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analisi della comunicazione

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Pubblichiamo il primo di due articoli sul tema dell’ascolto. Nel primo articolo, giusto per non farci mancare un pò di ironia, identifichiamo i livelli di ascolto errati, e come questi riescono a distruggere una relazione e creare climi pessimi. Nel prossimo articolo, vedremo finalmente il lato positivo dell’ascolto e le modalità positive. Buona lettura!

scala livelli di ascolto

Come riconoscere le modalità di ascolto negative: quando e come dare il peggio di sè sbagliando tutto il possibile nell’ascolto (e riconoscere quando accade, per evitarlo)

Copyright Daniele Trevisani www.studiotrevisani.itwww.danieletrevisani.it www.comunicazioneaziendale.it – estratto con modifiche dell’autore, dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace”. Milano, Franco Angeli editore, 2019.

 Che differenza c’è tra domanda e accusa?

Un’accusa è quella a cui non si risponde, a una domanda si risponde.

dal film “I Predoni” di Steven C. Miller

Nei miei incarichi come Formatore ho trovato spesso utile fare un lavoro di ricerca che porti ad una sorta di “scala” o “termometro” della qualità dei livelli di ascolto. Da un ascolto criticante ad un ascolto empatico, la differenza è parecchia, e tangibile. Tratteremo in un articolo apposito i livelli positivi, ma per ora concentriamoci su quelli negativi, anche per cercare di evitarli, in prima persona, come si evita un masso lungo la strada. Riconoscere gli errori, in sé e negli altri, fa decisamente bene.

Partiamo quindi dai livelli decisamente negativi: Gli elementi negativi dell’ascolto sono quelli che ti fanno star male, quando li subisci. Generano il sentimento di non essere capiti, o trascurati, o non considerati per quanto si dice e nemmeno come persone. Vanno contro, in pratica, ad un bisogno basilare di ogni essere umano: essere capiti. Un bisogno tanto forte come quello d’aria.

Per dare il peggio di sè nell’ascolto è sufficiente interrompere, giudicare, non ascoltare, distrarsi, ascoltare mentre si guarda la tv o si digita su uno smartphone, non guardare le persone, distorcere ogni possibile interpretazione, insomma, un intero bagaglio di errori qui appena accennati, che di seguito potrete esplorare meglio.

Forse non si desiderava tanto essere amati, quanto essere capiti.

(George Orwell)

L’ascolto schermato o distorsivo

L’ascolto schermato blocca o amputa parte dei dati provenienti dal canale uditivo e li distorce, così come fa per gli altri canali: vista, tatto, gusto, olfatto. L’esito è non capire, non prestare attenzione, distorcere i dati in ingresso. Letteralmente, capire una cosa per l’altra. Accade quando si è troppo stanchi per ascoltare, o l’ascoltatore sta vivendo uno stato emotivo non adeguato ad un ascolto di qualità (es, rabbia, frustrazione, euforia, passione, e tante altre emozioni di forte intensità) e vi sono quindi stati interni che si frappongono ad un ascolto di qualità.

Vi sarà capitato molto spesso di essere dall’altra parte, nel ruolo della persona che parla, e di non essere affatto capiti, o addirittura completamente fraintesi. Bene, ora avete una precisa etichetta per questa condizione.

L’ascolto giudicante/aggressivo

 Essere incompresi da coloro che amiamo è la condizione peggiore per vivere e affrontare ogni giorno gli impegni della vita. L’incomprensione pesa come una montagna e traccia solchi profondi sull’anima.

 (Romano Battaglia)

L’ascolto giudicante/aggressivo è caratterizzato dal fatto che il ricevente non ascolta veramente, ma raccoglie stralci di informazioni per poi emettere immediatamente sentenze e giudizi. Quando riguarda noi, possiamo dire che stiamo “mettendo su un muro” verso l’altra persona, tale che non importa nemmeno cosa dica, come lo dica, è tutto sbagliato “a prescindere”. Quello che possiamo chiamare un “riverbero negativo” può toccare sia il tema “quello che hai detto sul tema x è una stupidaggine”, oppure andare direttamente al cuore, attaccando la persona stessa e non la sua frase “sei un egocentrico e non capisci niente”.

Questa seconda forma di offesa è molto più grave della prima perché investe la persona nella sua totalità: “tu sei”, e non in una sua azione delimitata “tu fai x e non mi piace quel x”. L’ascolto giudicante si fa con le parole ma non solo. Può emergere anche da una smorfia sottilissima emessa in modo non verbale quale “storcere il naso” durante un’affermazione altrui che non approviamo, e non è da confondere con la partecipazione emotiva a quanto detto dall’altro. L’ascolto aggressivo innesca la spirale aggressione-odio. È veramente un nemico delle relazioni umane e dell’umanità più in generale.

 La pace non può essere mantenuta con la forza; può essere conseguito solo la comprensione.

 (Albert Einstein)

Ascolto apatico o passivo

Che poi ci sono cose peggiori di un’assenza. Una presenza distratta.

 (manuela_reich, Twitter)

L’ascolto apatico o passivo è caratterizzato dalla nostra o altrui “assenza mentale”, ed è negativo. Privo di energia, stanco, “morto”, spento, distratto. E’ un ascolto vuoto di segnali, praticato da una persona disinteressata, o incapace nell’ascoltare, spesso totalmente assorbita dai suoi processi interni, dai suoi ragionamenti interiori, in cui le parole ascoltate non fanno breccia. Come se volessimo lanciare freccette su una cassaforte blindata, quelle freccette si infrangono e cadono. Niente entra veramente. La comunicazione e i messaggi sfiorano solo queste persone, e dire che capiranno poco di quanto detto, è fargli un regalo.

Ascolto a tratti

Il fattore principale di distrazione non sono le chiacchiere della gente che ci circonda, ma quel chiacchiericcio che avviene all’interno della nostra mente. Per poter raggiungere una perfetta concentrazione è necessario mettere a tacere queste voci interiori.

 (Daniel Goleman)

Un ascolto attento in alcuni momenti, distratto in altri. E’ un meccanismo che crea un ascolto pessimo.

L’ascolto a tratti è estremamente comune, probabilmente lo stato più realistico delle interazioni medie quotidiane.

Ascoltiamo, poi qualcosa del contenuto altrui ci “accende” perché connesso ai nostri interessi, allora forse facciamo una domanda di approfondimento, poi il contenuto altrui cambia, o ci viene in mente qualcosa, saltiamo da un pensiero ad un’altro, la testa “va via”, o sentiamo  una frase di una conversazione altrui che ci attira, ci perdiamo, “andiamo via” dalla conversazione, anche se fisicamente siamo ancora li. Il modo più rapido per applicare un ascolto sbagliato “a tratti” è di ascoltare con un media acceso, ascoltare mentre si digita su una tastiera o schermo, ascoltare con la tv accesa o con un monitor acceso, che possiamo considerare “sottofondo” ma sottofondo non è, in quanto da esso escono informazioni che a volte ci catturano, e questo è uno degli ascolti peggiori in assoluto, tranne che per alcuni momenti di “presenza mentale”.

Lo sforzo di parlare con qualcuno che ascolta “a tratti” è enorme, sia fisico che emotivo. Dopo questa rassegna di ascolti pessimi, andremo in un prossimo articolo ad esaminare i tipi di ascolto di natura migliore, certamente con la consapevolezza che l’ascolto incide sulle nostre vite e su quelle delle persone che ci circondano, e – non poco – sulla qualità del lavoro in azienda.

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Copyright Daniele Trevisani www.studiotrevisani.itwww.danieletrevisani.it www.comunicazioneaziendale.it – estratto con modifiche dell’autore, dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace”. Milano, Franco Angeli editore, 2019.

L’incomunicabilità viene descritta nel “Modello delle 4 Distanze” (4 Distances Model) come uno stato dovuto alla presenza di una o più “distanze” tra i due comunicatori:

D1 – Distanza 1: differenze nei ruoli e personalità, tali da rendere impossibile l’accettazione del ruolo e quindi rompere la comunicazione per “inaccettazione dell’altro”

D2 – Distanza 2: differenze che possono riguardare o il tema della conversazione (A vuole parlare di un tema, B di un altro, e nessuno è disposto ad “andare incontro” all’esigenza altrui), oppure incomunicabilità di codice, non avere un codice comune e condiviso per poter comunicare, che si tratti di una lingua vera e propria, o di uno stile comunicativo almeno in parte comune.

D3 – Divergenze nei valori, nelle ideologie, nelle credenze personali – di portata tale da essere totalmente incompatibili tra i due comunicatori, e bloccare la comunicazione, o provocare il ritiro di una delle due parti, non appena emergono.

