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Bassa autostima. Cosa è e come fare per superarla

La bassa autostima è un’immagine di sè stessi distorta e negativa. Lavorando con il training mentale e mental coaching è possibile ripristinare un equilibro sano e trovare il modo per risolverla: la piena accettazione di sè. Per farlo tuttavia serve un buon lavoro di coaching e di counseling anche integrato con il lavoro di psicoterapia svolto da professionisti associati e certificati.

Vuoi un consulto preliminare con il dott. Daniele Trevisani? Compila questo form e avremo cura di contattarti e soprattutto trovare una soluzione che porti il migliore risultato possibile sul problema di bassa autostima con interventi congiunti tra formazione, coaching e psicoterapia con i nostri professionisti associati.

bassa autostima mental coachBassa autostima. I diversi tipi di immagine di sé (self-image) e le distorsioni percettive

Il dramma del Divario Fondamentale tra chi siamo e chi vorremmo essere apre una grave problema di consapevolezza (e inconsapevolezza) su cosa sia necessario cambiare. Infatti, senza una visione chiara – guidando con un parabrezza completamente appannato – rischiamo di andare contro un ostacolo. Se poi i nostri sensi sono annebbiati, il rischio è ancora più grave. Nessuno – nei percorsi educativi classici (scuola, università) – aiuta seriamente le persone a fare focusing, depurarsi da credenze dominanti, cercare e creare un proprio percorso.

Parabrezza oscurati e alcool nel sangue non sono nulla rispetto alla mancanza di autocoscienza media su cosa e come sia necessario cambiare per migliorare sé stessi e gli altri. Nelle aziende questo non è diverso, ma anzi peggiora. Ma come sviluppare autocoscienza e uscire dalle oscurità?

Una delle possibili strade è la comparazione tra diversi livelli di immagine percettiva. In un sistema d’immagine corretto, le diverse immagini da latenti diventano consapevoli, gli autoinganni si riducono e la realtà si fa più chiara.

Lo schema seguente espone cinque tipi di identità/immagini diverse (da noi identificati in ALM3[1]), che producono un sistema di distanze a vari livelli.

Le tipologie di identità/immagine da noi identificate sono presenti sia nel singolo individuo che nella sfera aziendale:

Immagini/identità a livello individuale
1.        Real Self: Realtà oggettiva del Sé

Come sono realmente io, quali sono i miei veri pregi, i miei difetti, le mie abilità, le mie lacune, le mie dissonanze, come e cosa comunico realmente.

2.        Self Image: Immagine di sé

Come io vedo me stesso, come penso di essere, come penso di comunicare, quali sono i pregi, difetti, abilità e lacune che credo di avere (“credo”, non necessariamente ho).

3.        Ideal Self Image: Immagine del Sé ideale o immagine obiettivo

Come vorrei essere, come vorrei comunicare, quali sono i miei desideri di abilità e competenze, gli atteggiamenti e punti di forza che vorrei possedere.

4.        Immagine del Sé ipotizzata

Come penso gli altri mi vedano; come credo di essere visto dagli altri (credenza soggettiva, non dati di fatto).

5.        Immagine personale etero-percepita

Come gli altri mi vedono veramente, come valutano la mia comunicazione, il mio modo di essere, i miei comportamenti, atteggiamenti, abilità e lacune.

[1] Vedi ALM3: Trevisani D. (2003), Comportamento d’acquisto e comunicazione strategica, FrancoAngeli, Milano.

Bassa autostima e mental coaching per l’autostima

La bassa autostima può essere affrontata tramite l’uso congiunto di

  • tecniche di visualizzazione per l’autostima
  • colloquio con psicoterapeuti centrato sulla persona
  • ristrutturazione cognitiva dell’immagine di sè
  • sviluppo di obiettivi di crescita personale realizzabili

Approfondimento sull’autostima (ns. rielaborazione su fonte Wikipedia)

L’autostima è il processo soggettivo e duraturo che porta il soggetto a valutare e apprezzare se stesso tramite l’autoapprovazione del proprio valore personale fondato su autopercezioni. La parola autostima deriva appunto dal termine “stima“, ossia la valutazione e l’apprezzamento di sé stessi e degli altri.

Dimensionalità dell’autostima

Il nostro senso di autostima deriva da elementi cognitivi ovvero il bagaglio di conoscenze di una persona, la conoscenza di sé e di situazioni che vengono vissute dal soggetto; elementi affettivi che vanno ad influenzare la nostra sensibilità nel provare e ricevere sentimenti, che possono essere stabili, chiari e liberanti; elementi sociali che condizionano l’appartenenza a qualche gruppo e la possibilità di avere un’influenza sul gruppo, di ricevere approvazione o meno dai componenti di quest’ultimo.

L’autostima ha la caratteristica fondamentale di essere una percezione prettamente soggettiva e, in quanto tale, non stabile nel tempo ma dinamica e mutevole. Il senso di autostima deriva principalmente dalle relazioni che ogni persona interiorizza e rielabora, sia le relazioni che vanno verso noi stessi che quelle interpersonali. Da questo deriva il fatto che le persone influenzano in continuazione il loro senso di autostima e a loro volta sono influenzate da esso.

Studi sull’autostima

Nei vari anni in campo psicologico sono stati portati avanti numerosi studi sull’autostima, un esempio tra questi è la ricerca di William James (1842/1910) il quale definisce l’autostima come rapporto tra sé percepito e sé ideale; il primo è la considerazione che un individuo elabora su di sé in base alle caratteristiche che dal suo punto di vista sono presenti o assenti all’interno della sua vita, il sé ideale è invece l’idea di come vorrebbe essere e del modello di vita che sta prendendo in considerazione.

Secondo lo studioso la persona percepisce bassa autostima nel momento in cui il suo sé percepito non riesce a raggiungere il livello del suo sé ideale e quanto più grande è la discrepanza tra i due, tanto più nasce in un soggetto insoddisfazione (nel caso in cui il sé percepito sia di gran lunga minore) e alto senso di potere e successo (quando il sé percepito supera di molto il sé ideale).

Si può arrivare a dire che secondo James il senso di autostima derivi dal rapporto tra successo e aspettative, infatti senza dubbio la maggior parte dei fattori che va a condizionare la creazione del personale livello di autostima discende dai risultati/esiti delle prove che siamo chiamati ad affrontare quotidianamente nella vita.

Bibliografia

  • A. Bandura, Autoefficacia. Teoria e applicazioniEdizioni Erickson, Trento, 2000.
  • M. Menditto, Autostima al femminile, Edizioni Erickson, Trento, 2004. ISBN 9788879465786
  • M. Miceli, L’autostima, Il Mulino, Bologna, 1998.
  • E. Giusti, Autostima. Psicologia della sicurezza di sé, Sovera Edizioni, Roma, 1995.
  • N. Branden, I sei pilastri dell’autostima, TEA, Milano, 2006. ISBN 978-8850210466

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Copyright. Articolo estratto dal libro “Il Potenziale Umano. Metodi e Tecniche di Coaching e Training per lo Sviluppo delle Performance” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

