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Luglio 2013

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Giorgia_Fumanti… cosa è la la VERA LIBERTA’? … ne scorgo un segno… nelle parole di Giorgia Fumanti, una cantante italiana famosa in tutto il mondo tranne che in Italia (è la cantante che ha aperto le Olimpiadi di Pechino, tanto per dare una vaga idea…)… noi abbiamo e abbiamo avuto in compenso la Minetti che dalla poltrona di assistente dentale passa alla poltrona dei Consigli Regionali, Ministre-Calendario, poi soggetti assurdi che secondo me nel loro profondo odiano l’Italia e diventano ministri Italiani… ma diamo spazio e soldi alla Belem e alla propaganda martellante a far diventare tutte le donne MignottoVeline in ogni angolo della TV, questa nostra vera artista abita invece in Canada…. forse per questo la sua mente è più libera e donna pensante? Spero che ogni donna prenda ispirazione da queste parole… dal sito web di Giorgia Fumanti
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Ciao miei cari amici,

grazie di prendere il tempo di visitare il mio sito web…dopo una bellissima estate e un autunno molto impegnato fatto di concerti e viaggi in Cina, Taiwan e Quebec Canada, sono ritornata dentro di me….pronta fra poco a ripartire .

Sento e credo che stiamo attraversando un periodo di grandi cambiamenti, a volte dolorosi come l alluvione che ha distrutto Aulla, la citta dove sono cresciuta e dove i miei genitori e mia sorella ancora vivono e , a volte meravigliosi cambiamenti come il risveglio di coscenze e l apertura dei cuori di tante persone.

Per me è un periodo molto importante nel quale dopo anni di lotte per affermare le mie idee e proteggere i miei valori personali e spirituali nel mondo professionale della musica dove spesso sembra che solo l’apperenza sia vincente , mi rendo conto che ora finamente

IO SONO LIBERA.

Libera di non dovere piu lottare per affermare cio in cui credo ma di viverlo.

Libera di cantare cio che sento, libera di dire cio in cui credo e libera di onorare la piccola Giorgia dentro di me con la sua pura visione di un mondo in cui le differenze vengono celebrate .

Chiedo e prego DIO , che per me ha differenti visi e parla differenti lingue, la mia Anima, l Universo e la Forza che muove le stelle e ci aiuta a creare un bambino dentro il ventre di una madre, di guidarmi ogni giorno affinche io possa vivere pienamente le mie missioni e affinche possa essere ogni giorno di piu in connessione con la Luce e l Amore…..spero lo stesso per te …se questo ti puo rendere felice.

Sinceramente con affetto,
Giorgia

Hello my dear friends,

Thank you for visiting my web site …after a beautiful summer and a very busy autumn full of travel and concerts in Italy, China, Taiwan and Quebec, Canada I am back to myself…ready to leave again for another travel and following the directions of the Universe.

I feel and believe that many changes are happening around the world, sometimes are very cruel like the floodings that happened in Italy in the home town where I grew up and where my parents live, and sometimes are very beautiful like the waking up of counsciousness in people around the world.

I realized that after many years where I searched to be approved and I tried to convince people working in the music industry about my ideas and my spiritual values, I am realizing right now that

I AM FREE.

Free to sing what I feel, Free to say what I believe, Free to be myself and to honor the little girl that I was and that is inside of me with her pure vision of a world where differences are a celebration of the many different faces of Love.

This for me is Success.

I ask and pray GOD, (that for me has many faces and speaks many languages), my SOUL, the UNIVERSE , the FORCE that moves the Stars to help me and to guide every day of my life, to live fully my missions and to be more and more connected with Light and Love …I wish the same for you …if that will make you happy.

Yours truly,
Giorgia

Gli Head hunters: nuove opportunità per manager e dirigenti.

La crisi del mercato del lavoro non risparmia manager, Amministratori Delegati e dirigenti. I capricci della nostra economia e le conseguenti fluttuazioni dell’occupazione hanno iniziato a colpire anche quelle posizioni tradizionalmente considerate protette e sicure. Nel 2012 il tasso di disoccupazione di questa categoria è salito del 20% e solo nell’ultimo anno sono stati circa 3000 i dirigenti che, improvvisamente, si sono trovati senza lavoro. La ricerca di un nuovo lavoro e l’effettivo reinserimento, diventano spesso problematici per i candidati senior: esperienze, qualifiche e formazione  si trasformano da risorse preziose a zavorre insormontabili.

In soccorso a manager e dirigenti arrivano, fortunatamente, nuove risorse e soprattutto nuove figure professionali che stanno pian piano prendendo piede anche nel mercato italiano. Fra i tanti, merita particolare attenzione la figura dell’ “head hunter” (in Italiano “cacciatore di teste”). Ma chi sono e cosa fanno questi cacciatori di teste del nuovo millennio? Gli head hunter sono specialisti che lavorano per aziende alla ricerca di candidati specializzati e con alti livelli di formazione. Si occupano di analizzare curriculum e domande di lavoro, di individuare e reclutare potenziali candidati e quindi di selezionare quelli con il profilo più in linea  ai bisogni dell’azienda.

Per entrare concretamente in contatto con un head hunter si può, per esempio, sfruttare il servizio offerto da www.experteer.it, portale specializzato in sviluppo della carriera e ricerche di lavoro executive, in Italia e in Europa. Attraverso l’iscrizione al sito, il profilo di un candidato può essere visualizzato da un network di più di 10.000 head hunter, garantiti e selezionati da Experteer. In questo modo i candidati ricevono via e-mail solo offerte di lavoro effettivamente in linea con il proprio percorso formativo e lavorativo ed entrano in contatto con aziende in grado di apprezzare il loro potenziale. L’iscrizione a questo servizio è gratuita e non richiede più di 30 secondi!

Gli Head hunters: nuove opportunità per manager e dirigenti.

La crisi del mercato del lavoro non risparmia manager, AD e dirigenti. I capricci della nostra economia e le conseguenti fluttuazioni dell’occupazione hanno iniziato a colpire anche quelle posizioni tradizionalmente considerate protette e sicure. Nel 2012 il tasso di disoccupazione di questa categoria è salito del 20% e solo nell’ultimo anno sono stati circa 3000 i dirigenti che, improvvisamente, si sono trovati senza lavoro. La ricerca di un nuovo lavoro e l’effettivo reinserimento, diventano spesso problematici per i candidati senior: esperienze, qualifiche e formazione  si trasformano da risorse preziose a zavorre insormontabili.

In soccorso a manager e dirigenti arrivano, fortunatamente, nuove risorse e soprattutto nuove figure professionali che stanno pian piano prendendo piede anche nel mercato italiano. Fra i tanti, merita particolare attenzione la figura dell’ “head hunter” (in Italiano “cacciatore di teste”). Ma chi sono e cosa fanno questi cacciatori di teste del nuovo millennio? Gli head hunter sono specialisti che lavorano per aziende alla ricerca di candidati specializzati e con alti livelli di formazione. Si occupano di analizzare curriculum e domande di lavoro, di individuare e reclutare potenziali candidati e quindi di selezionare quelli con il profilo più in linea  ai bisogni dell’azienda.

Per entrare concretamente in contatto con un head hunter si può, per esempio, sfruttare il servizio offerto da www.experteer.it, portale specializzato in sviluppo della carriera e ricerche di lavoro executive, in Italia e in Europa. Attraverso l’iscrizione al sito, il profilo di un candidato può essere visualizzato da un network di più di 10.000 head hunter, garantiti e selezionati da Experteer. In questo modo i candidati ricevono via e-mail solo offerte di lavoro effettivamente in linea con il proprio percorso formativo e lavorativo ed entrano in contatto con aziende in grado di apprezzare il loro potenziale. L’iscrizione a questo servizio è gratuita e non richiede più di 30 secondi!

Avviso. Questo aricolo riprende dopo 12 anni le stesse idee che avevo pubblicato sul volume Psicologia di Marketing e Comunicazione, ma in modo un pò più “incazzato”.  A forza di parlare e scrivere di Strategie Competitive, Innovazione dei Prodotti, Ricerca e Sviluppo, Risorse Umane Pensanti, e non vederli applicati, una buona incazzatura ci sta…

Tema? Il prodotto e la sua NON-progettazione. Le auto sono pensate dalle Risorse Umane vero? Non dalla Madonna di Calcutta? Pensate da Manager molto ben pagati anche?  …. bene …. Salgo in macchina, ci saranno 40-45 gradi dopo un paio d’ore di parcheggio al sole. E penso. Penso che tutto il sole che quel tetto ha accumulato poteva essere raccolto come energia da un pannello fotovoltaico speciale, sul tetto (accessorio che Toyota fa da anni) per ricaricare batterie speciali di un motore elettrico e anche rinfrescare l’abitacolo ad auto ferma.

Penso a quanta energia quel sole avrebbe dato alle batterie e quanti km avrei percorso GRATIS. Poi sulla statale del mare vedo un altro incidente evitabile, 2 ragazzi morti, inutilmente. Con i radar sensori di distanza obbligatori, collegati al freno (un optional oramai presente persino sulla Golf e da quasi tutti i produttori), messo obbligatorio, le loro anime sarebbero tra noi. Ma Legislatori, cosa Legislate se non pensate a queste cose così semplici da attuare e già sul mercato?

Poi il caldo torna a farsi vivo ed è il momento di fare gasolio, da 50 a 100 euro a botta. Penso che basterebbe un buon motore micro-ibrido a 3 cilindri diesel (tipo quello della Kia 1.100 che va benissimo e fa 20 km con un litro – reali) + un motore elettrico di supporto per fare un bel micro-ibrido da 50 km con un litro nei periodi estivi quando il pannello solare ricarica tutte le batterie magari dopo una giornata di lavoro con l’auto su un piazzale. Penso che aggiungendo i motodi addizionali che recuperano aria compressa arriveremo anche a 70-90 con un litro.  La AirPod, prodotta dalla Motor Development International, società con sede nel Lussemburgo, in collaborazione con la Tata Motors Indiana, entra sul mercato nel 2013. I nostri innovatori probabilmente stanno lavorando a qualcosa, forse….