Dopo questo riassunto delle prime tre distanze, passiamo alla D4 – Distanza Referenziale o Distanza Esperienziale. Il tema della D4, e della rottura della comunicazione lungo la D4, riguarda l’incomunicabilità delle esperienze, o il fatto di avere fatto esperienze completamente diverse di una situazione, o ancora non avere mai condiviso un certo referente, sia esso un oggetto, una situazione, o uno stato emotivo. La esponiamo prima in modo grafico, per poi entrare nei dettagli.

D4 -Incomunicabilità esperienziale

Ci sono esperienze che sono difficilmente comunicabili, altre che non sono comunicabili per niente. Lo sforzo della comunicazione empatica infatti è quello di comprendere esperienze e stati d’animo che noi non abbiamo potuto vivere, capendole come se fossimo la persona che parla. Compito arduo, ma non impossibile. Per certi temi, invece, esiste una sostanziale incomunicabilità di fondo, soprattutto per le sensazioni fisiche, viscerali, corporee,. Trovare forme per trasmettere il “bodily-felt sense” (sensazione corporea provata) è una competenza ancora veramente embrionale per la razza umana., e lo si fa in modo molto primitivo e spesso poco efficace.

La saggezza non è comunicabile. La scienza si può comunicare, ma la saggezza no. Si può trovarla, viverla, si possono fare miracoli con essa, ma spiegarla e insegnarla non si può.
(Hermann Hesse)

Avete mai visto un taxi in un paese orientale, costituito da un triciclo a motore colorato. Ebbene, si usa la stessa parola “taxi” anche per indicare una lussuosa berlina di rappresentanza che puoi prendere all’uscita dell’aeroporto di Amsterdam o New York.

Se non sono mai stato su un taxi colorato a tre ruote, la mia immagine mentale del taxi sarà quella che si è formata in base alla mia esperienza di vita.

E se due persone interagiscono usando lo stesso termine, per due esperienze di vita o oggetti mentali diversi, abbiamo una rottura comunicativa.

Questo vale per tantissime altre cose. Possiamo garantire che la nostra immagine mentale di cosa sia un matrimonio, formatasi in seguito alla partecipazione ad alcuni matrimoni in Italia, si adatta malissimo a quello che potrebbe essere un matrimonio in Asia, in Africa, in Giappone, o in un paese Arabo. Usiamo sì la stessa parola – “matrimonio” – possiamo anche tradurla in una “lingua di mezzo” come l’inglese con “marriage”, ma l’immagine mentale che vi si associa, sarà assolutamente basata sulle diverse esperienze di ciascuno. In altre parole, spesso pensiamo di parlare della stessa cosa, ma non lo stiamo facendo. Da lì ad accadere malintesi, incomprensioni e disaccordi, passa poco.

Parlarsi chiaro vuol dire anche quindi spendere qualche parola in più per “metacomunicare”, per “parlare sulle parole”, spiegare i termini e la nostra immagine mentale e cosa noi intendiamo per un “matrimonio”, o un piatto di spaghetti. Chi sia stato all’estero e abbia visto, ad esempio, gli spaghetti come vengono fatti e presentati, magari con marmellata e stracotti, ha provato quest’esperienza, e sa che non è bene dare per scontato che tutti abbiano le stesse percezioni e significati rispetto ad un termine linguistico.

La D4 ci parla anche delle esperienze intraducibili, quelle che puoi condividere solo ed unicamente con chi ha avuto la stessa o simile esperienza.

Ad esempio, “fare una derapata controllata” con una moto da cross o da enduro, è un’esperienza che può aver fatto solo chi ha guidato una moto da cross o da enduro di una certa potenza, e con parecchia pratica alle spalle. Questo verbo contiene in sé la sensazione di perdita di controllo della ruota posteriore che viene continuamente riallineata tramite il comando del gas, esperienza interiore e sensoriale, ma anche emotiva, che può essere espressa a voce, ma mai davvero provata come chi l’ha davvero vissuta.

Questo vale per praticamente tutte le azioni che l’altro con cui comunichiamo non abbia esperito direttamente.

Gendlin e Rogers ci parlano del concetto dei “referenti diretti”: sono quegli stati corporei o mentali che l’individuo percepisce ma che non hanno ancora trovato una manifestazione esterna nella parola. In altre parole sono sensazioni provate ma non ancora uscite o comunicate ad alcuno. Sono condizioni “pre-verbali” che vengono comunicate a fatica proprio perché estremamente soggettive.

Perché tale difficoltà a comunicare? Da un lato si tratta di materiale pre-verbale, quindi non di testo scritto da trasmettere, ma di sensazioni interne, che il linguaggio stesso fatica a catturare. Dall’altro lato, come osserva Gendlin, l’uso della parola “referente” esprime un particolare tipo di sensazione ancora non chiara, alla quale il cliente di una sessione di psicoterapia si riferisce[1]. Il fatto stesso di dare voce a questa sensazione è un atto liberatorio e terapeutico.

Un concetto fondamentale per la comunicazione è quello del “Felt Sense” o “sensazione provata”, sviluppato da Carl Rogers. Questo concetto è importante perché ci avvicina alla vera natura della comunicazione: l’incontro e lo scambio comunicativo sono sempre connotati dai tentativi di espressione di qualche tipo di sensazione difficile da esprimere, un incontro comunicativo tra i “felt sense”, e ciè che emerge nella comunicazione è abbastanza lontano dall’avvicinarsi ad una oggettiva. Il “ponte” che la parola e il messaggio cercano di costruire, è tra i “felt sense” delle persone, per cui non c’è da meravigliarsi su quanto sia difficile comunicare alle persone correttamente come stiamo, ascoltare, ed essere chiari quando il tema conversazionale riguarda i sentimenti e le emozioni, gli stati d’animo, e non oggetti fisici.

E anche quando si tratta di cercare di trasmettere informazioni su oggetti fisici, es. un disegno geometrico da far riprodurre ad un compagno di formazione, nella mia esperienza ho notato che la quota di distorsione del messaggio era sempre grandissima, per cui l’oggetto di partenza, es, un insieme di quadrati e rettangoli, disposti su un foglio, diventava un caos nel disegno finale che il ricevente produceva potendosi fidare e affidare solo alla comunicazione altrui.

In altre parole, stiamo attenti a dare per scontato di essere capiti facilmente, e di capire facilmente i concetti altrui. Teniamo sempre aperta la porta che ci segnala quanto sia facile e probabile che avvengano incomprensioni e malintesi, e molto probabilmente avremo ragione.

Definite sempre un termine quando lo introducete per la prima volta. Se non sapete definirlo evitatelo. Se è uno dei termini principali della vostra tesi e non riuscite a definirlo piantate lì tutto. Avete sbagliato tesi (o mestiere).
(Umberto Eco)

[1] Akiko Doi, & Ikemi, Akira (2003). How getting in touch with feelings happens: The process of Referencing. In: Journal of Humanistic Psychology, Vol 43 no. 4, Fall 2003.

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Copyright Daniele Trevisani – anticipazione editoriale dal testo “Parliamoci Chiaro” Gribaudo Edizioni, 2019. Studio Trevisani www.danieletrevisani.it www.studiotrevisani.it www.danieletrevisani.com www.comunicazioneaziendale.it

Una componente fondamentale della comunicazione è l’ascolto e qui se ne parla https://amzn.to/2IchEA9 In video, tuttavia, tutto appare più chiaro. Apriamo questo articolo con un video molto esplicativo, che ci fa arrivare al “dunque” molto prima di qualsiasi trattazione scritta. Poi, chi è interessato potrà leggere l’articolo per capire cosa succede in questo video.

https://youtu.be/mUESWQ4EtuY

Nella Comunicazione secondo il modello delle Quattro Distanze, l’ultima distanza, cosiddetta Distanza Referenziale, riguarda la differenza tra i vissuti che due persone portano con sè.

Questa distanza, chiamata Referenziale perchè riguarda i “referenti” (in semiotica, gli oggetti del mondo interno o esterno con cui siamo venuti a contatto) riguarda l’intera storia della persona, le esperienze del soggetto – le cose viste, le esperienze relazionali e oggettuali – e le esperienze interne. Comprende quindi sia la sua storia esterna (cosa ho visto del pianeta e del mondo, cosa ho vissuto nelle relazioni con altri esseri umani e organizzazioni) e il vissuto emotivo interiore, le emozioni provate nel corso della storia personale.

La quarta distanza tra persone riguarda quindi il vissuto personale, l’esperienza pregressa, il tipo di sensazioni ed emozioni che hanno caratterizzato il passato, sino al presente.

Si tratta in termini scientifici di grado di varianza tra tracce mnestiche (tipo di inputs presenti in memoria). Ad esempio, chi non abbia mai vissuto un jet-lag (disagio dovuto al cambio di fusi orari in voli transcontinentali) non potrà capire la reale sensazione che si prova, così come chi non ha mai sofferto di mal di denti non potrà certo capire una semplice descrizione del mal di denti.

Senza una quota di vissuto condiviso l’incomunicabilità è assicurata. E soprattutto, quando parliamo con qualcuno di cui non conosciamo il passato e il presente, molto meglio essere cauti nel fare affermazioni che riguardano la persona stessa o il suo contesto, fino a che il quadro non si è chiarito.

