare il bisogno sottostante.

Ad esempio, un tour operator deve considerare la realtà virtuale come un serio concorrente. È esattamente il concorrente più forte, a causa della sua capacità di attrarre persone che possono visitare, virtualmente, ma sempre meglio grazie al miglioramento tecnologico, altri luoghi e ricavarne emozioni. 

Per questo, il tour operator dovrà differenziare la propria offerta in turismo fisico e turismo digitale, tramite un adeguato business plan, oppure dovrà ricercare un riposizionamento di nicchia, consapevolmente, e prepararsi a cedere quote di clienti alle aziende del turismo virtuale.

Il consideration-set

Le questioni trattate ci conducono ad una valutazione di fondo: per avere delle “chance” di successo ed essere competitiva, l’impresa deve rientrare all’interno della gamma di opzioni praticabili che il consumatore valuta quando decide di acquistare (il consideration-set). Essere esclusi da tale gamma (per non conoscenza della disponibilità del prodotto sul mercato, o per valutazioni negative sul prodotto), implica automaticamente l’esclusione dall’acquisto. 

Principio – Assioma del consideration-set

  • La competitività dipende dalla capacità dell’azienda di far rientrare i propri prodotti/servizi tra le modalità praticabili percepite dal cliente di risoluzione dei propri bisogni (consideration-set). 

Far rientrare il prodotto all’interno del consideration-set può considerarsi una forma di pre-vendita del prodotto. In altre parole, prima di acquistare ad esempio una mela, devo essere convinto dell’utilità della mela per me, e delle buone proprietà della frutta. Questo può sembrare banale o semplice, ma non lo è. Ad esempio, far rientrare un robusto pacchetto di formazione aziendale allargata, all’interno di un piano di sviluppo industriale, può essere opera estremamente difficile se dall’altra parte si incontra un soggetto la cui forma mentis è unicamente materiale (investimento = cose che si toccano). Per questi soggetti l’operazione primaria è fare rientrare la soluzione all’interno del consideration-set, attuando un refraiming cognitivo, una revisione profonda delle categorie mentali di giudizio e dei budget mentali.

Prima che avvenga l’acquisto, l’impresa deve divenire parte di una categoria di offerenti (tipologia di fornitori) che goda di reputazione (prevendita della categoria). E, ancor prima della vendita del prodotto specifico, l’impresa deve preoccuparsi di “vendere” se stessa come partner affidabile. Deve inoltre “vendere” l’immagine complessiva del gruppo di imprese o sistema cui appartiene. Il venditore deve inoltre preoccuparsi di quanto egli sia in grado di fornire fiducia e immagine di solidità al cliente.

I livelli di vendita sono diversi e spesso lontani dal prodotto.

Principio – Assioma della capacità di vendita multilivello

La competitività dipende dalla capacità di saper vendere, prima del prodotto: 

  • Il bisogno sottostante alla categoria d’appartenenza (vendita del bisogno);
  • le qualità dell’impresa come partner affidabile (vendita dell’immagine);
  • la credibilità del settore di appartenenza aziendale (vendita del sistema);
  • la propria credibilità personale (vendita del venditore stesso).

Rientrando nell’area di prodotto, focalizzeremo quindi alcune problematiche specifiche del consideration-set (C-Set). 

Esso rappresenta la gamma di opzioni che il consumatore valuta quando decide di acquistare. Consiste in una lista dei prodotti/marchi che il consumatore ritiene in concorrenza tra di loro per l’acquisto. Potremmo assimilare il consideration-set ad un’urna, e le palline ai prodotti da scegliere. È chiaro che trovarsi nell’urna diviene un prerequisito per essere scelti. 

Il C-Set costituisce un insieme mobile, mutevole, sul quale il venditore può influire, qualora sia in grado di fornire argomentazioni valide. Anche l’esposizione pubblicitaria è in grado di incidere sulla formazione del C-Set.[1]

L’effetto pubblicitario produce efficacia persino in situazioni di esposizione accidentale, ed inoltre si verifica anche nonostante l’assenza di una specifica memoria dei messaggi pubblicitari. In altre parole, la formazione del C-Set avviene spesso senza un controllo manifesto da parte del consumatore.

I prodotti esclusi dal consideration-set non subiranno più alcuna forma di elaborazione, semplicemente verranno ignorati e non sarà più possibile il loro acquisto, a meno che non si modifichi il C-Set. Ad esempio, un cliente potrà decidere di inserire nel proprio consideration-set per l’acquisto di un PC i marchi IBM, Compaq, e Apple. Questo rappresenta il C-Set di partenza. In seguito, egli potrà escludere Apple per questioni legate a credenze in possesso sul marchio (es: è un computer specialistico per i grafici). La scelta si restringe a due concorrenti. Ma che dire delle altre centinaia di sconosciuti produttori di PC. Se questi non sono rientrati nel C-Set, le loro chance di acquisto sono zero.

Una volta che il marchio sia entrato a far parte del C-Set, il processo di selezione può portare ad escluderlo, per vari motivi. Il rientro nel C-Set di un prodotto prima escluso è possibile solo a condizione che il consumatore modifichi fortemente i propri criteri di scelta, ad esempio a causa di uno shock emotivo o di una esperienza forte che egli colleghi alla decisione d’acquisto, oppure a causa di modifiche consistenti nel budget disponibile. Le azioni di comunicazione aziendale possono far rientrare un prodotto nel C-Set solo se estremamente incisive.

Il metodo ALM ritiene che il consideration-set non sia fisso ma costituisca un insieme instabile e suscettibile di cambiamenti in itinere. Ogni nuova informazione diagnostica ha il potere di trasformarlo. In campo turistico, basti pensare a come una notizia negativa proveniente da un amico, ad esempio un attentato dinamitardo avvenuto nella località di destinazione prefissata – possa far uscire tale località dal C-Set dei luoghi dove trascorrere una vacanza. Si consideri ancora come – in campo automobilistico – la notizia di un incidente dovuto a un grave difetto di fabbrica possa escludere dal C-Set un’autovettura già praticamente scelta. 

Diviene quindi importante identificare esattamente quali fattori determinano il consideration-set di partenza, per quali motivi un prodotto ne viene espulso o eventualmente ripescato.

Dal punto di vista della ricerca di marketing, è estremamente importante conoscere quali siano le dimensioni di valutazione – i parametri utilizzati per decidere – tra le diverse categorie di prodotto e tra le diverse marche, il loro peso (positivo e negativo) sulla scelta finale. 

La scelta del cliente avviene grazie ad un delicato equilibrio tra C-Set di gradimento (insieme dei prodotti graditi) e C-Set praticabile  (insieme dei prodotti alla portata economica del consumatore), da quale emerge il C-Set finale come minimo comune denominatore dei due.

I consumatori possono attivare strategie di assorbimento di budget da altri account mentali, per finanziare account ai quali tengono particolarmente. Questo permette di allargare il C-Set praticabile, includendo acquisti di costo superiore.

L’attenzione del pedagogista dovrà essere rivolta a far si che questi meccanismi di spostamento delle proprie risorse, nel consumatore, non vadano in direzione sbagliata per l’individuo.

Per quanto riguarda il rapporto del venditore con un soggetto per il quale l’investimento appaia economicamente eccessivo, egli si troverà di fronte al compito di aiutare il buyer a reperire le risorse per finanziare il prodotto o il progetto, analizzando (a) le attuali modalità di spesa delle proprie risorse disponibili e i risultati ottenuti, per compararli con (b) la futura modalità di spesa (proposta dal venditore) e i risultati globali ottenibili

Questa rappresenta una forma di consulenza di vendita altamente professionale, che diviene consulenza di direzione. Essa richiede una forte carica di empatia nel venditore, notevoli doti tecniche anche in termini di analisi del ritorno degli investimenti, accompagnata dal crescente formarsi di un rapporto di fiducia nel cliente verso il venditore.


[1] Vedi: Shapiro, Stewart, Deborah J. MacInnis and Susan Heckler (1997), “Preattentive Processing: Its Effects on the Formation of Consideration Sets”, Journal of Consumer Research, 24 (June), 94-104. Weiss, Allen M.,  Erin Anderson, and Deborah J MacInnis (1999), “The Impact of Reputation on the Choice of Sales Organization,” Journal of Marketing. Shapiro, Stewart, Deborah J. MacInnis and Susan Heckler (1999), “An Experimental Method for Studying Unconscious Perception,” Psychology and Marketing.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Le parole chiave di questo articolo La concorrenza psicologica tra prodotti sono :

  • Arena competitiva
  • Bisogno sottostante servito
  • C-set 
  • Campo psicologico dell’acquirente
  • Concorrenza allargata
  • Concorrenza laterale
  • Concorrenza psicologica
  • Consideration-set
  • Contesto competitivo
  • Funzione di focalizzazione
  • Funzione di orientamento
  • Funzione localizzativa
  • Livelli di vendita
  • Mappe di posizionamento mentale
  • Perceptual mapping
  • Refraiming cognitivo
  • Strategie di posizionamento percettivo
  • Tecniche di positioning
  • Vendita del bisogno
  • Vendita del sistema
  • Vendita del venditore stesso
  • Vendita dell’immagine

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Psicologia di marketing e comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore

L’avversione alla perdita

Una delle principali caratteristiche del comportamento del consumatore è l’avversione alla perdita (loss aversion). Diverse ricerche indicano che nel consumatore, in media l’avversione alla perdita è superiore alla propensione al guadagno[1]. Le persone spesso richiedono un compenso maggiore per privarsi di un oggetto, rispetto a quello che sarebbero disposte a pagare per esso (effetto denominato endowment effect)[2]. Inoltre, le persone si differenziano in termini di propensione al rischio. Ipotizziamo di trovarci di fronte ad una scelta tra alternative. In un gioco a testa o croce, ci vengono fatte due proposte tra cui dover scegliere:

  • l’opzione (A) consente di guadagnare 1000 dollari se vinciamo o vincerne comunque 100 se perdiamo;
  • l’opzione (B) implica perdere 200 se si perde o vincere 2000 se si vince.

Cosa scegliereste? A o B ? In base a scelte di questo tipo, è possibile misurare la propensione al rischio (risk-taking) delle persone e degli imprenditori. Chi ha un basso livello di risk-taking tenderà a scegliere (A), la scelta sicura, mentre chi possiede un livello alto di risk-taking tenderà a scegliere (B), meno sicura ma dai potenziali di guadagno più alti.

La loss aversion è anche un fattore sociale e culturale, oltre che personale. Vi sono culture che premiano il “non prendere rischi” e favoriscono il lavoro dipendente rispetto al lavoro autonomo o la creazione d’impresa[3]

La perdita sul mercato si configura ogniqualvolta il cliente ritenga di aver esborsato denaro o altre risorse avendone ricevuto una prestazione non corrispondente. Si basa quindi su un meccanismo di calcolo differenziale di guadagni e perdite che si instaurano in una transazione. 

Quanto guadagno e quanto perdo se scelgo questa linea di azione? Cosa mi costa acquistare, cosa mi costa non farlo? Riceverò in cambio ciò che spero? 

Per risolvere alcuni di questi problemi, le persone attuano meccanismi di ricerca di informazioni. Il fabbisogno di informazioni e la ricerca di informazioni (information seeking) è connaturato al tentativo del cliente di evitare una perdita potenziale. Esso rappresenta una condizione comune nei momenti di scelta, nella quale il terrore di avviarsi verso una perdita viene in un certo senso monitorato, previsto e contabilizzato. 

Ogni processo di ricerca rappresenta un momento di uncertainty reduction (riduzione dell’incertezza decisionale), e si prefigge di raggiungere la condizione psicologica che permette di prendere una decisione con serenità, avendone valutato tutti i pro e contro, e sentendo di aver fatto il possibile per decidere al meglio. 

La ricerca di informazioni

Diversi studi hanno evidenziato la presenza di un search cost effect (il costo della ricerca di informazioni): l’acquirente cercherà ulteriori informazioni solo fintanto che il costo marginale della ricerca non eccede il beneficio marginale ricavabile dall’informazione. 

Le ricerche di informazioni, per una singola scelta, non possono durare tutta la vita. Ad un certo punto si fermeranno, considerato il tempo e costo necessario per la ricerca stessa, in comparazione a quanto vi sia in gioco in termini di acquisto.