Innovazioni? Non sono così difficili… Penso che il garage potrebbe accumulare energia solare – con i nuovi pannelli ad alto rendimento – durante il giorno e quando parcheggi scaricarla con un cazzo di cavo nelle batterie e così arrivare anche a 50-70 km GRATIS in più, ogni giorno.

Penso che invece la Fiat mi offre come nuove alcune auto americane dismesse, sottoposte ad un lifting, con ad esempio una bella berlina con un bel 3.000 diesel puro e il tetto che scotta come tutte le altre, o un bel pseudo-suv in dismissione con minimo un diesel puro 2.000 di cilindrata e – ancora una volta – il tetto che scotta. In compenso temo che stiano pensando ad una nuova Panda 4×3, o ad una nuova 500 magari con 1 sola ruota motrice. E penso a quante ore di Formazione (per favore non chiamatela così, almeno per dignità)… avranno fatto sul tema dell’Innovazione, sprecando paroloni americani… Per favore, non vantatevi di niente, non fatelo.

Inizierete a vantarvi quando farete auto che utilizzano le risorse che l’ambiente offre gratuitamente e non inquinerete l’aria dei vostri stessi figli. Quando le vostre auto freneranno da sole prima di ammazzarsi. Prima non fatelo.

Inizierete a vantarvi quando avrete ripreso in mano la dignità di Leonardo da Vinci e la applicherete ai prodotti anzichè fare iniziative finanziarie, e vi concentrerete sul creare mezzi che spostano le persone in modo efficiente e pulito. E’ quella la vostra missione, di ogni casa automobilistica. Non quella di fare la finanziaria. Se le Risorse Umane manageriali non pensano a questo, a cosa pensano?

dott. Daniele Trevisani

nb. avviso ripetuto:  Questo aricolo riprende dopo 12 anni le stesse idee che avevo pubblicato sul volume Psicologia di Marketing e Comunicazione, ma in modo un pò più “incazzato” – Dopo 12 anni dover riscrivere le stesse cose è abbastanza frustrante, queste “cose” dovrebbero essere già sul mercato.

foto fraunhofer dan

da wikipedia

La mimica facciale è una parte della cinesica che riguarda il modo in cui si altera il volto delle persone. Gli esseri umani lasciano trasparire anche in questo modo il loro pensiero e le loro emozioni, in quanto la mimica facciale è difficile da controllare spontaneamente. Il primo studioso scientifico di mimica facciale è stato Charles Darwin. La mimica facciale è importante sia a livello personale che a livello sociale; ad esempio nel caso della paura, essa permette di avvisare di un pericolo i membri di una stessa specie, insieme ai richiami, ai gesti e agli avvisi.

La mimica facciale nelle emozioni[2]

La mimica facciale viene studiata in relazione alle sei emozioni primarie (sorpresa, paura, disgusto, rabbia, felicità, tristezza; così etichettate da Ekman), ovvero quelle emozioni da cui poi derivano le emozioni secondarie. Esse a volte presentano dei tratti in comune nella mimica facciale, altre volte invece sono completamente diverse.

La mimica nella sorpresa [modifica]

La sorpresa[3] è l’emozione più breve ed è un’emozione la cui mimica facciale si manifesta improvvisamente nel volto. Nella mimica della sorpresa sono coinvolte tutte le parti in cui viene suddiviso il volto: le sopracciglia, la fronte, gli occhi e la bocca.
Le sopracciglia appaiono incurvate e rialzate, la pelle sotto il sopracciglio è stirata e più visibile. Il sollevarsi delle sopracciglia produce lunghe rughe orizzontali nella fronte, anche se non in tutti i casi: nei bambini ad esempio non ve ne è traccia, mentre in alcuni anziani ve ne è sempre traccia. In quest’ultimo caso, nella situazione di espressione di sorpresa, le rughe diventano più evidenti. Di solito l’espressione di sorpresa compare, oltre che con le sopracciglia, con occhi sgranati e mascella inferiore caduta. Quando non compare insieme a questi ultimi due segni indica un’emozione diversa legata sempre alla sorpresa. Se ad esempio si mantengono sollevate le sopracciglia a lungo si avrà un’espressione di incredulità piuttosto che di sorpresa; se mentre si realizza un’espressione di sorpresa si muove la testa all’indietro o di lato allora quella è un’espressione usata per dire “no” o “andiamo”, o se ancora le sopracciglia esprimono sorpresa e la parte inferiore del viso esprime disgusto, allora l’espressione totale rappresenterà un marcato scetticismo. Se il movimento della fronte e delle sopracciglia si blocca per un po’, l’emozione di sorpresa assume altri significati: portare la testa all’indietro mentre si congela il movimento della fronte e delle sopracciglia equivale ad un saluto; il sollevamento rapido delle sopracciglia può essere usato per mettere in risalto una parola che si sta pronunciando in quel momento.
Gli occhi, invece, si presentano spalancati, con la palpebra inferiore rilassata e la palpebra superiore sollevata. Bisogna notare che nell’emozione di sorpresa si scopre la sclerotica, ovvero la parte bianca dell’occhio sopra l’iride (la parte colorata dell’occhio). Si potrebbe scoprire anche la parte bianca inferiore dell’occhio, ma potrebbe essere scoperta solamente perché la bocca tende la pelle della palpebra inferiore fino a scoprire la parte inferiore dell’occhio; quindi è più indicativa la parte superiore rispetto a quella inferiore. Di solito l’occhio sorpreso è accompagnato da movimenti della bocca e della fronte; quando non è accompagnato da questi segni non è detto che si tratti di un’emozione di sorpresa.
Nella parte inferiore del viso la mascella ricade durante la sorpresa, separando denti e labbra. Si tratta comunque di una separazione fatta senza sforzo alcuno, infatti i muscoli della bocca sono rilassati, quasi come se la bocca si fosse aperta da sola. L’apertura può essere minima o massima, a seconda dell’intensità della sorpresa.
Esistono quattro tipi di sorpresa:

  • Sorpresa standard: fa uso di tutte le zone del viso.
  • Sorpresa interrogativa: si realizza solamente con gli occhi e con le sopracciglia.
  • Sorpresa sbalordita: si realizza con l’uso solamente della bocca e degli occhi.
  • Sorpresa inebetita: si realizza con l’uso solamente delle sopracciglia e della bocca, senza alcun movimento degli occhi.
L’intensità della sorpresa [modifica]

La sorpresa varia di intensità, da lieve ad estrema: Quando la sorpresa è portata all’estremo si ha un tipo particolare di sorpresa chiamata reazione di trasalimento (startle reaction), con una mimica facciale diversa da quella che normalmente si ha in un’emozione di sorpresa: le palpebre sbattono, la testa indietreggia, le labbra si ritirano e c’è un movimento di sobbalzo. Nel caso di un cambio di intensità dell’espressione di sorpresa, nonostante ci siano dei piccoli cambiamenti a livello delle sopracciglia e degli occhi. La parte inferiore del viso rivela quanto è intensa l’espressione. In caso di grande sorpresa si ha la massima apertura della bocca, di solito accompagnata da un’esclamazione.

La mimica nella felicità [modifica]

La felicità[4] è l’emozione più desiderata, infatti le persone organizzano la propria vita in modo da avere più occasioni per essere felici. Esistono 4 tipi di felicità che si possono manifestare nel volto:

  • Felicità da piacere: deriva da sensazioni fisiche positive.
  • Felicità da eccitazione: avviene quando si è molto interessati a qualcosa.
  • Felicità da sollievo: sopraggiunge alla fine di un dolore.
  • Felicità del concetto di sé: deriva dal sentirsi apprezzati dagli altri.

La mimica di felicità si deve analizzare solamente in assenza di riso, perché quando è presente il riso è ovvio che il volto presenta un’espressione felice. L’espressione della felicità è caratterizzata da segni nella parte inferiore del viso e delle palpebre, mentre l’area della fronte e delle sopracciglia non interviene necessariamente.
Possiamo avere tre mimiche principali nella parte inferiore del viso:

  • Un sorriso a labbra unite.
  • Le labbra leggermente aperte che lasciano intravedere i denti.
  • Un sorriso a bocca aperta.

Nell’ultima forma di sorriso possono scoprirsi i denti superiori o i denti superiori ed inferiori. Nell’espressione di felicità possono essere presenti due rughe che partono dal naso e arrivano agli angoli della bocca facendoli stirare: lo stiramento degli angoli della bocca è un segno dell’espressione di felicità. Si può anche sollevare la pelle sotto la palpebra inferiore, formando nell’occhio le “zampe di gallina”. Nel sorriso a bocca aperta ci può essere un grande sollevamento delle guance, tanto da restringere gli occhi.
Per quanto riguarda la mescolanza con altre emozioni, la felicità si mescola spesso con la sorpresa, quando ad esempio avviene qualcosa di inaspettato e positivo. In questo tipo particolare di mimica la bocca non è solo aperta come nella sorpresa, ma gli angoli delle labbra cominciano a sollevarsi come accade nel sorriso. La presenza simultanea delle due espressioni è segnalata da un misto tra gli elementi di felicità e gli elementi di sorpresa nella parte inferiore del viso. La mimica di lieta sorpresa dura poco, perché la sorpresa finisce e lascia posto alla felicità. L’espressione che indica la sorpresa appena passata può essere usata come espressione di saluto. In quest’ultimo caso gli occhi ben aperti possono presentarsi insieme al sorriso di benvenuto.

