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comunicazione interna efficace

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Fiducia e cliente

  • Source Credibility: Credibilità della fonte
  • Trustworthiness: essere degni di fiducia, meritevoli sul piano morale, potersi fidare di… sul piano umano
  • Expertise: competenza tecnica
  • Coerenza, nei
    • Messaggi
    • Comportamenti
    • Ambienti
  • Andare a caccia di dissonanze
  • Attenzione al cliente come persona (fattore umano)
  • Rispetto
  • Fiducia e legame con la soddisfazione (customer satisfaction)
  • Emozioni e segnali (consci e inconsci) ricevuti nel punto vendita = reazioni viscerali che si sviluppano nel punto vendita a contatto con ambienti e persone
  • Reazioni viscerali (istantanee, interiori, preconscie, non mediate dalla ragione, frutto di una elaborazione immediata)
  • Fiducia come “bonus” che crea benevolenza
  • Bonus euristico – credito relazionale che “lascia in secondo piano” difetti minori e predispone le persone meglio rispetto a quanto sarebbe se non vi vosse tale atteggiamento positivo verso il brand, il prodotto o la persona
  • Doppio livello di fiducia
  • Fiducia del cliente verso l’azienda
  • Fiducia del collaboratore verso l’azienda – il collaboratore stesso si fida dell’azienda? Che immagine ne ha? Come ne parla con gli altri all’interno? Come ne parla ai clienti?
  • Strategia di intervento sulla fiducia
      1. Analisi dei livelli di fiducia percepita, sia generale che localizzata
      2. Localizzazione di aree critiche
      3. Impegno verso la risoluzione
      4. Intervento concreto per il miglioramento
      • Capacità di localizzare le priorità su cui intervenire
      • Segmentazione e localizzazione (tangibles vs intangibles)
        • Aspetti tangibili e intangibili della fiducia
        • Aspetti tangibili per l’area food
        • Aspetti in tangibili per l’area food
        • Aspetti tangibili per l’area non-food
        • Aspetti in tangibili per l’area non-food

      Relazione tra fiducia e risorse umane

      • Responsabilità organizzative per la fiducia
        • Chi
        • Per cosa
        • In quali ruoli
        • Con quali confini
        • Come avviene la “delega” per il presidio dei fattori che generano fiducia o sfiducia
        • Localizzazione delle penombre organizzative e zone d’ombra nei confini di responsabilità
        • Chiarire le responsabilità
        • Comunicare al personale e sensibilizzarlo
        • Interventi di sensibilizzazione del personale sul tema della fiducia e percezione della fiducia nel cliente, dai comportamenti ai segnali deboli, aspetti visivi, olfattivi, ambientali, di prodotto
        • Buonsenso vs. procedura
        • Stereotipi e falsi miti sul buon senso “lo sanno tutti che…” o “lo capisce anche un bambino che…” non sono ragionamenti sufficienti. Cosa, quando e quanto possiamo lasciare al buon senso
        • Differenza tra addestramento e sensibilizzazione del personale. Addestramento: devo dirti ogni possibile cosa su cui intervenire e come farlo. Sensibilizzazione: devo metterti in condizione di accorgerti da solo delle cose
        • Cosa dobbiamo inserire in “procedure”
        • Quanta discrezionalità dobbiamo lasciare?
        • Autorevolezza vs. autorità. Autorevolezza come capacità di creare partecipazione. Autorità come strumento gerarchico che non genera automaticamente autorevolezza
        • Il valore dell’esempio

      di Roberto Meglioli resp. Servizio Marketing Coop Consumatori Nordest, Roberta Neri Ricerche e Ascolto Coop Adriatica, David Orvieto Area Commerciale Sait

      Tutti i giorni si vendono o si acquistano prodotti e servizi ma incartati di fiducia, significati, valori.

      Il flusso di messaggi trasmessi ai consumatori avviene all’interno di ogni punto di vendita tramite le merci, la loro esposizione, il rapporto con il personale.