L’essere umano ha una propria economia energetica globale, un insieme
di equilibri delicati dal quale emerge il suo grado di “potenza” complessiva,
la capacità di affrontare casi, azioni, sfide, problemi piccoli, grandi, semplici
o complessi, dominandoli, o – in caso contrario – essendone schiacciati.
L’alchimia delle intere energie personali è decisamente complessa.
Anche i distretti locali del sistema umano hanno una propria economia
locale. Possiamo esaminare non solo il tutto, ma anche specifiche parti.
L’economia energetica riguarda sia i macro-distretti (es.: fisico e
mentale) sino, scendendo di scala, a toccare micro-economie molto
specifiche.
Esistono economie locali nei distretti fisici, come una spalla, un
ginocchio, lo stomaco, e ogni altro organo.
Lo stesso per le economie legate alle competenze mentali, come la
concentrazione o la lucidità decisionale. La mente ha proprie economie
generali che la portano a funzionare bene o male, così come economie in
specifiche aree cognitive, es., la creatività. Ciascun distretto (sia corporeo
che cerebrale) è inoltre un sistema aperto, e risente dei distretti con cui
interagisce. Il complesso delle energie individuali è quindi articolato e si
connette alle performance che la persona può o meno generare.
Ogni organo vive di risorse esauribili, ha proprie capacità di tenuta e
propri punti di stress e di rottura, che non possono essere ignorati. Ad
esempio, in reumatologia si studia il concetto di “economia articolare”, cioè
l’“economia dell’articolazione” 3 . Ogni zona del corpo, come un ginocchio, ha una sua economia locale, e possiamo chiederci quanto una persona può correre
senza infiammarlo, che attività fisiche lo irrobustiscono o invece lo
danneggiano, che tipo di nutrienti servono per tenerne in buono stato la
cartilagine, e ancora come alzare un oggetto pesante senza danneggiarlo.
Chiedere alle persone di dare performance senza studiare (1) lo stato delle
economie energetiche complessive, e, (2) le economie locali più direttamente
coinvolte nella specifica prestazione, è come chiedere ad un cavallo di
correre senza controllare se ha mangiato o se ha gli zoccoli. Vuol dire
fregarsene e spremerlo per poi gettarlo, e questa non è la nostra filosofia.
Non siamo nemmeno dell’idea che sia bene massaggiare il cavallo per un
anno in attesa che abbia voglia di correre (buonismo inutile), ma non
riteniamo nemmeno utile o giusto frustarlo per spremere sino all’ultima
energia di riserva. Ciò che serve è strategia allenante attenta.
L’approccio è quello del rimuovere (1) ipocrisie e buonismo, (2)
aggressività inutili, e (3) improvvisazione.
Per lavorare tecnicamente alle performance attese, dobbiamo coltivare lo
sviluppo personale e la condizione energetica, rispettando sia la sacralità
della persona che la sacralità dell’obiettivo.
Cambiare comportamenti, studiare attentamente lo stato di un distretto
fisico e/o mentale, tenerne conto nel proprio stile di vita, permette di gestire
meglio le energie e la condizione sia del distretto che dell’intera attività
personale.
Ottimizzare l’“economia specifica” dei distretti fisici, ridurre al minimo
traumi o danni, permette di ampliare la possibilità operativa delle persone.
Specifiche ricerche dimostrano come tenendo conto delle economie locali e
ottimizzando i gesti e comportamenti sia possibile permettere di tornare a
lavorare o ad allenarsi anche per chi ha avuto traumi. Questa attenzione alle
energie ed economie, locali e complessive, va estesa ben oltre il fronte della
malattia.
Lo stesso ragionamento “per distretti” tocca anche le economie del
funzionamento mentale e cognitivo. Ad esempio, abbiamo una “economia
delle capacità decisionali”, una “economia dell’ansia”, e ancora una
“economia dell’attenzione”, o una “economia delle capacità relazionali”. Se
parliamo tanto e forzatamente per lavoro, ci accorgiamo di non avere più voglia di parlare di lavoro magari in pausa, e vorremmo evitare altre attività
relazionali obbligate. Questo ne è un esempio.
Tocchiamo con mano i livelli energetici ogni volta che una variabile
viene chiamata in azione, ad esempio, per l’economia dell’attenzione, ne
constatiamo l’esistenza ogni volta che un relatore sale sul palco o un docente
insegna, e notiamo per quanto riusciamo a rimanere attenti.
Se non abbiamo dormito da giorni o abbiamo un forte mal di denti, o mal
di testa, non avremo capacità di attenzione, la nostra economia ne sarà stata
deprivata, le nostre energie saranno svuotate o assorbite da altro.
Ed ancora, incideranno le abilità del docente, l’interesse per il tema, in un
rapporto mutevole e con equilibrio dipendente da molte variabili.
Il messaggio finale, anche in un contesto introduttivo come questo, è che
– per lavorare seriamente al potenziale umano e delle organizzazioni –
occorre la capacità di spostare il livello di analisi dal micro al macro, e
viceversa, con una forte capacità di zoom, uno stretching mentale che è esso
stesso lavoro allenante e formativo.

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Altri materiali su Comunicazione, Ascolto, Empatia, Potenziale Umano e Crescita Personale disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Copyright. Articolo estratto dal libro “Il Potenziale Umano. Metodi e Tecniche di Coaching e Training per lo Sviluppo delle Performance” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Chiedersi qual è il proprio potenziale e quanto di esso abbiamo esplorato
o raggiunto non è una domanda banale.
Questo accade in alcuni particolari momenti della vita in cui diventa
importante per noi realizzare qualcosa, migliorare, ed esprimerci.
Quando questo accade, un sentimento dentro di noi cambia. Dalla realtà
esterna iniziamo a spostare l’attenzione verso la realtà interna.
Ci poniamo domande, alcune di queste possono fare male, altre aprire
nuovi orizzonti, ma non importa, poiché esse ci mettono positivamente in
discussione. Nessuna domanda è inutile quando ragioniamo sul senso e sul
significato di chi siamo e cosa vogliamo, quando ci chiediamo se e come
vorremmo costruire qualcosa di cui essere fieri (una prestazione, o un
contributo agli altri o ad una causa), o semplicemente essere diversi o
migliori.
Per molti l’esito di una maggiore attenzione al potenziale personale è il
desiderio di esplorarlo, o lasciare un segno, iniziare progetti, potersi guardare
alle spalle ed essere fieri di come abbiamo vissuto, di quello che siamo e
siamo stati, e dare un messaggio positivo a chi ci seguirà nel viaggio della
vita. Per altri invece tutto rimane bloccato in una ruminazione mentale
ininterrotta e auto-distruttiva. Le energie bloccate corrodono e distruggono
anziché produrre e generare benessere, forza vitale, amore e passione.
La differenza tra i due risultati (crescita e sviluppo vs. ruminazione
mentale negativa) sta nell’avere un modello e un supporto che aiuti a
individuare meglio i traguardi, e i percorsi da intraprendere per arrivarci.
Insuccessi, cadute, blocchi, errori, fanno parte integrante di questo
viaggio, ma il loro accadere non ne sposta minimamente il valore.
Ciò che differenzia un uomo da un sasso è che lo “stare compressi”,
sepolti, essere trasportati senza chiedersi dove, o rimanere pressati e
immobili, è accettabile per il secondo ma non per il primo.

L’uomo ha un bisogno intrinseco di “volare”, di esprimersi, di
“ricercare”, di dare senso alla propria vita, e persino ad ogni propria singola
giornata o azione.
Chi nega questo bisogno di espressione e crescita applica uno dei
meccanismi psicologici più autodistruttivi che esistono, individuato in
letteratura come self-silencing: autosilenziarsi, uccidere le proprie
aspirazioni, mettere il tappo ai propri sogni, smettere di credere in qualcosa,
pensare che tutto sia inutile, che non valga la pena, che le difficoltà sono
troppe, o il mondo in fin dei conti sia sempre andato così.
Bugie. Bugie che ci raccontiamo per non entrare (giusto per usare un
altro termine tecnico) in “dissonanza cognitiva”, la condizione di disagio che
incontriamo quando ci rendiamo conto che qualcosa nella nostra vita non sta
andando come vorremmo, o che potremmo essere migliori o semplicemente
diversi. Coltivare il potenziale umano è invece un momento di liberazione.
Esistono implicazioni anche sul piano medico: quando una persona è
priva di energie mentali, o non ha più alcun valore o ideale a sorreggerlo, o
mancano le competenze per far fronte alla vita, il corpo soffre e può arrivare
ad ammalarsi.
Desiderare di progredire, porsi domande, “chi, cosa, dove, con chi,
perché”, è un obiettivo o passaggio inevitabile per ogni anima sensibile.
Dare impulso al viaggio della vita ha sempre senso. Ne può avere sia che
si desideri unicamente una propria evoluzione personale, o che invece il
percorso sia finalizzato al percorso professionale e aziendale.
Entrambi i viaggi hanno spessore e valore. Ambedue sono degni di
attenzione e di supporto, perché una persona ferma e spenta non è utile a
nessuno, così come non è utile avere imprese e team incapaci e demotivati.
I team più forti del mondo, e i più grandi campioni di tutti i tempi in ogni
disciplina, o i più grandi pensatori della storia, sono tali perchè continuano a
porsi domande e non sfuggire” il richiamo della natura”, la pulsione
ancestrale che ci parla di evoluzione, che ci spinge a progredire, ad essere
migliori.
Senza un modello che ci aiuti a trovare le direzioni di crescita, il nostro
sforzo può risultare nobile ma vano. Si corre, ci si affanna, si investono
tempi ed energie, ma spesso senza una buon mappa di orientamento. Il
risultato è un’enorme dispersione.
Un buon modello, invece, aiuta a trovare più rapidamente la strada. Se un

un modello non offre stimoli, indirizzi e orientamenti, risulta completamente
inutile, come orientarsi in una mappa sbagliata o capovolta.
Un modello del potenziale umano, inoltre, può essere utilizzato in
progetti concreti di business coaching, di consulenza, di training aziendale,
di coaching sportivo, ma anche nel counseling, nei corsi di leadership, nella
formazione.
Da quando esiste, l’uomo si sforza di costruire mappe per orientarsi e non
perdersi. Abbiamo mappe degli strati più profondi della terra, dei mari, del
cosmo, ma – stranamente – non ci vengono fornite mappe efficaci per
orientarci nel nostro sviluppo personale o nei territori inesplorati del
potenziale umano. Accompagnare le persone in questo viaggio è, per me, un
onore.

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Altre risorse online

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Il lavoro sul potenziale umano e sulle risorse umane

Le persone viaggiano per stupirsi delle montagne, dei mari, dei fiumi, delle stelle e passano a fianco a se stesse senza meravigliarsi

(Sant’Agostino)

Concetti fondamentali: la visione della persona come sistema energetico

Il metodo HPM deriva la propria sigla dal suo obiettivo primario, il Modeling, o “dare forma”, generare impulso, contributo e stimolo alla crescita della persona, dei team e delle organizzazioni.

Il metodo ha due distinte sfere di applicazione, tra di loro collegate:

  • crescita del potenziale umano: Human Potential Modeling, e
  • sviluppo delle prestazioni: Human Performance Modeling.