L’intensità della felicità [modifica]

L’intensità della felicità va dall’essere lievemente soddisfatti all’essere pieni di gioia. La manifestazione di quest’emozione può essere silenziosa o rumorosa; un lieve sorriso sarà silenzioso mentre una grossa risata a bocca aperta sarà rumorosa. Ma l’intensità del sorriso non stabilisce quanto sia intensa la nostra felicità; si può essere estremamente felici e non sorridere affatto. Il sorriso, che fa parte della mimica di felicità, può essere usato anche al di fuori di quest’emozione, per nascondere altre emozioni, o per attenuare un’emozione. Il sorriso serve anche per ridurre la tensione. Se si sorride, molto probabilmente il sorriso verrà ricambiato. L’intensità della felicità dipende dalla posizione delle labbra: tanto più le labbra sono incurvate e aperte, tanto più si è felici. Il sorriso può anche essere molto meno marcato, quando è formato dalla lieve tensione e sollevamento degli angoli delle labbra, con le guance appena sollevate e il resto del viso neutro. Quando il sorriso è appena accennato non ci sono cambiamenti visibili nella palpebra inferiore.

La mimica nella paura [modifica]

Quando si prova paura[5] si teme di subire un danno, sia fisico che psicologico. La mimica della paura comprende le tre zone del viso, come nel caso della sorpresa: le sopracciglia si sollevano e si avvicinano, gli occhi sono ben aperti con la palpebra inferiore tesa e le labbra si stirano all’indietro.
Le sopracciglia, sollevate e riavvicinate, si differenziano dalla sorpresa perché sono meno incurvate; di solito il movimento delle sopracciglia si accompagna con il movimento della bocca e degli occhi.
Nella fronte appaiono rughe orizzontali, come nella sorpresa, ma le rughe non occupano tutta la fronte come in quest’ultimo caso.
Gli occhi sono ben aperti e tesi, con la palpebra inferiore contratta e quella superiore sollevata. La palpebra superiore è sollevata sia nella paura che nella sorpresa, scoprendo la parte bianca al di sopra dell’iride. Mentre la palpebra superiore resta invariata, la palpebra inferiore si presenta tesa, a differenza di quanto accade con la sorpresa, in cui è rilassata. Essere tesa permette alla palpebra di coprire la parte bianca sotto l’iride.
La bocca nella paura si apre, con le labbra tese e stirate all’indietro. Per quanto normalmente l’espressione di paura della bocca sia accompagnata anche dai movimenti delle sopracciglia e degli occhi, ognuno di questi segnali può trovarsi anche da solo, facendo assumere all’espressione significati diversi. Se ad esempio la bocca assume un’espressione di paura e il resto del viso è neutro, più che paura l’espressione del viso rappresenterà ansia e preoccupazione, o uno stato precedente alla paura vera e propria. Se questo movimento della bocca compare e scompare velocemente, allora potrà voler dire che non si vuole far notare la propria paura.
Combinazione molto frequente è il misto tra sorpresa e paura, poiché molto spesso ciò che genera paura è anche inaspettato, quindi succede molto di frequente di essere impauriti e sorpresi allo stesso tempo. Nei casi dove si ha questo misto delle due emozioni è la paura a predominare.

L’intensità della paura [modifica]

L’intensità della paura varia da una leggera inquietudine al terrore, e la variazione si può riscontrare nella mimica facciale; in particolare l’intensità viene notata negli occhi, e ancora di più nella bocca: negli occhi man mano che l’intensità aumenta si avranno le palpebre superiori sempre più sollevate e le palpebre inferiori sempre più tese; nella bocca si stirano sempre di più le labbra e l’apertura è maggiore. Non è detto che la paura si manifesti in tutte e tre le zone del viso: potrebbe manifestarsi in due zone, facendo rimanere la terza neutra. In questi casi si potranno avere le espressioni di apprensione ed orrore. L’apprensione si verifica quando la parte inferiore del viso resta neutra, mentre l’orrore quando sono le sopracciglia a rimanere neutre.

La mimica nel disgusto [modifica]

Il disgusto[6] è un’emozione che indica un sentimento di repulsione.
Per quanto riguarda la mimica, i segnali più importanti di un’espressione di disgusto si verificano nella bocca e nel naso, meno nelle palpebre e nelle sopracciglia. Il labbro superiore si presenta sollevato, quello inferiore può essere sia sollevato che normale; il naso è arricciato, le palpebre inferiori sollevate e le sopracciglia abbassate.
Nella parte inferiore del volto il disgusto si presenta con il labbro inferiore a volte sollevato, il naso arricciato lungo i lati e nella parte superiore, insieme al movimento del labbro superiore. Quanto più il disgusto è accentuato, tanto più è arricciato il naso. Il labbro inferiore è leggermente spinto in avanti, e può anche non essere sollevato. Le guance sono sollevate, e questo produce un cambiamento nella palpebra inferiore, restringendo l’occhio e creando numerose pieghe nella zona immediatamente sottostante; il sopracciglio normalmente è abbassato. In alcuni rari casi si può usare l’espressione di disgusto per sottolineare una parola all’interno di una conversazione; non si sa bene perché alcuni adoperino l’espressione di disgusto in questo modo.
Il disgusto può essere misto a sorpresa; un’espressione del genere si può presentare quando si è disgustati da qualcosa di inatteso e la sorpresa non è ancora stata completamente cancellata. Può capitare che gli elementi del disgusto e della sorpresa si combinino in un’altra espressione che non è un misto tra i due messaggi, ma costituisce un’espressione nuova: l’incredulità. Il disgusto può mescolarsi anche alla paura: si può infatti aver timore di qualcosa di disgustoso. La mimica del disprezzo si manifesta come una variazione della bocca disgustata a labbra serrate.
Esistono 3 tipi di espressione di disprezzo:

  • Unilaterale.
  • Rappresentante lo scherno.
  • Versione attenuata.

La versione unilaterale si realizza con le labbra lievemente serrate e un angolo della bocca sollevato. La versione dello scherno si realizza come la versione unilaterale, solo che in più è presente un accenno di sogghigno. La versione attenuata si realizza con un lato del labbro superiore appena sollevato, quasi impercettibile.

L’intensità del disgusto [modifica]

La variazione di intensità nel disgusto si realizza così: se si tratta di un disgusto lieve, il naso sarà meno arricciato e il labbro superiore meno sollevato; nel caso di disgusto estremo il naso sarà il più arricciato possibile e il labbro superiore più sollevato; può capitare anche che nel caso di disgusto estremo la lingua si porti in avanti talmente tanto da fuoriuscire dalla bocca.

La mimica della rabbia [modifica]

La rabbia[7] è l’emozione che ci fa provare ritegno o odio verso gli altri.
Per quanto riguarda la mimica del viso, nonostante ogni singola area del viso presenti piccoli segni che indicano la rabbia, se essi non compaiono in tutte e tre le aree principali del viso sarà difficile individuare l’espressione di rabbia in un volto. In un’espressione di rabbia di solito le sopracciglia si presentano abbassate e ravvicinate, le palpebre tese, gli occhi fissano duramente e le labbra sono serrate.
Nella rabbia le sopracciglia sono inclinate verso il basso o si abbassano restando orizzontali. Il ravvicinamento delle sopracciglia provoca rughe verticali tra le due sopracciglia. Non ci sono rughe orizzontali nella fronte quando nel volto è presente un’espressione di rabbia: qualsiasi ruga orizzontale che appare in fronte è da considerarsi ruga permanente, ovvero delle rughe sempre presenti nel volto, dovute all’età. Le sopracciglia aggrottate vengono di solito accompagnate da segni di rabbia nella bocca e negli occhi, ma a volte possono mostrarsi da sole in un viso neutro: in questo caso non rappresentano necessariamente rabbia.
Nella mimica di rabbia ci sono due tipi di occhio arrabbiato:

  • Occhio aperto: la rabbia è lieve.
  • Occhio chiuso: la rabbia è più intensa.

Ci sono due tipi di bocca nell’espressione di rabbia:

  • Bocca a labbra serrate: si presenta quando si attacca fisicamente passando all’azione o quando si cerca di controllare la rabbia.
  • Bocca aperta: si presenta quando si grida o si risponde a parole ad un attacco.

Normalmente quest’ultimo aspetto della bocca si presenta insieme all’espressione irata della bocca e delle sopracciglia, ma si può presentare anche da solo; anche in questo caso il messaggio è ambiguo. Una bocca serrata può indicare controllare rabbia, oppure lieve irritazione, o anche uno sforzo fisico.
Se l’espressione di rabbia non coinvolge l’intero viso allora si creano espressioni ambigue. Esistono però due eccezioni:

  • Nel caso di una mescolanza tra rabbia e disgusto.
  • Nel caso di una mescolanza tra rabbia e un’altra emozione, quando entrambe sono distribuite in tutte le parti del viso.
L’intensità della rabbia [modifica]

L’intensità della rabbia può andare da una lieve irritazione al furore. Si può anche arrivare piano piano al furore, oppure esplodere di colpo. Dipende dalle persone quanto tempo ci vuole per far sbollire la rabbia: ad alcune passa immediatamente mentre ad altri impiegano ore, continuando a provare strascichi di collera. L’intensità della rabbia può manifestarsi nella tensione delle palpebre o nella sporgenza dell’occhio, oppure da quanto sono serrate le labbra; alle volte le labbra possono essere così serrate da provocare un rigonfiamento del mento. Nell’espressione di rabbia a bocca aperta la maggiore o minore apertura della bocca dipende dall’intensità.