Vi sono molti casi, tuttavia, di mancanza di equilibrio manageriale nel tempo dedicato a valutare la bontà delle proprie spese e decisioni, soprattutto in campo aziendale. A volte decisioni miliardarie o dagli effetti potenzialmente devastanti sull’azienda (in caso di errore) vengono prese senza perdere tanto tempo nella ricerca di informazioni indispensabili, mentre per decisioni tutto sommato stupide ed ininfluenti si perdono intere giornate in riunioni, o si investono somme ingenti in consulenza, in tempo manageriale e complesse ricerche.

I costi di ricerca possono essere analizzati secondo diversi parametri (disgiunti o congiunti):

  • costi monetari: ammontare economico, costi monetari di ricerca;
  • costi temporali: quantità di ore/uomo necessarie per la ricerca delle informazioni;
  • costi cognitivi: interni al buyer, riflettono lo sforzo mentale necessario per impostare una buona ricerca, dividere e valutare le informazioni in ingresso, ed integrarle con informazioni preesistenti.[4]

I consumatori si trovano spesso, oggi, nell’incapacità di elaborare tutta l’informazione presente sui mercati, particolarmente nei settori caratterizzati da rapida innovazione e cambiamenti tecnologici. 

Il commercio elettronico e i canali internet accrescono a dismisura il mercato di offerta e l’informazione disponibile, così che per un determinato acquisto, mentre in passato esisteva solo il negozio del paese (e non si poteva comprare altro che lì), oggi esistono innumerevoli potenziali punti di vendita e fonti informative. L’esito è un possibile overload informativo, un eccesso di dati che il soggetto non riesce più a manipolare. Questo confonde il consumatore e crea un senso di inadeguatezza.

I consumatori devono quindi apprendere nuove competenze:

Principali competenze di ricerca dell’acquirente consapevole:

  • capire cosa si cerca veramente nel prodotto/servizio (far esplodere la propria wish-list) e razionalizzarne le scelte (capire che tipo di acquisto si sta compiendo: autogratificativo, utilitaristico, simbolico, ecc.);
  • scegliere in quali fonti ricercare (dove e come si può trovare l’informazione utile a far luce sulla bontà della decisione); possedere un ampio repertorio di fonti informative;
  • apprendere a decidere quanto tempo dedicare ad una ricerca di informazioni necessarie all’acquisto, quanto sforzo è necessario, a che punto occorre fermarsi;
  • decidere quanto tempo trascorrere presso le singole fonti di ricerca, quali meritano più attenzione, quali sono dispersive, vuote o superficiali;
  • saper individuare il momento in cui si dispone delle informazioni sufficienti per decidere, ed è opportuno arrestare la ricerca per poter dedicare il proprio tempo ad altro (evitazione della dispersione di energie cognitive, utilizzo ottimale del tempo);
  • discriminare l’affidabilità delle fonti (discernere tra informazioni di qualità e informazioni poco attendibili), come diagnosticarne la credibilità della fonte.

Questo curriculum di studi dovrebbe essere presente in ogni percorso scolastico di base, intermedio e superiore. Se si pensa a quanto tempo si perde nelle scuole per apprendere informazioni che non si utilizzeranno mai, e quanto tempo non si impiega ad apprendere come acquistare bene (azione che si compie ogni giorno della propria vita) viene da chiedersi se non vi sia una regia occulta che determina questo stato di cose, o se si tratti semplicemente di ignoranza o incapacità politica.

Le informazioni diagnostiche

Le informazioni raccolte sui possibili fornitori o sui prodotti non hanno tutte lo stesso peso. Infatti, nei processi di scelta solo le informazioni altamente diagnostiche hanno il potere di generare fiducia nelle proprie valutazioni (van-Wallendael, 1995)[5]. La diagnosticità di un’informazione riguarda la sua pertinenza rispetto alla capacità di discriminare le caratteristiche ricercate. Ad esempio, nell’acquisto di un computer, la composizione chimica della vernice esterna non ha un potere diagnostico, ma lo avranno i termini di garanzia, le prestazioni assicurate, la velocità, e altre informazioni. Il marchio visibile su un prodotto (ad esempio uno zaino da scuola) può essere del tutto ininfluente per un genitore, e assolutamente strategico per la figlia, influenzata dalla moda del momento e dal fatto che tutte le amiche nella classe hanno quello zaino, e non uno zaino qualsiasi.

Il problema del rapporto tra informazione e consumo non è affatto lineare. Infatti la qualità della decisione migliora al crescere della quantità di informazione posseduta, ma solo in linea teorica. Nella realtà, quando la quantità di informazione eccede la capacità elaborativa, il decisore viene sovraccaricato da informazioni, rendendo il processo decisionale lungo e difficoltoso (overload informativo). Il consumatore si trova quindi costretto a ridurre e scegliere le proprie fonti informative. 

Questo porta spesso ad affidarsi alle proprie relazioni, a rivolgersi ai consigli degli altri, ad osservare quanto fanno gli altri, per un aiuto nella scelta, sfruttando, in un certo senso, la fatica decisionale già svolta da altri. 

Sheth e Parvatyar (1995)[6] hanno analizzato le tematiche del Relationship Marketing, evidenziando che i consumatori utilizzano la propria rete di conoscenze per ridurre le scelte possibili (ricerca di suggerimenti, osservazione del comportamento già svolto da altri, imitazione). Lo scopo sottostante è l’intento di semplificare i compiti di consumo e acquisto, ridurre la necessità di information processing, diminuire il rischio percepito e mantenere la consistenza cognitiva e il comfort psicologico, riducendo l’ansia di scegliere.

Il processo di acquisto

Qualsiasi scelta di acquisto ha un margine di errore (che il consumatore cercherà in vari modi di ridurre) e produce timori di perdita in chi la compie.

Le perdite possono distinguersi in perdite assolute e in perdite relative. Una perdita assoluta accade quando la prestazione ricercata non viene ottenuta affatto. Ad esempio, acquisto un nuovo sistema operativo per il mio PC per ottenere più stabilità, e ottengo meno stabilità (prima si bloccava due volte al giorno, adesso quattro). Una perdita relativa si ottiene quando, successivamente all’acquisto, il consumatore si accorge che era possibile trovare lo stesso prodotto, ma ad un prezzo migliore, o a condizioni migliori, o che un prodotto concorrente offriva prestazioni migliori allo stesso prezzo, oppure ancora il prodotto fornisce una prestazione inferiore alle aspettative. Ad esempio, scopro che un negozio della stessa città offriva quelle scarpe speciali da escursione, che stavo cercando, con uno sconto del 40%. Oppure ottengo un miglioramento nella velocità di connessione molto basso rispetto all’investimento fatto per acquistare la nuova linea di telecomunicazione.

Il consumatore ricercherà sia di evitare una perdita assoluta  (acquistare un prodotto che non risolve il problema), che evitare una perdita relativa (situazione in cui il prodotto raggiunge solo parzialmente il suo scopo, o vi è la percezione che il problema potesse essere risolto con minore esborso di risorse). Per farlo, ricercherà informazioni diagnostiche utili ad orientarsi. Accumulate le informazioni necessarie, quindi, deciderà. 

Pertanto, il modello di decisione formalizzato è sostanzialmente basato sul processo di input-elaborazione-output. 

Kotler, in un classico del marketing[7], evidenzia uno schema di acquisto così composto:

  1. Percezione del problema
  2. Ricerca di informazioni
  3. Valutazione delle alternative
  4. Decisione d’acquisto
  5. Comportamento del dopo-acquisto

Sottolineiamo che questo modello funziona soprattutto negli acquisti maggiormente razionali o consci, là dove il soggetto è consapevole di quali siano le variabili in gioco, e si dia una strategia di acquisto. Il che non accade molto spesso. 

Il modello comportamentale stimolo-risposta

Partiremo nella nostra analisi da un modello comportamentale dove il soggetto viene assimilato, come evidenziato, ad un “processore” che elabora stimoli ed informazioni, producendo output decisionali e comportamentali.

Nel modello “comportamentale”, il consumatore è considerato un soggetto elaboratore di informazioni, dotato di sue caratteristiche peculiari, il quale reagisce a determinati stimoli, producendo, di conseguenza, delle risposte comportamentali (modello S-R: stimolo-risposta).

Il consumatore percepisce eventi e informazioni, elabora dati e reagisce agli stimoli esterni, che costituiscono variabili di input. In parte, gli stimoli esterni incidenti sul consumatore sono determinati dall’azienda offerente (marketing mix: caratteristiche del prodotto, caratteristiche del prezzo e formule di pagamento, promozione e pubblicità del prodotto e del marchio, distribuzione, punto di vendita e facilità di accesso al prodotto). Altri tipi di stimolo provengono dal macroambiente (fattori ambientali, politici, culturali, eventi sociali, offerta della concorrenza, comportamenti di altri consumatori che vengono assunti come riferimento ecc..).

Pertanto diversi individui possono produrre risposte comportamentali assolutamente diverse a fronte della stessa stimolazione o messaggio di marketing, dando luogo ad una interazione soggetto-messaggio.

Nella comunicazione aziendale, ad esempio, l’utilizzo di una leva pubblicitaria per un prodotto alimentare promosso come “dietetico” e ipocalorico avrà effetti positivi sulla decisione di acquisto per un soggetto che cerca riduzione di peso, e effetti altamente negativi su bodybuilder in fase di “massa”[8] o soggetti eccessivamente magri che cercano un rafforzamento fisico nell’alimentazione.

Il consumatore diviene processore di informazione, e le sue caratteristiche sociodemografiche (status, età, titolo di studio, professione) e psicografiche (valori, atteggiamenti, credenze politiche, religiose, stili di vita, cultura, bisogni) determinano il tipo di risposta che esso darà agli stimoli (output). Gli stimoli esterni interagiscono con gli stati emotivi e le caratteristiche psicografiche del soggetto, che costituiscono variabili intervenienti nella decisione (desideri, necessità, paure, bisogni). Comprendere le dinamiche di elaborazione dell’informazione attuate dal cliente assume forte valenza competitiva per l’azienda.

Principio – Information processing

  • La competitività dipende dall’identificazione di quali siano le pressioni ambientali, le variabili di input che stanno agendo sul mercato e sul singolo cliente
  • Richiede la comprensione di come le caratteristiche del consumatore (culturali, sociali, emotive, bisogni manifesti e latenti, struttura attuale dei budget mentali) incideranno sulle sue modalità di trattamento dell’informazione (elaborazione interna);
  • Richiede la previsione delle possibili risposte (riallocazione dei budget mentali output comportamentali), per capire quali forme di input possano avere maggiore probabilità di successo.

Segmentazione del mercato

Le differenze tra consumatori portano alla necessità di svolgere una attività di segmentazione del mercato consumer sufficientemente approfondita, per poter identificare cluster (gruppi) di clienti accomunati da esigenze comuni e modalità di risposta prevedibili agli stimoli di marketing.

La segmentazione ha la finalità di evidenziare la strutturazione del mercato, identificando la presenza di gruppi di consumatori accomunati da similarità psicografiche e di valori (segmentazione psicografica-valoriale) o sociodemografiche (segmentazione sociodemografica).

La segmentazione è indispensabile al fine di produrre strategie mirate sulle caratteristiche peculiari e specifiche di tali gruppi.

La segmentazione richiede l’analisi della struttura del mercato, la comprensione della sua composizione. Le fasi strategiche prevedono la scelta dei segmenti su cui operare e la definizione di strategie mirate ai diversi segmenti.

Il processo di segmentazione si applica, con opportune modifiche, al mercato del business-to-business, con lo scopo di evidenziare quali siano le aziende prioritarie su cui operare.

Cultura e reazione ai prodotti

Secondo un orientamento antropologico, la cultura (insieme di modalità di percezione, comunicazione e visione del mondo) può essere considerata una delle determinanti principali dei bisogni percepiti da una persona, nonché dei comportamenti, inclusi quelli di consumo. L’influenza culturale determina in larga misura i consumi intellettuali e sociali e le modalità di risposta a bisogni di livello superiore (i gradini elevati della scala di Maslow), ma incide anche sulla modalità di soddisfazione dei bisogni primari (gli elementi di base della scala di Maslow), ad esempio nella scelta del cibo. 

Tra i casi più noti di influenza culturale sulla modalità di soddisfare bisogni di base, ad esempio, le culture Islamiche pongono barriere al consumo di carne di maiale, e richiedono una macellazione del bestiame scrupolosamente confacente ai dettami religiosi, così come in India la mucca assume valore di sacralità, o negli Stati Uniti e in occidente non è visto di buon occhio, culturalmente parlando, mangiare cani o gatti.