Il metodo contiene una concezione dell’uomo come articolazione di energie fisiche e mentali, micro e macro-competenze, progettualità e aspirazioni.

Il metodo individua sei specifiche “celle di lavoro”, sulle quali ciascuno di noi, indipendente dalla sua condizione di partenza, può fare progressi, piccoli o grandi che siano. E, per ogni piccola conquista, si aprono nuovi orizzonti che ci invitano ad andare avanti, in una continua esplorazione di ciò che significa progredire, nel suo senso più profondo.

“Entrare” in queste sei celle ci permette di costruire progetti di crescita seri ed efficaci, siano essi la “liberazione” da ciò che ci frena, o l’aumento delle nostre risorse personali.

L’amplificazione delle energie e abilità di un individuo o di un intero gruppo o impresa, può proiettarci verso nuovi traguardi, e nuovi modi di essere. Prendere piena coscienza dei propri potenziali e lottare per raggiungerli è un’operazione che ha una propria sacralità, al di la del risultato numerico o professionale che ne può derivare.

Capire questo è essenziale oggi per fare del training aziendale serio, essere ricercatori o insegnanti degni di questo nome, ma anche nel coaching, nel focusing (focalizzazione dei fabbisogni di sviluppo), nella consulenza, nei progetti di crescita personale, quando si esamina una persona o un’organizzazione, intesa come complesso di energie circolanti, il suo lato umano, il suo spirito vitale.

Il metodo HPM raggruppa tutti i fattori evidenziati in un modello piramidale (energie fisiche e mentali, micro e macro-competenze, progettualità e aspirazioni) e li considera aspetti allenabili, aumentabili, su cui si può agire.

A questo modello quindi ci apprestiamo a lavorare.

Ne esponiamo di seguito un’anteprima grafica, nella quale si evidenziano le sei specifiche aree di lavoro, ciascuna delle quali viene approfondita, ma sicuramente non esaurita.

Esaurire ogni singola area sarebbe una pretesa troppo grande, mentre aprirvi una discussione e offrire su ciascuna contributi, strumenti utili e operativi, è invece già possibile.

Potenziale umano e prestazioni umane sono due aree di studio diverse ma strettamente collegate, così come lo sono le fondamenta di un edificio e i suoi piani superiori.

Nessuno costruirebbe, con un minimo di buon senso, un grattacielo su fondamenta instabili. Il lavoro sul potenziale è, come metafora, simile al lavoro di costruzione di fondamenta solide, mentre le performance ci restituiscono un senso di altezza, di quanto in alto possiamo spingerci.

Ognuno di noi sente il bisogno, prima o poi, di sviluppare il suo potenziale, ma anche di accedere a piani esistenziali superiori, ricercare, crescere.

Possiamo soffocare questa pulsione umana naturale, ma è come cercare di non respirare, prima o poi il bisogno viene fuori, ed è bene ascoltarlo.

Il modello HPM analizza l’essere umano come sistema energetico, una sinergia di forze (fisiche e mentali), la cui amplificazione può aumentare il grado di felicità, successo e potenzialità realizzativa.

Questo sistema complesso è composto da sottosistemi, che possono disporre di uno stato di carica variabile, e funzionare bene o male, con gradazioni intermedie di efficienza ed efficacia.

Per analizzare il potenziale globale della persona, non solo sul piano fisico o intellettuale, ma come essere umano nel suo complesso, abbiamo bisogno di localizzare quali sono i micro e macro-distretti su cui si può agire e come questi interagiscono tra di loro.

Dobbiamo anche saper muovere lo zoom di analisi dal micro al macro, dal particolare al generale, e viceversa.

Esponiamo di seguito una breve sintesi di quali sono i contenuti principali delle sei “celle” di lavoro:

il substrato psicoenergetico e le energie mentali: riguarda le energie psicologiche, le forze motivazionali, lo stato di forma mentale necessario per affrontare sfide, progetti, traguardi (goal) e obiettivi. Si prefigge di analizzare ed intervenire sulle capacità mentali, come concentrazione, lucidità tattica, abilità strategiche, capacità di percezione, utilizzo della memoria, amplificazione sensoriale, sino alle capacità di vivere le passioni, rivedere il nostro modo di essere, riprendere in mano il proprio ruolo nella vita con maggiore assertività, ripensarsi, creare motivazione in sè e nel team, sviluppare coraggio e perseveranza, utilizzare uno stile di pensiero produttivo e positivo;

il substrato bioenergetico e le energie fisiche: inquadra la parte biologica dell’essere umano: il corpo e le energie fisiche, lo stato di forma organis­mico e biologico che sorregge le energie individuali; comprende l’analisi delle energie corporee e il funzionamento dell’organismo, come esso possa essere riparato o “potenziato”, gli effetti dello stile di vita e l’approccio olistico al corpo, l’attenzione alle economie locali (di specifici distretti fisici) e alle energie generali;

le micro-competenze: i micro-dettagli che danno spessore al potenziale, le micro-abilità psicologiche e psicomotorie che fanno la differenza in una prestazione manageriale o sportiva, le micro abilità-cognitive (di ragionamento), che creano differenza tra un’esecuzione mediocre, media o invece eccellente,  le micro-abilità relazionali e comunicazionali da cui dipende un lavoro di qualità;

le macro-competenze personali e professionali: i grandi strumenti (competenze, skills, capacità) che compongono il profilo di un ruolo; le traiettorie di cambiamento che subisce lo scenario che ci circonda, come rimanerne coscienti e in pieno controllo; la gamma delle abilità o portfolio di competenze di un individuo o di un team, e come questo deve essere rivisitato, riqualificato, formato, per essere all’altezza degli obiettivi che ognuno di noi si pone e delle sfide che vuole cogliere;

goal e progettualità: la strutturazione dello sforzo per qualcosa o contro qualcosa di concreto (un ideale trasformato in progetto); la capacità di sviluppare un obiettivo in azione, il focus di applicazione delle energie e competenze, la loro traduzione in specifici piani operativi e risultati attesi;

visione, principi e valori, missione: ideali, principi morali, sogni, aspirazioni, i motori profondi che dirigono le priorità personali, gli ancoraggi di senso e significato che connettono i progetti ad un piano più profondo, le scelte personali, il senso di missione. Riguarda inoltre lo sfondo primordiale di desideri e pulsioni che spingono il nostro fare ed agire, il senso di causa e – non ultimo – il nostro vissuto spirituale ed esistenziale.

Ognuno di questi stati o “celle” può avere un certo livello di “carica”, trovarsi “pieno”, “abbondante”, ben coltivato, ben esercitato, o essere invece “scarico”, deprivato, depotenziato, impoverito, o persino trascurato e maltrattato, denutrito, abbandonato.

Al crescere della carica nei diversi sistemi aumenta l’energia complessiva della persona, dei team, e delle organizzazioni da loro composte, con effetti molto tangibili: risultati, prestazioni, capacità di decidere, di incidere e produrre cambiamento positivo. Questi risultati dipendono dallo stato dei diversi sistemi, dalla capacità di coltivarli e nutrirli.

La loro condizione locale e l’interazione tra le diverse “celle” può produrre il massimo del potenziale o presentare sinergie negative, o danni e malfunzionamenti che impediscono all’essere umano di esprimersi.

Le risorse personali e il potenziale individuale possono essere “lette” ma soprattutto amplificate attraverso un lavoro serio sulle sei aree.

Sul piano manageriale e sportivo, nei team e nelle aziende, le implicazioni sono altrettanto evidenti: lo stato di forma mentale e fisico delle persone, la loro carica motivazionale, le loro competenze, la loro progettualità, il loro spessore morale, fanno la differenza tra persone o team spenti, e persone, team o organizzazioni capaci, forti, motivate, piene di energia ed entusiasmo, desiderose di affrontare sfide e dare contributi veri.

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Altri materiali su Comunicazione, Ascolto, Empatia, Potenziale Umano e Crescita Personale disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Potenziale Umano. Nel Metodo HPM sul Potenziale Umano (Human Performance Modeling) si distinguono 6 diverse aree di lavoro, che vanno dalle energie fisiche e mentali, alle competenze, sino alla progettualità e spiritualità. Vediamole di seguito.

© Articolo estratto con il permesso dell’autore, dott. Daniele Trevisani, dal libro “Il Potenziale Umano. Metodi e tecniche di coaching per lo sviluppo delle Performance”. Milano, Franco Angeli editore

Lavorare sul potenziale individuale, dei team, delle imprese: il metodo HPM (Human Performance & Potential Modeling)

Le persone viaggiano per stupirsi delle montagne, dei mari,

dei fiumi, delle stelle e passano a fianco a se stesse

senza meravigliarsi

(Sant’Agostino)

Concetti fondamentali del Potenziale Umano: la visione della persona come sistema energetico

(Se vuoi approfondire il tema del Tuo Potenziale Umano e Potenziale Personale, guarda la pagina del Master Metodo HPM sul Potenziale Umano a questo link)

Il metodo HPM deriva la propria sigla dal suo obiettivo primario, il Modeling, o “dare forma”, generare impulso, contributo e stimolo alla crescita della persona, dei team e delle organizzazioni.

