Funzioni e princìpi del discorso persuasivo (fonte: Wikipedia)
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Anzitutto, uno sguardo preliminare alle funzioni che deve assolvere un discorso, che vengono così indicate da Quintiliano:[84]

  • docere et probare, ovvero informare e convincere;
  • delectare, catturare l’attenzione con un discorso vivace e non noioso;
  • movere, commuovere il pubblico per far sì che aderisca alla tesi dell’oratore.

Inoltre, Reboul riassume in tre princìpi fondamentali le regole che devono essere seguite dal retore per essere persuasivo:

  • Principio di non parafrasi. Anzitutto, un discorso efficace non deve essere parafrasabile, cioè non si deve poter sostituire i suoi enunciati portanti con altri enunciati senza che vi sia una perdita di informazioni, o comunque un’alterazione del senso. Questo principio, osserva Reboul, diventa più chiaro se si prendono in esame i tropi e le figure, le quali perdono di significato se tradotte in un’altra lingua o se si tenta di cambiarne le parole.[85]
  • Principio di chiusura. All’impossibilità di essere parafrasato si accompagna l’irrefutabilità del discorso. In altre parole, per un avversario deve essere impossibile – o quasi – ribattere a quanto detto dall’oratore, a meno che anch’egli non trovi un argomento che si colloca sul medesimo livello. Un esempio sono le formule, come gli slogan pubblicitari, la cui forza risiede nell’impossibilità di replicarvi, se non appunto ricorrendo a un altro slogan.[86]
  • Principio di trasferimento. Infine, il discorso persuasivo, per essere tale, deve avere come punto di partenza una convinzione accettata dall’uditorio e trasferita sull’oggetto del proprio discorso. Un’opinione radicata nelle menti di molte persone, infatti, benché relativa apparirà comunque vera agli occhi dei più, e la sua forza aumenterà con l’aumentare degli elementi affettivi e intellettuali a suo favore. In questo modo anche i desideri diventano in qualche misura reali, e il retore deve essere in grado di sfruttare questa ambiguità per persuadere chi gli sta di fronte.[87]

Argomentazione e persuasione

Per «argomento» si intende una proposizione atta a farne ammettere un’altra,[89] e quindi a indurre qualcuno ad accettare la bontà di ciò che si sta dicendo. Argomentazione e persuasione (peithó) sono dunque collegate, ma detto ciò bisogna precisare che il rapporto non è esclusivo, poiché si può ottenere la persuasione anche da una dimostrazione o da un atto di seduzione. Vediamone le differenze. La dimostrazione, il cui modello sono le scienze esatte, ha la caratteristica di essere rigorosa e oggettiva, e quindi di mirare a conclusioni che siano inattaccabili. Decisamente irrazionale è invece la seduzione, che mira semplicemente ad influenzare e manipolare gli altri facendo ricorso a sentimenti e sensazioni. Tra queste due si colloca l’argomentazione, oggetto della retorica, la quale mira sì a persuadere facendo leva sulle passioni, ma cerca di farlo in maniera rigorosa, attraverso un’arte. Ciò che differenzia l’argomentazione dalla dimostrazione è il carattere non necessario degli argomenti che vengono portati a supporto della tesi: il retore infatti si rivolge sempre a delle persone specifiche, delle quali prende in considerazione le opinioni e le sensazioni, e il punto di partenza del suo discorso sono premesse non evidenti ma verisimili (eikota) che portano a conclusioni relative e confutabili. Inoltre, nell’argomentazione il nesso logico tra gli elementi che la compongono non è rigoroso, e la sua validità è valutata in base all’efficacia.[89]

Mentre lo scienziato, dunque, sostiene la propria teoria ricorrendo a dati oggettivi presentanti per mezzo di un linguaggio simbolico, il retore cerca di persuadere gli altri attraverso le parole e il linguaggio naturale, trovando e ordinando i possibili elementi di persuasione. A questo scopo, il retore deve tener presenti non solo gli aspetti razionali, ma anche quelli emotivi ed etici. Oltre al discorso (logos) in sé e per sé, che persuade attraverso prove vere o apparentemente tali, a ricoprire un ruolo importante è il carattere (ethos) dell’oratore, che deve saper dimostrare di essere attendibile e di conoscere a fondo l’oggetto di cui sta trattando, così da accattivarsi la fiducia del pubblico; inoltre, è importante saper suscitare emozioni (πάθη) di piacere o dolore negli ascoltatori, poiché i sentimenti influenzano inevitabilmente la capacità di giudizio del pubblico.[90]

La disposizione: la struttura del discorso

Cicerone pronuncia un’orazione in Senato

La seconda parte del sistema della retorica riguarda la dispositio (in greco τάξις, taxis, oppure οἰκονομία, oikonomía), cioè l’organizzazione del discorso: le parti di cui si compone il discorso, l’ordine in cui presentare i contenuti e le idee, l’ordine delle parole per presentare gli argomenti.[96]