Il fallimento di molti programmi alimentari o di profilassi condotti dalle agenzie internazionali nei paesi poveri, è dato, in larga misura, dalla scarsa conoscenza antropologica della cultura locale, che produce metodi di intervento controculturali e non accettabili dai destinatari. Operare nel buio culturale genera alta probabilità di fallimento.

Il fattore culturale porta un italiano a consumare volentieri pasta piuttosto che insetti, mentre in realtà il valore nutrizionale di questi è superiore. In alcune culture orientali essi costituiscono un normale piatto di portata e nessuno verrebbe colto da malore se essi fossero serviti a tavola.

In altre parole, la cultura determina la “lettura” che le persone danno dei comportamenti di consumo, e dei prodotti, si pone come interfaccia tra soggetto e realtà, e crea “frames interpretativi” che guidano le conseguenti reazioni.

La distanza culturale come variabile di marketing

La cultura incide sia su macro-comportamenti di consumo (scelte di categoria) che su micro-comportamenti, quali le modalità di utilizzo o le valutazioni relative a singole caratteristiche del prodotto. All’aumentare della distanza culturale aumenta la probabilità di incomprensione reciproca e si modificano i significati di oggetti e comportamenti. La distanza culturale deve entrare a far parte delle valutazioni strategiche, anche alla luce della crescente internazionalizzazione e globalizzazione dei mercati.

Il fattore culturale deve essere tenuto tanto più presente quanto più distante è la cultura dell’acquirente da quella dell’offerente. Specialmente a livello internazionale (marketing internazionale), operando sui mercati esteri o con clienti stranieri, le differenze possono essere sostanziali e necessitano di conoscenza, adeguamenti e strategie specifiche. Si determina quindi la nascita di una nuova forma di marketing – il marketing interculturale – ovvero un insieme di strategie finalizzate ad implementare il fattore culturale nel marketing mix: nel prodotto, nelle formule di prezzo, nelle strategie distributive, e nelle modalità di comunicazione ai mercati culturalmente distanti.[9]


[1] Vedi ad esempio Kahneman, D. & Tversky, A. (1979). Prospect theory: an analysis of decision under risk. Econometrica 47, 263-291.

[2] Thaler R. (1980). Toward a positive theory of consumer choice. Journal of Economic Behavior and Organization, 1, 39-60, cit. in van Dijk, E., & van Knippenberg, D. (1998). Trading wine: on the endowment effect, loss aversion, and the comparability of consumer goods. Journal of Economic Psychology, 19, 485-495.

[3] In uno studio sul campo realizzato dall’autore su studenti 18enni all’ultimo anno di scuola professionale, in un territorio ad alto grado di disoccupazione giovanile, la valutazione di un alto grado di rischio connesso all’imprenditoria veniva ulteriormente rafforzata dall’opinione che la famiglia reagirebbe più positivamente alla notizia che il proprio figlio/figlia trovi un lavoro dipendente, rispetto alla notizia che il giovane intende avviare un impresa autonoma.

[4] Per quanto riguarda i costi cognitivi, vedi Smith, G.E., Venkatraman M. P. & Dholakia, R.R. (1999). Diagnosing the search cost effect: Waiting time and the moderating impact of prior category knowledge. Journal of Economic Psychology, 20, 285-314.

[5] Van Wallendael, L.R. (1995). Implicit diagnosticity in and information buying task: How do we use the information that we bring with us to a problem? Journal of Behavioral Decision Making, 8, 245-264.

[6] Sheth, J. N., & Parvatiyar, A. (1995). Relationship marketing in consumer markets: antecedents and consequences. Journal of the Academy of Marketing Sciences, vol. 23, 255-271.

[7] Kotler, P. (1993). Marketing management. Torino, Isedi.

[8] periodo della preparazione atletica nel quale l’atleta ricerca l’aumento di peso.

[9] Per una valutazione delle problematiche di marketing e persuasione interculturale, vedi Aaker, J.L. (2000). The Influence of Culture on Persuasion Processes and Attitudes: Diagnosticity or Accessibility? Journal of Consumer Research. -Volume 26, N. 4, Marzo 2000.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Le parole chiave di questo articolo I comportamenti del consumatore sono :

  • Avversione alla perdita
  • Caratteristiche psicografiche
  • Caratteristiche sociodemografiche
  • Competenza di ricerca del cliente
  • Costi cognitivi
  • Costi monetari
  • Costi temporali
  • Costo della ricerca di informazioni
  • Distanza culturale
  • Fattore culturale
  • Informazioni diagnostiche
  • Marketing interculturale
  • Modello comportamentale stimolo-risposta
  • Overload informativo
  • Perdite assolute
  • Perdite relative
  • Processo di acquisto
  • Relationship marketing
  • Segmentazione del mercato
  • Wish-list
  • Risk-taking
  • Propensione al rischio

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Psicologia di marketing e comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore

I capitoli mentali

Il budgeting mentale consiste nel processo di attribuzione delle risorse a capitoli mentali di spesa separati (mental accounts).

Il fenomeno – centrale per la nostra teoria –  comprende meccanismi quali la categorizzazione cognitiva (distinzione mentale tra tipologie di spesa), l’assegnazione di budget a categorie distinte, l’assegnazione di priorità, il tracking della spesa, l’attribuzione di una spesa ad un certo capitolo mentale. In generale, le ricerche nell’area evidenziano che i consumatori e le imprese (buyer, imprenditori) valutano le proprie spese ed investimenti prima di tutto in relazione ai propri account mentali.

Ipotesi di ripartizione delle risorse totali in account mentali – Mental Accounts :

  • spese per vacanze
  • tempo per stare con gli amici
  • regali
  • libri e formazione
  • spese per il tempo libero
  • spese per la propria salute
  • spese per il cibo
  • riserve per imprevisti

L’individualità umana rende, necessariamente, il budgeting mentale un fenomeno che assume proprietà diverse da persona a persona, e da cultura a cultura. Pertanto, dobbiamo attenderci una certa diversità e variabilità nella modalità di attribuzione e categorizzazione delle risorse.

Le teorie dei budget mentali hanno due forti implicazioni:

  • livello consumer: capire come il consumatore destina le proprie risorse.
  • Nella tecnica di vendita aziendale business-to-business: capire come l’acquirente aziendale (buyer) reagirà ad una proposta, partendo dalla previsione o rilevazione del modo di gestire le risorse aziendali (struttura cognitiva degli investimenti).

Ciascuna proposta si associa infatti ad una o più caselle di bisogno.

Il mental budgeting acquista connotazioni molto diverse da soggetto a soggetto, anche in funzione dei valori dell’individuo. Persone abitanti nello stesso palazzo, ma diverse per stili di vita, valori e personalità (un pensionato settantenne, o un giovane DJ che vive di notte) faranno uso estremamente diverso della stessa somma. 

Assegnare un budget ad un account significa dedicare una parte delle proprie risorse (tempo, denaro, pensiero ed energie mentali, tempo speso nel comunicare) ad una certa forma di impiego.

Il budgeting mentale non distingue nettamente tra risorse monetarie e altre risorse (es: energie, tempo, impegno). Destinare 1000 dollari ad un viaggio, o destinare 10 ore della propria vita a qualcuno, sono entrambe forme di investimento delle proprie risorse limitate (denaro, tempo). Il concetto di budget assume una valenza ampia, indicando qualsiasi cosa costituisca una risorsa per l’individuo.

Meccanismi di ricarica dei budget

In termini monetari, quando avviene una spesa, questa viene addebitata ad uno degli account mentali. In seguito, l’account verrà ricaricato in relazione alle entrate economiche dell’individuo. Sino a quel punto, la probabilità di acquisto di quella categoria di prodotto rimarrà molto bassa, in quanto gli account non dispongono di risorse infinite, ma sono legati ai redditi delle persone o ai capitali d’investimento e budget di spesa disponibili nelle aziende. Avverrà in altre parole una resistenza ad attuare ulteriori spese in quella categoria, poiché esse andrebbero a discapito di altre categorie. La categoria, in altre parole, si “asciuga” fintanto che essa non viene nuovamente riempita da risorse entranti.

Ad esempio, l’acquisto di un biglietto per il cinema andrà a discapito del budget “intrattenimento”, per cui nella stessa settimana il budget intrattenimento avrà subito un segno meno. L’acquisto di un farmaco per il mal di testa, invece, non andrà ad inserirsi nello stesso budget mentale, ma sotto una categoria diversa (ad esempio, medicinali e spese per il corpo).

La ricarica del budget può avvenire sia in proporzione alle nuove risorse entranti, sia in maniera non proporzionale. In questo caso si determina un income source effect (effetto fonte: la tendenza ad assegnare risorse in funzione della loro provenienza, es: denaro vinto a spese superflue, vs. denaro sudato a spese importanti), come approfondiremo in seguito.

Attingere alle risorse e trasferire risorse tra account

L’educazione, la cultura, la famiglia, i colleghi, in pratica ogni soggetto sociale con il quale ci si interfaccia, finiscono per creare pressioni affinché la persona formi e attinga ai budget mentali secondo certe regole. Un esempio classico è rappresentato dal detto “prima il dovere poi il piacere”, che definisce pedagogicamente come l’individuo debba ripartire le proprie risorse temporali.

Ed ancora, un certo comportamento (giocare a pocker con denaro, scommettere su lotte tra animali) può essere sanzionato in una cultura e premiato in un’altra. Le culture agiscono sia sul modo con cui si formano gli account mentali (strutturazione cognitiva) che sulla accettabilità del modo di attingere alle risorse.

Nel mental budgeting possono verificarsi meccanismi distorsivi del tracking mentale, consapevolmente o meno, per rendere più accettabili alcune scelte. Ad esempio potrei decidere di inserire la spesa di un ristorante nell’account del cibo, anziché in quello dell’intrattenimento, se il budget mentale dell’intrattenimento è già stato accorciato, oppure ancora per poter considerare integro, non toccato, quel budget, e quindi poterne disporre in futuro senza patemi d’animo.

Alcune tecniche di autopersuasione consistono nel convincersi che una determinata spesa vada assegnata ad un budget mentale accettabile per la propria coscienza, diminuendo l’angoscia e la dissonanza che si creerebbe a fronte di una spesa inutile o socialmente riprovevole. Ad esempio, per uno sportivo l’acquisto di vitamine e integratori può essere trasformato da spesa narcisistica (soggetta a possibili sensi di colpa) a “investimento nella propria salute e vitalità”, ed inserito nel budget dei prodotti medico-sanitari di natura preventiva, o meglio ancora nei “prodotti per il rendimento professionale”.

Viene quindi ad eliminarsi una pericolosa fonte di dissonanza per il soggetto, che realizzerà l’acquisto senza ansie e con maggiore convinzione.

Una questione importante nella determinazione dei budget mentali è la modalità di determinazione delle categorie: quante sono, e come vengono definite le diverse categorie di budget mentali? Quali categorie hanno confini rigidi e quali più sfumati? Quali sono vicine e quali distanti?

Per iniziare una prima categorizzazione di diversi accounts mentali, abbiamo sviluppato un modello di “piramide degli accounts”. 

La piramide degli accounts mentali

La piramide combina due modelli di base: il potere temporale del prodotto (anticipatorio, omeostatico, risolutivo) e il potere categorico del prodotto (sopravvivenza, sicurezza, ambiente, sociale, self). Ne emerge una struttura con caselle/spazi psicologici potenziali all’interno dei quali si collocano i budget mentali di un cliente, buyer o consumatore.

Secondo il nostro modello, nel destinare le proprie risorse, i soggetti cercheranno di “riempire” le caselle della piramide valutando le proprie disponibilità.  All’interno di ciascuna categoria, ma anche trasversalmente alle categorie, ogni persona individua il valore di un prodotto o servizi. Un valore che proviene da una singola casella, o “attinge” a diverse caselle.

L’analisi permette di costruire un profilo del valore mentale del prodotto/servizio per il soggetto. Vediamo un esempio applicativo.