      Prodotto servizio e relazione sono ciò che vendiamo, come lo esponiamo e valorizziamo, come lo raccontiamo.

      Ogni segnale, ogni messaggio all’interno del canale comunicativo “punto di vendita” raggiunge il consumatore anche tramite i segni involontari.

      Dobbiamo porre attenzione a come raccontiamo ciò che offriamo con competenza e passione.

      Competenza relativamente al prodotto e passione come accento della relazione.

      Si tratta di trasmettere tramite l’esposizione del prodotto segnali caldi e coinvolgenti che diano la sensazione di aiuto, supporto, accompagnamento, facilitazione visiva dell’atto di acquisto.

      Il consumatore vive sempre con incertezza la fase critica dell’atto di acquisto. Una valida esposizione può semplificare la lettura tra i prodotti e trasmettere informazioni utili per rassicurarlo nella scelta tra soverchianti possibilità.

      Ad esempio valorizzare prodotti stagionali, di provenienza geografica, ad alta intensità valoriale, oppure in apposite isole tematiche per enfatizzare la presenza di prodotti a scarsa rotazione o di nicchia, o penalizzati dall’allestimento e dal facing, dall’acquisto abitudinario e veloce, dall’assenza di comunicazione pubblicitaria.

      Una percentuale significativa di consumatori acquisisce informazioni ritenute importanti per effettuare l’atto di acquisto direttamente a punto di vendita. Ci scontriamo con la necessità da parte del consumatore di capire, decodificare, ricordare, porre attenzione su testi e messaggi.

      Avanza una cultura orale immersa nel frastuono di innumerevoli fonti comunicative.

      La comunicazione nel punto di vendita deve essere semplice, immediata, trasparente, esaustiva quanto basta per essere utile, onesta.

      L’interazione anche occasionale, che il personale ha con il cliente rappresenta un momento essenziale per trasmettere rispetto e attenzione nei suoi confronti, credibilità e competenza dell’insegna.

      Il consumatore vede il singolo addetto al quale si rivolge per ottenere un consiglio all’acquisto come il rappresentante principale dell’organizzazione di vendita.

      Occorre nei pochi secondi di interazione con il cliente trasmettere messaggi verbali e non verbali che comunichino: accuratezza nell’abbigliamento e nella presenza, disponibilità all’interazione, ascolto e comprensione di quanto comunicato dal cliente, sensazione di interesse e affidabilità, appiglio per la soluzione alla problematica avanzata.

      Non trascurare la fase di chiusura salutando gentilmente.

      La fiducia può portare ad uno stato di benevolenza del consumatore nei confronti di una marca o di un’insegna a tal punto da scusare e giustificare determinati errori a patto che siano riconosciuti ed affrontati anche in caso di risoluzione non positiva.

      Ambiente, punto di vendita, dipendenti devono trasmettere con coerenza segnali che costruiscano passo a passo una fiducia cumulata nell’agire quotidiano.

      Il legame tra soddisfazione del cliente e fiducia nel punto di vendita è stringente e direttamente correlato. Chi è più soddisfatto, è più propenso a raccomandare ad altri il punto di vendita, prova piacere ad effettuare gli atti di acquisto, si sente accolto, si sente come a casa propria.

      Un sorriso si ricorda per un sorriso si ritorna.

      Autore: Daniele Trevisani. Estratto dal volume “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, Milano, 2009, Copyright

      2.9.  Ricerca dell’eccellenza vs. perfezionismi inutili

      Chi si occupa di performance è spesso portato a confondere due piani distinti di una prestazione: la perfezione e l’eccellenza.

      Una prestazione eccellente è quella che offre contributi significativi a chi ne deve fruire, mentre una prestazione perfetta è spesso autoreferenziale, forzatamente ed esasperatamente sovraccarica di attenzione, anche nei dettagli nei quali nessuno può percepire un contributo in più o vantaggi ulteriori veri.

      La vera eccellenza si misura sul valore vero prodotto, non in finezze snob.