Il vissuto referenziale dal punto di vista percettivo riguarda tutto ciò che si è visto, odorato, toccato e sentito sulla pelle, gustato, le sensazioni motorie provate, le sensazioni interne.

E come se non bastasse, nella distanza referenziale si collocano anche le memorie di quanto abbiamo vissuto in famiglia, i suoi traumi, i suoi successi, i suoi valori. La nostra famiglia, ristretta o allargata, e persino la nostra nazione, ci hanno fornito modelli di comportamento e valori di sfondo. Così, ad esempio, è bene “parlarsi chiaro e darsi del tu” tra manager americani, ma lo è molto meno nelle culture latine, dove – almeno nella fase iniziale di un’interazione  – anche un gesto sbagliato può essere interpretato come offensivo. Allo stesso modo, nelle culture latine chi tocca il “valore della famiglia” ne rimane scottato, per cui – anche se fosse vero – non bisogna mai dare connotazioni negative della famiglia o persino della città di origine di una persona con cui si sta parlando.

Chi lo fa, anche se inavvertitamente, si brucia.

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Analisi Transazionale

Copyright Daniele Trevisani dal testo “Parliamoci Chiaro”, Gribaudo Edizioni, in anteprima. www.danieletrevisani.it www.danieletrevisani.com

L’Analisi Transazionale è una metodologia di studio della comunicazione tra le più consolidate e utili. Trattando del tema “comunicazione e personalità” è un modello importante per la nostra distanza D1, che riguarda anche come diverse personalità vengono a contatto e come comunicano tra di loro.

L’A.T. è una disciplina ampia ma al tempo stesso concreta, pratica, e adatta ad un “parlarsi chiaro” che è esigenza base trattata in questo libro.

Tratta nello specifico lo “stato della personalità” che in un certo momento sta prendendo il palco, sta interagendo, sta comunicando. In questo suo soffermarsi sul “ruolo che parla” è decisamente utile, quando si esamina la D1, proprio perché aiuta a capire come molte comunicazioni siano in realtà forme di espressione della personalità, di un ruolo, e non solo messaggi centrati su cose, oggetti, o informazioni fini a sé stesse.

In altre parole, si comunica spesso per affermare la propria identità e personalità, e qualsiasi “scusa di contenuto” diventa buona per farlo.

Le “scuse di contenuto” sono le occasioni o gli argomenti di cui di volta in volta si parla, i temi delle conversazioni, e le personalità tirano questo brutto scherzo: cercano qualsiasi scusa di contenuto per manifestarsi.

L’Analisi Transazionale (AT) è una forma di analisi della comunicazione sviluppata da Eric Berne[1], che riprende e semplifica gli studi di Freud sulla personalità e sulla psicanalisi.

Lo scopo dell’AT è quello di analizzare e migliorare i rapporti interpersonali, sia sul lavoro che nella vita quotidiana, attraverso una maggiore competenza comunicativa nell’interazione con gli altri, nell’impostazione dei rapporti interpersonali, nella fase di comprensione dei messaggi inviatici da altri, nella capacità di inviare messaggi efficacemente ai nostri interlocutori.

L’area di studio dalla quale proviene è infatti quella della psicologia clinica. Eric Berne, psicanalista, si occupava della terapia nei confronti dei militari reduci dalla II guerra mondiale che non riuscivano ad inserirsi nel contesto sociale e nel lavoro. Si trattava di persone non disturbate nel profondo, ma che avevano disturbi di tipo relazionale. L’AT insegnava ai soggetti ad emettere segnali comportamentali più coerenti con i ruoli sociali nei quali essi dovevano inserirsi, avvalendosi di una terapia di gruppo.

L’AT viene ora utilizzata in campo aziendale, e sociale, sia per migliorare la comunicazione interna ai gruppi che esterna, nel campo delle relazioni esterne (transazioni commerciali, vendita, pubbliche relazioni, riunioni organizzative) sia in campo pubblicitario per la creazione di messaggi persuasivi, o per lo studio delle conversazioni quotidiane.

Modello teorico

L’unità di analisi dell’AT è la “transazione”, ovvero uno scambio comunicativo tra un mittente e un ricevente. Le transazioni sono quindi stimoli comunicativi che danno luogo a risposte comunicative.

Come Berne stesso afferma: “Se due persone s’incontrano per formare un aggregato sociale, prima o poi, una di loro parlerà, o manifesterà con qualche altro segno di riconoscere la presenza dell’altro. Questo fenomeno si chiama stimolo transazionale. A questo punto l’altro dirà o farà qualche cosa che si collega in qualche modo a questo stimolo che si chiama reazione transazionale[2].

 

 

Quando due persone comunicano, afferma Berne, ognuno utilizza, in ciascuna transazione, un particolare stato mentale.

Gli stati della personalità

I vari stadi primari che compongono la struttura della personalità, o stati dell’Io, sono: Genitore (G), Adulto (A), e Bambino (B).

L’analisi transazionale, nella sua forma semplificata, consiste nel rendersi conto di quale stato dell’ego ha prodotto lo stimolo transazionale e da quale stato dell’ego proviene la reazione transazionale

Genitore

Lo stato G ha come base comportamentale i valori dell’autorità, le norme e pregiudizi, i dogmi, i meriti, regole etiche o morali. Esige dagli altri o da sé stesso l’osservanza di norme di comportamento. Il comportamento esteriore è conformista e spesso rigido.

Lo stato G viene suddiviso in due categorie:

  • Genitore “naturale” o “affettivo”: comportamento materno e compassionevole, risponde ai bisogni, amorevole e protettivo, mostra interesse, offre aiuto e supporto. Ha gesti invitanti e di incoraggiamento, tono del linguaggio rassicurante.
  • Genitore “critico” o “normativo”: impone norme e divieti, con atteggiamenti del tipo “sarai punito se” o “e male che”. dà ordini, trova difetti, biasima, è esigente, a volte sarcastico, a volte arrogante. Il Genitore normativo ha un atteggiamento comportamentale severo, corpo rigido. Tono del linguaggio deciso e autoritario[3].

Adulto

Lo stato A rappresenta la parte logica, obiettiva, che valuta i problemi in base ai dati, ricerca verifiche concrete, ragiona e razionalizza. Ricerca le cause, esamina le situazioni e le alternative, calcolandone le diverse probabilità di successo, fa domande e convalida dati.  Il comportamento esteriore è logico.

Utilizza un tono del linguaggio regolare e neutro. Si esprime con chiarezza senza lasciare trapelare emozioni. Ha portamento eretto e disinvolto.

Bambino

Lo stato B è quello della creatività e della fantasia, dei desideri, del “voglio” tutto quanto desidero, e relative frustrazioni, ma anche lo stato dei sensi di colpa, della gioia e dello spavento, dell’entusiasmo e dello sconforto, della vita emotiva. Il comportamento esteriore è emotivo e egocentrico.

Lo stato B viene suddiviso anch’esso in categorie:

  • Bambino libero o bambino spontaneo: mostra eccitazione, divertimento, benessere, atteggiamento positivo, ama giocare e fantasticare. Utilizza espressioni ed esclamazioni di gioia.
  • Bambino adattato: è sottomesso, evasivo, mostra imbarazzo, spesso mente, è indeciso, mostra sfiducia e disadattamento. Obbedisce agli ordini ricevuti. Si comporta sempre in funzione delle attese degli altri, evitando di dare loro disturbo. Ha comportamento riservato, voce moderata tono a volte esitante e lamentoso. accetta le regole del gruppo in quanto provenienti da fonte autoritaria.
  • Bambino ribelle: E’ caratterizzato da una serie di manifestazioni negative e polemiche, aggressività, volontà di farsi notare dicendo “no”, speranza di attirare l’attenzione altrui, opponendosi a tutti indistintamente[4]. Ha comportamenti bruschi, voce dura che esprime rabbia.
  • Bambino Piccolo professore, o “B saccente”: È curioso di sapere e di capire. È spesso convinto di sapere tutto. È agitato e chiassoso. È anche una sede di creazione e ingegnosità.

I diversi stati dell’Io e le loro sotto-modalità sono le parti identificate nei colloqui clinici, ed emettono e ricevono, codificano e decodificano messaggi e stimoli.

Figura E – Tipologie di Stati dell’IO nella comunicazione diadica

La presenza dei tre livelli di personalità è motivata dalla stratificazione delle esperienze e percezioni che avvengono durante la crescita e lo sviluppo. Queste fasi ed esperienze non vengono perse durante lo sviluppo, ma rimangono e si stratificano, fino a formare il bagaglio psicologico dell’individuo, al quale l’individuo attinge nelle diverse situazioni.