L’esempio, riguarda l’analisi dei moventi del cliente di un centro sportivo, il quale pratica karatè e bodybuilding. L’analisi dei moventi – realizzata tramite interviste in profondità – evidenzia come il profilo di valore si collega a diversi budget mentali (mental accounts):

  • budget legato alla propria salute fisica in quanto da bambino egli soffriva di problemi articolari (account – risoluzione problema fisiologico);
  • bisogno di sentirsi inconsciamente più forte e sicuro nella eventualità dovesse accadere una lite o aggressione (account – proiezione sulla sicurezza);
  • bisogno di passare in tranquillità un paio d’ore dopo una giornata stressante (account – risolutivo ambientale);
  • poter avere (inconsciamente) una “argomentazione di vendita del Self” forte negli incontri galanti, del tipo “sai, io sono uno sportivo” (account – anticipatorio sociale);
  • mantenere elevata l’immagine di sé (account – omeostatico del Self). 

Ogni cliente di un centro fitness fa uso di categorie mentali personali ed attinge da account singoli o multipli per giustificare a se stesso la spesa. Un suo compagno di palestra, potrebbe avere motivazioni anche diverse.

I casi di dominanza di un account sono spesso dovuti a motivi radicali che hanno a che fare con i critical incidents della persona, gli avvenimenti (positivi o negativi) che ne hanno segnato l’esistenza.

Lo studio dei fenomeni di categorizzazione ha evidenziato che alcuni prodotti o elementi di una categoria rappresentano la categoria molto più perfettamente di altri. Ad esempio, il cinema rappresenta quasi perfettamente la categoria “intrattenimento”.

Time management cognitivo

Analizziamo 100 minuti della nostra vita. Di questi, quanto tempo mentale dedichiamo al passato, quanto al presente, quanto al futuro? Quanto a pensieri negativi e quanto a pensieri positivi?

La stessa giornata può essere costellata da diversi momenti. In alcuni il tempo è totalmente assorbito in un passato negativo (ad esempio, progettare una vendetta per un torto subito), in altri a godere di una situazione (esempio: abbronzarsi con una leggera brezza di mare), e altri ancora a progettare un futuro positivo (es: scegliere una località di vacanza e fantasticare sui momenti belli che potranno accadere).

L’analisi delle cognitive resource allocation riguarda il modo con cui le persone gestiscono le proprie energie mentali. In termini di management, risulta utile ad esempio per valutare con che criteri, e con che grado di efficienza e qualità, un manager utilizza il proprio tempo (time management aziendale). Ma anche dal punto di vista sociale l’analisi è preziosa, ad esempio per capire come un giovane in cerca di un’occupazione impiega il proprio tempo (time management individuale). 

Le risorse cognitive (moneta preziosissima in quanto veramente limitata) sono spese da molte persone e imprese senza cognizione di causa. Non è difficile notare manager impegnati soprattutto a combattere lotte intestine, perdendo di vista il cliente, e ad impiegare lì la maggior parte delle proprie risorse mentali, o, ancora peggio, perdersi in attività illogiche (il massimo dirigente di una società per azioni che spende due giorni di lavoro per capire chi ha rubato un portacenere all’ufficio export – fatto realmente accaduto). Ma questo avviene anche ad altri livelli. Numerose ricerche sociali evidenziano che un largo numero di disoccupati vaga senza una destinazione, non sapendo come utilizzare al meglio le proprie risorse mentali. Diversi giovani disoccupati utilizzano i soldi di cui dispongono in attività inutili al fine, quali i videogiochi.

Questo ci porta a valutare che, in termini di educazione al consumo e di marketing, sia necessario eliminare la distinzione concettuale tra spesa delle proprie monete e spesa delle proprie energie (temporali e cognitive). Sarebbe sbagliato insegnare a degli adolescenti come fare la spesa al supermercato senza trattare il tema del “come fare la spesa con il proprio tempo”, sapersi orientare in attività che portano alla crescita della persona.

L’equazione “ tempo : gestione del tempo = denaro : gestione della spesa ” è una delle innovazioni curricolari che dovrebbero entrare in molti programmi scolastici. 

Educational marketing

Educare il cliente può entrare anche in programmi di marketing innovativi (educational marketing) basati sull’anteporre alla vendita un forte momento formativo del cliente.

Un approccio integrato all’educazione al consumo richiede la presa di coscienza forte, nella persona, del fatto che le proprie energie psichiche sono limitate, il tempo lo è ancora di più, e queste non vanno sprecate. Da questo discenderà anche una maggiore consapevolezza su come utilizzare al meglio le proprie risorse economiche. 

Lo stesso approccio pedagogico vale per la formazione aziendale. Solo quando i manager si renderanno conto di quanto male stanno gestendo il proprio tempo, con che priorità distorte, e con che budgeting mentale inadeguato alle nuove sfide di scenario e della concorrenza, potrà avvenire un reale percorso di crescita aziendale. I meccanismi autopersuasivi generati dall’educational marketing sono ampiamente più efficaci della persuasione pubblicitaria, in quanto si basano sull’auto-riflessione aiutata dal venditore consulente,e non sull’immissione “ad imbuto” di dati e parole vuote.

In termini aziendali e di marketing, l’analisi del mental budgeting evolve lungo due direzioni, legate ai due principali fenomeni del budgeting mentale budget setting e budget tracking.

  • i sistemi di budget setting: come le persone ed i manager pianificano le proprie disponibilità di denaro e risorse a certe categorie di spesa, in relazione a certe categorie di beni;
  • I sistemi di expense-tracking: come le persone ed i manager tengono traccia delle proprie spese, dove avvengono le distorsioni.

Budget setting

Nel budget setting, è stato dimostrato, già in studi degli anni ’30, che diverse persone, anche per somme molto basse, come le “paghette settimanali” o i sussidi, adottano comportamenti di separazione fisici, come buste separate, contenitori di ceramica e porcellini, con targhette o etichette che indicano “per il cinema”, “per l’abbigliamento”, “per la pizzeria”, ecc… [1]

Il fatto che esistano persino contenitori fisici per separare i budget evidenzia la consistenza del fenomeno. Tra i meccanismi incisivi:

  • Le dinamiche di trasferimento di fondi tra accounts mentali, o riallocazione dei budget mentali nel consumatore. (es: spendere il denaro dell’affitto in un night club, posticipare l’acquisto di una cucina per la casa in favore di un gioiello, togliere fondi al cibo per passarli al miglioramento del proprio guardaroba, ecc.)
  • i meccanismi di riallocazione dei budget mentali nell’azienda, es: continuare ad investire in tecnologia se il bisogno reale è in know-how e formazione delle risorse umane, la nascita della consapevolezza della necessità di cambiare il modo di investire, le resistenze al cambiamento ecc.. 
  • i sistemi generali di riallocazione dei budget (spostamento di risorse e priorità) tra tipologie di bisogno categoricamente diverse lungo la piramide di Maslow. 

Ad esempio, in termini formativi personali, è estremamente utile per un adolescente imparare a capire che, ad un certo punto della propria vita, inizia il meccanismo di costruzione di una immagine sociale ed identità, e questo incide sulle proprie spese. Questo produrrà una maggiore consapevolezza si sè, la presa di coscienza del fatto che l’affermazione di una propria identità può avvenire in tanti modi, e non solo consumando ciò che tutti gli altri consumano. Questo percorso di attualizzazione del Sè, così ben identificato da Carl Rogers, merita futuri approfondimenti cui dedicheremo prossime trattazioni.

Ma spostiamoci ora nel campo dei budget mentali dell’azienda. Per il manager o imprenditore è utile soffermarsi a considerare se le risorse aziendali siano equamente divise tra i diversi account, oppure se vi siano categorie alle quali è stata data priorità esagerata, e accounts mai finanziati o sottofinanziati.

Per l’azienda, si evidenzia la necessità di prestare attenzione ai budget mentali ancora prima che a quelli scritti nei bilanci. Questa esigenza viene rafforzata da ricerche svolte da Heath e Soll (1996)[2] da cui emerge che quando un budget mentale è troppo basso, le persone evitano di acquistare beni in quell’account sebbene non siano sazi di beni di quel tipo e sebbene non manchino risorse reali e fondi per acquistarli. Questo causa uno stato di underconsumption (consumo insufficiente di una categoria necessaria) che in azienda si traduce in sotto-investimento in aree indispensabili (ad esempio la formazione).

Allo stesso tempo, un budget mentale sovrafinanziato (al di fuori delle esigenze reali della persona) produrrà fenomeni di acquisto eccessivo (overconsumption), che in azienda sfociano in acquisti strani e difficilmente spiegabili in un’ottica di competitività reale (es: nuovi macchinari, per prodotti la cui esigenza non è affatto dimostrata, nuovi prodotti che producono flop di mercato, PC a chi non li sa e non li vuole usare, scanner in uffici in cui nessuno sa nemmeno utilizzare il computer, fotocopiatrici industriali per uffici che producono due fotocopie al giorno, ecc.).

Il fenomeno di budget setting va attentamente seguito anche da un punto di vista sociale. Se i giovani diventano sempre meno abituati ed abili a darsi priorità di spesa e separazioni di budget mentali, ma “spendono finché anno”, questo crea futuri manager meno preparati, futuri genitori in balia delle promozioni più sciocche e meno capaci di prendersi cura dei figli, o persino meno propensi a farne. Se il “tenore di vita materiale target” (avere) non viene bilanciato da un “obiettivo totale di vita” (essere), l’uomo viene sopraffatto dal fenomeno di acquisto anziché diventarne padrone, e le imprese sono meno in grado di far leva sulla qualità. In altre parole, la mancanza di consapevolezza nel budget setting crea futuri uomini e donne incapaci di darsi degli obiettivi. 

Tale risultato, crediamo, non dovrebbe essere auspicabile da nessuno. Nemmeno dal sistema aziendale, che, darwinisticamente parlando, trae vantaggio dalla capacità discriminativa del consumatore quando le aziende più capaci vengono maggiormente premiate, mentre in un sistema di “consumatori sciocchi” anche aziende venditrici di fumo possono fare affari e prosperare.

Income source effects

L’effetto della fonte di risorse (income source effect) sulle scelte di spesa (budget setting) è una delle dinamiche studiate all’interno della ricerca sul mental budgeting. Questi studi dimostrano come i budget mentali di spesa dipendano anche dal tipo di fonte del reddito. In altre parole, le risorse entranti vengono rese disponibili ai diversi accounts a seconda di dove provengono, del tipo di sforzo necessario per ottenere il denaro, della modalità con sui è stato ottenuto. 

Ad esempio, una ricerca ha dimostrato come le persone tenderanno a spendere più volentieri una cifra in una vacanza non pianificata (account mentale autoconcessivo, autogratificativo) se il denaro proviene da un regalo o vincita altrettanto imprevista, piuttosto che se provengono da un premio di produzione o da uno stipendio[3]. Il fatto di provenire da una fonte inattesa e più frivola fa inserire questa cifra in un budget mentale meno “controllato” e più volitivo. Il fatto di provenire da una fonte lavorativa li avrebbe fatti inserire con maggiore facilità, ad esempio, in un budget di “acquisti per la casa” o “acquisti necessari”. 

Questi risultati indicano che il principio basilare dell’economia classica della fungibilità del denaro (ciascuna banconota è uguale a ciascuna altra banconota) non si applica nella psicologia del consumatore: il consumatore attribuisce un peso a ciascuna banconota a seconda della fonte di quella banconota, e la inserisce (spesso senza rendersene conto) all’interno di un certo budget mentale.

Budget mentali, acquisti aziendali e cultura d’impresa

Nell’ambito dell’azienda, è indispensabile creare nell’imprenditore la tendenza a far propri meccanismi di income source effect. Occorre generare la consapevolezza che linee di produzione profittevoli devono finanziare la ricerca e sviluppo, e l’innovazione, perché quando tali linee non lo saranno  più, non esisterà più nessuna possibilità: sarà troppo tardi.

Allo stesso tempo, aumenti di profitti dovuti a congiunture favorevoli (es: aumento dell’export causato dal deprezzamento della moneta nazionale) devono essere viste come income source da destinare maggiormente alla sperimentazione e al consolidamento, rispetto ad altri profitti che vengono ottenuti in tempi normali. Anche nell’azienda, quindi, le banconote che entrano “non hanno lo stesso odore”.

Nel campo delle vendite business-to-business, i budget aziendali di spesa ed investimento riflettono i budget mentali del management (titolari o altri decisori e influenzatori). Capire i budget mentali di un imprenditore o acquirente è assolutamente rilevante per il venditore di beni innovativi e servizi evoluti all’impresa. Non ci sarà da stupirsi di fronte ad un diniego, se nei budget mentali degli investimenti del titolare d’azienda o del buyer non vi è una percentuale di spesa destinata all’innovazione o alla sperimentazione, così come non si potrà impostare una trattativa altro che sul prezzo senza sapere sino a che punto un prodotto/servizio ricade nei budget mentali previsti dall’acquirente potenziale.