La mimica della tristezza [modifica]

La tristezza[8] è un sentimento di sofferenza.
Per quanto riguarda la mimica di tristezza, essa può presentare l’alterazione della palpebra superiore: è impossibile mostrare tristezza infatti solo con il movimento delle sopracciglia e della fronte, senza coinvolgere le palpebre superiori. L’espressione delle sopracciglia, di solito, accompagna anche il movimento della parte bassa del viso. Quando ciò non accade, l’espressione indica tristezza lieve, oppure il tentativo di attenuare un sentimento più profondo. La tristezza è più profonda quando la palpebra inferiore si solleva. Spesso nella tristezza lo sguardo è abbassato, soprattutto quando insieme alla tristezza si mescolano sentimenti quali vergogna o sensi di colpa.
Se la bocca rimane inespressiva c’è comunque un elemento che permette di individuare la tristezza, come le sopracciglia o le palpebre. La bocca è la parte del viso che crea più confusione, poiché l’espressione viene facilmente interpretata come disgusto o disprezzo: nella tristezza gli angoli della bocca saranno piegati all’ingiù.

L’intensità della tristezza [modifica]

La tristezza varia d’intensità, da lievi sentimenti di malinconia all’estremo dolore del lutto. A livello estremo può non avere alcun segno evidente dell’espressione, a parte la perdita del tono facciale. Nella tristezza meno profonda e nel passaggio dal dolore acuto alla tristezza vera e propria sono presenti invece dei segni: gli angoli interni delle sopracciglia sono sollevati e ravvicinati, l’angolo interno della palpebra superiore è sollevato e può esserlo anche la palpebra inferiore; gli angoli della bocca sono piegati verso il basso e c’è un tremitio delle labbra. Un’intensità minore sarà rappresentata dal minore coinvolgimento delle aree facciali. Ad un certo livello compariranno nell’emozione il pianto e il tremito delle labbra, oppure un viso completamente inespressivo visto che si ha la perdita di tono muscolare del volto.

Le possibili mescolanze con la tristezza [modifica]

La tristezza si può mescolare a diverse emozioni: la mescolanza di tristezza e paura si manifesta con le sopracciglia e le palpebre della tristezza e la bocca della paura. Un’espressione del genere si manifesterà quando dopo un evento triste si viene a sapere di un nuovo possibile pericolo. La mescolanza di tristezza e rabbia si manifesta con la bocca della tristezza e le sopracciglia, la fronte e gli occhi della rabbia. Un’altra combinazione potrebbe essere quella di tristezza e disgusto, usata ad esempio nella visione di un campo di battaglia, dove si combinano disgusto per la carneficina e tristezza per la perdita di vite umane. Essa si presenta con la fronte, le sopracciglia e le palpebre superiori della tristezza, e le palpebre inferiori e la bocca del disgusto. Infine, la tristezza si può combinare con la felicità, per esempio in espressioni di nostalgia per ricordi ormai passati. L’espressione di nostalgia si presenta con la fronte e le sopracciglia della tristezza, e la bocca dell’espressione della felicità.

Fingere con la mimica facciale [modifica]

Il fingere con le espressioni, ovvero il mascherare le emozioni che si provano in un determinato momento, è qualcosa che si acquisisce fin da bambini. Infatti ai bambini si insegna, oltre a quello che non si deve dire, anche quali facce non fare. Se ad un bambino si chiede di sorridere ad un signore gentile, non si richiede soltanto l’inibizione dell’emozione, ma anche di assumere espressioni false. Tuttavia non è affatto semplice fingere con la mimica facciale; questo perché siamo più abituati a mentire con le parole che con il volto. Le ragioni di questo possono essere varie; in primo luogo la società dà più importanza alle parole che ai segni del volto, perché è molto più difficile individuare una espressione nel volto che ascoltare il tono delle parole per capire se ciò che ci è stato detto è effettivamente vero. In secondo luogo è più facile falsificare le parole rispetto ai segni del volto. Ne consegue che si può scrivere ciò che si intende dire, riformulare le parole, quindi mentire a proprio piacimento. Questo non è possibile invece nel caso delle espressioni, poiché sono involontarie, a differenza delle parole.
Esiste una serie di regole utili per capire se una persona sta mentendo o meno:

  1. Gli occhi non mentono
  2. Se una persona dichiara un’emozione a parole, ma il viso mostra indifferenza, dubitare dell’emozione.
  3. Se mentre si dichiara un’emozione negativa a parole, si sorride, si può credere al sorriso o alle parole a seconda della situazione.
  4. Se il viso mostra un’emozione che le parole non trasmettono, credere al viso, ancora di più se le parole lo contraddicono.

Perché fingere? [modifica]

Ci sono essenzialmente quattro ragioni che spingono la persona a fingere e sono collegate tutte con le regole di esibizione, ovvero la necessità di controllare la mimica facciale in particolari situazioni. Le regole sono le seguenti:

  • Regole culturali di esibizione
  • Regole di esibizione personali
  • Regole di esibizione professionali
  • Regole di esibizione dettate dall’esigenza personale di un particolare momento

Le regole culturali di esibizione si applicano quando la persona si trova in una determinata situazione sociale, ad esempio un matrimonio o un funerale. Nel caso del matrimonio la sposa e i suoi genitori sono autorizzati a piangere, mentre lo sposo no. L’uomo in società non deve piangere secondo le regole di esibizione culturali, può essere solamente triste, anche se non nel giorno del suo matrimonio. Nel caso del funerale invece chi aveva un rapporto più stretto col defunto è autorizzato a disperarsi, mentre se un lontano parente lo facesse più dei parenti più stretti la cosa non sarebbe socialmente accettabile. Le regole di esibizione personale sono state impresse nell’educazione delle persone e si tratta di regole soggettive; il non rispondere ad un superiore è un esempio di regola di esibizione personale. Le regole di esibizione professionali si usano per esigenza professionale: un attore deve essere in grado di controllare la propria mimica facciale, insieme ad avvocati, diplomatici, venditori e anche insegnanti. Le ultime regole di esibizione da analizzare sono quelle dettate da un particolare momento per esigenza personale: una persona che è stata appena arrestata e che si dichiara innocente cerca di controllare la propria mimica facciale per far credere alla sua innocenza; quest’ultima regola è naturalmente la più mal vista poiché la finzione è dettata da esigenza personale.

Come fingere? [modifica]

Esistono tre tecniche per controllare la mimica facciale: la specificazione, la modulazione e la falsificazione. La specificazione (o rettifica) si esegue quando ad un tipo di mimica facciale ne segue immediatamente un’altra, sia per motivi di regole di esibizione culturali o come espressione autentica di una seconda emozione. Se un individuo è spaventato e presenta le espressioni facciali della paura, può far seguire ad essa un sorriso, per indicare di avere la paura sotto controllo. Lo stesso accade per l’espressione della rabbia; se ad esempio una persona è infuriata con un’altra, può far capire che nonostante sia infuriato con essa, tiene la rabbia sotto controllo. Anche nella tristezza si ha la stessa situazione: un sorriso dopo un’espressione triste indica che piano piano l’individuo si sta riprendendo, oppure vuole compiacere gli altri. La specificazione più usata è il sorriso, aggiunto come commento ad un’espressione negativa.
La modulazione, invece, riguarda l’intensità con cui viene realizzata un’espressione. Esistono 3 metodi per regolare l’intensità di un’espressione:

  • La durata dell’espressione.
  • Il cambiamento delle estensioni delle aree facciale in cui si verifica l’espressione
  • La contrazione dei muscoli interessati.

Infine la falsificazione; esistono tre tipi di falsificazione:

  • Simulazione.
  • Neutralizzazione.
  • Mascheramento.

Nel caso della simulazione l’individuo che non prova emozioni cerca di simularne una per via delle regole di esibizione sociali. La neutralizzazione è il caso opposto alla simulazione, infatti si cerca di sembrare indifferenti quando si prova un’emozione che non vogliamo mostrare agli altri: si tratta di una riduzione di intensità spinta all’estremo. Nel caso del mascheramento, invece, viene simulata un’emozione inesistente per coprire l’emozione autentica; viene preferito alla neutralizzazione perché è molto più semplice cercare di nascondere un’emozione sostituendola ad un’altra piuttosto che neutralizzarla del tutto.

Come individuare chi finge? [modifica]

Esistono quattro parametri per individuare un tentativo di mascheramento o di falsificazione delle emozioni: morfologia, tempi, collocazione e microespressioni.

Morfologia [modifica]

Per morfologia si intende la particolare configurazione del viso quando si manifestano nel volto le emozioni primarie. Quando una persona cerca di controllare la propria mimica cerca di controllare più la bocca che gli occhi o la fronte. Questo può dipendere da due motivi:

  • Si cerca di controllare la bocca perché ha un ruolo fondamentale nel parlare.
  • Le persone cercano di inibire tutto ciò che esce dalla loro bocca nelle espressioni più incontrollate delle emozioni.