Il metodo ha due distinte sfere di applicazione, tra di loro collegate:

  • crescita del potenziale umano: Human Potential Modeling, e
  • sviluppo delle prestazioni: Human Performance Modeling.

Il metodo contiene una concezione dell’uomo come articolazione di energie fisiche e mentali, micro e macro-competenze, progettualità e aspirazioni.

Il metodo individua sei specifiche “celle di lavoro”, sulle quali ciascuno di noi, indipendente dalla sua condizione di partenza, può fare progressi, piccoli o grandi che siano. E, per ogni piccola conquista, si aprono nuovi orizzonti che ci invitano ad andare avanti, in una continua esplorazione di ciò che significa progredire, nel suo senso più profondo.

“Entrare” in queste sei celle ci permette di costruire progetti di crescita seri ed efficaci, siano essi la “liberazione” da ciò che ci frena, o l’aumento delle nostre risorse personali.

L’amplificazione delle energie e abilità di un individuo o di un intero gruppo o impresa, può proiettarci verso nuovi traguardi, e nuovi modi di essere. Prendere piena coscienza dei propri potenziali e lottare per raggiungerli è un’operazione che ha una propria sacralità, al di la del risultato numerico o professionale che ne può derivare.

Capire questo è essenziale oggi per fare del training aziendale serio, essere ricercatori o insegnanti degni di questo nome, ma anche nel coaching, nel focusing (focalizzazione dei fabbisogni di sviluppo), nella consulenza, nei progetti di crescita personale, quando si esamina una persona o un’organizzazione, intesa come complesso di energie circolanti, il suo lato umano, il suo spirito vitale.

Il metodo HPM raggruppa tutti i fattori evidenziati in un modello piramidale (energie fisiche e mentali, micro e macro-competenze, progettualità e aspirazioni) e li considera aspetti allenabili, aumentabili, su cui si può agire.

A questo modello quindi ci apprestiamo a lavorare.

Ne esponiamo di seguito un’anteprima grafica, nella quale si evidenziano le sei specifiche aree di lavoro, ciascuna delle quali viene approfondita, ma sicuramente non esaurita.

Esaurire ogni singola area sarebbe una pretesa troppo grande, mentre aprirvi una discussione e offrire su ciascuna contributi, strumenti utili e operativi, è invece già possibile.

Figura 1 – Esposizione grafica del modello HPM del Potenziale Umano

Potenziale Umano Metodo HPM

 

Potenziale umano e prestazioni umane sono due aree di studio diverse ma strettamente collegate, così come lo sono le fondamenta di un edificio e i suoi piani superiori.

Nessuno costruirebbe, con un minimo di buon senso, un grattacielo su fondamenta instabili. Il lavoro sul potenziale è, come metafora, simile al lavoro di costruzione di fondamenta solide, mentre le performance ci restituiscono un senso di altezza, di quanto in alto possiamo spingerci.

Ognuno di noi sente il bisogno, prima o poi, di sviluppare il suo potenziale, ma anche di accedere a piani esistenziali superiori, ricercare, crescere.

Possiamo soffocare questa pulsione umana naturale, ma è come cercare di non respirare, prima o poi il bisogno viene fuori, ed è bene ascoltarlo.

Il modello HPM analizza l’essere umano come sistema energetico, una sinergia di forze (fisiche e mentali), la cui amplificazione può aumentare il grado di felicità, successo e potenzialità realizzativa.

Questo sistema complesso è composto da sottosistemi, che possono disporre di uno stato di carica variabile, e funzionare bene o male, con gradazioni intermedie di efficienza ed efficacia.

Per analizzare il potenziale globale della persona, non solo sul piano fisico o intellettuale, ma come essere umano nel suo complesso, abbiamo bisogno di localizzare quali sono i micro e macro-distretti su cui si può agire e come questi interagiscono tra di loro.

Dobbiamo anche saper muovere lo zoom di analisi dal micro al macro, dal particolare al generale, e viceversa.

Esponiamo di seguito una breve sintesi di quali sono i contenuti principali delle sei “celle” di lavoro:

  • il substrato psicoenergetico e le energie mentali: riguarda le energie psicologiche, le forze motivazionali, lo stato di forma mentale necessario per affrontare sfide, progetti, traguardi (goal) e obiettivi. Si prefigge di analizzare ed intervenire sulle capacità mentali, come concentrazione, lucidità tattica, abilità strategiche, capacità di percezione, utilizzo della memoria, amplificazione sensoriale, sino alle capacità di vivere le passioni, rivedere il nostro modo di essere, riprendere in mano il proprio ruolo nella vita con maggiore assertività, ripensarsi, creare motivazione in sè e nel team, sviluppare coraggio e perseveranza, utilizzare uno stile di pensiero produttivo e positivo;
  • il substrato bioenergetico e le energie fisiche: inquadra la parte biologica dell’essere umano: il corpo e le energie fisiche, lo stato di forma organis­mico e biologico che sorregge le energie individuali; comprende l’analisi delle energie corporee e il funzionamento dell’organismo, come esso possa essere riparato o “potenziato”, gli effetti dello stile di vita e l’approccio olistico al corpo, l’attenzione alle economie locali (di specifici distretti fisici) e alle energie generali;
  • le micro-competenze: i micro-dettagli che danno spessore al potenziale, le micro-abilità psicologiche e psicomotorie che fanno la differenza in una prestazione manageriale o sportiva, le micro abilità-cognitive (di ragionamento), che creano differenza tra un’esecuzione mediocre, media o invece eccellente, le micro-abilità relazionali e comunicazionali da cui dipende un lavoro di qualità;
  • le macro-competenze personali e professionali: i grandi strumenti (competenze, skills, capacità) che compongono il profilo di un ruolo; le traiettorie di cambiamento che subisce lo scenario che ci circonda, come rimanerne coscienti e in pieno controllo; la gamma delle abilità o portfolio di competenze di un individuo o di un team, e come questo deve essere rivisitato, riqualificato, formato, per essere all’altezza degli obiettivi che ognuno di noi si pone e delle sfide che vuole cogliere;
  • goal e progettualità: la strutturazione dello sforzo per qualcosa o contro qualcosa di concreto (un ideale trasformato in progetto); la capacità di sviluppare un obiettivo in azione, il focus di applicazione delle energie e competenze, la loro traduzione in specifici piani operativi e risultati attesi;
  • visione, principi e valori, missione: ideali, principi morali, sogni, aspirazioni, i motori profondi che dirigono le priorità personali, gli ancoraggi di senso e significato che connettono i progetti ad un piano più profondo, le scelte personali, il senso di missione. Riguarda inoltre lo sfondo primordiale di desideri e pulsioni che spingono il nostro fare ed agire, il senso di causa e – non ultimo – il nostro vissuto spirituale ed esistenziale.

Ognuno di questi stati o “celle” può avere un certo livello di “carica”, trovarsi “pieno”, “abbondante”, ben coltivato, ben esercitato, o essere invece “scarico”, deprivato, depotenziato, impoverito, o persino trascurato e maltrattato, denutrito, abbandonato.

Al crescere della carica nei diversi sistemi aumenta l’energia complessiva della persona, dei team, e delle organizzazioni da loro composte, con effetti molto tangibili: risultati, prestazioni, capacità di decidere, di incidere e produrre cambiamento positivo. Questi risultati dipendono dallo stato dei diversi sistemi, dalla capacità di coltivarli e nutrirli.

La loro condizione locale e l’interazione tra le diverse “celle” può produrre il massimo del potenziale o presentare sinergie negative, o danni e malfunzionamenti che impediscono all’essere umano di esprimersi.

Le risorse personali e il potenziale individuale possono essere “lette” ma soprattutto amplificate attraverso un lavoro serio sulle sei aree.

Sul piano manageriale e sportivo, nei team e nelle aziende, le implicazioni sono altrettanto evidenti: lo stato di forma mentale e fisico delle persone, la loro carica motivazionale, le loro competenze, la loro progettualità, il loro spessore morale, fanno la differenza tra persone o team spenti, e persone, team o organizzazioni capaci, forti, motivate, piene di energia ed entusiasmo, desiderose di affrontare sfide e dare contributi veri.

Un modello efficace per il lavoro sul potenziale umano

Chiedersi qual è il proprio potenziale e quanto di esso abbiamo esplorato o raggiunto non è una domanda banale.

Questo accade in alcuni particolari momenti della vita in cui diventa importante per noi realizzare qualcosa, migliorare, ed esprimerci.

Quando questo accade, un sentimento dentro di noi cambia. Dalla realtà esterna iniziamo a spostare l’attenzione verso la realtà interna.

Ci poniamo domande, alcune di queste possono fare male, altre aprire nuovi orizzonti, ma non importa, poiché esse ci mettono positivamente in discussione. Nessuna domanda è inutile quando ragioniamo sul senso e sul significato di chi siamo e cosa vogliamo, quando ci chiediamo se e come vorremmo costruire qualcosa di cui essere fieri (una prestazione, o un contributo agli altri o ad una causa), o semplicemente essere diversi o migliori.