Ci sono persone che vivono prevalentemente in uno di questi stati psichici, dando luogo a tipologie specifiche di personalità (G-dogmatiche, A-razionali, B-emotive), ma ciascuno possiede, e può utilizzare a seconda delle circostanze, i diversi stati mentali, per rapportarsi agli altri e per comunicare.

Il possedere un Adulto forte e ben strutturato permette comunque il controllo degli altri stati, affinché nessuno dei due prenda il sopravvento. L’adulto infatti media tra le esigenze emotive espresse dal Bambino e le restrizioni imposte dal Genitore.

L’analisi transazionale può quindi aiutare gli individui ad analizzare il proprio atteggiamento ed il modo con cui si comunica, e quindi a conoscersi meglio e sviluppare rapporti interpersonali più soddisfacenti.

1.3.          Stress e Comunicazione

Nell’analisi transazionale notiamo un nesso tra il tipo di comunicazione che una persona usa, e lo stato di personalità che lo esprime, con il ruolo dello stato Adulto a fare da controllore di stati Genitoriali oppure Bambini.

Vi è un “però” da sottolineare. Ovvero, l’effetto dello stress sulla capacità dello stato Adulto di fare da semaforo e coordinatore degli altri stadi. Quando lo stress che una persona vive diventa acuto e persino cronico, le capacità di problem solving razionale calano drasticamente, inclusa la capacità e lucidità nel lavorare con lo stato di personalità giusto, con conseguenze pesanti sulle modalità comunicative.

La persona in altre parole si trova a rispondere con modalità che non gli apparterrebbero in condizioni normali. Esempio, acconsentire a risposte cui vorrebbe veramente dire di no, e non riuscirci per mancanza di energie necessarie a contrapporsi a quella richiesta. Oppure ancora, scattare immediatamente all’attacco anche quando non vi sia stata una situazione comunicativa che lo richiedeva veramente (scattare in G. Critico senza motivo, diventare aggressivi e assumere toni comunicativi imperativi, magari leggendo nella comunicazione altrui un attacco là dove non c’era).

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[1]Eric Berne (1976). Analisi Transazionale e Psicoterapia. Roma: Astrolabio.

[2] Eric Berne (1964). Games People Play: the Psychology of Human Relations; 1964 (1978 reprint, Grove Press, ISBN 0-345-17046-6);

[3] Eric Berne (1964). Games People Play: the Psychology of Human Relations; 1964 (1978 reprint, Grove Press, ISBN 0-345-17046-6);

[4] Genain e Lerond, 1995, Guida all’analisi transazionale. De Vecchi Editore.

Copyright dell’articolo Daniele Trevisani dal testo “Parliamoci Chiaro”, Gribaudo Edizioni, in anteprima. www.danieletrevisani.it www.danieletrevisani.com

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Sono felice di unirmi a voi in questa che passerà alla storia come la più grande dimostrazione per la libertà nella storia del nostro paese. Cento anni fa un grande americano, alla cui ombra ci leviamo oggi, firmò il Proclama sull’Emancipazione. Questo fondamentale decreto venne come un grande faro di speranza per milioni di schiavi negri che erano stati bruciati sul fuoco dell’avida ingiustizia. Venne come un’alba radiosa a porre termine alla lunga notte della cattività.

Ma cento anni dopo, il negro ancora non è libero; cento anni dopo, la vita del negro è ancora purtroppo paralizzata dai ceppi della segregazione e dalle catene della discriminazione; cento anni dopo, il negro ancora vive su un’isola di povertà solitaria in un vasto oceano di prosperità materiale; cento anni dopo; il negro langue ancora ai margini della società americana e si trova esiliato nella sua stessa terra.

Per questo siamo venuti qui, oggi, per rappresentare la nostra condizione vergognosa. In un certo senso siamo venuti alla capitale del paese per incassare un assegno. Quando gli architetti della repubblica scrissero le sublimi parole della Costituzione e la Dichiarazione d’Indipendenza, firmarono un “pagherò” del quale ogni americano sarebbe diventato erede. Questo “pagherò” permetteva che tutti gli uomini, si, i negri tanto quanto i bianchi, avrebbero goduto dei principi inalienabili della vita, della libertà e del perseguimento della felicità.

E’ ovvio, oggi, che l’America è venuta meno a questo “pagherò” per ciò che riguarda i suoi cittadini di colore. Invece di onorare questo suo sacro obbligo, l’America ha consegnato ai negri un assegno fasullo; un assegno che si trova compilato con la frase: “fondi insufficienti”. Noi ci rifiutiamo di credere che i fondi siano insufficienti nei grandi caveau delle opportunità offerte da questo paese. E quindi siamo venuti per incassare questo assegno, un assegno che ci darà, a presentazione, le ricchezze della libertà e della garanzia di giustizia.

Siamo anche venuti in questo santuario per ricordare all’America l’urgenza appassionata dell’adesso. Questo non è il momento in cui ci si possa permettere che le cose si raffreddino o che si trangugi il tranquillante del gradualismo. Questo è il momento di realizzare le promesse della democrazia; questo è il momento di levarsi dall’oscura e desolata valle della segregazione al sentiero radioso della giustizia.; questo è il momento di elevare la nostra nazione dalle sabbie mobili dell’ingiustizia razziale alla solida roccia della fratellanza; questo è il tempo di rendere vera la giustizia per tutti i figli di Dio. Sarebbe la fine per questa nazione se non valutasse appieno l’urgenza del momento. Questa estate soffocante della legittima impazienza dei negri non finirà fino a quando non sarà stato raggiunto un tonificante autunno di libertà ed uguaglianza.

Il 1963 non è una fine, ma un inizio. E coloro che sperano che i negri abbiano bisogno di sfogare un poco le loro tensioni e poi se ne staranno appagati, avranno un rude risveglio, se il paese riprenderà a funzionare come se niente fosse successo.

Non ci sarà in America né riposo né tranquillità fino a quando ai negri non saranno concessi i loro diritti di cittadini. I turbini della rivolta continueranno a scuotere le fondamenta della nostra nazione fino a quando non sarà sorto il giorno luminoso della giustizia.

Ma c’è qualcosa che debbo dire alla mia gente che si trova qui sulla tiepida soglia che conduce al palazzo della giustizia. In questo nostro procedere verso la giusta meta non dobbiamo macchiarci di azioni ingiuste.

Cerchiamo di non soddisfare la nostra sete di libertà bevendo alla coppa dell’odio e del risentimento. Dovremo per sempre condurre la nostra lotta al piano alto della dignità e della disciplina. Non dovremo permettere che la nostra protesta creativa degeneri in violenza fisica. Dovremo continuamente elevarci alle maestose vette di chi risponde alla forza fisica con la forza dell’anima.

Questa meravigliosa nuova militanza che ha interessato la comunità negra non dovrà condurci a una mancanza di fiducia in tutta la comunità bianca, perché molti dei nostri fratelli bianchi, come prova la loro presenza qui oggi, sono giunti a capire che il loro destino è legato col nostro destino, e sono giunti a capire che la loro libertà è inestricabilmente legata alla nostra libertà. Questa offesa che ci accomuna, e che si è fatta tempesta per le mura fortificate dell’ingiustizia, dovrà essere combattuta da un esercito di due razze. Non possiamo camminare da soli.

E mentre avanziamo, dovremo impegnarci a marciare per sempre in avanti. Non possiamo tornare indietro. Ci sono quelli che chiedono a coloro che chiedono i diritti civili: “Quando vi riterrete soddisfatti?” Non saremo mai soddisfatti finché il negro sarà vittima degli indicibili orrori a cui viene sottoposto dalla polizia.

Non potremo mai essere soddisfatti finché i nostri corpi, stanchi per la fatica del viaggio, non potranno trovare alloggio nei motel sulle strade e negli alberghi delle città. Non potremo essere soddisfatti finché gli spostamenti sociali davvero permessi ai negri saranno da un ghetto piccolo a un ghetto più grande.

Non potremo mai essere soddisfatti finché i nostri figli saranno privati della loro dignità da cartelli che dicono:”Riservato ai bianchi”. Non potremo mai essere soddisfatti finché i negri del Mississippi non potranno votare e i negri di New York crederanno di non avere nulla per cui votare. No, non siamo ancora soddisfatti, e non lo saremo finché la giustizia non scorrerà come l’acqua e il diritto come un fiume possente.

Non ha dimenticato che alcuni di voi sono giunti qui dopo enormi prove e tribolazioni. Alcuni di voi sono venuti appena usciti dalle anguste celle di un carcere. Alcuni di voi sono venuti da zone in cui la domanda di libertà ci ha lasciato percossi dalle tempeste della persecuzione e intontiti dalle raffiche della brutalità della polizia. Siete voi i veterani della sofferenza creativa. Continuate ad operare con la certezza che la sofferenza immeritata è redentrice.

Ritornate nel Mississippi; ritornate in Alabama; ritornate nel South Carolina; ritornate in Georgia; ritornate in Louisiana; ritornate ai vostri quartieri e ai ghetti delle città del Nord, sapendo che in qualche modo questa situazione può cambiare, e cambierà. Non lasciamoci sprofondare nella valle della disperazione.