Con particolare attenzione alla retorica giudiziaria, la retorica classica ha formulato uno schema per strutturare i discorsi, il quale può essere seguito rigorosamente o meno. L’orazione prevede quattro parti, nell’ordine:

  1. exordium, esordio, tentativo di accattivarsi l’uditorio delectando e movendo con ornamenti;
  2. narratio, esposizione, esposizione dei fatti, per docere l’uditorio, in ordine cronologico o con una introduzione ad effetto in medias res;
  3. argumentatio, argomentazione, dimostrazione delle prove a sostegno della tesi (confirmatio) e confutazione degli argomenti avversari (refutatio);
  4. peroratio, epilogo, la conclusione del discorso, muovendo al massimo gli affetti dell’uditorio e sviluppando pathos.

Esordio

L’esordio (προoίμιον, exordium) è la parte che apre l’orazione, in cui viene esposto, sempre che non sia già noto, l’oggetto di cui ci si intende occupare (πρότασις). Il suo scopo è quello di accattivarsi i favori del pubblico (captatio benevolentiae) e annunciare le ripartizioni che si stanno per adottare nello svolgimento dell’orazione (partitio).[97] Se la situazione lo permette, è possibile chiedere esplicitamente all’uditorio di essere benevoli, altrimenti si deve ricorrere all’insinuatio, entrare nell’animo degli ascoltatori per via sotterranea, evitando di parlare dei propri punti deboli per mostrare invece quelli degli avversari. Inoltre, è importante rendere subito nota la struttura dell’orazione e l’ordine degli argomenti, così da rendere il pubblico partecipe dei termini del discorso ed evitare che sembri troppo lungo.

Per accattivare e rendere più partecipi le giurie – nel caso dell’orazione giudiziaria greca, in particolare – all’interno del προoίμιον venivano inserite talvolta espressioni o periodi che sottolineavano la presa di coscienza da parte dell’oratore della difficoltà dell’argomento trattato o della sentenza da emettere (ad es. “mi rendo conto di quanto sia difficile per voi, o Ateniesi, giudicare…”).[21]

Si tenga presente che, nel caso si intenda trattare l’argomento in medias res, l’esordio e l’epilogo possono essere evitati.

Esposizione

L’esposizione (διήγησις o anche ῥῆσις, narratio) è il resoconto succinto, chiaro e verisimile dei fatti che vengono affrontati, così che sia funzionale all’argomentazione. Due sono i generi di disposizione dei contenuti: l’ordo naturalis, che segue lo svolgimento logico e cronologico degli eventi, e l’ordo artificialis, orientato più alla resa estetica tramite l’uso di figure retoriche, digressioni e altri procedimenti stilistici. Quest’ultimo è anche più intellettuale, poiché rompe la linearità del tempo per assecondare le esigenze della situazione e dell’argomento.[98]

Nell’esposizione dei fatti è inoltre necessario perseguire quello che è il «giusto mezzo», non essere cioè troppo prolissi ma nemmeno tanto brevi da tralasciare qualcosa di importante. Bisogna poi ricordare che è essenziale la verosimiglianza dei fatti, i quali devono essere attendibili e devono essere disposti in maniera tale da assolvere alle tre funzioni della retorica: docere, movere e delectare.

Argomentazione

Cuore del discorso persuasivo è l’argomentazione (πίστις o ἀπόδειξις, argumentatio), il resoconto delle prove a sostegno della tesi, che può prevedere anche un affondo contro le tesi avversarie. La sua struttura interna si compone di due parti: propositio e confirmatio, a cui può seguire una terza, l’altercatio. La propositio è una definizione ristretta della causa (o delle cause) da dibattere, subito seguita dalla confirmatio, l’elenco delle ragioni a favore, nell’ordine: dapprima quelle più forti, in seguito le più deboli e infine le più forti in assoluto. Talvolta, specie durante un processo, la confirmatio può essere interrotta dall’intervento di un avversario, come ad esempio un avvocato di parte opposta: in questo caso si parla di altercatio, un dialogo serrato tra il retore e il suo avversario.[99]

Epilogo (perorazione)

L’epilogo (ἐπίλογος, peroratio) è la parte conclusiva dell’orazione, e si muove su due livelli: riprende e riassume le cose dette (enumeratio e rerum repetitio), tocca le corde dei sentimenti (ratio posita in affectibus). Da un lato, il retore deve concludere dando un’idea d’insieme di quanto è stato detto e sostenuto, richiamando alla memoria i punti fondamentali; dall’altro, ha luogo la perorazione vera e propria, che fa leva sui sentimenti dell’uditorio ricorrendo a dei loci prestabiliti (in genere atti a creare indignazione o commiserazione).[100]

L’elocuzione: lo stile

Miniatura quattrocentesca del De oratore

L’elocuzione (elocutio in latino, λέξις, lexis in greco) è la parte che riguarda l’espressione, la forma da dare alle idee. L’elocutio si occupa dello stile da scegliere affinché il discorso risulti efficace, studiando quindi la parte estetica dell’espressione, la scelta (electio) e l’ordine (compositio) da dare alle parole. Sotto questo aspetto la retorica invade il campo della poetica, riprendendone gli elementi di ornamento, tra cui le più importanti sono le figure (vedi oltre).