Per molti l’esito di una maggiore attenzione al potenziale personale è il desiderio di esplorarlo, o lasciare un segno, iniziare progetti, potersi guardare alle spalle ed essere fieri di come abbiamo vissuto, di quello che siamo e siamo stati, e dare un messaggio positivo a chi ci seguirà nel viaggio della vita. Per altri invece tutto rimane bloccato in una ruminazione mentale ininterrotta e auto-distruttiva. Le energie bloccate corrodono e distruggono anziché produrre e generare benessere, forza vitale, amore e passione.

La differenza tra i due risultati (crescita e sviluppo vs. ruminazione mentale negativa) sta nell’avere un modello e un supporto che aiuti a individuare meglio i traguardi, e i percorsi da intraprendere per arrivarci.

Insuccessi, cadute, blocchi, errori, fanno parte integrante di questo viaggio, ma il loro accadere non ne sposta minimamente il valore.

Ciò che differenzia un uomo da un sasso è che lo “stare compressi”, sepolti, essere trasportati senza chiedersi dove, o rimanere pressati e immobili, è accettabile per il secondo ma non per il primo.

L’uomo ha un bisogno intrinseco di “volare”, di esprimersi, di “ricercare”, di dare senso alla propria vita, e persino ad ogni propria singola giornata o azione.

Chi nega questo bisogno di espressione e crescita applica uno dei meccanismi psicologici più autodistruttivi che esistono, individuato in letteratura come self-silencing: autosilenziarsi, uccidere le proprie aspirazioni, mettere il tappo ai propri sogni, smettere di credere in qualcosa, pensare che tutto sia inutile, che non valga la pena, che le difficoltà sono troppe, o il mondo in fin dei conti sia sempre andato così.

Bugie. Bugie che ci raccontiamo per non entrare (giusto per usare un altro termine tecnico) in “dissonanza cognitiva”, la condizione di disagio che incontriamo quando ci rendiamo conto che qualcosa nella nostra vita non sta andando come vorremmo, o che potremmo essere migliori o semplicemente diversi. Coltivare il potenziale umano è invece un momento di liberazione.

Esistono implicazioni anche sul piano medico: quando una persona è priva di energie mentali, o non ha più alcun valore o ideale a sorreggerlo, o mancano le competenze per far fronte alla vita, il corpo soffre e può arrivare ad ammalarsi[1].

Desiderare di progredire, porsi domande, “chi, cosa, dove, con chi, perché”, è un obiettivo o passaggio inevitabile per ogni anima sensibile.

Dare impulso al viaggio della vita ha sempre senso. Ne può avere sia che si desideri unicamente una propria evoluzione personale, o che invece il percorso sia finalizzato al percorso professionale e aziendale.

Entrambi i viaggi hanno spessore e valore. Ambedue sono degni di attenzione e di supporto, perché una persona ferma e spenta non è utile a nessuno, così come non è utile avere imprese e team incapaci e demotivati.

I team più forti del mondo, e i più grandi campioni di tutti i tempi in ogni disciplina, o i più grandi pensatori della storia, sono tali perchè continuano a porsi domande e non sfuggire” il richiamo della natura”, la pulsione ancestrale che ci parla di evoluzione, che ci spinge a progredire, ad essere migliori.

Senza un modello che ci aiuti a trovare le direzioni di crescita, il nostro sforzo può risultare nobile ma vano. Si corre, ci si affanna, si investono tempi ed energie,  ma spesso senza una buon mappa di orientamento. Il risultato è un’enorme dispersione.

Un buon modello, invece, aiuta a trovare più rapidamente la strada. Se un modello non offre stimoli, indirizzi e orientamenti, risulta completamente inutile, come orientarsi in una mappa sbagliata o capovolta.

Un modello del potenziale umano, inoltre, può essere utilizzato in progetti concreti di business coaching, di consulenza, di training aziendale, di coaching sportivo, ma anche nel counseling, nei corsi di leadership, nella formazione.

Da quando esiste, l’uomo si sforza di costruire mappe per orientarsi e non perdersi. Abbiamo mappe degli strati più profondi della terra, dei mari, del cosmo, ma – stranamente – non ci vengono fornite mappe efficaci per orientarci nel nostro sviluppo personale o nei territori inesplorati del potenziale umano. Accompagnare le persone in questo viaggio è, per me, un onore.

[1] Una logica conseguenza che non possiamo nascondere è che la  medicina dovrebbe quindi occuparsi anche di questi fenomeni, unendosi alla psicologia e ad altre scienze, in un unica disciplina del funzionamento complessivo dell’essere umano.

Se vuoi approfondire il tema del Tuo Potenziale Umano e Potenziale Personale, guarda la pagina del Master Metodo HPM sul Potenziale Umano a questo link

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© Articolo estratto con il permesso dell’autore, dott. Daniele Trevisani, dal libro “Il Potenziale Umano. Metodi e tecniche di coaching per lo sviluppo delle Performance”. Milano, Franco Angeli editore

Il Potenziale Umano

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Coaching Mentale: alcune aree di obiettivi primari

Copyright Daniele Trevisani, articolo estratto dal testo Il Potenziale Umano

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tecniche di coaching

Una delle principali capacità mentali inerenti il potenziale umano è la lucidità tattica: sapere dove sono, cosa sta accadendo realmente dentro di me e attorno a me, prendere coscienza della realtà, delle variabili e dei loro mutamenti, per reagire rapidamente e nella direzione giusta.

La perdita di lucidità tattica è ciò che accade ad una persona in un incendio quando scappa nella direzione sbagliata in preda al panico. È ciò che succede una squadra quando smette di giocare con gli schemi e “perde la testa”. È ciò che capita in azienda quando una crisi fa perdere di vista gli ancoraggi forti e le prospettive di soluzione, impegnando tutte le menti in ragionamenti pessimistici e di riparo, perdendo di vista qualsiasi lucidità.

La centratura personale è l’obiettivo delle attività di “ricentraggio personale”, inteso come miglioramento della coerenza e organizzazione interna, della lucidità, del “sapere cosa si vuole” e fare chiarezza su come arrivarvi.

La centratura personale corrisponde ad un una condizione di allineamento ed equilibrio delle componenti bioenergetiche, psicoenergetiche, motivazionali e pratiche quotidiane.

La condizione opposta corrisponde ad un disequilibrio, alle dissonanze tra stati energetici ed obiettivi, e alle incongruenze tra obiettivi stessi, a perdita del senso di realtà.

Possiamo riconquistare lucidità tattica attraverso la ricerca di un maggiore allineamento tra tutte le componenti e strati della piramide HPM (energie, competenze, obiettivi).

La perdita di lucidità è invece in agguato non appena uno degli elementi di cui si compone una scelta non trova supporto nelle aree corrispondenti: energie biologiche (stato bioenergetico), energie mentali (stato psicoenergetico), desideri, volontà, aspirazioni, goal (obiettivi) e pratiche quotidiane (azioni giornaliere) sono variabili interdipendenti. La caduta di una provoca una frana anche nelle altre, per cui è nostra responsabilità, se desideriamo conquistare buona lucidità tattica, “farci manutenzione” sia sul fronte fisico che mentale e progettuale, e lavorare per ottenerla.

 

Principio 18 – Ricentraggio, consapevolezza situazionale, lucidità tattica

Le energie mentali diminuiscono o si esauriscono quando:

  • l’individuo vive una condizione di disallineamento o incongruenza tra energie biologiche (stato bioenergetico), energie mentali (stato psicoenergetico), desideri, volontà, aspirazioni, goal (obiettivi) e pratiche quotidiane (azioni giornaliere);
  • l’individuo non è consapevole pienamente degli elementi di scenario che lo circondano (scarsa consapevolezza situazionale), vive in una realtà percettiva distorta o impoverita, cogliendo solo alcuni aspetti di essa o solo gli aspetti meno rilevanti, mancando di rilevare alcuni degli aspetti essenziali;
  • l’azione del soggetto non è coerente con la realtà che lo circonda;
  • le scelte tattiche (linea d’azione comportamentale) sono distorte e incoerenti con la realtà, o con i propri obiettivi profondi, portano a conseguenze negative, diminuiscono il benessere e/o l’autostima, o il senso di progressione verso le proprie mete.

 

Le energie mentali aumentano quando:

  • le energie tra i diversi stati segnalati dalla piramide HPM sono congruenti tra di loro (energie mentali e fisiche, competenze, progettualità e valori, sono ben allineati);
  • esiste o viene acquisita tramite training una buona consapevolezza situazionale e senso di realtà, con capacità di percezione sia dei singoli elementi che delle interazioni tra i vari piani di realtà, e capacità di cogliere l’insieme in prospettiva (Gestalt);
  • esiste lucidità tattica rispetto alle decisioni da intraprendere sul proprio futuro, si sviluppa senso di progressione verso una meta, puntuale e/o esistenziale.

 

La perdita del senso di Gestalt (insieme, quadro complessivo di riferimento) si traduce molto spesso nella concentrazione mentale su pochi dettagli a discapito della visione d’insieme più ampia. Questo genera caduta di lucidità tattica e linee d’azione perdenti.