E perciò, amici miei, vi dico che, anche se dovrete affrontare le asperità di oggi e di domani, io ho sempre davanti a me un sogno. E’ un sogno profondamente radicato nel sogno americano, che un giorno questa nazione si leverà in piedi e vivrà fino in fondo il senso delle sue convinzioni: noi riteniamo ovvia questa verità, che tutti gli uomini sono creati uguali.

Io ho davanti a me un sogno, che un giorno sulle rosse colline della Georgia i figli di coloro che un tempo furono schiavi e i figli di coloro che un tempo possedettero schiavi, sapranno sedere insieme al tavolo della fratellanza.

Io ho davanti a me un sogno, che un giorno perfino lo stato del Mississippi, uno stato colmo dell’arroganza dell’ingiustizia, colmo dell’arroganza dell’oppressione, si trasformerà in un’oasi di libertà e giustizia.

Io ho davanti a me un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere. Ho davanti a me un sogno, oggi!.

Io ho davanti a me un sogno, che un giorno ogni valle sarà esaltata, ogni collina e ogni montagna saranno umiliate, i luoghi scabri saranno fatti piani e i luoghi tortuosi raddrizzati e la gloria del Signore si mostrerà e tutti gli essere viventi, insieme, la vedranno. E’ questa la nostra speranza. Questa è la fede con la quale io mi avvio verso il Sud.

Con questa fede saremo in grado di strappare alla montagna della disperazione una pietra di speranza. Con questa fede saremo in grado di trasformare le stridenti discordie della nostra nazione in una bellissima sinfonia di fratellanza.

Con questa fede saremo in grado di lavorare insieme, di pregare insieme, di lottare insieme, di andare insieme in carcere, di difendere insieme la libertà, sapendo che un giorno saremo liberi. Quello sarà il giorno in cui tutti i figli di Dio sapranno cantare con significati nuovi: paese mio, di te, dolce terra di libertà, di te io canto; terra dove morirono i miei padri, terra orgoglio del pellegrino, da ogni pendice di montagna risuoni la libertà; e se l’America vuole essere una grande nazione possa questo accadere.

Risuoni quindi la libertà dalle poderose montagne dello stato di New York.

Risuoni la libertà negli alti Allegheny della Pennsylvania.

Risuoni la libertà dalle Montagne Rocciose del Colorado, imbiancate di neve.

Risuoni la libertà dai dolci pendii della California.

Ma non soltanto.

Risuoni la libertà dalla Stone Mountain della Georgia.

Risuoni la libertà dalla Lookout Mountain del Tennessee.

Risuoni la libertà da ogni monte e monticello del Mississippi. Da ogni pendice

risuoni la libertà.

E quando lasciamo risuonare la libertà, quando le permettiamo di risuonare da ogni villaggio e da ogni borgo, da ogni stato e da ogni città, acceleriamo anche quel giorno in cui tutti i figli di Dio, neri e bianchi, ebrei e gentili, cattolici e protestanti, sapranno unire le mani e cantare con le parole del vecchio spiritual: “Liberi finalmente, liberi finalmente; grazie Dio Onnipotente, siamo liberi finalmente”.

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http://www.youtube.com/watch?v=A4VCqrn19u8

D2 – Distanze Valoriali tra Comunicatori

Ogni volta che devo prendere una decisione, ogni volta che mi relaziono con gli altri, inevitabilmente contatto un mio valore. E la D2 è proprio la distanza tra valori che le persone portano con se mentre comunicano l’uno con l’altro.

Un esempio di valore forte è il Principio della 7° Generazione, è un valore. Si tratta di pensare in avanti, per ogni nostra scelta valoriale, chiedendosi se questa scelta sarà di beneficio alle generazioni che seguono, fino alla 7° Generazione. In pratica, ci chiede di confrontarci su cosa stiamo lasciando ai giovani e ai posteri con le nostre scelte di adesso. È un principio utilizzato dagli Indiani d’America Iroquesi, chiamato la Grande Legge degli Iroquesi. Un concetto che esorta l’attuale generazione di esseri umani a vivere e lavorare per il beneficio della settima generazione nel futuro ha certamente un impatto sul nostro pensiero, e sul nostro comunicare, sul contenuto e persino sullo stile comunicativo. Oren Lyons, capo degli Irochesi, scrive:

“Stiamo guardando avanti, perché uno dei primi mandati che ci sono stati affidati come capi, è essere sicuri che ogni decisione che prendiamo riguardi il benessere e il benessere del la settima generazione a venire. … Cosa ne sarà della settima generazione? Dove li stai portando? Che cosa avranno?[1]

Oren Lyons, Capo degli Haudenosaunee (Iroquois)

Se io sento questo principio forte in me, e vedo una macchina buttare fuori un sacco di pattume in strada, è ovvio che nasce un immediato contrasto, ed è probabilmente un contrasto giusto, dal mio punto di vista. Potrò persino fermare quella macchina e chiedergli di raccogliere quel sacco. Uno dei miei video postati sul mio canale youtube mostra proprio un comportamento di questo tipo, dove dei giovani scendono per far raccogliere spazzatura gettata dall’auto avanti, e gliela rigettano dentro. È uno dei video più visti e più approvati di tutto il mio canale, segno che questo valore è forte in molti occidentali oggi.

D4 – Distanza Referenziale – Distanza tra le Esperienze

La D4 è la distanza referenziale, la distanza tra i vissuti personali.

Ognuno di noi vive dei “referenti”, in semiotica i “referenti” sono dei tratti di realtà con cui siamo a contatto. I referenti possono essere fisici e materiali (come un telefono cellulare sto toccando o guardando) o mentali, spirituali, emotivi, come stati d’animo e pensieri che vivo.

I nostri referenti hanno sempre un possibile grado di differenza, persino i referenti che stiamo osservando entrambi, vengono percepiti con il filtro della mente e filtri percettivi, che ce ne fanno vedere e cogliere alcuni aspetti specifici mentre altri non vengono osservati, seppur presenti.

Gli esercizi di condivisione dei referenti, sia fisici che emotivi, sono utilissimi per trovare canali di comunicazione più raffinati per la nostra comunicazione e per condividere dei concetti (dei referenti concettuali o mentali, idee o progetti). I referenti emotivi sono “stati psicofisiologici” che la persona sente dentro mentre medita, mentre vive, mentre si ascolta, e descriverli è certamente difficile.

La Distanza Referenziale può essere forte o debole, in funzione di quanta “comunalità” esiste tra i nostri passati.

La formazione per la comunicazione emozionale fa si che si possa passare da una comunicazione fatta di etichette emotive grezze, poco centrate, a etichette emotive sempre più sottili e sempre più vicine alla realtà esperita davvero dalla persona.

La formazione alla comunicazione funziona anche per la comunicazione in pubblico. Ad esempio, nel public speaking possiamo chiederci:

  • D1 – Con che ruolo è bene che io mi presenti, in funzione del tipo di persone che ci sono nella platea? Ci sono dei ruoli che possono creare negazione o repulsione (es. presentarsi come “militarista” ad un pubblico di “pacifisti”, presentarsi come “esperto in grigliate di carne” di fronte ad un pubblico di vegani, ma anche insegnare (avere il ruolo di Maestro o docente) ad un pubblico che non ha voglia di imparare e quindi mettersi nella posizione o status di allievo.
  • D2 – Con che stile comunicativo potrà il mio discorso suscitare interesse ed essere compreso? Uno stile aulico, poetico, direttivo, arrogante, mistico, e tantissimi altri possibili stili. Ogni stile produce specifici risultati. Tra una comunicazione “mistica” e una comunicazione “aggressiva” ci sono dei gradienti intermedi, ad esempio, una messaggio può iniziare richiamando un valore, avere una parte centrale che si concentra su fatti e compiti da svolgere, e una chiusura motivazionale che torna ai valori condivisi. Questo significa dividere la comunicazione in “frames” specifici.
  • D3 – Che valori voglio esprimere e quanti di questi verranno capiti e condivisi? Voglio persuadere o solo essere in linea con i valori dell’audience. Voglio dire alle persone quello che vogliono, o voglio fare una comunicazione che cambi qualcosa?
  • D4 – A quali esperienze passate comuni (esperienze archetipiche) posso fare riferimento per aumentare la comprensibilità del messaggio e dei valori che sto portando avanti? Le esperienze archetipiche sono esperienze che valgono al di la dello spazio e del tempo, ad esempio avere lavorato in condizioni di scadenze molto strette, di qualsiasi cosa si tratti, ha creato un referente comune. Gli operai che lavorano in catene di montaggio di gruppi multinazionali, e ricoprono ruoli simili, hanno moltissimi referenti comuni, sebbene non si conoscano nè parlino le rispettive lingue.