Ad esempio, nel campo della formazione, la domanda “Avete definito un budget annuale per la formazione?” è un buon punto di partenza per inquadrare i sistemi di budget setting dell’interlocutore nella vendita dei servizi formativi all’impresa. Se la risposta è sì, questo sarà un indicatore della presenza di un budget mentale aperto rispetto a tale voce di spesa. Se la risposta è no, si aprirà un altro percorso, diverso, di “vendita della categoria di prodotto”, nel quale lo scopo primario sarà sensibilizzare il soggetto verso la tipologia di soluzione, i suoi risultati (preventivi, anticipatori, omeostatici) ancor prima che verso la specifica offerta formativa. 

La proposta deve essere riconducibile all’interno di categorie che il soggetto possa almeno inquadrare. 

Per il venditore di servizi all’impresa, quindi, dovrà essere valutato e compreso il grado di complessità cognitiva del soggetto fronteggiato, sviluppando la capacità di adattare la propria comunicazione in relazione alle categorie disponibili. In caso contrario, il venditore potrà affrontare l’impresa di “creare una nuova categoria mentale” nell’interlocutore, con lo sforzo che questo comporta. La non comprensione delle categorie, in un soggetto cognitivamente semplice, può provocarne il rifiuto (“non ho un budget mentale per queste cose, e fra l’altro non capisco nemmeno cosa siano, grazie lo stesso”). Una delle più forti competenze del venditore è la capacità di sintonizzazione dello stile comunicativo e di visualizzazione dei risultati, per creare tangibilità nella proposta.

Sistemi di tracking

Il tracking delle spese riguarda la valutazione di come si stanno spendendo le proprie risorse. Ogni volta che avviene una spesa, infatti, questa va assegnata ad un certo account. L’analisi se le spese siano o meno conformi agli account mentali in proprio possesso, richiede un meccanismo articolato in due stadi: (1) rilevazione: le spese devono essere prima di tutto notate, cioè il soggetto deve accorgersi che è in atto una fuoriuscita di proprie risorse, e (2) assegnazione: l’uscita deve essere assegnata all’account pertinente. Una spesa non andrà a discapito di un budget mentale se uno o l’altro passaggio vengono meno.

In termini aziendali, un problema diffuso si colloca proprio nel punto 1, ovvero nella scarsa consapevolezza di come vengono gestite le proprie risorse. Analizzando dall’interno la vita di molte aziende, si scopre che non ci si rende minimamente conto di spendere enormi energie, tempo e denaro solo per rimediare ad errori organizzativi. Questo rende meno necessaria, meno percepibile, l’urgenza di una investimento in formazione o un intervento di total-quality per eliminare alla radice gli errori.

Ed ancora, finché non si scopre e tocca con mano quanto sia ingente l’ammontare di perdite (mancate vendite) dovute ad errori di impostazione della vendita e di comunicazione front-line, non si attiverà l’esigenza di predisporre un budget specifico. Il problema, in altre parole, rimane sotterraneo. Pertanto, non vengono computate come perdite quelle che in realtà sono perdite, e non vengono previsti investimenti adeguati in formazione del personale di vendita. Questo può accadere anche per diverse altre aree.

Principio – Dell’identificazione delle strutture cognitive dell’interlocutore e ricostruzione dei budget mentali

La competitività dipende dalla capacità del venditore nel:

  • rilevare come il cliente assegna risorse e crea budget mentali (comprendere le strutture cognitive e gli accounts mentali del cliente al quale si trova di fronte);
  • rilevare i fenomeni di distorsione nei budget (underconsumption, overconsumption, presenza di accounts errati, mancanza di accounts necessari);
  • contribuire alla presa di consapevolezza nel cliente della necessità di modificare non solo i propri acquisti, ma anche i propri accounts mentali se egli vuole conseguire nuovi risultati.

Il venditore si posiziona, a questo punto, come consulente del cliente. Egli  contribuisce alla chiarificazione del suo quadro psicologico. Fornisce un contributo che va ben al di là del rapporto di acquisto e vendita, verso la consulenza di direzione e la terapia cognitiva di acquisto. In questo rapporto è possibile, infatti, rilevare alcuni elementi che possiamo definire “terapeutici”. 

Se l’analisi, la rivisitazione e focalizzazione delle categorie mentali del cliente produce in esso una presa di coscienza, emerge una  consapevolezza dei propri metodi di ragionamento sbagliati, dei quali non ci si era mai accorti prima. Uno shock positivo. Un impulso che produce crescita.


[1] Bakke, E.W. (1940). The unemployed worker. New Haven: Yale University Press.

[2] Heath, C., & Soll, J. (1996). Mental budgeting and consumer decisions. Journal of Consumer Research, 23.

[3] Henderson, P.W., & Peterson, R.A. (1992). Mental accounting and categorization. Organizational Behavior and Human Decision Processes, 51, 92-117.

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Le parole chiave di questo articolo Budget mentali e psicologia economica sono :

  • Accounts mentali del cliente
  • Budget mentali
  • Budget setting
  • Budget tracking
  • Capitoli mentali
  • Categorie di budget mentali
  • Cognitive resource allocation
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  • Gestione del denaro
  • Gestione del tempo
  • Income source effects
  • Mental accounts
  • Mental budgeting
  • Profilo del valore mentale del prodotto
  • Psicologia del consumatore
  • Risorse cognitive
  • Risorse mentali
  • Time management cognitivo

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Psicologia di marketing e comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore

Le leve persuasive e di vendita

L’aggregazione di proprietà del prodotto riguarda non solo le cinque tipologie inserite nella scala di Maslow, ma anche le virtù di risoluzione temporale (potere risolutivo, omeostatico e di anticipazione).

Tramite un processo combinatorio, è possibile identificare 15 leve persuasive, che risultano dall’incrocio tra le tre leve persuasive temporali (leva risolutiva, leva omeostatica, leva anticipatoria) e le cinque categorie di bisogno della scala modificata di Maslow (sopravvivenza, sicurezza, ambiente, sociale e Self).

Ad esempio, in riferimento al fattore immagine sociale, l’analisi si concentrerà sulle diverse modalità (anticipatorie, omeostatiche, risolutive) con cui un prodotto possa contribuire creazione di immagine per l’individuo. 

Facciamo un esempio su un capo di abbigliamento. Un abito può possedere leva omeostatica sociale se aiuta a mantenere elevata un’immagine pubblica. Questo accade se l’abito esalta le forme più aggressive ed esteticamente attraenti della persona, o comunica uno stile di vita e sociale del possessore. Ma ancora, un abito può possedere leva anticipatoria sociale, soprattutto un abito da cerimonia, quando è stata posta elevata cura sulla tenuta delle cuciture e bottoni che ne impediscano la rottura in pubblico evitando gaffe (leva anticipatoria sociale).

Oppure, un abito può possedere leva risolutiva sociale se aiuta a nascondere e migliorare i tratti fisici che la persona non gradisce di se stessa, quando si presenta in pubblico.

In generale, ogni tipo di prodotto può essere analizzato, alla ricerca di motivazioni anticipatorie, omeostatiche o risolutive. E questo vale per ogni gradino della scala modificata di Maslow.

Si producono quindi per combinazione 15 classi di valore del prodotto, che possono costituire altrettante leve di vendita.

Esponiamo brevemente i contenuti di ciascuna leva.

Leva risolutiva di sopravvivenza

Elimina i problemi di sopravvivenza. Promuove la proprietà del prodotto/servizio di rimuovere stati critici per la sopravvivenza dell’individuo o dell’organizzazione (es: pane per l’affamato). 

Leva omeostatica di sopravvivenza

Mantiene condizioni di sopravvivenza. Promuove la proprietà del prodotto/servizio di conservazione delle condizioni attuali che stanno garantendo la sopravvivenza dell’individuo o dell’organizzazione. Es: per una persona, una scorta di pane per l’insorgenza della fame; per un’impresa, un minimo di materia prima necessaria alla produzione, o un tasso di innovazione che consenta almeno di stare sul mercato (realizziamo questo esempio in quanto nell’approccio ALM, il tasso di innovazione non è considerato un lusso da “fascia alta” della scala di Maslow, ma un vero e proprio fabbisogno legato alla sopravvivenza dell’azienda, al pari delle scorte minime di magazzino o della corrente elettrica per i macchinari).

Leva anticipatoria di sopravvivenza

Anticipa i problemi di sopravvivenza. Promuove la proprietà del prodotto/servizio di prevenire l’insorgere di condizioni che possono minare l’integrità fisica dell’individuo o dell’organizzazione (es: un deposito di alimenti, o per un cartello di imprese il supporto ad un atto legislativo che impedisca la creazione di nuovi concorrenti pericolosi nel mercato in cui essi operano). Per l’impresa: un tasso di innovazione in grado di anticipare i problemi futuri.

Leva risolutiva di sicurezza

Elimina i problemi di sicurezza. È costituita da prodotti/servizi/prestazioni in grado di rimuovere o attenuare problemi attualmente esistenti per la sicurezza dell’individuo o dell’organizzazione Es.: sostituire una porta a vetri con una porta blindata, in seguito ad un furto in appartamento.

Leva omeostatica di sicurezza

Preserva condizioni ottimali di sicurezza. È costituita da prodotti/servizi/prestazioni finalizzate al mantenimento delle condizioni attuali di sicurezza dell’individuo o dell’organizzazione. Es: una protezione contro i sovraccarichi di tensione che potrebbero far saltare i macchinari.

Leva anticipatoria di sicurezza

Anticipa problemi di sicurezza. È costituita da prodotti/servizi/prestazioni che impediscono l’insorgere di condizioni negative, in grado di minare la sicurezza dell’individuo o dell’organizzazione, o ne riducono fortemente la probabilità di accadimento. Ad esempio: un estintore in auto in caso accada un incendio. Oppure ancora, per quanto riguarda l’impresa: un piano di anticipazione dei rischi di scenario che possono colpire l’azienda; un progetto di benchmarking[1] in grado di evidenziare quali sono le performance dell’azienda da migliorare, prima che esse degenerino in cadute di fatturato.

Leva risolutiva ambientale

Elimina il degrado ambientale (fisico o sociale). È costituita da prodotti/servizi/prestazioni finalizzati alla cancellazione di situazioni che rendono sgradevole, inadatto, l’ambiente fisico e sociale in cui il soggetto si trova. Es: una nuova casa per vivere in un quartiere migliore; eliminare fonti di rumore negli uffici (stampanti, copiatrici) e schermare i rumori stradali fastidiosi. Per l’impresa: un piano di miglioramento dei climi organizzativi e l’introduzione della direzione per obiettivi come metodo per “vivere meglio” in azienda.

Leva omeostatica ambientale

Mantiene un ambiente positivo (fisicamente o relazionalmente). È costituita da prodotti/servizi/prestazioni che forniscono elementi utili alla permanenza di condizioni di piacevolezza e gradevolezza degli ambienti fisici e sociali. Es. un atto di dono necessario per mantenere una buona relazione.

Leva anticipatoria ambientale

Previene l’insorgenza di elementi di degrado ambientale (fisico e sociale). È costituita da prodotti/servizi/prestazioni che impediscono l’insorgere di minacce alla qualità degli ambienti (fisici e sociali). Si basa soprattutto sulla  creazione di meccanismi di protezione del sistema dall’ingresso di elementi nocivi. Es: una legge che proibisca l’insediamento di industrie ambientalmente nocive in un territorio; una nuova procedura di selezione del personale che impedisca l’ingresso in azienda in futuro di soggetti demotivati, disturbatori, inefficienti, prevenendo la creazione di climi interni non produttivi e le cadute di competitività.

Leva risolutiva sociale

È finalizzata alla crescita dell’immagine individuale o aziendale, agendo sulla rimozione di fattori negativi e sulla instaurazione di fattori positivi. È costituita da prodotti/servizi/prestazioni che forniscono elementi utili all’eliminazione di stati di disagio sociale provenienti da un’immagine esterna esistente non gradita o insufficiente. Es: un piano di immagine coordinata per la ricostruzione di un’immagine aziendale debole o minata da eventi negativi, oppure insufficiente rispetto a nuovi target elevati da raggiungere.