Non è facile nelle società avanzate essere “centrati” e trovare coerenza con la realtà stessa. La scuola e i genitori cercano di insegnare ai bambini che più si impegnano e studiano e più avranno successo, promuovono il valore della famiglia e dell’impegno, il valore del sacrificio. Dall’altro lato, i personaggi dei serial televisivi occidentali, i modelli che osservano in televisione, sembrano non lavorare mai, impegnati tra una tavola da surf, un party e un’audizione per un balletto, un concerto, i flirt, giochi idioti, battibecchi, litigi, e ogni altra attività purché non lavorativa.

I lavori, se praticati, sono prevalentemente idilliaci, quali attore, attrice, modello, modella, atleta, scenografo, musicista, DJ, campione sportivo, giornalista di successo, creativo pubblicitario, e altre favole.

La dissonanza tra la dura realtà che i giovani incontrano nella vita e le promesse sulla vita vista nei film e nella televisione commerciale è disarmante. Questa dissonanza produce devastanti effetti sulla psiche degli adolescenti, altera la percezione della realtà, crea sensi di inadeguatezza e insoddisfazione permanente.

I mass media pongono come esempi del successo (calciatori, cantanti, attori e star televisive) che non sono certo ricercatori seri o scienziati, e hanno intrapreso altre strade. Il malavitoso di periferia che ha auto lussuose, potere e denaro, confrontati con il laureato a pieni voti costretto ad emigrare per mancanza di lavoro, sono un messaggio dissonante.

Vedere un idiota fare carriera, perché amico o parente di qualcuno, o vicino ad un partito politico, contrasta con chi vive il valore della meritocrazia e della ricerca. Si perde completamente di vista per che cosa si sta lavorando, la missione sembra non contare più nulla. Dobbiamo impegnarsi affinché questo partito non vinca.

Il ricentraggio deve mantenere la forza interiore elevata, e la coscienza che le scorciatoie non sono un valore in sé, che esiste qualcosa per cui vale la pena impegnarsi, e non è per forza patinato, non importa veramente se questo qualcosa non è tra le strade per il successo proposte dai media.

Per questo motivo l’attività di ricentraggio deve andare prima di tutto alla ricerca di alcuni valori cardine in cui l’individuo possa ritrovarsi, indipendentemente da quanto osserva nella realtà vissuta o mediatica.

La costruzione di una realtà interiore solida è la base per cogliere aspetti essenziali della realtà esteriore e posizionarli correttamente. Questa realtà è la piattaforma per nuovi e diversi ragionamenti, ad esempio: il malavitoso può anche avere denaro e potere, ma per quanto tempo ancora? E con che faccia guarderà i propri figli? Voglio veramente questo come modello? La velina e l’attrice sono lì perché hanno un bel culo, e quando gli sarà diventato flaccido, che fine faranno? Su cosa si basa il loro successo, su un culo? Voglio questo anche per me? A me piace studiare per scoprire come funziona il mondo, me ne devo vergognare? Quanti prima di me hanno fatto della scoperta una propria missione? Chi ha detto che la gratificazione per lo studio debba essere immediata o perfettamente corrispondente? Che valore c’è nel guardarmi allo specchio e essere comunque soddisfatto di me, e dei miei valori, piuttosto che dovermi girare dall’altra parte?

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Copyright Daniele Trevisani, articolo estratto dal testo Il Potenziale Umano

 

Dal libro “Il potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance

Le tre zone del cambiamento

Zona 1. La zona del disapprendimento e del distanziamento: Unlearning

  • Di cosa vuoi liberarti?
  • Da cosa vuoi ripulirti?
  • Di cosa vuoi ridurre la valenza nella tua vita?
  • Che cosa vuoi che abbia meno peso nella tua vita?
  • Di cosa vuoi fare pulizia nella tua vita?
  • Quali sono i virus mentali che sarebbe bene rimuovere?
  • Io voglio fare la pulizia nella mia mente, di che cosa?
  • Di che cosa vuoi ridurre la valenza?
  • Cosa vuoi che conti meno nella tua vita?
  • Di cosa vorresti alleggerirti?
  • Cos’è che ti farebbe sentire un po’ più leggero?
  • Quali cose buone vorresti far entrare nella tua vita?

Zona 2. La zona del consolidamento e gli ancoraggi

  • Cos’è che di me non vorrei far cambiare?
  • Cosa vuoi consolidare?
  • Cosa vorresti trattenere di te in un cambiamento?
  • Cosa non vorresti che ti togliessero di te, del tuo modo di essere?
  • A quali lati di te sei affezionato e tieni particolarmente?
  • A cosa tieni particolarmente di buono nel tuo carattere o delle tue abitudini?

Zona 3. La zona dell’apprendimento, delle osmosi in ingresso

  • Che cosa vuoi far entrare nella tua vita?
  • Cosa ti piacerebbe apprendere, o cosa hai bisogno di apprendere?
  • Cosa ti piacerebbe lasciare entrare nella tua vita?
  • A che possibilità vorresti aprirti?
  • Quali competenze vorresti acquisire per i tuoi progetti professionali o di vita?
  • Se potessi scegliere, cosa ti piacerebbe assorbire di buono dal mondo esterno?
  • Di cosa vorresti essere un ricercatore attivo, cosa cercheresti?
  • Cosa stimola la tua curiosità?
  • Quali credenze pensi ti faccia bene inserire tra le tue credenze preesistenti?
  • Quali abitudini ti piacerebbe acquisire o far rientrare tra le tue abitudini
  • Cosa ti piacerebbe assimilare da persone che conosci o che hai visto in tv o al cinema, o da un certo personaggio?

Le domande presentate si ispirano al “Principio metabolico” esposto nei testi Regie di Cambiamento e Il Potenziale Umano, che inquadra queste tre aree per l’Optimal Functioning (funzionamento ottimale) della persona

  • Espellere cataboliti, sostanze di scarto, sia organiche che mentali o memetiche. Unlearning di competenze diventate obsolete
  • Definire il proprio confine (confine cellulare, confine di ruolo, confine personale)
  • Acquisire sostanze e nutrimenti, assimilazione sia di sostanze organiche e fisiche, che di idee, concetti, memi, conoscenze, acquisizione di competenze

Copyrigh, Dal libro “Il potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance”. Franco Angeli editore, Milano.

 

© dal testo Il potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance, Franco Angeli editore, Milano

Senso di autoefficacia

Se credo di poterlo fare,

acquisirò sicuramente la capacità di farlo,

anche se all’inizio non dovessi averla

Mahatma Gandhi

 

L’autoefficacia è un concetto che fa riferimento al “senso delle proprie possibilità”. La coscienza di ciò che è veramente nella sfera delle nostre possibilità e quello che non lo è in un certo momento, ci permette di fare letture corrette della situazione e dei compiti che ci attendono, senza cadere vittima di demoralizzazione precoce o inutile.

Bandura[1], sviluppatore del concetto sul piano scientifico, considera che l’autoefficacia percepita sia un insieme di credenze che le persone possiedono rispetto alle loro capacità di produrre livelli designati di performance specifiche (non generali), esercitare influenza sugli eventi e sulle proprie vite.

Include, inoltre, l’atteggiamento positivo verso la capacità di raccogliere sfide o porsi nuove sfide.

Nel nostro metodo, riteniamo che l’autoefficacia dipenda largamente dall’autostima ma anche dalla consapevolezza corretta, non distorta, dei repertori di esperienze e competenze possedute e di ciò che con quei repertori possiamo fare. Spesso queste possibilità sono enormi e inesplorate.

L’autoefficacia produce il fatto di non abbandonare di fronte a punti d’arresto, perseverare (resilienza),  lavorando per ottimizzare i propri progetti, consapevoli della forza intrinseca che essi possono avere.

Come evidenziato in un articolo del Wall Street Journal, in un brano dal titolo illuminante: “Se all’inizio non hai successo, sei in una azienda eccellente”, i veri successi sono spesso preceduti da dinieghi o porte chiuse[2].

Tra i casi citati: il libro di J. K. Rowling rifiutato da 12 editori prima che una piccola casa editrice londinese lo pubblicasse come “Harry Potter e la Pietra Filosofale”, un successo mondiale. La Decca Records che, in uno dei primi provini dei Beatles, disse “non ci piace il loro suono”. Walt Disney fu licenziato da un editor di un giornale, dicendo che egli “mancava di immaginazione.” Michael Jordan (il più grande giocatore di basket della storia) non venne considerato da ragazzino all’altezza del team di basket della sua scuola superiore.

Senza una sana dose di autoefficacia e di resilienza, queste persone avrebbero abbandonato la propria strada.

L’autoefficacia richiede la consapevolezza dei propri strumenti operativi (tools funzionali) e dei propri strumenti analitici e conoscitivi di base (meta-strumenti). Sapere di poter imparare vale più della conoscenza in sé.

Se diminuisce la percezione di disporre di tali strumenti, prevalgono atteggiamenti di rinuncia, la continua richiesta di aiuto anche su ciò che è invece nel nostro campo di fattibilità, l’immagine di “non essere ancora pronto per…”, o il sentimento negativo “non fa per me, e non ci posso nemmeno provare, o prepararmi per…”.