Alcuni segni del viso che costituiscono le espressioni emotive vengono usati come emblemi: gli emblemi sono dei segni che, appena vengono avvistati nel volto di una persona, si riconoscono non come parti di un’espressione ma come segni convenzionali. Se una determinata parte della mimica facciale funge anche da emblema, allora diventa difficile capire se si tratti di un’emozione autentica o di simulazione. Normalmente la morfologia si presenta così nelle emozioni primarie:

  • Felicità: è l’unica emozione che non dà luogo a particolari mosse delle sopracciglia e della fronte, quindi, se viene simulata, la mancata partecipazione di queste zone all’espressione di felicità è indifferente per capire se si tratti di un’emozione autentica. Per lo stesso motivo, se quest’emozione viene usata per coprire altre espressioni, nella zona delle sopracciglia o della fronte, l’espressione che si cerca di mascherare viene rivelata. Quando invece si cerca di attenuare un’espressione di felicità restano delle tracce nelle guance appena sollevate e nell’incresparsi delle labbra e delle palpebre inferiori, quindi anche se non è presente il sorriso è possibile individuarla.
  • Sorpresa: è un’emozione facile da simulare, poiché il movimento della bocca e delle sopracciglia, che identifica l’espressione di quest’emozione, è usato anche come emblema. Un indizio di sorpresa simulata potrà essere fornito dalle palpebre, che non si presenteranno aperte ma saranno rilassate; queste espressioni di piacere però possono anche indicare una sorpresa più lieve o inebetita, ma il giudicare se le espressioni di piacere siano davvero un indizio di simulazione o meno dipende dal contesto in cui viene usata l’espressione. La sorpresa viene usata spesso per mascherare la paura, poiché presenta una mimica facciale molto simile in caso di finzione. La sorpresa può servire anche a nascondere altre emozioni, ad esempio se ci viene raccontata una cosa per cui provare dispiacere e si è felici, si può nascondere la nostra felicità con un’espressione di sorpresa.
  • Paura: bisogna vedere se l’area della fronte e delle sopracciglia rimane inespressiva. L’inespressività della fronte e delle sopracciglia potrebbe essere un indizio di simulazione, ma potrebbe anche indicare uno spavento più inorridito: il giudizio dipende dal contesto. Se si manifesta un’espressione di paura e successivamente si mostra un sorriso, probabilmente il sorriso è un segno di simulazione di paura, a meno che il contesto non suggerisca che ci possa essere felicità e paura insieme. Se invece, al contrario, è la mimica di paura ad essere usata per mascherare una differente emozione, allora questa si rivelerà nell’area della fronte e delle sopracciglia.
  • Rabbia: la rabbia è molto semplice da simulare, infatti il coinvolgimento o meno delle diverse zone facciali non offre chiari indizi rivelatori, poiché, anche se la zona della fronte e delle sopracciglia non partecipa al controllo della mimica, l’aggrottare delle sopracciglia rappresenta chiaramente un emblema di rabbia. Anche nel simulare la rabbia con la parte inferiore del viso non si trovano grandi difficoltà: bocca chiusa a labbra serrate. Più difficile da simulare è la tensione della palpebra inferiore (indizio molto sottile, poiché difficile da individuare nel volto). Quando si finge un’altra emozione per nascondere la rabbia, ci saranno degli elementi evidenti nella tensiore delle palpebre inferiori e nello sguardo fisso.
  • Disgusto: emozione facile da simulare, perché presenta ben tre emblemi: arricciare il naso, sollevare un angolo della bocca o il labbro superiore. La zona della fronte e delle sopracciglia è molto secondaria e superficiale, e può anche non essere presa in considerazione, in quanto la partecipazione di questa zona all’espressione può anche non essere presa in considerazione. Quando è usato per mascherare un’altra emozione, il disgusto copre soprattutto la rabbia. Quest’ultima potrebbe rivelarsi nelle sopracciglia, in cui oltre all’abbassamento si ha anche un riavvicinamento, oppure nello sguardo duro con le palpebre tese, insieme alla smorfia di disgusto del naso e della bocca. Probabilmente si riuscirà facilmente a mascherare il disgusto, visto che l’unico elemento forte nella mimica del disgusto è nella parte inferiore del viso, e che essa è facilmente controllabile; al massimo resterà una traccia dell’espressione del disgusto nel labbro superiore sollevato o nel naso arricciato.
  • Tristezza: quando si simula la tristezza normalmente si atteggia la bocca e si abbassa lo sguardo. Il non usare la parte superiore del viso, come i muscoli della fronte, sopracciglia e palpebra superiore indica la simulazione. Anche in questo caso, come nella paura, la parte superiore del viso è abbastanza di indizi che permettono di riconoscere la simulazione. Se la mimica di tristezza delle sopracciglia e della fronte rientrano nel repertorio mimico abituale di una persona allora si compromette la possibilità di scoprire la simulazione. Quando l’espressione di tristezza è di lieve intensità la piega della sopracciglia e della palpebra superiore è l’unico elemento che potrebbe indicare l’autenticità del sentimento. Quando viceversa viene usata per camuffare un’espressione differente, l’area della fronte e delle sopracciglia non viene coperta dalla maschera della tristezza.
Tempi [modifica]

Il controllo esercitato dalla mimica facciale può essere notato anche considerando il tempo di avvio, durata e scomparsa di un’emozione. Non si può indicare per una determinata emozione un tempo preciso: il tempo di una qualsiasi emozione deriva dal contesto in cui viene mostrata, ma i tempi ottenuti considerando le singole situazioni sono molto precisi. Ad esempio, tutti possono fingere divertimento, ma fingere divertimento in continuazione potrebbe svelare che in realtà non ci si diverte affatto.

Collocazione [modifica]

La collocazione è strettamente legata ai tempi di un’espressione. Per collocazione si intende il preciso momento in cui viene realizzata l’espressione nel volto rispetto alle parole o ai movimenti del corpo. In altre parole, se ad esempio per indicare collera si dice “Mi hai scocciato” e si mostra un’espressione di rabbia qualche secondo dopo, è chiaro che l’espressione non risulta credibile; se invece è mostrata prima di pronunciare le parole dette in precedenza risulta credibile perché si dà l’impressione che l’emozione preceda l’espressione. Per quanto riguarda i movimenti corporei ci vuole ancora più precisione: Se dopo aver detto “Mi hai scocciato” dopo cinque secondi si sbatte il pugno sul tavolo, l’espressione è totalmente non credibile.

Microespressioni [modifica]

Le microespressioni[9] si producono quando si attenua o si cerca di nascondere un’emozione. Sono tipicamente incastonate dal movimento e normalmente seguono i tentativi di mascheramento dell’emozione. La maggior parte delle persone non le vede nemmeno, in quanto si realizzano in 1/25 di secondo; solo un occhio ben allenato è in grado di vederle; tuttavia anche se si è in grado di vederle questo non vuol dire che si sia in grado di riconoscere l’emozione a cui si riferiscono.

Note [modifica]

  1. ^ Esperimento Ekman Friesen, le emozioni sono universali. http://ilblogdellamente.com/psicologia-cognitiva/esperimento-ekman-friesen/
  2. ^ La sezione si basa sui libri di Ekman e Friesen nella bibliografia, Giù la maschera e Te lo leggo in faccia.
  3. ^ Simona Picardi, Le emozioni facciali. La sorpresa 1.http://www.memorizzare.eu/index.php/2011/05/07/le-emozioni-facciali-la-sorpresa-1.html
  4. ^ Simona Picardi, L’emozione della felicità. La mimica. http://www.memorizzare.eu/index.php/2011/01/03/lemozione-della-felicita-la-mimica.html
  5. ^ LA PAURA http://www.benessere.com/psicologia/emozioni/la_paura.htm
  6. ^ Simona Picardi, La mimica del disgustohttp://www.memorizzare.eu/index.php/2011/05/17/la-mimica-del-disgusto.html
  7. ^ LA RABBIA http://www.benessere.com/psicologia/emozioni/la_rabbia.htm
  8. ^ Simona Picardi, L’EMOZIONE DELLA TRISTEZZA. COME RICONOSCERLA? http://www.memorizzare.eu/index.php/2011/01/04/lemozione-della-tristezza-come-riconoscerla.html
  9. ^ Giulietta Capacchione, Le microespressioni, la verità e la menzogna http://psicocafe.blogosfere.it/2006/10/le-microespressioni-la-verita-e-la-menzogna.html

Bibliografia [modifica]

  • Paul Ekman, Wallace V. Friesen, Giù la maschera. Come riconoscere le emozioni dalle espressioni del viso, Firenze-Milano, Giunti Editore S.p.A, maggio 2007. ISBN 978-88-09-05227-7
  • Paul Ekman, Te lo leggo in faccia. Riconoscere le emozioni anche quando sono nascoste, Amrita Editore, 2008 (ISBN non esistente)

rielaborazione da Wikipedia

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Emozioni primari identificate:

  • Rabbia
  • Disgusto
  • Tristezza
  • Gioia
  • Paura
  • Sorpresa

Ekman ampliò la sua lista di emozioni base nel 1992 aggiungendo:

  • Divertimento
  • Disprezzo
  • Contentezza
  • Imbarazzo
  • Eccitazione
  • Colpa
  • Orgoglio dei suoi successi
  • Sollievo
  • Soddisfazione
  • Piacere sensoriale
  • Vergogna

Paul Ekman (Washington, 15 febbraio 1934) è uno psicologo statunitense. È divenuto, grazie alle sue ricerche scientifiche, un pioniere nel riconoscere le emozioni e le espressioni facciali, è considerato uno dei 100 psicologi più importanti del ventesimo secolo ed è valso a Ekman l’ingresso nella lista (apparsa sul Times Magazine l’11 maggio del 2009) delle 100 persone più influenti del mondo.

Indice
1 Biografia
2 Lavoro
3 Innovazioni educative
4 Critiche
5 Curiosità
6 Opere
7 Voci correlate

Biografia [modifica]

Ekman è nato a Washington nel 1934 ed è cresciuto in Newark, New Jersey, Washington, Oregon e California del Sud. Paul Ekman è stato uno studente presso la University of Chicago e New York University. Nel 1958 ha conseguito il dottorato in psicologia clinica presso Adelphi University dopo aver praticato un anno di tirocinio nel Langley Porter Neuropsychiatric Institute. Ha ricevuto un Scientist Research Award dal National Institute of Mental Health (NIMH), nel 1971, che venne rinnovato nel 1976, 1981, 1987, 1991 e 1997. Per oltre 40 anni, il NIMH ha sostenuto la sua ricerca attraverso borse di studio, finanziamenti e premi. Nel 2001, Ekman ha collaborato con John Cleese nel girare un documentario per la BBC. Si ritirò in seguito nel 2004 come professore di psicologia, lavorava al Dipartimento di Psichiatria presso la University of California. Dal 1960 al 2004 ha lavorato presso il Langley Porter Psychiatric Institute.