La composizione

La parte centrale dell’elocutio è rappresentata dalla cosiddetta compositio, operazione che consiste nella scelta e combinazione dei termini. Affinché il discorso possa risultare efficace, è necessario tenere conto nella fase di composizione di quattro qualità o requisiti fondamentali, meglio noti come virtutes elocutionis:

  • l’aptum (in greco πρέπον, prépon), l’adeguatezza del discorso al contesto in cui deve essere pronunciato;
  • la puritas (o latinitas), la correttezza sintattica e grammaticale;
  • la perspicuitas, la chiarezza, necessaria affinché il discorso sia comprensibile;
  • l’ornatus, gli ornamenti e tutti gli altri mezzi atti a rendere il discorso più bello e quindi più gradevole.

Tutte queste caratteristiche devono essere presenti, applicate o a singole parole o a intere frasi. Talvolta il mancato rispetto di una delle virtutes può essere giustificato da determinate esigenze espressive, e in questo caso si parla di licenza (licentia); in caso contrario, la mancanza viene sanzionata come errore (vitium).[101]

Gli stili

L’espressione varia a seconda degli argomenti e della situazione in cui il discorso deve essere pronunciato. Per questo motivo, la retorica classica distingue tre stili (genera elocutionis):

  • nobile o sublime (genus sublime o grave),
  • umile (genus humile o tenue),
  • medio o moderato (genus medium).

Il sublime è lo stile nobile, elevato, e viene utilizzato per trattare di argomenti seri facendo leva sui sentimenti (movere), suscitando forti passioni; l’umile ha lo scopo di docere et probare, mentre lo stile medio, misto dei due precedenti, deve delectare attraverso un atteggiamento moderato che tenga conto dell’ethos.[102]

La memoria

La mnemotecnica, la scienza che mira a sviluppare la memoria attraverso una serie di regole, è molto antica: tra gli intellettuali che si interessarono di questa disciplina ricordiamo il sofista Ippia di Elide e i filosofi Raimondo Lullo, Pico della Mirandola e Giordano Bruno. Nel corso del Seicento la mnemotecnica classica finì per essere assimilata alla ars combinandi, teoria della combinazione degli elementi associata al calcolo matematico.[103]

Jean-Jules-Antoine Lecomtedu Nouy, Demostene si esercita a recitare un’orazione

La memoria entra a pieno titolo nel sistema della retorica classica a partire dal Libro III della Rhetorica ad Herennium (I secolo a.C.), e ricopre un ruolo importante in funzione della recitazione, poiché permette di mandare a mente la struttura e gli argomenti del discorso senza dover ricorrere ad appunti scritti, risultando particolarmente utile quando la situazione richiede di improvvisare. Generalmente si distinguono due tipi di memoria: la memoria naturale e quella artificiale. La prima è la dotazione naturale di cui dispongono tutti gli individui, mentre la seconda, che ha lo scopo di rafforzare la prima, viene appresa tramite una tecnica – la mnemotecnica, appunto – che funziona attraverso immagini e punti di riferimento fissi, ai quali vanno associati gli oggetti da ricordare: in questo modo l’atto del ricordare diventa una scrittura mentale, in cui ad ogni immagine corrisponde un oggetto e quindi un significato.[103]

La recitazione

Infine, il retore deve anche essere in grado di recitare la propria orazione di fronte a un pubblico. Questo momento prende il nome latino di actio o pronunciatio (in greco ὐπόκρισις, hypókrisis), e la sua efficacia è legata al modo in cui chi parla si presenta di fronte all’uditorio. Al retore è dunque richiesto di essere anche attore, di avere cioè buone capacità di recitazione, così da coinvolgere il pubblico attraverso la gestualità e il tono di voce. La sua indubbia importanza è stata tuttavia messa in secondo piano dai retori e dai teorici, che nei loro trattati preferiscono concentrarsi su inventio, dispositio ed elocutio, specie in riferimento alla produzione di testi scritti.[104]

Author

Formatore e Coach su temi di Sviluppo del Potenziale Personale, Comunicazione Interculturale e Negoziazione Internazionale, Psicologia Umanistica. Senior Expert in HR, Human Factor, Psicologia delle Performance, Comunicazione e Management, Metodologie Attive di Formazione e Coaching.

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