      I performer non possono essere danneggiati dalla ricerca della perfezione ma devono essere stimolati dalla ricerca dell’eccellenza. Si tratta di una differenza sottile ma importante.

      Perfezionismo e ricerca dell’eccellenza sono atteggiamenti diversi. Il perfezionismo assorbe energie in modo maniacale anche oltre il livello in cui un contributo diventa significativo. Consuma energie inutilmente.

      Le attività dei cercatori di perfezione non sono mai finite, mai terminate, mai perfette, esiste sempre una ragione per non completarle o non essere soddisfatti di sè.

      L’eccellenza richiede che le energie vengano investite là dove un contributo produce effetti, e sino al livello in cui un miglioramento è reale, percepibile, dotato di senso, creatore di valore buono, e non oltre.

      Il perfezionismo non aumenta il successo delle persone, è uno stato di maniacalità. Il successo è determinato dal talento, energia, impegno, non dal perfezionismo o testardaggine verso i dettagli inutili. Il successo avviene nonostante il perfezionismo, non a causa di esso. Come evidenzia Greenspon[1], il perfezionismo è una sorta di malattia:

      “Il perfezionismo non è fare del proprio meglio, o ricercare l’eccellenza. È una convinzione emotiva sul fatto che la perfezione sia la sola via all’accettazione personale. È la convinzione emotiva che solo essendo perfetti uno sarà finalmente accettato come persona”.

      Un coaching efficace dovrà aiutare il cliente o team ad identificare le soglie di valutazione corrette nelle proprie attività, evitando sia le performance scadenti che quelle dotate di attenzioni maniacali non necessarie.

      Localizzare dove si situino le varie attività dell’individuo o del team in questa scala, è fondamentale. Specificamente, localizzare la differenza tra il perfezionismo inutile e l’eccellenza è particolarmente importante nel metodo HPM, vista la presenza della cella “micro-competenze”, che stimola proprio ad andare alla ricerca dei dettagli significativi su cui lavorare. Essa – ricordiamo – non è da non confondere con l’ossessione maniacale sull’inutile e sulla superficie.

      Una delle funzioni fondamentali del coaching e della formazione consulenziale consiste proprio nell’aiutare le persone a capire su quali aree è bene investire e su quali invece sia inutile farlo ora, o non valga la pena in quanto il livello raggiunto è già sufficientemente buono.

      Le persone non riescono, da sole, il più delle volte, a percepire se stesse con lucidità, a fissare bene i propri scopi, ancora meno a raggiungerli o sviluppare performance ottimali. Esiste una coltre di nebbia che offusca la visione di noi stessi e i nostri veri obiettivi. Guardare oltre non è facile, e anche una sfida, per definizione, non è semplice.

      Il coaching, la formazione, la consulenza, sono discipline che – quando fatte con passione e serietà – lavorano sul dare supporto individuale, o a una squadra o intera organizzazione, per aiutarla a percepirsi correttamente, senza lenti sfuocate, a fissare veri obiettivi e fare piazza pulita di falsi obiettivi o presupposti fuorvianti, evolvere e andare verso nuove sfide, crescere, progredire. Perché il senso dell’uomo è questo: la ricerca.

      Rispetto alle variabili del modello HPM, ciascuna può essere osservata come uno spazio di crescita con territori in parte conosciuti e raggiunti, ed altri ancora da conquistare ed esplorare.

      La domanda non diventa se andare avanti, ma come. Il fatto di andare avanti deve diventare un atteggiamento di fondo, forza di volontà costante.

      Un’ultima convinzione e riflessione: l’eccellenza non è materia solo tecnica. L’eccellenza si raggiunge quando si crede in qualcosa.

      I puri di cuore, e coloro che lavorano per una causa, fanno quasi sempre cose eccellenti, poiché vi mettono passione.

      La tecnica e la formazione ci possono solo aiutare a trasformare la purezza del cuore e la volontà in progetti reali, tangibili e utili.

      Vivere, essere puri di cuore, e morire

      Per rendere immortale il nostro spirito.