L’incomunicabilità è un processo che in larga misura può essere risolto, se c’è la volontà di entrambe le parti di lavorarci sopra. Se c’è un atteggiamento di fondo, un valore che dice “non mi interessa assolutamente niente condividere qualcosa con te, o con l’altro”, l’incomunicabilità è invece garantita.

 

Esempio di Analisi di Episodi (AdE) con il modello 4 Distances Model

Il caso del Tapis Roulant

Una mattina un ragazzo si reca in palestra. Sale sul Tapis Roulant e comincia a correre. Dopo 10 minuti, spinge il tasto STOP e con un lieve balzo si poggia sui lati della macchina. Scende e sale su un’altro attrezzo. Un signore anziano si reca dal ragazzo e lo rimprovera per “avere lasciato la macchina accesa perchè è molto pericolosa così”. La risposta del ragazzo è “si ma io ho spinto il tasto STOP“. L’anziano ribadisce che la macchina fosse in movimento, il ragazzo chiude con un “Ok ok”. In questo caso la D1 non è significativa perchè il ragazzo accetta la comunicazione dell’anziano anche se di tipo Top-Down (rimprovero), chiedendosi se ci sia del vero in quanto dice. La D2 non è significativa in quanto i due si comprendono linguisticamente alla perfezione. La D3 è solo apparentemente significativa. L’anziano ha un valore elevato nella sicurezza, ma anche il giovane, e come vedremo il vero problema è nella D4, la distanza referenziale. Infatti il giovane è sceso dalla macchina convinto che avendo spinto il tasto STOP nell’arco di due secondi la macchina si sarebbe arrestata. Per inerzia la macchina ha invece continuato per altri 5 o 6 secondi. L’anziano ha visto solo circa 10 secondi di scena, cogliendo la quale sembra effettivamente che il ragazzo fosse saltato giù lasciando la macchina in corsa rapida. Chi abbia ragione in questo caso non è il tema. Sicuramente l’inesperienza del ragazzo sull’uso di quello specifico Tapis Roulant ha avuto un ruolo. Allo stesso tempo ha avuto un ruolo il fatto che l’anziano abbia visto solo un breve frame, probabilmente 6-8 secondi e abbia giudicato in base a qello. Di fatto però la D4 o Distanza Referenziale (o Esperienziale) è molto alta. L’avvenimento è uno solo, ma le percezioni di quell’avvenimento sono due, e sono contrapposte. Il ragazzo era convinto di avere effettuato una procedura corretta e di avere ragione. L’anziano era certo che il ragazzo fosse una persona disattenta alle regole della sicurezza e lo ha rimproverato. Sicuramente, con spirito di apertura, il ragazzo potrà fare tesoro di questa esperienza e scendere dal Tapis Roulant solo dopo che la macchina abbia compiuto un arresto totale. Ma di fatto, se non fosse stata accettata la D1, l’episodio sarebbe diventato un conflitto anche abbastanza grave, in pubblico e con possibili escalation.

Vecsey C, Venables RW (Editors) (1980), An Iroquois Perspective. Pp. 173, 174 in American Indian Environments: Ecological Issues in Native American History. Syracuse University Press, New York.

Visualizzazione del 4 Distances Model (Modello delle Quattro Distanze) in versione grafica

le 4 distanze della comunicazione umana

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Anteprima editoriale riservata

 

Portare fuori il proprio dialogo interiore. Comunicazione, Identità, Incomunicabilità

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La comunicazione implica uno scambio d’informazioni e di emozioni. L’identità ci chiede di fare luce sulla nostra vera natura, sul nostro essere. L’incomunicabilità può impedirci di far capire ad altri cosa vorremmo fare, come ci sentiamo, il nostro valore vero, e cosa siamo.

https://youtu.be/lXd9PsgFYPg

Una grande fonte di incomunicabilità avviene quando noi stessi non abbiamo fatto chiarezza su noi stessi, sul nostro essere. Potrei non riuscire a trasferire correttamente un’informazione anche perchè io stesso ce l’ho sfumata, non chiarificata, dentro di me. La comunicazione che ne uscirà sarà certamente portante di dosi di incomunicabilità, in partenza.

Il focusing, focusing emotivo, focusing informativo, ci permette di chiarire prima a noi stessi quello che vogliamo trasmettere, quello che sentiamo importante trasmettere, e quello che vogliamo che accada in seguito alla nostra comunicazione.

Il tema dell’incomunicabilità ci porta a chiederci quale sia il possibile “common ground”, cosa io e te abbiamo in potenza da condividere, quali interessi comuni abbiamo o potremmo avere, di cosa potremmo parlare. Il tema delle 4 distanze ci chiede anche di cercare possibili aree di interesse comune sul ruolo che le persone ci presentano, sui codici comunicativi comuni che potremmo avere, sui valori comuni che ci sono o ci potrebbero essere, sui nostri passati condivisi, anche solo a livello emotivo o esperienziale.

Lottare contro l’incomunicabilità a livello intrapsichico, interpersonale, e nei contesti mediati (es, mail, scrittura, messaggi e scambi sui social) richiede una grande consapevolezza di noi stessi, prima di tutto.

Fare emergere il contenuto della nostra “nuvoletta dei pensieri” che ci accompagnano sempre ci consente di poter interagire tra “il mio mondo” e “il tuo mondo” per cercare spazi comuni.

Esplicitare il dialogo interno è una tecnica, chiamata “think aloud” (parlare a voce altra del proprio dialogo interno) è una modalità di avvicinamento alla comunicazione autentica. Non tutti ci dicono sempre cosa stanno pensando. Dire cosa stiamo pensando è un atto liberatorio.

Aprire la nuvoletta dei nostri pensieri e di quelli altrui, vedere quello che c’è dentro, richiede il lasciare perdere tutta quella serie di timori comunicativi, la paura del rifiuto, la voglia di cercare un flusso comunicativo libero.

Questo cercare mondi comuni o interessi comuni riguarda sia i contatti personali, quelli professionali, le amicizie del mondo reale ma altrettanto le “amicizie” sui social, dove – senza nessuna comunalità e interesse comune, anche solo valoriale – non ci sarà comunicazione vera e profonda.

A volte l’ascolto interiore vero, e l’accesso alla propria personale “nuvoletta dei pensieri” è possibile solo in determinate situazioni di rilassamento, o addirittura in stati di trance, dove il filtro della razionalità si abbassa.

Nelle sessioni di coaching che conduco, portando le persone ad un maggiore silenzio esterno, riesco a produrre condizioni in cui si può cogliere molto meglio il proprio dialogo interno. Questo significa liberare la nuvoletta, lasciare che si esprima, e poi farla diventare parole, sia riferite a fatti, che a stati emotivi.

Le 4 Distanze entrano prepotentemente nella possibilità o meno di avere uno scambio comunicativo o un intero rapporto centrato sulla comunicazione autentica, diretta, vera e non la falsità che emerge da maschere e ruoli obbligati.

Qual è quel “qualcosa” che ci fa da collante? È sufficiente che ci sia qualcosa anche di minimale che ci faccia da collante, per poi poter ampliare, sino al punto desiderato, la profondità di una relazione.

Il common ground o territorio di intersezione è ciò che ci accomuna, può essere anche solo un interesse comune molto limitato, o anche invece un forte interesse comune verso una vasta gamma di aree della vita.

Avere cose da dirsi richiede la ricerca di un common ground.

In ciò che diciamo o non diciamo abbiamo:

  1. Una parte di informazione che noi consideriamo verità, qualcosa che crediamo sia vero, almeno per noi
  2. Una parte di comunicazione non autentica, comunicazione di ruolo, informazioni o messaggi su di noi che esponiamo per realizzare un “impressions management”, un’impressione sugli altri, ma che non corrisponde alla nostra verità più profonda
  3. Una parte di non-detto, di nostre verità interiori non dette, taciute per motivi di convenienza o di timori per le conseguenze (es, se sapesse questa mia verità, questa cosa di me, mi lascerebbe, o non sarebbe più mio amico, o mio cliente, o mio collega, o mio confidente)

Dobbiamo anche stare attenti al fatto che la parte 1, la verità creduta, è in molti casi frutto di invenzione, di autoinganni, che crediamo in tutta fede veri, ma che veri non sono.

Quando una persona ha fatto un bel lavoro di pulizia interna, il suo messaggio diventa chiaro anche fuori.  Una persona che comunica bene in genere ha fatto questo lavoro di pulizia interna, e il suo messaggio si rende poco suscettibile a disinterpretazioni, il suo messaggio sarà chiaro e difficilmente disinterpretabile. Sarà un messaggio a basso livello di entropia comunicativa, o caos informativo, detto in altro modo.

Se una persona dice alla moglie “in questo momento non vorrei essere sposato con te”, i mondi interpretativi sono ampissimi, si va dall’interpretazione possibile “non ti voglio più”, al messaggio “ti voglio un enorme bene e proprio per questo vorrei che tu cambiassi quella cosa che ora mi sta tenendo lontano da te, quel qualcosa che ci sta allontanando”.