Lavoro [modifica]

Il lavoro di Ekman sulle espressioni del viso ha avuto uno spunto di partenza dal lavoro dello psicologo Silvan Tomkins. Ekman ha dimostrato che, contrariamente alla convinzione di alcuni antropologi tra cui Margaret Mead, le espressioni facciali e le emozioni non sono determinate dalla cultura di un posto o dalle tradizioni ma sono universali ed uguali per tutto il mondo, ciò indica che quindi sono di origine biologica. Le espressioni “base” che trovò ad essere universali nel 1972 seguendo una Tribù della Papua Nuova Guinea isolata dal resto del mondo sono:

In un progetto di ricerca insieme al Dr.Maureen O’Sullivan, denominato Progetto Wizards (precedentemente denominato “Diogenes” ), Ekman scoprì le microespressioni facciali, le quali possono dare un contributo a rivelare se una persona mente o meno. Dopo aver testato un totale di 20.000 persone provenienti da tutti i ceti sociali, ha trovato solo 50 persone che avevano la capacità di individuare l’inganno, senza alcun addestramento formale. Questi talenti naturali sono noti anche come “Truth Wizards”, o maghi di rilevazione inganno dal contegno. Ha sviluppato il Facial Action Coding System (FACS) per classificare ogni espressione del viso umano. Ekman ha condotto e pubblicato ricerche su una vasta gamma di argomenti nell’ambito generale del comportamento non verbale. Il suo lavoro sulla menzogna, per esempio, non era limitato al viso, ma anche per l’osservazione del resto del corpo. Nella sua professione, utilizza anche la semiotica, la prossemica e la cinesica. Attualmente è nel Consiglio Editoriale della rivista Greater Good, pubblicato dalla Greater Good Science centro della University of California, Berkeley. I suoi contributi comprendono l’interpretazione della ricerca scientifica nelle radici della compassione, altruismo, serenità e spirito di collaborazione. Ekman ha lavorato anche a un software di rilevamento emozionale chiamato Face Reader. Lo stesso Ekman afferma però che nessuna macchina può sostituire l’uomo per rilevare le menzogne.

Innovazioni educative [modifica]

Ekman ha scritto un articolo in un numero della Greater Good Magazine dedicato alla fiducia. In questo numero, Ekman e la figlia Eva vengono intervistati sulla fiducia genitore-figlio. Il tema principale del colloquio si concentra sui vantaggi del fidarsi del proprio figlio, quanto per incoraggiare un comportamento degno di fiducia, e quello che serve per costruire la fiducia tra genitori e figli. Ekman è un collaboratore di Greater Good Magazine, Greater Good Science Center, University of California, Berkeley.

Critiche [modifica]

Il lavoro di Ekman, in particolare le sue applicazioni per la sicurezza aeroportuale attraverso la Transportation Security Administration ‘s “Screening di passeggeri Observation Techniques”, è stato criticato per non essere stato sottoposto al controllo di test scientifici.

Curiosità [modifica]

La vita del Dr. Paul Ekman è rappresentata anche in una serie televisiva, Lie To Me trasmessa su sky, nel canale fox. Cal Lightman è il protagonista della serie ed il fondatore del Lightmangroup, la serie è svolta sotto la consulenza dello stesso Ekman il quale afferma che nella serie le bugie si scoprono molto più velocemente e con molta più certezza rispetto alla realtà.

Opere [modifica]
Giù la maschera. Come riconoscere le emozioni dall’espressione del viso (2007)
Te lo leggo in faccia. Riconoscere le emozioni anche quando sono nascoste. (2008)
Le bugie dei ragazzi. Frottole, imbrogli, spacconate: perché i nostri figli ricorrono alla menzogna? (2009)
Felicità emotiva. (2010)
I volti della menzogna. Gli indizi dell’inganno nei rapporti interpersonali. (2011)
La seduzione delle bugie. (2011)

La teoria dei Big Five è spesso adoperata per la valutazione della personalità nei contesti organizzativi, per l’attendibilità offerta da questa tipologia di test, detti “obbiettivi”. La validità convergente dello strumento di misura basato su questa teoria è confermata dal fatto che essa è una sintesi di tutti gli strumenti di misura sopra citati.

La valutazione della personalità attraverso il modello dei Big Five può avvenire mediante la compilazione da parte del soggetto di un questionario (strutturato attraverso una Scala Likert), oppure mediante la valutazione della condotta in un contesto di simulazione (come ad esempio l’Assessment center). Sono state proposte anche riduzioni fattoriali sperimentali, di questi 5 fattori, in un modello ancora più ridotto, detto dei “Biggest Three”.

La teoria dei Big Five consta di cinque dimensioni, emerse in numerosi contesti linguistici e culturali quali Italia, Stati Uniti, Germania, Olanda, Giappone, Filippine, Taiwan, mentre altri studi evidenziano come questi non emergano in paesi come la Cina. Lo strumento di misurazione validato da Costa e McCrae è il NEO-PI, nel quale i Big Five sono chiamati: Estroversione, Gradevolezza, Coscienziosità, Nevroticismo, Apertura all’esperienza.

Nel contesto italiano sono stati sviluppati diversi strumenti per la misurazione dei Big Five: il più rilevante per diffusione è il “Big Five Questionnaire”, che è stato tradotto successivamente in altre lingue e trova largo impiego nelle procedure di selezione del personale.

Questi tratti di personalità sono definiti nella versione italiana dello strumento di misura come:
Estroversione
Amicalità
Coscienziosità
Stabilità emotiva
Apertura mentale

Per gli autori della versione italiana [2], ognuna di queste cinque dimensioni è costituita di due sottodimensioni che vengono così definite:

Sottodimensioni dell’Estroversione:
Dinamismo
Dominanza

Sottodimensioni dell’Amicalità:
Cooperatività/Empatia
Cordialità/Atteggiamento amichevole

Sottodimensioni della Coscienziosità:
Scrupolosità
Perseveranza

Sottodimensioni della Stabilità Emotiva:
Controllo delle emozioni
Controllo degli impulsi

Sottodimensioni della Apertura Mentale:
Apertura alla cultura
Apertura all’esperienza

Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.

Con il termine personalità si intende l’insieme delle caratteristiche psichiche e delle modalità comportamentali che definiscono il nucleo delle differenze individuali, nella molteplicità dei contesti in cui la condotta umana si sviluppa.

Ogni nucleo teorico, in psicologia, concettualizza la personalità entro modelli diversi, adoperando metodi, obiettivi e modalità d’analisi anche molto dissonanti fra loro.

Indice
1 Cenni storici
2 Lo sviluppo della personalità 2.1 Alcuni passaggi nello sviluppo della personalità

3 Psicologia delle personalità 3.1 Assunti base
3.2 Personalità e teorie psicodinamiche
3.3 Le teorie incentrate sui tratti
3.4 La teoria dei big five
3.5 Personalità e teoria sociale cognitiva
3.6 La teoria del TCI (Cloninger)

4 Note
5 Voci correlate
6 Altri progetti
7 Collegamenti esterni

Cenni storici [modifica]

I quattro tipi classici della personalità: da sinistra, collerico, melancolico, flemmatico, sanguigno
Il più antico precursore dello studio della personalità fu Ippocrate che, in un’ottica di considerazione dell’uomo con lo stesso grado di differenziazione di un microcosmo, definì quattro tipi personali, in base all’umore di base presente nel suo corpo: melanconico, collerico, flemmatico, sanguigno.

Il termine latino personalitāte(m) derivò dal greco πρόσωπον e dall’etrusco phersu. Cicerone la definì come l’aspetto e la dignità di un essere umano, oppure, in un’altra definizione, quella parte che si recita nella vita, e non a caso “persona” rappresentava la maschera indossata dagli attori.[1]

Il teatro antico giapponese (nô) contemplava un certo numero di maschere, aventi caratteristiche corrispondenti al concetto di personalità contemporaneo, simboleggianti il passaggio da una fase di vita ad un’altra più matura.

Alla soglia del XX secolo si affermò la convinzione che la personalità del soggetto si rispecchi nel modo in cui la realtà gli appare e nelle idee che esprime. Questo modello, che in Kurt Lewin [2] e Kurt Koffka ebbe i suoi migliori esponenti, venne definito “fenomenologico”, seppur discordante in molti aspetti dalla corrente filosofica di Husserl.

In quegli anni si diffusero le tecniche di indagine e di diagnosi della personalità che esplorarono tre vie di accesso alla personalità: [3]
L’osservazione esterna, costituita dall’insieme degli elementi biografici, fisiologici, anatomici, oltre alla motricità e ai test di efficienza.
L’autointerpretazione, che utilizza i questionari.
L’analisi fenomenologica (analisi dei sogni, visioni del mondo).

Lo psicologo anglo-tedesco Hans Eysenck (1916-1997), studioso della struttura della personalità, nella sua opera “The structure of Human Personality” afferma che:

« La personalità è la più o meno stabile e durevole organizzazione del carattere, del temperamento, dell’intelletto e del fisico di una persona: organizzazione che determina il suo adattamento totale all’ambiente. »
(Hans Eysenck “The structure of Human Personality”[4])

Lo sviluppo della personalità [modifica]

La personalità è un concetto tipicamente dinamico nell’arco di vita di una persona e gli esseri umani affrontano, durante tutto l’arco della loro vita, alcuni nodi cruciali di passaggio necessari per evolvere una maturazione psicofisica adeguata al contesto sociale. Le varie fasi possono essere distinte come segue:[5]
La prima infanzia, dai 0 ai 3 anni, in cui il bambino deve ricevere le cure materne necessarie, per evitare l’insorgere di insicurezze e di ansie.
Lo svezzamento, che comporta le prime privazioni, e il superamento della dipendenza.
L’indipendenza, che consente al bambino di allargare il suo mondo e di acquisire quelle capacità di base per far da sé.
La fase del no, nella quale il bambino prova il piacere di opporsi ai genitori.
I conflitti con i genitori dello stesso sesso.
La prima socializzazione, che avviene grazie all’ingresso nella scuola. Qui il bambino riceve il giudizio di soggetti esterni alla famiglia e quindi rafforza l’immagine di sé.
La pubertà, con il crescente interesse nei confronti dei genitali.
L’adolescenza, che comporta una forte opposizione al mondo degli adulti, oltre all’insorgere di varie contraddizioni interne e all’insoddisfazione dei valori tradizionali.
La formazione dell’identità maturando l’indipendenza di pensiero con l’acquisizione, in una prima fase, di valori conformisti nei confronti del gruppo di appartenenza, ma trasgressivi nei riguardi dei valori sociali e, in una successiva, di accettazione delle figure simbolo della società (insegnante, genitore, ecc.).
La vita adulta, in cui il soggetto cerca di realizzare il suo progetto di vita (lavoro, famiglia ecc.), definendo il più possibile la sua identità, distaccandosi dal nucleo familiare originario e rendendosi il più possibile socialmente indipendente.
L’anzianità, che comporta importanti cambiamenti nelle attitudini, nello stile di vita e nell’evoluzione psico-fisica.