      Gustavo Adolfo Rol (1903-1994)

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      Copyright, Articolo estratto con il permesso dell’autore, dal volume di Daniele Trevisani “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, Milano.2009. Pubblicato con il contributo editoriale di Studio Trevisani Communication Research, Formazione e Coaching.


      [1] Greenspon, T. (2008), The Courage to be Imperfect: Tom Greenspon on Perfectionism, Northwestern University, Center for Talent Development.

      Autore: Daniele Trevisani. Estratto dal volume “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, Milano, 2009, Copyright

      2.5. Le nuove competenze emotive (mood awareness, mood labeling, mood monitoring, cognitive la­beling)

      Bisognerebbe tentare di essere felici, non fosse altro per dare l’esempio.

      (Jacques Prévert)

      L’umore è uno degli elementi più esplicitamente correlati alle energie mentali, e dalle forti capacità “contagiose”, in bene e in male.

      Un umore è una condizione emotiva di maggiore durata rispetto al­l’emozione istantanea, e meno collegata ad un singolo evento scatenante.

      I tipi di personalità sono invece tratti più duraturi che predispongono a tipi di umore specifici. Lottare contro l’eredità umorale appresa è una sfida nobile.

      Secondo Thayer, l’umore è un prodotto di due dimensioni, l’energia e la tensione[1]. Gli umori positivi avvengono in zone di energie elevate e stato di calma, mentre ci sentiamo peggio quando siamo in condizione di basse energie fisiche accompagnate a tensione emotiva.

      Bassi livelli di energie mentali sono in genere accompagnati da condizioni umorali negative, tristezza, depressione, mentre alti livelli sono accompagnati da stati positivi, dal rilassamento sino alla gioia e all’euforia.

      Ciò che ci interessa maggiormente in termini di coaching analitico è il concetto di mood awareness[2], la consapevolezza dello stato umorale, una capacità specifica ed allenabile, composta da mood labeling (saper etichettare lo stato emotivo in corso) e mood monitoring (saper monitorare l’anda­mento del proprio umore, coscientemente, tener traccia delle variazioni).

      Il labeling, in particolare, rappresenta il ponte essenziale tra il sentimento interno e la possibilità di comunicarlo.

      Comunicare ad altri come ci si sente è importantissimo, ed è tema di cui si occupano molte ricerche, che giungono a inquadrare il concetto di empatia interna[3], o la capacità di capirsi. Questa dipende anche dalla capacità di trovare etichette (verbali) per gli stati cognitivi e per i sentimenti vissuti.

      Conoscere i propri stati e non negarli è essenziale, ma poi serve la capacità di descriverli e – soprattutto –  l’occasione fisica, vera, di parlarne a qualcuno che ci ascolti.  Trovare oggi chi sia in grado da farci da contenitore emotivo è qualcosa di estremamente raro, ma non è su questo che mi voglio soffermare ora. Il fattore tecnico è che anche quando questa occasione di ascolto accade, non siamo sufficientemente capaci di esprimere i nostri veri sentimenti con precisione. Di questo ogni coach, leader o psicologo dovrebbe tenere conto.

      Più in generale, la capacità di riuscire a dare nome e descrizione ai processi mentali in corso (cognitive labeling skills) permette di crescere psicologicamente.

      Infatti, non è per nulla scontato sapere come ci si sente, riuscire a riflettervi sopra analiticamente, o riuscire a comunicarlo, prima che gli umori diventino distruttivi. Molti subiscono lo stato umorale passivamente, o non riescono a condividerlo, o essere ascoltati, e in questo modo non arrivano a scardinare i meccanismi che lo generano, o replicare stati positivi.

      Le energie mentali producono specifici stati umorali. Nella fig. 2 vediamo diverse tipologie.

      La domanda primaria rispetto allo schema evidenziato è “come ti senti?” L’attività di scavo deve riguardare invece il “perché ti senti così?”