Una buona interpretazione viene quando ci sforziamo di non ascoltare e osservare solo gli atteggiamenti esterni o i “segni” esterni, ma cerchiamo di comprendere i valori più profondi e le credenze più profonde di una persona.

Questo vale per il tipo di abbigliamento che abbiamo, ed è portatore di interpretazioni valoriali (es, tradizionalista come giacca e cravatta, vs. sportivo o in tuta da ginnastica, vs. mistico come una tunica, e mille altre possibilità). Dobbiamo chiederci se vogliamo meno dare messaggi attraverso i simbolismi di cui ci dotiamo. Questa è una delle più forti affermazioni che la scienza Semiotica ci può portare: ogni segno è portatore di messaggi, che lo si voglia o meno, che lo si faccia volontariamente o meno.

Le nostre distanze ideologiche possono essere solo periferiche – e denotabili da segnali periferici – o profonde, nascoste ben oltre i segni esterni di cui siamo portatori. Un vero lavoro sull’incomunicabilità va alla ricerca di questi strati profondi e non si accontenta della superficie delle cose.

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Il modello matematico/cibernetico della comunicazione (Shannon-Weaver) e le implicazioni per la comunicazione efficace

 

Elementi di base del processo comunicativo

Una importante razionalizzazione scientifica del processo di comunicazione è stata apportata dai due americani Shannon e Weaver nell’opera “La teoria matematica della comunicazione” (1949).

Il modello di comunicazione Shannon-Weaver è stato chiamata la “madre di tutti i modelli.” Esso incorpora i concetti di fonte di informazione, messaggio, trasmettitore, segnale, canale, il rumore, il ricevitore, meta-informazioni, probabilità di errore, di codifica, decodifica, tasso di informazione, capacità di canale, e altri[1].

Il modello di Shannon e Weaver e stato prodotto inizialmente con lo scopo di analizzare le problematiche della telecomunicazione (telefonia e trasmissione dati). In seguito esso ha rappresentato uno stimolo molto importante per lo sviluppo di ulteriori modelli e teorie in ogni campo della comunicazione umana.

Il modello è basato sul concetto di “trasmissione di segnale” da una fonte ad un ricevente, per mezzo di un canale comunicativo. Il messaggio emesso viene trasformato in segnale, trasmesso attraverso un canale, ricevuto e decodificato (interpretato) da una fonte. All’interno del processo si trovano interferenze (noise) in vari punti, soprattutto sul canale, distorsioni e degradi dell’infromazione (entropia), e un meccanismo di feedback (retroazione), in cui il ricevente restituisce informazioni di ritorno alla fonte.

Il modello di Shannon-Weaver viene rappresentato graficamente in vari modi. Ne presentiamo alcuni dei più significativi

Vediamo il seguente passaggio semplificato: la fonte di informazione (un uomo) intende trasferire un messaggio (“ti voglio bene”) ad un destinatario (una donna). Per farlo, utilizza un apparato trasmettitore (la voce) il quale converte il messaggio in un segnale fisico. Trasformare il pensiero mentale “ti voglio bene” in un segnale fisico richiede un processo di codifica, di traduzione del pensiero in segnali comprensibili.

Questo segnale viaggia attraverso il canale (aria) ed incontra l’apparato ricevitore del destinatario (orecchio). Il ricevitore applica un processo di traduzione del segnale fisico cercando di ricostruirne il significato originale e reale (fase di decodifica). Se questo avviene correttamente, avremo una nuova sequenza di messaggi che partono dal ricevente e forniranno una risposta (feedback). Anche il feedback è sottoposto al medesimo procedimento, trattandosi di un segnale che deve essere adeguatamente codificato, inviato ed interpretato.

Come vediamo, molti passaggi sono necessari e non tutto va sempre per il verso giusto. Uno dei nodi centrali del processo è il codice di comunicazione. Il codice rappresenta l’insieme di regole utilizzate per associare ad un segnale un messaggio. In altre parole, il codice stabilisce il rapporto tra la forma e il contenuto, tra l’aspetto esterno del messaggio ed il suo significato interno.

Se il codice non è uguale, avremo casi di impossibilità di comunicazione o interpretazioni errate, il che è una evenienza quotidiana.

In ogni tipo di comunicazione esiste poi una forma di rumore (noise), vale a dire informazione non pertinente che si inserisce nel canale stesso e rende difficoltoso il passaggio del segnale. Ad esempio, il rumore di fondo in un ambiente, il passaggio di un autobus, etc. Il rumore produce perdita di informazione, per cui in presenza di rumore il messaggio dovrà essere ridondante, ossia i segnali dovranno essere inviati più volte creando la cosidetta “iterazione del messaggio”. La ripetizione del messaggio sarà necessaria quanto più aumenta il livello di rumore presente nel contesto di comunicazione.

La probabilità che tutto quanto funzioni correttamente è molto bassa nella maggior parte delle comunicazioni umane.

Il campo esperienziale o campo di esperienze di una persona (encoder, codificatore) è composto da una miriade di sensazioni interne e rappresentazioni della realtà, ed è diverso dal campo di esperienze del ricevente. Questo rende possibile la generazione di rumore comunicativo o distorsioni comunicative.

Concetti fondamentali per la comunicazione efficace

La fonte del messaggio: comunicare affidabilità prima di tutto

Nella comunicazione efficace dobbiamo sempre tenere presente i seguenti aspetti

  • Comunicare affidabilità. Le persone valutano prima di tutto l’affidabilità, solo in secondo luogo la qualità dei prodotti. Questo aspetto riguarda il “Bisogno di dare Sicurezza” al cliente. Alcune domande per riflettere: ti fideresti di un ottimo piatto di funghi, se solo sapessi che sono stati raccolti a Chernobyl? Mangeresti un piatto di tortellini surgelati sapendo che sono stati prodotti in Cina? Perché tendiamo ad andare sempre da uno stesso barbiere o parrucchiera, o ci affezioniamo ad un medico specifico? La sua Laurea in medicina è diversa da quelle degli altri dottori? Immagina di avere un figlio minorenne che un amico di qualche anno in più deve venire a prendere per andare ad una festa. Si presenta alla porta. A quali dettagli guardi per capire se può essere o meno affidabile?
  • Esempio: da quali di questi personaggi acquisteresti un auto usata? A quale di questi lasceresti le chiavi di casa?

 

La codifica del messaggio: non diamo mai per scontato che gli altri capiscano subito e bene

  • Farsi capire: le persone tendono spesso a dare per scontato che gli altri capiscano. In realtà, l’incomprensione è dietro l’angolo. È sufficiente una parola che noi diamo per scontata e gli altri non capiscono per avviare una “distanza” con il nostro cliente.
  • Esempio: in un hotel, durante la notte, noti del fumo, pensi che ci sia un incendio, chiami la reception. Dalla reception ti dicono di prendere il “Naspo” e di dirigerti verso le fiamme. Sai cosa fare?
  • Ogni messaggio ha molte possibili interpretazioni e si riflette sull’immagine aziendale: ogni comunicazione ha un messaggio esplicito e uno implicito. Ad esempio, se qualcuno ti dice “le consiglio la carne, fossi in lei non prenderei il pesce, quello lo teniamo per i turisti” (frase sentita realmente in un ristorante)…. Quali messaggi sta lanciando consapevolmente e inconsapevolmente chi dice questo? Ogni messaggio si riverbera sull’immagine aziendale, e su quella di chi la emette. Che immagine sta dando di sé il cameriere (quali aspetti positivi, quali aspetti negativi?). E cosa pensiamo del locale?

[1]Fonte:  http://tc201.wikia.com/wiki/Shannon-Weaver_Model

[2]. Basnyat, Iccha (2012), Communication Theories in Public Relations, Lecture Notes, Course “Principles of Communication Management”, National University of Singapore. http://linda.perry.net/nm2219/theories8.htm

Due dei libri pubblicati, “Il Potenziale Umano” e “Psicologia di Marketing e Comunicazione” hanno raggiunto e spesso raggiungono, con leggere varianze temporali, la posizione di bestseller di categoria su IBS, il portale di riferimento dell’editoria Italiana.

Qui le schermate per fugare ogni dubbio (ricordando che la posizione di bestseller raggiunta non viene mai mantenuta per sempre, perchè altri libri a loro volta possono subentrare. In ogni caso, esserci arrivato, è essere saliti su un podio e gratifica i grandi sforzi che ci sono dietro)

Alla data della fotografia della schermata (08-02-2018, ma ricorre anche in molti risultati recenti) risulta 1°nella classifica Bestseller di IBS Libri – Educazione e formazione – Orientamento professionale – Formazione industriale e professionale.