Leva omeostatica sociale

Mantiene un’immagine positiva. È costituita da prodotti, servizi e prestazioni finalizzati al mantenimento di quei fattori che attualmente stanno “funzionando” dal punto di vista dell’immagine esterna. Es: un piano di pubbliche relazioni per mantenere buoni rapporti esistenti con la comunità. O ancora, un piano di fidelizzazione sul cliente attuale già soddisfatto. Questa leva, come ogni leva omeostatica, contiene anche componenti anticipatorie.

Leva anticipatoria sociale

Previene il peggioramento o la caduta dell’immagine. È costituita da prodotti/servizi/prestazioni che impediscono l’insorgere di condizioni di grave minaccia per l’immagine esterna dell’individuo o dell’organizzazione. Es: per un’impresa, un piano di crisis communication (comunicazione in stato di crisi) per l’impostazione e la predisposizione di procedure rapide ed efficaci, qualora si determinassero evenienze particolarmente negative  sul piano dell’immagine (incendi, esplosioni nella fabbrica, inquinamenti, scandali, boicottaggi di prodotto, gravi danni derivanti dal prodotto, inquisizione di dirigenti, scioperi e tumulti). Ed ancora: un piano di comunicazione interna in caso di sciopero improvviso o evento atmosferico imprevisto in un grande aeroporto (gelata della pista), che contenga forti elementi di comunicazione e servizio e prevenga il disagio del cliente; un piano di comunicazione che permetta, nel più breve tempo possibile, di arrestare il flusso di auto verso un’autostrada in cui sia avvenuto un incidente, evitando imbottigliamenti e ulteriori incidenti; un piano di soluzioni comunicative pronte in caso di caduta dei titoli azionali, tarato sulle diverse cause probabili, da inviare istantaneamente ai maggiori azionisti, prima che i “rumors” distruggano il titolo.

Leva risolutiva del self

Elimina i fattori che impediscono alla persona di autorealizzarsi o avere stima di sé. È costituita da prodotti/servizi/prestazioni che hanno la proprietà di rimuovere le condizioni o barriere negative che ostacolano il raggiungimento del Sé ideale e l’autorealizzazione. 

Esempi: eliminare un grave difetto di personalità che sbarra il passo alla capacità di apprezzare il gusto della vita; imparare a comunicare pienamente; lavorare sulle inibizioni e freni che rallentano il raggiungimento del proprio potenziale; smettere di frequentare una persona o una compagnia che limita le proprie capacità autorealizzative. Per un manager, lavorare attivamente sulle proprie capacità comunicative, di ascolto attivo, e identificazione degli obiettivi, tramite formazione specialistica, per sentirsi maggiormente autorealizzati nel proprio ruolo professionale. Oppure ancora, se analizziamo il caso di un imprenditore insoddisfatto della propria azienda, un piano di vision building può assumere la funzione di risolvere il senso di impotenza, ridare fiducia e speranza nel futuro. 

Altri esempi possono riguardare, a livello personale – l’acquisto di una vacanza o di un libro da cui trarre ispirazione interiore e crescita culturale –  in un momento di caduta di ideali o di scarsa motivazione.

Leva omeostatica del self

Mantiene elevato il livello di senso di autorealizzazione e stima di sé, agisce sul mantenimento degli elementi positivi che la persona ritiene di possedere già. È costituita da prodotti/servizi/prestazioni che forniscono elementi utili alla salvaguardia delle condizioni attuali di vicinanza al Sé ideale dell’individuo o dell’organizzazione. Es: una vacanza aziendale nella quale vengano mantenuti saldi i legami e la coesione del gruppo; un programma di consolidamento dell’identità aziendale (Corporate Identity Program); un programma di formazione finalizzato al rafforzamento e consolidamento della motivazione e delle competenze proprio quando le cose vanno bene e l’azienda può permetterselo. Anche in quest’ultimo caso è evidente la compresenza di una leva anticipatoria.

Leva anticipatoria del self

Previene la caduta o peggioramento della stima di sé e del senso di autorealizzazione. È costituita da prodotti/servizi/prestazioni che impediscono l’insorgere di condizioni in grado di allontanare l’immagine dell’individuo o organizzazione dal Sé ideale. 

Esempi: evitare l’incontro con persone che sviliscono i risultati ottenuti e generano una caduta del morale; una vacanza per prevenire cadute di automotivazione; prodotti e servizi anti-invecchiamento (prodotti medici, sportivi, farmaceutici, alimentari, estetici, ecc.., che fanno leva sulla paura di invecchiare); diagnosi dei climi organizzativi aziendali per identificare scostamenti motivazionali, diagnosi delle competenze professionali del personale, finalizzata ad anticipare i bisogni di futuri, prevenendo cadute di autostima.

La natura multipla delle funzioni di prodotto

Possiamo identificare nel prodotto una funzione tecnica primaria (il motivo originario utilitaristico di esistere del prodotto) e diverse funzioni indotte, ovvero significati sociali e poteri di prodotto creati in base a convenzioni collettive e rafforzate dalla comunicazione pubblicitaria. Ad esempio, la funzione primaria dei telefoni portatili è quella di comunicare a distanza. Le funzioni indotte possono essere veicolate dalla comunicazione pubblicitaria e dal discorso sociale tramite messaggi del tipo:

  • Il telefono cellulare ti farà lavorare meglio e aumenterà la tua produttività e i tuoi guadagni: leva sul bisogno di sopravvivenza;
  • il telefono cellulare è indispensabile in caso di emergenza (guasti della macchina su strade isolate, ecc..): leva sul bisogno di sicurezza;
  • con il telefono cellulare potrai darti più importanza e sarai più apprezzato: leva sul bisogno di immagine sociale (presupposto: “una ragazza alla moda oggi non può non avere il telefonino, vorrebbe dire che nessuno la cerca o che non ha una vita sociale”);
  • il telefono cellulare è per gli uomini “arrivati”: leva sul bisogno di autorealizzazione.

Oppure:

  • acquisto la lampada abbronzante per la salute della pelle (elimina i brufoli) – motivazione apparente e funzione primaria, ma in realtà….
  • acquisto la lampada abbronzante per avere un aspetto più sano, elitario, piacere di più agli altri (leva sulla funzione sociale e di immagine esterna) e aumentare la mia attrattività sessuale, o …..
  • acquisto la lampada abbronzante per piacermi di più quando mi guardo allo specchio, vedermi in forma (leva sul Self), non vedermi grigio o deperito, e quindi per sentirmi meglio.

Indipendentemente dal motivo della scelta, ciascuna persona (negli acquisti individuali) attinge dalle proprie disponibilità economiche per soddisfare qualche tipo di bisogno o leva, tra le 15 sopra esposte.

Allo stesso tempo, qualsiasi acquisto aziendale può essere ricondotto ad una delle 15 tipologie, che costituiscono i moventi sottostanti l’acquisto. Ad esempio, l’acquisto di un nuovo robot industriale può avere come motivazione di base il timore di non essere più competitivi sui costi in un prossimo futuro, e fare leva sulla sicurezza (leva anticipatoria di sicurezza).

Ciascuno decide di distribuire le proprie risorse per rispondere a bisogni collocati in diverse tipologie. Dal punto di vista psicologico, è necessario inquadrare come le risorse vengono distribuite, essendo esse limitate.


[1] Valutazione comparativa di prestazioni con particolare attenzione alle prestazioni dei più diretti concorrenti e delle aziende leader.

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Le parole chiave di questo articolo La combinazione di bisogni e leve persuasive nella vendita sono :

  • Leve persuasive temporali
  • Leva omeostatica di sopravvivenza
  • Leva risolutiva di sopravvivenza
  • Leva anticipatoria di sopravvivenza
  • Leva risolutiva di sicurezza
  • Leva omeostatica di sicurezza
  • Leva anticipatoria di sicurezza
  • Leva risolutiva ambientale
  • Leva omeostatica ambientale
  • Leva anticipatoria ambientale
  • Leva risolutiva sociale
  • Leva omeostatica sociale
  • Leva anticipatoria sociale
  • Leva risolutiva del self
  • Leva omeostatica del self
  • Leva anticipatoria del self
  • Funzione tecnica del prodotto
  • Funzione indotta del prodotto
  • Scala di maslow

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Bisogni umani e leve di vendita

L’uomo non è solo macchina riproduttiva o una somma di cellule biologiche, ma dispone di una coscienza che gli permette di fare ragionamenti profondi su se stesso, sul significato della vita, sul senso dell’esistenza.

La riflessione antropologica ha evidenziato due prime classi di bisogno: i bisogni relativi alla sopravvivenza biologica e i bisogni culturali.

Il primo tipo di valori è chiamato dalla psicologia sociale moderna con il termine di valori acquisitivi, e sono finalizzati alla garanzia della possibilità di sopravvivere “materialmente” e di mantenere adeguatamente l’unità della famiglia. Il secondo tipo di valori, che si possono riassumere nel concetto generale di libertà, sono quelli relativi ai vari modi di autorealizzarsi e di esprimersi creativamente, come personalità autentiche, nei diversi campi della vita. (Tullio-Altan, 1983)

Queste due diverse esigenze creano un delicato equilibrio – tra bisogni di sicurezza e bisogni di libertà, tra aspirazioni alla propria autorealizzazione ed esigenze contingenti, basilari, di sopravvivenza di se stessi e della famiglia – un equilibrio che nelle società moderne non è stato ancora trovato.

Piramide di Maslow e implicazioni sulle pulsioni di acquisto

Stante la centralità del concetto di bisogno nel comportamento di acquisto, diviene necessario elaborare una teoria dei bisogni adeguata. 

Lo psicologo Abrham Maslow ha realizzato una utile classificazione delle gerarchie di bisogno e motivazione, nota come piramide di Maslow, che comprende 5 classi[1]:

  1. motivazioni su base fisiologica;
  2. motivi di sicurezza, di ansia/aggressione;
  3. amore e senso di appartenenza;
  4. autostima e prestigio;
  5. autorealizzazione e successo.

In base a questa scala Maslow afferma che, una volta soddisfatti i bisogni di livello inferiore (fisiologici), l’individuo sia portato a spostare la propria attenzione su livelli sempre superiori, fino ai bisogni di autorealizzazione e successo.

Abbiamo rielaborato questa scala, con alcune modificazioni, per costruire un modello finalizzato al marketing, identificando 5 tipologie, che rispetto al modello originale sviluppano alcune differenze. 

La più forte di queste variazioni consiste nel dividere nettamente i bisogni d’immagine interna (autoimmagine) dai bisogni di immagine esterna (immagine sociale). Questo è necessario per meglio categorizzare i relativi prodotti e il loro “appeal” per il cliente.

Bisogni di sopravvivenza

Alla base della classificazione si collocano i bisogni essenziali di sopravvivenza, cioè i bisogni fisiologici come bere, mangiare, riposare – i quali, se non soddisfatti, portano alla morte nel breve periodo. I prodotti che fanno leva su tale bisogno costituiscono i prodotti primari.

Bisogni di sicurezza

Soddisfatti i bisogni di sopravvivenza, i bisogni ulteriori sono quelli di sicurezza, di protezione dalle insidie della natura e dagli uomini, quindi la casa, l’abbigliamento, la difesa del proprio nucleo familiare, trovare una fonte stabile di sostentamento economico. Numerose tipologie di prodotto – dalle assicurazioni alla casa assumono “funzione protettiva” per il consumatore. 

Bisogni ambientali

Si manifestano nella necessità di avere un ambiente di vita (persone, spazi fisici) favorevole e non ostile. Ad esempio, abitare in una casa confortevole, avere un vicinato piacevole, lavorare in un luogo nel quale ci si trovi bene in termini di spazi e persone. 

I prodotti a valenza “ambientale” possiedono quindi la proprietà di migliorare la qualità degli ambienti – fisici e psicologici – nei quali il consumatore vive. 

Nel metodo ALM abbiamo diviso i bisogni ambientali in due categorie: bisogni ambientali fisici (temperature, aria, calore, umidità, spazi sufficienti al movimento, luoghi di vita e lavoro, ecc..) e bisogni ambientali psicologici (i climi organizzativi sul lavoro, gli ambienti umani e relazionali, lo stare bene in famiglia o con gli altri, con i propri vicini o amici).

Bisogni sociali

Consistono nella necessità di vedersi riconosciuti socialmente, vedersi accettati dagli altri, proteggere la propria “faccia”, acquisire potere e immagine presso gli altri, in particolare presso i propri gruppi di riferimento (ingroup). I prodotti “status symbol” hanno la proprietà di avvicinare l’immagine dell’individuo all’immagine da esso desiderata presso gli “altri”, soprattutto in termini di status socioeconomico.