      All’interno delle risposte devono essere notati e scoperti i meccanismi di ragionamento che depotenziano e corrodono l’umore, le azioni e stili di vita che avvizziscono la persona, gli stili cognitivi disfunzionali, le aree su cui lavorare, e tutte le azioni invece positive da consolidare e rinforzare.

      La psicoenergetica nel metodo HPM si occupa dei fattori psicologici che producono tali stati soggettivi o livelli di umore.

      In questo lavoro, non è possibile astenersi dal giudizio, non è possibile evitare di applicare valori e criteri di riferimento personali.

      In questo, il coaching differenzia sostanzialmente dalla psicoterapia non direttiva, in quanto arriva a dare giudizi di valore e indicare strade da perseguire.


      [1] Thayer, R. E. (1989), The biopsychology of mood and arousal, Oxford University Press, New York, NY.

      Thayer, R. E. (1996), The origin of everyday moods: Managing energy, tension and stress, Oxford University Press, New York, NY.

      Thayer, R. E. (2001), Calm Energy, Oxford University Press, New York, NY.

      [2] Woodhouse, S. S., Gelso, C.J. (2008), Volunteer Client Adult Attachment, Memory for In-Session Emotion, and Mood Awareness: An Affect Regulation Perspective, Journal of Counseling Psychology, v. 55, n. 2, pp. 197-208, Apr.

      [3] Jackson, E. (1986), Internal Empathy, Cognitive Labeling, and Demonstrated Empathy, Journal of Humanistic Education and Development, v. 24, n. 3, pp. 104-115, Mar.

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      Copyright, Articolo estratto con il permesso dell’autore, dal volume di Daniele Trevisani “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, Milano.2009. Pubblicato con il contributo editoriale di Studio Trevisani Communication Research, Formazione e Coaching.

      Questioni di comunicazione interna, dal volume “Competitività Aziendale, Personale, Organizzativa“, Franco Angeli editore.

      Obiettivo Strumenti
      Sviluppare una cultura interna condivisa
      1. Realizzare piani formativi che pongano le fondamenta dei valori aziendali e definiscano le linee guida del management, i principi a cui ispirarsi.

      Contenuti del piano formativo da attuare in azienda:

      1. la missione aziendale e il BSS
      2. la visione dell’impresa, dove vogliamo arrivare
      3. i nostri metodi di lavoro e la direzione per obiettivi
      4. le fasi della creazione del valore nel metodo ALM (5 punti)
      5. esercitazioni manageriali, analisi congiunte di scenario
      6. analisi congiunte di ridefinizione della mission
      7. analisi congiunte di creazione di visione
      8. lo sviluppo del mix: tutti i manager realizzano progetti di: sviluppo del prodotto, del servizio, del pricing, della distribuzione, della comunicazione esterna, offrendo i loro contributi settoriali specifici
      9. l’analisi tramite check-list del metodo ALM
      10. la gestione delle linee di azione con i diversi interlocutori aziendali (con i fornitori, con i clienti, con i media, ecc.)
      11. l’impostazione dei comportamenti front-line e lo sviluppo dell’argomentario aziendale di corporate image e product image (vendita dell’impresa, vendita del prodotto)
      Sviluppo di coesione e team-building

       

      1. Creazione di task-force di progetto intersettoriali: gruppi multiarea
      2. Sviluppo della leadership di progetto con affidamento di responsabiltà inequivocabili. Ogni manager e professional deve essere responsabile di qualche progetto di miglioramento, anche limitato
      3. Stage aziendali interni: favoriscono lo sviluppo interculturale e l’acquisizione del know-how diffuso
      Linguaggio comune

       

      1. Sviluppo di un corporate-identity book da diffondere a tutto il personale, contenente il breviario dei termini cardine della cultura aziendale. Da affiancare all’attività formativa
      2. Obbligo di lettura di alcuni testi cardine che i manager devono assimilare per essere all’altezza del loro compito, con successivi test di verifica
      Eliminare lotta interna per le risorse e clan

       