L’autoefficacia richiede un certo grado di accettazione ragionata del rischio e la consapevolezza che – per molti task – non è indispensabile la perfezione prima di poter passare all’azione. Spesso è sufficiente una dose di comprensione (attuale o potenziale) della materia, un buon spirito di adattamento e una buona capacità generale di problem solving, per poter affrontare larga parte dei problemi o sfide manageriali, sportive, o personali.

La consapevolezza delle proprie meta-competenze è un punto basilare.

Non è necessario avere già fatto qualcosa per sentire di poterlo fare, ma è indispensabile avere coscienza della propria capacità di generare soluzioni, di analizzare problemi, di comprendere dinamiche, e sapere di poter apprendere. Questi meta-fattori aiutano ad accettare anche sfide e compiti sui quali non esiste ancora esperienza specifica diretta o consolidata.

L’autoefficacia non deve diventare sensazione di onnipotenza o delirio, va dovutamente bilanciata con la saggezza e senso pratico, ma questi ancoraggi al realismo non devono impedire di perseguire un sogno difficile che abbia qualche probabilità di successo. La paura di fallire o incontrare difficoltà non deve fermare aspirazioni giuste e sogni sfidanti.

Il caso di un docente cui viene chiesto di fare una lezione su temi non esattamente pertinenti alla propria formazione, ma vicini, è un esempio concreto. La flessibilità mentale è un fattore vincente.

Un docente che insegna statistica ed ha basso livello di autoefficacia non accetterà di insegnare una materia come la Qualità Totale (trovandovi molte differenze rispetto alla propria), mentre al contrario sarebbe assolutamente fattibile. Tale materia è ampiamente basata su metodi statistici. Aumentando l’autoefficacia, la stessa persona potrà lanciarsi verso l’insegnamento di Qualità Totale, ma anche altro, es.: Metodi di Ricerca, sapendo di avere sia una buona base e soprattutto le capacità di apprendimento che servono per poter acquisire ciò che manca.

In sostanza, quel docente conosce già almeno il 90% di un possibile programma, e sa che potrà apprendere il rimanente 10% con poco sforzo. Un individuo con bassa autoefficacia si concentrerà sul 10% da apprendere e sul come apprenderlo, un individuo con bassa autoefficacia lo vedrà come “quel 10% che manca, per cui non si può fare”. Una differenza notevole!

Lo stesso vale per un istruttore di karatè cui viene richiesto di insegnare difesa personale. Un istruttore con alto livello di autoefficacia capirà immediatamente che le sue skill di base sono ampiamente sufficienti ad insegnare a qualcuno come difendersi, e se percepisce una lacuna nel suo set di conoscenze si adopererà per colmarla. Un istruttore con basso livello di autoefficacia coglierà ogni possibile “scusa” per non farlo: “non è la mia materia”, “non so come si faccia”, “non sono preparato” etc.

Un’alta autoefficacia è basata sull’orientamento a cogliere, in ogni sfida, ciò che è fattibile, ciò che è realizzabile o quantomeno tentabile, e la ricerca autonoma di strumenti per colmare le eventuali carenze.

Una bassa autoefficacia vede la dominanza di un orientamento a cogliere la parte negativa della sfida, la concentrazione prevalente sulle proprie lacune e non sulle proprie possibilità, l’assenza di sforzi per dotarsi di strumenti ulteriori che permetterebbero di sentirsi all’altezza.

Allo stesso tempo, l’autoefficacia si correla alla consapevolezza di dove, quanto e come siamo in grado di potercela fare da soli. Questo punto (indipendenza e autonomia) non deve essere confuso con una chiusura verso l’esterno e verso l’aiuto. Autoefficacia anzi significa anche capire e volere l’aiuto che serve a compiere un progetto, ma con una consapevolezza di dove realmente si colloca il confine delle proprie capacità autonome e dove è importante ricercare aiuto. Coltivare coscienza di sé è fondamentale.

Le persone che sviluppano un alto livello di autoefficacia hanno credenze positive sulle loro capacità di raggiungere i goal, accettano sfide superiori, e provano con maggiore forza e impegno a raggiungere i loro obiettivi, dando il massimo delle loro capacità.

Chi ha una alta autoefficacia, pensa, agisce e affronta una sfida come se stia per avere successo. Chi ha bassa auto efficacia intraprende la sfida dandosi per perdente dall’inizio.

Diventa essenziale per ogni coach o counselor capire a quali modelli di autoefficacia sia stata esposta una persona, quali abbia assimilato, quali siano attivi, e soprattutto se vi siano dissonanze interiori o modeling negativi da fonte genitoriale o sociale, attivi sulla persona.

Alcune domande chiave da porsi o da porre in termini di coaching:

 

  • Che desideri stai frenando per colpa di competenze che ti mancano?

  • In quali campi ti senti efficace e in quali meno?

  • Guardandoti indietro, cosa tenteresti adesso? Quali progetti, idee o ambizioni hai frenato perché non ti consideravi all’altezza?

  • Guardando avanti, cosa ti darebbe soddisfazione, cosa vorresti dire di aver fatto tra 10 anni?

  • Di cosa ti pentiresti se dovessi pensare di morire senza aver fatto qualcosa cui tieni? Cosa in particolare?

  • Cosa vorresti poter dire di aver fatto di buono, la prossima settimana?

  • Facciamo un elenco di idee o progetti anche ambiziosi che ti darebbero gratificazione, sogniamo ad occhi aperti per un pò.

  • Se dovessimo pensare ad una tua giornata ideale, come sarebbe?

  • In un anno ideale, cosa faresti?

  • Quanto siamo lontani adesso da (… sentirsi bene, sentirsi felici, sentirsi gratificati, aver raggiunto i tuoi scopi, etc…), e perché secondo te?

 

Nell’osservare i propri ragionamenti, o quelli di un cliente, ci si potrà concentrare non solo sui contenuti, ma anche sul senso generale di possibilità, di autoefficacia, di padronanza, sulle auto-percezioni, sulle credenze che trasudano, sugli archetipi di sé che emergono, sullo spirito di avventura e ricerca, o invece di rinuncia e disfattismo che permeano la persona. Su questi sarà importante lavorare seriamente, ancor più che sui contenuti.

 

Principio 7 – Autoefficacia

Le energie mentali diminuiscono o si esauriscono quando:

  • l’individuo non è consapevole delle proprie potenzialità reali;
  • l’individuo non è consapevole di come le proprie meta-competenze possano trasformarsi in competenze applicative su nuovi compiti;
  • l’individuo coglie prevalentemente gli aspetti di difficoltà di una sfida e non quelli di fattibilità;
  • l’individuo non si attiva in una ricerca autonoma di strumenti per colmare i propri gap percepiti;
  • l’individuo sviluppa eccessiva dipendenza sugli altri per portare a termine un compito e non sa contare sulle proprie forze interiori, o percepirle correttamente.

 

Le energie mentali aumentano quando:

  • l’individuo prende coscienza delle proprie potenzialità, sia teoriche, che per prova diretta;

  • l’individuo prende coscienza delle proprie meta-competenze e della possibilità di tradurle in competenze applicative in campi nuovi;

  • l’individuo tiene in considerazione i margini di fattibilità di una sfida e non solo quelli di difficoltà, applicandosi per aumentare le opzioni positive;

  • l’individuo è proattivo e si adopera attivamente in interventi che aumentano le proprie risorse o colmano gap, e in progetti di apprendimento e accrescimento;

  • l’individuo ha pieno accesso alla proprie forze interiori, sa individuare bene quante e quali sono le proprie energie, competenze e abilità.

[1] Bandura, A. (1994), Self-efficacy, in V. S. Ramachaudran (Ed.), Encyclopedia of human behavior (vol. 4, pp. 71-81), Academic Press, New York (Reprinted in H. Friedman [Ed.], Encyclopedia of mental health, San Diego, Academic Press, 1998).

Bandura, A. (1986), Social foundations of thought and action: A social cognitive theory, Englewood Cliffs, NJ, Prentice-Hall.

Bandura, A. (1991a), Self-efficacy mechanism in physiological activation and health-promoting behavior, in J. Madden, IV (Ed.), Neurobiology of learning, emotion and affect (pp. 229- 270), Raven, New York.

Bandura, A. (1991b), Self-regulation of motivation through anticipatory and self-regulatory mechanisms, in R. A. Dienstbier (Ed.), Perspectives on motivation: Nebraska symposium on motivation (Vol. 38, pp. 69-164), University of Nebraska Press, Lincoln.

[2] Beck, M. (2008), If at First You Don’t Succeed, You’re in Excellent Company, The Wall Street Journal, April 29, p. D1.

 

“The Call”: La chiamata, viaggio verso la luce

Articolo Copyright. Dal libro Psicologia della libertà. Liberare le potenzialità delle persone di Daniele Trevisani, edizioni Mediterranee, Roma

https://youtu.be/ev8TXCo9Xiw

Ispirato al modello HPM di Sviluppo del Potenziale Umano, dal testo Il potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance, Franco Angeli editore, Milano

La notte oscura dell’anima è un viaggio verso la luce, un percorso dall’oscurità verso la forza e le risorse nascoste dell’anima. Attraversare la notte oscura richiede dialogo interiore, contemplazione, preghiera, tempo trascorso in silenzio, e condivisione con chi comprende la natura profonda della trasformazione interiore…. è un viaggio per imparare a vedere il mondo da mistici attraverso una lente senza tempo che percepisce al di la della ragione.