Nella quarta classe, Maslow include anche la funzione di autostima, mentre nell’approccio ALM essa è stata da noi spostata all’ultimo gradino della piramide, per meglio evidenziare la differenza tra (1) prodotti con potere di auto-immagine (azione su se stessi), i quali hanno l’obiettivo di modificare o migliorare  l’immagine di sè, e (2) prodotti con funzione di etero-immagine (azione sugli altri), i quali vengono acquistati con l’obiettivo di elevare o modificare l’immagine che gli altri hanno dell’individuo.

Bisogni di autorealizzazione o del “Self”

Esprimono la necessità di avvicinarsi al proprio ideale di se stessi, all’immagine di sé ideale (ideal self image). 

Al centro di questi bisogni si collocano concetti come divenire “il meglio di se stessi”, star bene con il proprio io, auto-accettarsi, e quindi avvicinare la propria immagine alle aspirazioni e ideali del soggetto. 

Prodotti con funzione “autorealizzativa” possiedono  la proprietà di facilitare questo percorso di avvicinamento al sè ideale, sviluppando l’auto-immagine.

Priorità nella soddisfazione dei bisogni

La priorità nella soddisfazione dei bisogni, in via generale, parte dai livelli di base per giungere ai livelli più elevati man mano che i bisogni di base sono soddisfatti. Questa priorità influisce sui budget mentali degli individui, definendo l’allocazione di risorse che i consumatori sono disposti a realizzare. I budget mentali possono essere infatti considerati i meccanismi di pensiero con i quali i soggetti designano la ripartizione delle proprie risorse.

La priorità sviluppata da Maslow, secondo cui i bisogni vengono soddisfatti partendo dal livello più basso fino al livello superiore, subisce tuttavia uno stravolgimento sostanziale nelle società occidentali, in cui molti antepongono l’immagine esterna o l’autorealizzazione alla sicurezza o a bisogni più basilari. Ad esempio, preoccupandosi più di possedere un’auto d’immagine che non una casa propria, oppure dedicando molto tempo alle relazioni sociali e meno alla carriera.

Si assiste quindi ad uno scavalcamento di priorità che modifica sostanzialmente anche le modalità e priorità di acquisto, rettificando i budget mentali allocati alle diverse categorie di bisogno, con una tendenza a far crescere la quota allocata per bisogni immateriali (immagine e autorealizzazione).

Tipologia di bisogno e sensibilità al prezzo

Esistono evidenze che spingono a sostenere che il consumatore sia tanto meno sensibile al prezzo quanto più “alta” è la funzione del prodotto nella scala di Maslow modificata. 

In altre parole, prodotti con valenza autorealizzativa o di immagine vengono valutati e scrutinati meno analiticamente in termini di costo. 

Ad esempio, nel caso in cui un buyer aziendale (responsabile degli acquisti aziendali) debba rinnovare la dotazione di tute da lavoro nella fabbrica, egli analizzerà le diverse opzioni attentamente in termini di rispondenza a costi di mercato e tramite analisi comparative. La stessa persona utilizzerà criteri meno stringenti per l’abito da sposa della figlia, considerando le valutazioni sociali e la valenza emotiva del prodotto. 

Si suppone cioè che la psicologia di consumo occidentale sia molto analitica quando si tratta di acquisti “funzionali” e necessari, ma divenga meno razionale e attenta ai costi quando l’atto di consumo riguarda la propria immagine o l’autogratificazione. Questa ipotesi rende necessario uno spostamento del focus aziendale su come creare valore in termini di immagine e autorealizzazione.

Aggregazione di proprietà valoriali

Una domanda importante a questo punto diviene la seguente: le proprietà dei prodotti sono da attribuire ad un’unica categoria o possono esistere prodotti con funzione multipla? La creazione di valore può seguire due percorsi: la creazione di valore diffuso o la creazione di valore localizzato, cioè concentrato in una singola categoria. 

Percorsi di creazione del valore

  • Strategia diffusa
    Si prefigge di creare valore lungo una serie di molteplici leve e funzioni. Offre possibilità di coprire più bisogni contemporaneamente. Gli svantaggi consistono nell’aumento dello sforzo e diluizione dello stesso lungo più fronti.
  • Strategia focalizzata
    Si prefigge di convogliare tutte le energie progettuali lungo una (o poche) variabili, estremamente significative nella scelta.Ha il pregio di raggiungere picchi elevati di potere di soddisfazione sulle variabili critiche. Il rischio è elevato se si scelgono variabili errate.

I prodotti possono soddisfare contemporaneamente diverse tipologie di bisogno inserite nella scala di Maslow.

Nel mercato dell’auto, una autovettura qualsiasi soddisfa il bisogno di spostamento di un padre di famiglia, ma un’autovettura prestigiosa potrà soddisfare anche – contemporaneamente – il bisogno di affermare uno status, così come un’autovettura a forte connotazione sportiva potrà risolvere (almeno in parte) anche la necessità di avvolgere la propria immagine di un’aura dinamica, vincente e aggressiva. 

Nelle aree “alte” della piramide, si può notare come la funzione di consumo e fruizione di prodotto assuma connotazioni di “cerimonia di consumo” con funzione di ostentazione presso gli altri o anche presso sé stessi. 

Il prodotto può assumere una duplice valenza: (1) funzionale e (2) cerimoniale, al tempo stesso. Si pensi ad esempio alle modalità teatrali di fumare che alcuni mettono in atto, o al modo con cui un cocktail può essere bevuto in una discoteca, con funzioni di proiezione d’immagine.

Esistono quindi prodotti che dispongono di funzioni singole e prodotti che realizzano funzioni multiple.

La seconda legge del valore di prodotto

Siamo quindi in grado di formulare un secondo modello di valore del prodotto all’interno del metodo ALM, basato sulla numerosità dei bisogni risolti e sul grado di profondità risolutiva che il prodotto riesce a fornire. 

Nel modello, il valore proviene sia (1) dal numero di stati categorici di bisogno sui quali incide il prodotto, che (2) dalla forza o potere del prodotto nell’incidere sul singolo stato del bisogno, e (3) dalla rilevanza della categoria per il soggetto (priorità soggettiva della categoria di bisogno).

Un valore elevato di prodotto può essere ricercato sia :

  1. ampliando il numero di stati attaccati,
  2. aumentando le proprietà risolutive sul singolo stato di bisogno,
  3. convogliando le risorse per generare potere risolutivo sui tipi di bisogno prioritari per l’individuo.

Prodotti che incidono fortemente su un singolo stato saranno inferiori a prodotti che incidono fortemente su più stati (proprietà sommatoria del valore). 

Prodotti che incidono fortemente su uno stato critico saranno superiori a prodotti che agiscono su più stati di bisogno (elevata dotazione funzionale), ma con azione poco rilevante (proprietà localizzativa del valore).

Creare il valore dove conta

La seconda legge ci porta a riflettere ulteriormente sulla necessità di creare valore ed investire sui fattori realmente critici. Vediamo un esempio nel mercato del fitness (centri fitness, marketing sportivo). Se il cliente di un centro fitness valuta al primo posto l’ambiente sociale del club (persone simpatiche, possibilità di realizzare incontri con l’altro sesso, fare amicizie, socializzare) e al secondo posto la dotazione di attrezzi disponibile (pesi, macchine, attrezzature), un investimento nel fattore “creazione dell’ambiente sociale” avrà efficacia superiore rispetto ad un investimento in attrezzature.

Allo stesso modo, se in un lavoro si ricerca la crescita professionale, il valore di un’offerta lavorativa ad elevato potenziale di carriera sarà complessivamente più elevato di un’offerta meglio pagata ma dalle basse prospettive di crescita.

Lo stesso processo mentale si riscontra in ogni tipologia di scelta: l’assegnazione di priorità diverse e pesi diversi alle variabili di valutazione rappresenta una costante dei processi decisionali – seppure spesso inconscia. 

Come abbiamo sottolineato, dal punto di vista manageriale possiamo evidenziare due strade per la creazione del valore: (1) la strategia sommatoria – aggiungere caratteristica su caratteristica, proprietà su proprietà, riempiendo il prodotto di valore diffuso su tutti gli strati, oppure (2) la strategia localizzata. Una strategia localizzata si prefigge di concentrare le proprietà e gli attributi di prodotto su poche specifiche aree che possiedono, tuttavia, alta rilevanza per il cliente target (es: per un’auto, puntare tutto sulla sicurezza).

Il massimo valore creabile con un determinato budget, si potrà raggiungere concentrando lo sforzo progettuale di prodotto su diversi attributi pesanti rispetto alla categoria di rilevanza principale per il soggetto target, e aggiungendo un corollario di attributi a scendere lungo le priorità soggettive. 

In termini di impostazione strategica, questo significa, ancora una volta, creare soluzioni molto personalizzate, possibili solo grazie ad un’analisi in profondità della psicologia valoriale degli individui. 

Il coinvolgimento del consumatore e del cliente nella creazione di soluzioni, quindi, rappresenta un punto di partenza obbligato, e induce a rivedere il modello standard di comunicazione (dall’azienda al cliente) come insufficiente rispetto alle reali necessità di sviluppo aziendale. Il processo di creazione del valore richiede lo sviluppo di sistemi evoluti di ingresso della comunicazione (dal cliente all’impresa), feedback e comprensione dei meccanismi di priorità nelle scelte del cliente, che vanno ben oltre i semplici questionari o interviste realizzate da casalinghe o studenti universitari.

Da questa discussione emerge un ulteriore assioma della competitività.

Principio – Creazione del valore psicologico del prodotto

  • La competitività dipende dalla capacità aziendale di creare valore percepito nella propria offerta, sviluppando – singolarmente o addittivamente – le proprietà del prodotto relative ad uno o più bisogni sottostanti per il fruitore (bisogni di sopravvivenza, di sicurezza, ambientali, sociali e di immagine,  di autorealizzazione e Self-Image);
  • Il valore dipende da: (1) numero di categorie intaccate dal prodotto per (2) efficacia di intervento sulla specifica categoria, per (3) l’importanza o peso che il soggetto attribuisce alla specifica categoria intaccata (priorità soggettiva).

La conoscenza del tipo di argomentazione da utilizzare è necessaria per la corretta impostazione della tecnica di vendita. Inoltre, la formulazione della legge del valore categorico di prodotto può essere utilizzata per definire a priori il product concept: l’idea di prodotto da sottoporre a test di mercato.

Un ulteriore utilizzo della legge di valore categorico consiste nella sua possibilità di identificazione dell’argomentario di vendita, a due livelli:

  • Argomentario di vendita dell’immagine aziendale: i motivi per cui è interessante fare business con noi, cosa ci differenzia dagli altri, cosa ci rende un partner indispensabile, che contributo unico possiamo dare.
  • Argomentario di vendita del prodotto: quali bisogni risolve il prodotto, che caratteristiche tecniche e prestazionali lo differenziano dagli altri, che benefit possiede, che servizio e garanzie lo corredano, dove e perché è migliore della concorrenza.

[1] Maslow, A.H. (1954). Motivation and personality. New York, Harper. Trad it: Motivazione e personalità, Roma, Armando, 1977.

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Altre risorse online

Le parole chiave di questo articolo Le relazioni tra bisogni umani e comportamento d’acquisto sono :

  • Bisogni ambientali
  • Bisogni di autorealizzazione
  • Bisogni di libertà
  • Bisogni di sicurezza
  • Bisogni di sopravvivenza
  • Bisogni sociali
  • Bisogni umani
  • Budget mentali
  • Creazione di valore diffuso
  • Creazione di valore localizzato
  • Immagine di sé ideale
  • Legge del valore di prodotto
  • Piramide di Maslow
  • Processo di creazione del valore di prodotto
  • Pulsioni di acquisto
  • Soddisfazione dei bisogni
  • Stati categorici di bisogno
  • Valore categorico di prodotto
  • Valore psicologico del prodotto

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Interpretazione semiotica e valenza simbolica del prodotto

Oltre alla psicologia del prodotto, anche la semiotica del prodotto è in grado di fornire un contributo all’interpretazione di cosa accade nella mente del consumatore, tramite numerose tecniche di analisi. 

Alla base della dottrina semiotica si colloca il concetto di “segno”. Riprendendo uno dei principali semiologi mondiali, Umberto Eco (1987)[1], «è segno ogni cosa che possa essere assunto come un sostituto di qualcos’altro». 