      1. Rotazione dei compiti (job-rotation) applicata ad ogni livello. Stage interni
      2. Allocazione delle risorse orientata agli obiettivi strategici
      3. Formazione alla collaborazione e partnership
      4. Allontanamento del personale che attua comportamenti contrari allo sviluppo dell’impresa
      Accrescere la  densità temporale

       

      1. Costruzione di una to-do-list di breve e medio periodo, per ciascun settore e persona, sviluppo di progetti settoriali tramite con tecniche Gantt
      2. Consolidamento di progetti (incrocio tra diagrammi Gantt) intersettoriali
      Sviluppare estensione della prospettiva temporale

       

      1. Fissare i punti di arrivo nel medio lungo periodo, per l’azienda, per i singoli reparti/aree, e per i singoli profili/persone
      2. Definire i grandi traguardi pluriennali. Far crescere la visione
      3. Realizzare piani strategici di comunicazione interna a tutto il personale (utilizzare tecnica e strategia di comunicazione, strumenti e media evoluti e tradizionali, avvalersi di professionalità adeguate interne ed esterne)
      Responsabilità e rintracciabilità

       

      1. Sviluppo della gestione aziendale per obiettivi e direzione per obiettivi
      2. Tradurre i progetti aziendali in diagrammi attuativi (diagrammi Gantt) identificare ogni responsabilità di fase o step del progetto a livello di persona. Non riunirsi senza i rispettivi diagrammi Gantt
      3. Definire le gerarchie di responsabilità – organigramma mission-oriented
      Migliorare l’organizzazione e la produttività

       

      1. Formare il personale sulle tecniche di comunicazione interna e produttività computerizzata (office productivity tools, networking interno elettronico, intranet e extranet)
      2. Diffondere il principio di minimizzazione dei problemi
      3. Realizzare progetti pilota sul miglioramento organizzativo
      4. Punire chi persevera nella devianza dalle norme di buona organizzazione interna (es: continuare a scaricare su altri le proprie responsabilità, ecc.)
      5. Premiare i contributi rilevanti provenienti dall’interno
      6. Remunerare per obiettivi e per competenze
      Combattere la demotivazione

       

      Realizzare sistemi incentivanti che leghino i risultati aziendali alla remunerazione tramite:

      1. Partecipazione agli utili dell’azienda
      2. Incentivi non monetari (benefits)
      3. Pagamento in azioni e quote societarie
      4. Incentivi alle contribuzioni per la crescita aziendale (suggerimenti utili forniti, azioni particolarmente meritevoli, impegno per la causa aziendale)
      5. Collegamento tra retribuzione e indicatori primari di performance (customer satisfaction, customer loyalty)
      6. Collegamento tra retribuzione e competenze (pay-per-knowledge, pay-per-skills)
      7. Realizzare formazione continua al personale, tramite analisi periodica dei fabbisogni e interventi formativi di alta qualità
      Migliorare la comunicazione interna

       

      1. Creare reti di comunicazione elettronica interna, sviluppo di sistemi organizzati di comunicazione tra uffici e aree (cross-field communication)
      2. Definire sistemi di rintracciabilità delle persone negli orari di lavoro
      3. Formazione sulle tecniche di gestione delle riunioni (meeting-management skills)
      4. Realizzare bollettini, newsletter e altri strumenti di publishing interno
      5. Migliorare la capacità di ascolto direzionale dei suggerimenti interni
      6. Creare sistemi di ascolto delle opinioni del personale e feedback (bottom-up communication) e coinvolgimento decisionale
      7. Sviluppo dei sistemi di comunicazione direzionale al personale (top-down communication) (frequenza, qualità della comunicazione, chiarezza, contenuti dei messaggi, media, strategia di comunicazione interna motivazionale, ecc.)
      8. Sviluppo dei sistemi propositivi e di comunicazione dal personale (circoli di qualità, suggerimenti su organizzazione e produzione, micromiglioramenti) e loro stimolazione e motivazione (bottom-up improvement).
      Dr. Daniele Trevisani - Formazione Aziendale, Ricerca, Coaching