Il risultato di “Psicologia di Marketing e Comunicazione” riguarda la categoria Economia e diritto . Management – Comunicazioni e presentazioni negli affari, alla data del 20/06/2018. Non è raro trovarlo anche contemporaneamente primo o secondo nella categoria – Società, politica e comunicazione – Studi interdisciplinari – Studi sulla comunicazione.

Un esame dei fattori che li accomuna e di ciò che li divide. Cosa e come ne ha reso possibile il successo editoriale

Partiamo subito dal cosa li divide nettamente: il tema trattato. Cosa li unisce: un approccio scientifico (attento a rimanere assolutamente alla portata di ogni lettore) e la serietà di fondo con cui viene trattato ciascun tema, evitando accuratamente di offrire “soluzioni rapide facili e magiche” come fa tantissima altra letteratura, ma anzi un grande lavoro di ricerca sulle fonti, su libri, e sperimentazione sul campo.

  • In Psicologia di Marketing e Comunicazione il tema centrale è l’individuo che acquista (consumer behavior) da un lato, e dall’altro, l’impresa che genera valore e lo comunica, che sviluppa prodotti, li distribuisce, li promuove, ad un certo prezzo. Siamo quindi in un terreno aziendale, anche se il volume per esperienza è stato utile anche in corsi sul Consumo Consapevole, tema che tratta l’incremento dello stato di coscienza di chi compra, e l’uscita dalla “trance di acquisto” che spesso porta a decisioni a dire poco irrazionali o dannose. Il metodo di riferimento del testo è ALM (Action Line Management), trattato in 5 interi libri nel suo complesso.
  • In “Il Potenziale Umano” il focus è la Persona, Persona con la P maiuscola, in quanto vista come creatura in grado di autorealizzarsi e compiere enormi passi avanti dal punto di vista evolutivo, se solo riesce, con l’aiuto di input giusti, ad aumentare il proprio livello di auto-consapevolezza. E’ un libro che si indirizza quindi all’area Risorse Umane, Formazione, Coaching e Counseling. Il libro si articola attorno a 6 gradi punti chiave della Persona: le sue energie fisiche (area bioenergetica), le sue energie mentali (area psicoenergetica), le sue microcompetenze, le sue macro-conoscenze, la sua progettualità, i suoi valori e spiritualità. Il metodo di riferimento del testo è HPM (Human Potential Modeling), articolato in oltre 6 pubblicazioni.

I fattori chiave che rendono possibile il successo di un testo, nella mia esperienza.

Elenco i fattori di condivisione che si possono trovare, nelle loro diverse declinazioni, in entrambi i due casi di Bestsellers. Entreremo per ciascuno in dettaglio

  1. Comsits (Communication Situations)
  2. L’analisi dei Frame Comunicativi
  3. Intelligenza Emotiva e Comunicazione
  4. Le strategie di acquisizione delle abilità per fare delle emozioni i nostri alleati sul lavoro
  5. Contatto emotivo, osservazione, rilevazione, comunicazione
  6. Le emozioni nelle situazioni di conflitto e in quelle di cooperazione (communication situations – comsits)
  7. Emozioni e Neuroscienze. Capire le basi che ci governano e apprendere il “fare” operativo

 

Comsits (Communication Situations)

Ogni nostro contatto con ciò che comprende il mondo esterno, dal punto di vista relazionale, è inquadrabile come “situazione comunicativa”.

Guardare una vetrina con un compagno o compagna è una situazione comunicativa. Chi crea la vetrina può essere più o meno consapevole del proprio valore e del valore del porsi nell’ottica del cliente. Negoziare con un cliente o un fornitore è una situazione comunicativa. Discutere sul senso di una frase è una situazione comunicativa. Ma anche guardare assieme un tramonto, diventa situazione comunicativa in quanto entrambi sono consci della presenza dell’altro o degli altri, e la comunicazione non verbale fa da connessione.

Ma qual’è allora il problema? Il problema è non accorgersi che si è entrati in una certa situazione comunicativa (Comsit) e pensare di essere altrove. Quando una negoziazione sembra chiusa, ma la controparte rilancia dicendo “dovremmo riguardare un attimino i costi se non vi dispiace”, ecco il tuffo di nuovo, entro la Comsit “Negoziazione”.

Parcheggiare, il modo con cui si parcheggia, la disinvoltura nella guida, la padronanza dell’auto, o il fatto di buttare fuori dal finestrino una gomma da masticare, non sono solo ciò che sembrano. Fanno parte della Comsit “Presentazione del Self” all’altra persona che è li con noi. Le stupidaggini più grandi avvengono in genere quando non si sa che altri stanno guardando o percependo, o non ci si rende conto che il proprio comportamento è una “antenna emittente” che emette segnali atti ad essere interpretati, in modo corretto o distorto, da chi li recepisce, consciamente o inconsciamente, volontariamente o involontariamente.

E’ una Comsit anche una telefonata, e se siamo in azienda, ogni telefonata potrebbe essere occasione di vendita, o di creazione di fiducia, persino se chi ci chiama è giù cliente, perchè in fin dei conti, si sta trasmettendo un’identità sempre, che lo si voglia o meno.

All’interno di ogni conversazione umana, si creano delle Comsit. Sono Comsit lo “sproloquio liberatorio”, la “chiacchiera da bar”, la “confessione”, il “rapido saluto”, la situazione “attaccante vs. difensore” (chi attacca e chi si difende nel dialogo), e ogni altra situazione di interazione umana. In psicologia di marketing e comunicazione, questo viene declinato come consapevolezze aziendali, mentre ne “Il Potenziale Umano” ci si chiede quali siano le nostre Comsit prevalenti, quando e quanto siamo in grado di gestirle, di padroneggiarle, anzichè diventarne vittime inconsapevoli.

Il “tracciato degli stati conversazionali” esposto in Negoziazione Interculturale contiene diversi tipi di “andamento delle Comsit”, veri e propri “cambi di registro comunicativo”, di cui si deve essere consapevoli.

L’analisi dei Frame o “Frame Analysis”

La Frame Analysis, sviluppata da Erving Goffman, mette l’accento su quando e come si “aprono” le situazioni sociali e quando e come si chiudono, e sul grado di consapevolezza di essere o meno all’interno di un frame.

Un esempio per tutti. Potremmo avere avuto dei motivi di arrabbiatura, dei contrasti sul lavoro, delle amarezze, delle delusioni, poi uscire dal lavoro ed entrare in palestra con questa ruminazione mentale di sottofondo, che ci segue. Se va male, ci seguirà nello spogliatoio e persino mentre facciamo gli esercizi. Gli esercizi verranno ovviamente male, e il rischio di farsi dei traumi magari stupidi sarà altrettanto alto, non avendo una buona connessione mente-muscolo in atto.

In “Psicologia di Marketing e Comunicazione” si esaminano i Frame che vive il cliente. In “Il Potenziale Umano” si esaminano i frame che vive la persona durante la giornata e nelle sue fasi di vita. Ma la base, il metodo, è identico.

Nel metodo HPM sviluppato ne “Il Potenziale Umano”, l’analisi dei Frame vuole portare la “presenza mentale” in ogni singolo frame. Mangiare mentre mangiamo. Lavorare mentre lavoriamo. E quando siamo in palestra, essere in palestra con tutto il corpo e tutta la mente. In ogni attività, esserci con tutto il corpo e tutta la mente, e accorgersi delle “invasioni di campo”, saperle stoppare, è una grande arte da apprendere, una vera e propria competenza umana da studiare.

L’analisi dei Frame è utile anche in azienda, per capire quali sono i Frame di contatto con cui il cliente viene a contatto di parti dell’azienda, siano esse esseri umani, edifici, macchinari, o postazioni di lavoro. Cosa comunicano quei Frame, quando succede un cambio di Frame, e che impatto avranno i vari frame sulla percezione complessiva.

La coscienza dell’apertura e chiusura di un frame. Scrivo una lettera ad un mio cliente importante. O potrebbe essere una lettera d’amore, poco cambia. Come funzionano le mie emozioni mentre il foglio è ancora bianco? Riesco a fare un “momento di stacco prima” ed entrare nel Frame ripulito da emozioni di fondo e rumori mentali di fondo. Come cambiano le emozioni entro il frame stesso? E quando faccio una pausa, riesco a fare una pausa che non mi distragga dal vero frame e “mi porti via” con la testa? E quando finisco, come faccio a “raffreddare le emozioni” di quel frame prima di passare ad un altra fase della giornata?

In “Psicologia di Marketing e Comunicazione”ci si chiede come costruire dei Frame Esperienziali per il cliente che portino alla Customer Satisfaction Totale, la totale soddisfazione del cliente. Ne “Il Potenziale Umano” si esamina il tema di quali Frame attivare per arrivare alla Life Satisfaction, la vita di cui sei soddisfatto, sino alla Day Satisfaction, la giornata di cui vai fiero e di cui sei felice, e soprattutto quello che TU puoi fare al di la di quanto accade fuori da te. Obiettivi diversi, metodi comuni.

Copyright Daniele Trevisani

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