Il segno, nel metodo ALM, costituisce un importante punto di riferimento concettuale. Ad esempio, rappresenta un segno aziendale la carta intestata, il logo, il packaging del prodotto (e questo è abbastanza evidente). Quello che dobbiamo sottolineare, è che anche la modalità di risposta telefonica, l’abbigliamento di un manager, lo stato d’uso di un’auto aziendale, o un quadro alla parete in un corridoio, possono assumere la funzione di “segno” per un cliente. Essi diventano “sintomi dello stato di salute aziendale”, veicoli da cui fuoriesce informazione sulla cultura aziendale e sulla potenziale qualità.

I segni vengono suddivisi in categorie in base alle diverse proprietà assunte:

  • Icone: hanno proprietà di rassomiglianza. Ad esempio una fotografia di un prodotto rappresenta un’icona del prodotto.
  • Indici: sono significati tramite relazioni causali. Ad esempio il fumo è indice di un incendio possibile. Un balbettio può indicare nervosismo durante una trattativa.
  • Simboli: stabiliscono convenzioni arbitrarie tra un significato e un’entità. A differenza delle Icone, non hanno una proprietà di rassomiglianza.  Ad esempio, una parola (non onomatopeica) per indicare un concetto.

In termini aziendali, questi concetti si prestano alla realizzazione di diversi tipi di analisi sviluppate nel metodo dall’autore:

  • Analisi iconica del prodotto/comunicazione: ha lo scopo di evidenziare correlazioni di rassomiglianza tra elementi visivi (ma anche provenienti da altri sensi) di un prodotto e sensazioni/ricordi provocate da questi elementi. Così come una fotografia di un prodotto rappresenta un’icona del prodotto, i fanali di alcune auto possono essere disegnati per ricordare, in qualche modo, gli occhi di un felino. Oppure, un abito può essere costruito in modo tale da ricordare l’abbigliamento di un guerriero, ed ancora un PC può essere costruito in modo tale da ricordare un oggetto fantascientifico.
  • Analisi indicale del prodotto/comunicazione: rappresenta l’analisi di tutto ciò che, nel prodotto o nella comunicazione d’impresa, possa essere utilizzato come “indicatore di”, segnale di qualcos’altro (es: una prestazione). Ad esempio, un marchio di qualità viene utilizzato per indicare una possibile qualità elevata. Una sede prestigiosa può essere utilizzata come indicatore di stabilità finanziaria. Una brochure raffinata può essere utilizzata come indicatore di cura dei dettagli.
  • Analisi socio-simbolica del prodotto: L’analisi socio-simbolica si prefigge di determinare le valenze sociali e culturali che correlano un prodotto, un suo elemento, o un modo di consumarlo, a dei concetti sociali, politici, a delle sfere di significati e valori riconosciuti all’interno di un gruppo. Un’analisi simbolica può determinare che valenza sociale assuma il possesso di un certo marchio di occhiali all’interno di un gruppo, quali connotazioni si leghino al suo possesso, cosa significhi per un ragazzo portare l’orecchino, che connotazioni assume la maglia sociale per i tifosi di un club, che implicazioni ha una certa capigliatura, quali inferenze sulla personalità del proprietario vengono svolte a seconda dell’auto posseduta, ecc. 

Nel campo informatico, è nota agli operatori del settore la querelle culturale e fortemente ideologica tra fautori dei sistemi Macintosh, Linux e sistemi Windows, in cui traspare simbolicamente tutta la lotta all’imperialismo, il mito di Davide contro Golia, la volontà di emanciparsi dai monopoli, che pervade certa cultura, dal Cyberpunk al mondo della grafica e della comunicazione. La semiotica sociale e culturale si presta all’analisi di queste dinamiche, e non solo come esercizi di stile. La comprensione delle dinamiche semiotiche del mercato permette di capire cosa vi sia alla base di fenomeni dalle enormi implicazioni economiche su scala mondiale, quali le lotte tra sistemi operativi e il controllo del mercato informatico, e di ogni altro mercato ove i marchi assumono valenze e simbologie sociali.

Codici comunicativi

Mentre per gli indici le associazioni sono comprensibili ed immediate (es: Rolls Royce indice di denaro, muscoli indice di forza, occhiaie indice di stanchezza), le interpretazioni dei simboli, essendo arbitrarie, devono essere concordate tra emittente e ricevente, costruendo un codice di comunicazione (sistema di regole che associa forme a significati), o ricorrendo ai codici di comunicazione già esistenti nella società. 

Ciascuna società, tuttavia, utilizza codici che sono frutto della sua storia e del suo passato, ed è quindi sbagliato pretendere o dare per scontato che i simboli funzionanti in una cultura funzionino anche in un’altra cultura. Le differenze culturali agiscono fortemente sulla comunicazione internazionale d’impresa, anche se le contaminazioni culturali tendono, nel corso del tempo, ad omogeneizzare alcuni codici di comunicazione internazionale.

Simboli aziendali ed anticipazione delle reazioni di mercato

Ciascun simbolo si presta a diversi livelli di lettura. È necessario quindi considerare la molteplicità di interpretazioni che, in chiave simbolica, qualsiasi elemento è in grado di assumere, e anticipare le possibilità di errore e devianza interpretativa che possono avvenire. 

Ricerche svolte dall’autore[2] hanno evidenziato che l’utilizzo di un logo aziendale (il simbolo di una mano aperta) può avere riflessi simbolicamente neutri per alcune culture, per altre culture può assumere significati negativi (nello specifico, una connotazione di “stop”), in altre ancora può produrre significati ancora più negativi. Ad esempio in Grecia il simbolo della mano aperta è un modo non verbale di offendere, di dire “sei stupido”, e un packaging che incorpora tale simbolo troverà ostacoli culturali molto forti in quel paese. 

In generale, in ogni nazione o area culturale esistono simbologie negative che le aziende devono attentamente evitare di inserire all’interno della propria comunicazione. Una nota casa di pneumatici ha dovuto ritirare dai mercati mondiali un suo prodotto il cui battistrada riproduceva sul terreno non asfaltato un disegno simile a versetti coranici. Questo è risultato molto offensivo per tutti i mercati in cui la religione islamica è dominante, e l’azienda si è vista costretta a ritirare il prodotto, fornendo inoltre scuse ufficiali.

Livelli di lettura del segno

La semiotica si occupa di analizzare i livelli di lettura dei segni. Possiamo infatti distinguere tra diversi livelli di interpretazione del segno o messaggio:

  • Sintattica: analisi della struttura del segno o messaggio;
  • Semantica: analisi dei significati;
  • Pragmatica: analisi di impatto, analisi degli effetti pratici del segno, cambiamento indotto dal segno sul ricevente, modificazioni di atteggiamento.

Ciascun livello di lettura ha una funzione specifica, e altrettanto specifiche implicazioni aziendali. Tra i ricercatori che più hanno approfondito gli studi di semiotica del prodotto e della comunicazione pubblicitaria, è necessario evidenziare i lavori di David Mick, pioniere nell’applicazione di metodi scientifici di misurazione dell’impatto semiotico della comunicazione di marketing (vedi Mick, 1986, 1989, 1991; Mick e DeMoss, 1990).

Vediamo più in dettaglio le peculiarità di questi diversi livelli di lettura della comunicazione aziendale, e più in generale del “segno” aziendale :

Livelli di lettura del segno :

Sintattica – Analisi della struttura del segno.

Ad esempio, 

  • analisi della struttura della frase pubblicitaria, 
  • analisi della composizione visiva di un quadro, 
  • analisi delle componenti visive di un packaging.

Semantica – Analisi scientifica dei significati del segno e delle sue componenti.

Ad esempio,

  • il colore rosso della Ferrari come simbolo di sportività nel mercato dell’auto;
  • il significato percepito in uno spot pubblicitario,
  • l’interpretazione di senso da dare ad una frase ambigua,
  • quale interpretazione dare ad un inatteso silenzio. 

La semantica è centrale nella fase di interpretazione corretta della comunicazione, la cui riuscita dipende dalla comunalità dei codici utilizzati.

Pragmatica – Analisi dell’effetto comportamentale ed impatto del segno.

Ad esempio,

  • Quali effetti pratici produce il segno sul ricevente? 
  • Quali reazioni comportamentali suscita il messaggio o il prodotto? Modifica opinioni e comportamenti o no?
  • che effetti concreti, pratici, reali, ha avuto una campagna di comunicazione antifumo?
  • come potrebbe reagire il mercato  ad un cambiamento di packaging (colori e forme)?

Altri problemi posti dalla semiotica sono dati dal livello di intenzionalità dei segni. Eco (1987)[3] sottolinea come alcuni comportamenti “appaiono capaci di significare anche se chi li emette non è cosciente di significare attraverso di essi”, e questo può dare luogo a una “commedia degli equivoci intessuta di arrière pensées, reticenze, doppi giochi e così via” (cfr Eco, 1973,[4]in Eco, 1987).

Ogni azienda deve rendersi conto di un dato di fatto: come sottolinea Watzlawick, non è possibile non comunicare. Ogni dettaglio, ogni parola, ogni elemento, proietta un’immagine, e incide sulle scelte del cliente.

Un ulteriore aspetto semiotico aziendalmente rilevante è dato dalle modalità di descrizione del segno, tra cui l’analisi denotativa e l’analisi connotativa.

L’analisi connotativa richiede l’utilizzo di frame interpretativi (angoli di osservazione valoriali e sociali del prodotto). A seconda del punto di osservazione semiotico, infatti il prodotto diviene “segno” di un insieme di relazioni tra oggetti sociali. La pelliccia può divenire “segno” dell’appartenenza ad una classe agiata o di aspirazione ad appartenervi. Questo segno assume una valenza positiva o negativa in funzione del frame interpretativo adottato: un frame alto-borghese porterà alla decodifica della pelliccia come oggetto di classe e distinzione. Un frame ambientalista porterà ad una decodifica della pelliccia come sinonimo di superficialità del proprietario. Inoltre, connoterà in esso il possesso di valori antisociali, consumistici, antiambientalistici. 

È il frame di osservazione, in altre parole, che determina il giudizio del prodotto e il suo luogo all’interno dei valori e significati del soggetto.

Mentre l’analisi denotativa si prefigge la descrizione “oggettiva”, non valutativa, dei contenuti manifesti del prodotto o del messaggio, l’analisi connotativa si prefigge di stabilire le associazioni di significato legate al segno. 

Macro-tipologie di analisi semiotica

Analisi denotativa

  • Descrizione oggettiva dei contenuti del segno.
  • Analisi avalutativa, asettica, puramente descrittiva.
  • Analisi degli elementi fisicamente percepibili nell’immagine o nel segno in generale.

Es: descrizione di una fotografia, porzione per porzione, frame-by-frame, identificando gli oggetti presenti e la loro posizione nello spazio; analisi descrittiva delle componenti grafiche e dello schema-colori di un sito web aziendale.

Analisi connotativa

  • Descrizione dei significati che il segno e i suoi elementi assumono nel contesto culturale, sociale e simbolico dell’emittente e/o del ricevente
  • Analisi che fa riferimento a strutture sociali,  schemi culturali, valori, associazioni simboliche, proiezioni nel vissuto personale o sociale.

Es: analisi del significato che una pelliccia assume all’interno di una fotografia di moda; analisi del ruolo e significati di una sequenza di azione all’interno di uno spot; analisi del significato simbolico di un rifiuto; analisi delle espressioni facciali come segnalatori di stati emotivi.

Definire la funzione semantica del prodotto permette di capirne il suo significato sociale e simbolico, i vincoli e le barriere che esso può incontrare, i motivi di accettazione e rifiuto che esso incontra sul mercato. 

Principio  – Carica simbolica  – loading semantico del prodotto

  • Gli effetti pragmatici (vendite, reazioni del mercato) derivano dalla capacità di definire le componenti sintattiche del prodotto (forme, strutture, e caratteristiche) e le componenti semantiche (valenze culturali e valoriali, simbolismi ed associazioni).
  • Il valore del prodotto aumenta al crescere della carica simbolica che esso assume.

[1] Eco, U. (1987). Trattato di semiotica generale. Milano: Bompiani.

[2] Daniele Trevisani (1991). Corporate Symbols and Corporate Image. University of Florida.

[3] Eco, U. (1987). Trattato di semiotica generale. Milano: Bompiani.

[4] Eco, U. (1973). Il segno. Milano: Isedi.

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Altre risorse online

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