Carolin Myss.

Tante volte sentiamo una “chiamata” che ci dice “fai qualcosa per te”, prenditi tempo per te stesso, dedicati uno spazio speciale, trasformati e lavora sulle tue energie, cerca il meglio di te dovunque sia “nascosto”.

Il problema è che la risposta a questa “chiamata” viene soffocata dal vivere quotidiano, dallo stress, o dal non trovare “compagni di viaggio” e veri Maestri per affrontare un percorso di trasformazione in un clima piacevole e sereno, o dal non sapere letteralmente come farlo e dove farlo.

Altre volte, ancora peggio, l’orgoglio e la rabbia chiudono questa voce e la soffocano. La voglia di vedere che cosa può esserci oltre il muro, oltre a ciò che facciamo, rimane soffocata, ma pulsa, ed esige ascolto per non diventare malattia.

Quando siamo arrivati in fondo, o ci sentiamo in un momento di svolta e vogliamo cambiare pagina, vogliamo un percorso di cambiamento totale, un percorso che ci metta in grado di conoscere noi stessi e il nostro potenziale,  che sino ad ora abbiamo messo a disposizioni di altri, di tutti tranne che per noi stessi.

Quando avremo deciso di non essere più disposti a vivere a pieno sentiremo la chiamata, e capiremo che non siamo più disposti a vivere un altro giorno senza “me stesso” al centro della mia vita, nella bellezza, nella gioia e nell’armonia.

The Call™ è un percorso formativo che ho sviluppato per chi vuole iniziare un percorso di conoscenza e di profondo cambiamento e, con l’aiuto di seri professionisti, fare passi avanti.

The Call si basa su un metodo scientifico bioenergetico e di neuroscienze, e non richiede di “crederci” o di “non divulgare ciò che si fa” ma anzi al contrario si invitano tutti a leggere, studiare, capire ciò che si fa e perché lo si fa, e divulgarlo. Questa è la differenza tra una “Scuola del Potenziale Umano” e una setta.

Il metodo del potenziale umano alla base del lavoro è supportato da un’enorme letteratura e ai partecipanti vengono fornite letture, ma le sole letture e concetti, senza esperienza applicativa, sono nulla.

In particolare, l’interno Modello di Potenziale Umano HPM è esposto nel volume  “Il Potenziale Umano” di Daniele Trevisani.

metodo-hpm-daniele-trevisani

Ciascuna di queste “celle” o stati viene esplorata e potenziata con azioni allenanti specifiche.

Gli ingredienti per un’esperienza trasformativa, così ben esposti da Myss, sono oggetto di questo approccio esperienziale.

Articolo Copyright. Dal libro Psicologia della libertà. Liberare le potenzialità delle persone di Daniele Trevisani, edizioni Mediterranee, Roma

https://youtu.be/yJ-hcFgKyAE

 

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In qualsiasi situazione siamo, dobbiamo riconoscere in che zona mentale stiamo operando. Ogni zona ha le proprie peculiarità, vantaggi e svantaggi, rischi e opportunità. Ma la consapevolezza del “dove siamo” e del “dove stiamo andando” è obbligatoria, necessaria per chiunque voglia lavorare seriamente sul proprio potenziale personale.

© Dal testo

Il potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance

Franco Angeli, Milano.

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Ognuno vuole evolvere, ma vi sono diversi modi per farlo. In generale, i tipi di percorso evolutivo principali sono:

  • la progressione naturale: un dono di pochi eletti, in quanto consiste nel la­sciare che la forza naturale dell’auto-evoluzione faccia il proprio corso. Pur­troppo i fattori ambientali sono spesso talmente forti da impedire che questo accada. All’interno di una experience engineering, tuttavia, possia­mo fare in modo che la persona diventi più abile nel trasformare eventi quotidiani in esperienze di crescita, più capace di elaborare e apprendere dal proprio flusso di esperienze quotidiane (fattore meta-formativo: imparare ad apprendere dagli eventi);
  • esperienze sintetiche di sensibilizzazione: brevi momenti di inquadramento, “apertura di canali di riflessione”, di un’ora, una giornata, o poco più, lettura di materiali stimolo come papers, libri, materiali audiovisivi, col­loqui stimolo, sessioni maieutiche, incontri di coaching, e altri formati es­perienziali brevi; questi momenti sono utili soprattutto alla sensibilizzazione ma non sono equiparabili alla costruzione di un percorso serio e continuativo; all’interno di una experience engineering hanno lo scopo im­por­tante di (1) gettare semi concettuali, affinché l’individuo possa prosegui­re una elaborazione interiore e (2) offrire punti di partenza o link (colle­ga­menti) per poter continuare, da quel link, ad esplorare in autonomia nuovi contenuti;
  • esperienze di sviluppo di lungo periodo: progetti e percorsi di training, coaching e mentoring annuali e pluriennali, condotti attraverso una “regia” di più interventi, cadenzati in specifiche sessioni, divisi in macro-cicli e mi­cro-cicli. Spesso, questo modello utilizza un’alternanza tra sessioni di consulenza (per focalizzare gli obiettivi e fare il punto) e sessioni formative, per introdurre concetti e abilità. Gli stimoli sono basati su uno o più mo­delli di intervento, con sinergia tra diversi ambiti di azione e con più tar­get di sviluppo. Questa fase è la vera zona in cui si esplicita una compiu­ta ingegneria formativa ed esperienziale, produttiva di effetti.

In generale, ogni scuola di coaching, formazione, istruzione, o terapia (se ha solide basi scientifiche) ha sviluppato un proprio metodo di riferimento per predisporre percorsi, e si ispira ad un modello-base condiviso da chi si riconosce in quella scuola di pensiero.

Disporre di un modello di riferimento genera dei pro e dei contro. I pro sono la disponibilità di strumenti rodati e di esperienze. I contro sono la chiusura entro il modello, tale che ogni scuola di pensiero alternativa o diversa sia considerata semplicemente inferiore o peggio da screditare.

Questa deriva autocentrante (mettere la propria scuola al centro di tutto,e svilire le altre) è pericolosissima e cerchiamo di combatterla in ogni modo.

L’esigenza di disporre di un metodo ha portato i miei interventi a costruire un principio generale aperto, un metodo interdisciplinare di Regie di Cambiamento™, che comprende sotto-modelli come lo Human Performance Model (HPM), metodi sviluppato nelle nostre esperienze di ricerca e di coaching per dare struttura consistenza ai percorsi di crescita personale e/o organizzativa.

Nel progetto sulle Regie di Cambiamento sono stati inquadrati diversi tipi di stimolazione formativa, che corrispondono a spazi di azione in cui le persone si muovono:

Figura 9 – Zone stimolo e gli effetti sul potenziale personale

In questa sede vogliamo esaminare il rapporto tra le zone e l’ingegneria dell’apprendimento (Learning Experience Engineering).

Il compito delle azioni di sviluppo del potenziale è allargare la zona operativa e accedere con nuove risorse alla zona che prima era proibita. Il senso sottostante non è quello di trasformare un essere umano in un robot privo di emozioni, ma di permettergli di essere ciò che può essere rimuovendo ostacoli e barriere, e accedendo pienamente alle sue risorse non ancora coltivate e trasformate in energie disponibili.

Una larga parte degli esseri umani ha il potenziale fisico, alla nascita, di arrivare a livelli atletici olimpionici, o ricercatori eccellenti, se il potenziale viene coltivato, e lo stesso soggetto potrà invece ridursi in condizioni di quasi totale abulia in condizioni diverse e negative.

Anche sul piano intellettuale, una stragrande maggioranza degli esseri umani che vedono la luce sul pianeta ha la possibilità e le basi genetiche per avvicinarsi a livelli di pensiero ed umanistici molto elevati, ad esempio laurearsi e pluri-laurearsi, essere creativi, sviluppare pensiero strategico e problem-solving di alto livello.

Una piccola frazione di persone tuttavia vi riesce, largamente a causa del clima psicologico che incontra, favorevole o sfavorevole all’autoespressione e alla crescita. Questi blocchi diventano poi auto-convinzioni, ed il circolo si chiude a spirale in un crescendo di auto-impoverimento.

Il ruolo di un professionista del potenziale umano consiste soprattutto nel costruire il clima psicologico adeguato allo sviluppo di sé, e orchestrare azioni stimolo entro una ingegneria degli stimoli che tocchi tutte le aree della crescita personale e professionale.

La noia, non subita ma adeguatamente “ingegnerizzata”, può essere utilizzata per fasi di “scarico” o recupero, la zona di comfort è utile per consolidare competenze, la zona di sfida per “produrre adrenalina”, stimolare e aumentare l’acquisizione di nuove risorse, la zona di over-reaching è utile per fare i conti con se stessi e la realtà, capire dove sono i limiti, fare “stretching” e “incursioni guidate” su aree prima proibite, ampliare gli orizzonti.

© Dal testo

Dr. Daniele Trevisani - Formazione Aziendale, Ricerca, Coaching