Alcuni passaggi nello sviluppo della personalità [modifica]

Durante i primi anni di vita il bambino si identifica con i suoi simili (Sé Presimbolico). Comincia a comprendere l’alterità, ad esempio rispetto alla madre quando non riceve immediatamente il seno alla sua richiesta di essere nutrito. La coscienza di sé cresce al crescere del confronto con l’alterità (gli “altri” significativi), oltre a rappresentare il proprio corpo, includendo le potenzialità d’azione nei confronti del mondo. Il Sé spirituale prescinde invece dal corpo, essendo formato da tutto ciò che va oltre esso, ad esempio l’appartenenza ad un gruppo.

A 2 anni il bambino comincia a parlare di sé (“io”,”me”,”mio”), a 4-5 al centro delle sue riflessioni vi sono i concetti di cattiveria/bontà, riconducibili al concetto biologico di avvicinamento/allontanamento da un pericolo.

Questi concetti permettono di sviluppare l’autostima. Visioni particolarmente negative di sé stessi possono condurre ad una depressione già a 3-5 anni.

A 3 anni il bambino conosce il nome di alcune emozioni, a 4 riesce ad associarle alle situazioni.

Si sviluppano due tipologie di emozioni: le emozioni esposte (imbarazzo, invidia, gelosia, empatia) e le emozioni auto-coscienti (vergogna, senso di colpa) che hanno una funzione maggiormente regolatrice del comportamento. La vergogna è una sensazione pervasiva dell’intero essere che spinge a nascondere un proprio errore, mentre il senso di colpa può avere funzioni positive o negative:
il senso di colpa predisposizionale: si presenta solo in alcune situazioni, in presenza di un errore riparabile e si correla positivamente con l’empatia, la spinta al volontariato, l’antirazzismo, ecc. Può essere incentivato da uno stile educativo basato sull’attenzione verso le emozioni altrui e le proprie responsabilità;
il senso di colpa cronico: è uno stato mentale stabile dovuto ad errori ritenuti irreparabili (ad es. la morte di una persona cara) o scaturito da uno stile educativo che tende sistematicamente a far sentire in colpa il soggetto. Il senso di colpa cronico si correla positivamente con aggressività e depressione.

Lo sviluppo del senso morale e dell’empatia può altresì essere facilitato da caratteristiche biologiche e dalle influenze del contesto familiare.

In parallelo la deresponsabilizzazione ha diversi modi di agire:
1.svalutazione della gravità della colpa;
2.confronto con colpe peggiori;
3.uso di eufemismi;
4.diffusione della responsabilità (“Stavo solo eseguendo gli ordini”);
5.suddivisione del lavoro in parti in modo da ridurre responsabilità individuale;
6.disumanizzazione della vittima;
7.trasferimento della colpa sulla vittima;

A 2 anni i bambini cominciano a rispettare regole, comincia quindi a presentarsi il rifiuto semplice che avvia una dinamica di opposizione e negoziazione con il genitore. L’obbedienza al genitore è la preparazione ad un comportamento morale senza bisogno di supervisioni.

A 4-5 anni la personalità del bambino è prettamente egoistica. A 6-7 comincia a sviluppare un senso morale unidirezionale e rigido ad esempio incentrato sull’egualitarismo. A 9 anni le sue posizioni divengono meno rigide e seguono principi di equità.

Psicologia delle personalità [modifica]

Assunti base [modifica]

Un elemento che caratterizza in maniera trasversale tutti i modelli di studio della personalità (e che ne rappresenta un elemento cardine nei suoi aspetti più recenti) è la tensione verso l’interazione tra fattori costituzionali innati, fattori educativi ed ambientali. La tradizione di studi psicologici relativi alla personalità è una delle più rilevanti della psicologia contemporanea, un campo in cui si susseguono studi empirici, teorici e storici, tesi a comprendere la natura dell’identità personale nel contesto biologico e sociale di sviluppo. [6] [7] [8] [9] [10] Una significativa parte della psicologia delle differenze individuali, analizza e valuta la personalità attraverso test volti ad individuarne i tratti (vedi test di personalità).

È possibile definire i tratti di personalità come configurazioni dell’esistenza, ma in realtà non esiste un’unica teoria dei tratti. Differenti sostenitori dell’approccio basato sui tratti, adottano strategie concettuali differenti nel definire la relazione tra persona ed ambiente. Gli assunti di base degli orientamenti teorici, che incentrano lo studio della personalità sui tratti personali, sono descritti con molta chiarezza da Lewis Goldberg [11], uno dei principali studiosi delle teorie dei tratti:
Le persone mostrano configurazioni di esperienza e di azione consistenti e stabili che le distinguono l’una dall’altra. Si ipotizza in questo senso l’esistenza di costrutti psicologici corrispondenti a tendenze comportamentali abituali. Tali costrutti possono essere definiti come variabili di tratto, o variabili disposizionali.
Le variabili di tratto sono decontestualizzate, sono cioè definite come tendenze globali atte a mostrare un tipo di comportamento piuttosto che un altro. I tratti, quindi, si riferiscono direttamente ad elementi comportamentali mostrati dalle persone in diverse situazioni. In questa caratteristica differiscono significativamente dalla motivazione, per definizione legata ad una meta. È chiaro che tratti differenti abbiano una diversa rilevanza nei vari contesti. Tuttavia l’approccio basato sui tratti sceglie di studiare la personalità attraverso unità di analisi di tipo dominio-generali.
Diversi nuclei teorici evidenziano approcci operativi riconducibili a due linee guida: approcci di tipo idiografico ed approcci di tipo nomotetico. Le strategie idiografiche postulano che ogni persona possa possedere un insieme unico di tratti, organizzati in maniera singolare e specifica. Diversamente gli approcci nomotetici ricercano invece una tassonomia universale di tratti.

Entro i modelli di tipo nomotetico (per esempio il 16PF Questionnaire di Raymond Cattell, oppure la teoria dei Big Five di McCrae e Costa) la struttura della personalità risulta essere costituita da tendenze comportamentali organizzate gerarchicamente con tratti ampi e sovraordinati. Questi costrutti sovraordinati organizzano le tendenze che si collocano ad un livello più basso, le quali, a loro volta, controllano le abitudini comportamentali che sono ad un livello ancora più basso. In questa struttura a cascata i costrutti che si collocano a livello elevato ed intermedio, sono tendenze abituali e stabili orientate alla messa in atto di una specifica categoria di risposte. Il livello più elevato, stabile nei vari domini di comportamento, viene interpretato come il nucleo portante della personalità, e si identifica con le variabili disposizionali.

Personalità e teorie psicodinamiche [modifica]

Uno degli elementi alla base dell’approccio psicodinamico allo studio della personalità fu la scoperta dell’inconscio. Alla base di questo concetto si struttura l’approccio psicodinamico di Sigmund Freud, con il suo elevatissimo valore storico nella definizione della psicologia come disciplina.

Il primo modello costruito da Freud, il modello topico, distingue un piano conscio dell’individuo, di superficie, caratterizzato da tutta la sua sfera di consapevolezza; un piano preconscio, maggiormente nascosto, ma facilmente accessibile dall’individuo stesso mediante la verbalizzazione o tecniche più specifiche; un piano inconscio, centrale nei processi di personalità, assolutamente inaccessibile all’individuo senza un’adeguata relazione d’aiuto. Concetto fondamentale per lo studio della personalità, secondo il modello freudiano, è la pulsione, definita come spinta endogena verso l’esterno e caratterizzata da un’origine, una meta, e un oggetto.

Una seconda teoria freudiana si sposta dallo studio della struttura fisica della personalità allo studio dei processi psichici. Freud distingue allora tre istanze psichiche, che mediando la pulsione attraverso i meccanismi di difesa propri dell’Io, costruiscono la personalità individuale:
L’id (o Es), l’istanza più primitiva, quella rappresentata dai fondamenti biologici e motivazionali elementari della personalità. Queste energie fanno riferimento, per la loro scarica nella condotta, esclusivamente al principio del piacere. Hanno infatti come meta la totale e completa soddisfazione pulsionale e l’evitamento del dolore.
L’ego (o Io), l’istanza razionale e realistica nella quale il soddisfacimento degli impulsi scaturiti dall’Es trova il confronto e la mediazione. L’ego funziona infatti secondo il principio della realtà. Attraverso i meccanismi di difesa che l’individuo sviluppa, le pulsioni divengono socialmente accettabili, confrontandosi con un contesto sociale e personale che ne media la scarica in condotte considerate positive.
Il super ego (o Super io), l’ultima istanza di sviluppo in ordine di tempo, segue le leggi della moralità e dell’etica. Si compone del concetto di bene e male (come caratteristica astratta rispetto alle conseguenze materiali dirette, di vantaggio o svantaggio immediati, di un’azione), e dell’ideale dell’io, un modello idealizzato e un’aspirazione sul come si dovrebbe essere.

Per esemplificare l’evoluzione della personalità, Freud ha focalizzato l’attenzione su una serie di bisogni, ognuno dei quali è associato ad una parte del corpo e caratterizza una delle principali fasi di sviluppo dell’essere umano, che sono:
La fase orale, riguarda i primi 18 mesi di vita nei quali il bambino si procura da solo un intenso piacere nel succhiare. Non essendo ancora venuto a contatto con gli obblighi, i divieti, le disapprovazioni del mondo esterno, il bambino inizia ad esplorare il proprio corpo alla ricerca di nuove fonti di piacere.
La fase anale, che interessa il bambino fino al terzo anno di età, è incentrata sul piacere indotto subito dopo la fine della defecazione. L’infante impara a riconoscere il momento ed il luogo adatti alla evacuazione, oltre a trattenere le feci seguendo le direttive del mondo esterno. Attua, per la prima volta nell’arco della sua esistenza, un compromesso tra piacere, obblighi e dignità sociali.
La fase fallica, dai 3 ai 6 anni, nella quale il bambino scopre i genitali e manifesta un orientamento bisessuale. Superando la fase edipica, l’angoscia di castrazione nei maschi, l’invidia del pene nelle femmine, il bambino, identificandosi con il genitore dello stesso sesso, sviluppa la coscienza morale, inserendo nella propria personalità le regole e le norme trasmesse dal genitore.

Freud non è stato l’unico ricercatore ad indagare le fasi dello sviluppo della personalità. Erik Erikson aggiunse la dimensione psico-sociale a quella psico-sessuale freudiana, oltre a ritenere che l’evoluzione non si esaurisce con l’adolescenza ma prosegue per tutta la vita.

Secondo Carl Gustav Jung le caratteristiche personali sono riconducibili a delle forme innate, gli archetipi, che fanno riferimento all’inconscio collettivo.

Le teorie incentrate sui tratti [modifica]

Tra i primi autori che studiarono la personalità umana in termini di tratto, emerge Gordon Allport che negli anni trenta identificò una gerarchia di tratti, a partire dai più intrinseci nell’individuo come i tratti cardinali, con maggiore capacità di influenza, fino ai tratti centrali e a quelli secondari. Il punto di partenza di questo studio è rappresentato dall’approfondimento lessicografico del linguaggio naturale, dove Allport identificò una banca dati di descrittori verbali differenziabili dal punto di vista logico. Allport sviluppò in questo modo una metodologia idiografica basata sul calcolo delle frequenze delle parole utilizzate per descrivere la propria personalità nei resoconti.

Un altro autore fondamentale nello studio dei tratti di personalità è Raymond Cattell il quale sviluppò un approccio di tipo nomotetico per lo studio della personalità. Attraverso la tecnica statistica dell’analisi fattoriale, identificò 16 tratti di personalità bipolari, attraverso cui confrontare, mediante un questionario standardizzato, denominato 16PF (vedi psicometria e test di personalità), le risposte date dal soggetto valutato, per poi categorizzarlo sul modello base che ha dato origine al questionario stesso.

Anche Hans Eysenck portò avanti un approccio fattoriale allo studio della personalità. Rifacendosi al costrutto psicologico dei tipi “introverso – estroverso”, proposto dalla teoria Junghiana, ne trasse un questionario di valutazione, l’Eysenck Personality Questionnaire (EPQ).

La teoria dei big five [modifica]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi Big Five (psicologia).

McCrae[12] e Costa[13] identificano 5 tratti di personalità sulla base della tradizione fattoriale nello studio della personalità e dell’ipotesi della sedimentazione linguistica di Cattell che, sulla base dei pionieristici studi di Allport, identificava nella lingua parlata un serbatoio di descrittori della personalità:
L’estroversione, intesa come grado di attivazione, fiducia ed entusiasmo nelle condotte che si adottano e nella loro scelta.
La gradevolezza, intesa come quantità e qualità delle relazioni interpersonali positive che la persona intraprende, orientate al prendersi cura ed accogliere l’altro.
La coscienziosità, intesa come precisione, affidabilità, accuratezza metodologica che l’individuo è orientato ad offrire attraverso la sua condotta, nonché la volontà di avere successo e la sua perseveranza.
Il nevroticismo, intesa come grado di resistenza a stress di tipo emotivo (resilienza), quali ad esempio l’ansietà, l’instabilità, l’irritabilità.
L’apertura all’esperienza, intesa come disposizione a ricercare stimoli culturali e di pensiero esterni al proprio contesto ordinario, nonché la ricerca di un contatto con un orientamento valoriale diverso da quello di riferimento.

Personalità e teoria sociale cognitiva [modifica]

Reciproco determinismo triadico di Albert Bandura (C=condotta; P=personalità; A=ambiente)
L’approccio comportamentista associa le differenze individuali agli apprendimenti condizionati e rinforzati dal soggetto durante il suo percorso di vita. Come nell’apprendimento, anche nello studio della personalità, l’approccio comportamentista considera l’importanza dello stimolo nella strutturazione della risposta personale, sottovalutando l’equazione personale che l’individuo associa a questo stimolo.

A partire dagli studi sviluppati dalla teoria sociale cognitiva, Albert Bandura sviluppa questi nessi associativi, di origine comportamentista, virando da un approccio meccanicistico ad uno probabilistico. Quest’autore infatti, nella valutazione della condotta, identifica una serie di fattori personali e ambientali, in un meccanismo di interazione che influenza la condotta, definito “reciproco determinismo triadico”.

Nell’approccio di Bandura allo studio della personalità emergono, tra i meccanismi di autoregolazione della condotta, le convinzioni di efficacia quale costrutto basato sulla sistematica e sistematizzata interazione tra elementi personali e contestuali, nonché predittori chiave della condotta e delle differenze individuali che questa teoria valorizza.

La teoria del TCI (Cloninger) [modifica]

Il TCI (Temperament Character Inventory) è una teoria psicodinamica che definisce la personalità in base al funzionamento di 4 importanti neurotrasmettitori, e relativi recettori, che determinano i comportamenti dominanti e le risposte all’ambiente. Vi sono in totale 7 dimensioni:
Novelty Seeking (NS): la ricerca di novità determina l’approccio alle nuove esperienze e ai nuovi incontri e ha una correlazione negativa con la Dopamina che determina il grado di soddisfazione della persona. Se la persona non è soddisfatta cercherà novità.
Harm Avoidance (HA): l’evitamento del pericolo è in contrapposizione alla NS ed è determinato dalla Serotonina che ha funzione di regolazione. È maggiormente presente nelle persone di sesso femminile.
Reward Dependence (RD): la necessità di una ricompensa si correla con la Noradrenalina che determina le risposte di attacco e fuga nel corpo umano.
Persistence (P): fino a poco tempo fa non si pensava che la persistenza fosse una caratteristica indipendente della personalità.
Self-Directedness: la capacità di essere indipendenti si correla con uno scarso attaccamento agli altri.
Cooperativeness: presente in maniera maggiore nelle donne, il senso di altruismo e di cooperazione è alla base dell’empatia.
Self-Trascendence: tipico di tutte le persone che si sentono in comunione con la natura e con gli altri, si è rivelato essere correlato anche con le esperienze spirituali e di “uscita” dal corpo (estasi), manifestazioni dovute talvolta a difettazione temporanea delle aree prefrontali.

(rielaborazione su base Wikipedia)

Kaizen (改善) è la composizione di due termini giapponesi, KAI (cambiamento, miglioramento) e ZEN (buono, migliore), e significa cambiare in meglio, miglioramento continuo.

La vision della strategia Kaizen è quella del rinnovamento a piccoli passi, da farsi giorno dopo giorno, con continuità, in radicale contrapposizione con concetti quali innovazione, rivoluzione e conflittualità di matrice squisitamente occidentale.

Il Kaizen vale sia per la vita personale che nel miglioramento aziendale.

La base del rinnovamento è quella di incoraggiare ogni persona ad apportare ogni giorno piccoli cambiamenti il cui effetto complessivo diventa un processo di selezione e miglioramento dell’intera Organizzazione.

È stato coniato da Masaaki Imai nel 1986[1] per descrivere la filosofia di business che supportava i successi dell’industria Nipponica negli anni ‘80[2] con particolare riferimento alla Toyota tanto da rappresentare il sinonimo di Toyotismo. Nel contesto in cui il termine è stato coniato, Kaizen viene volgarmente tradotto con “miglioramento continuo” perdendo di originalità rispetto al Ciclo di Deming dal quale deriva ma con il quale non coincide[3].

Il Kaizen come pratica economica è riferito all’efficienza dei fattori produttivi legati alla Microeconomia aziendale attraverso lo sviluppo di Sistemi di Gestione finalizzati al contenimento dei costi di produzione.

Il Kaizen come approccio per i sistemi di gestione per la Qualità si connette con concetti come il Lean manufacturing (produzione snella), il Total Quality Management (TQM – Gestione della qualità totale), il Just in time (JIT – abbattimento delle scorte), il kanban (metodo per la reintegrazione costante delle materie prime e dei semilavorati), la Riprogettazione dei processi aziendali, lo Statistical process control (controllo statistico dei processi) e via discorrendo.

Il Kaizen come strategia comportamentale si riferisce ad una pratica diretta al miglioramento costante dei processi manifatturieri, Ingegneristici e di business management secondo una logica bottom-up che recentemente ha trovato applicazione nella sanità[4], Psicoterapia[5], Coaching[6], oltre ad altre industrie non manifatturiere quali istituti bancari ed industrie del terziario avanzato.

La vision della strategia Kaizen è quella del rinnovamento a piccoli passi, da farsi giorno dopo giorno, con continuità, in radicale contrapposizione con concetti quali innovazione, rivoluzione e conflittualità di matrice squisitamente occidentale. La base del rinnovamento è quella di incoraggiare ogni persona ad apportare ogni giorno piccoli cambiamenti il cui effetto complessivo diventa un processo di selezione e miglioramento dell’intera Organizzazione.