(C) dott. Daniele Trevisani, elaborato dall’autore con modifiche dal volume Regie di Cambiamento. Approcci integrati alle risorse umane, allo sviluppo personale e organizzativo, e al coaching. Franco Angeli editore
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Sarà capitato a tutti di dare un suggerimento ovvio, banale, ragionevole, quasi scontato, ad una persona, nel suo interesse, e vedersi opporre un netto rifiuto.
Ad esempio: “non mettere 2 bustine di zucchero nel caffè se vuoi dimagrire”, oppure “l’azienda deve premiare di più la meritocrazia e meno le parentele e la politica”.
Tutti ragionamenti orientati al bene. Ma spesso falliscono. Perchè? Ci sono molte spiegazioni. Ne esaminiamo qui una delle tante.
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Un aspetto essenziale delle resistenze al cambiamento viene dal fatto che i cambiamenti
nella propria comunicazione, nel modo di pensare o di agire, vengono etichettati come
attacchi al proprio carattere, e si infrangono contro la “corazza caratteriale”.
La reazione di difesa è stata evidenziata già dagli albori della psicologia. Tra i pionieri,
Reich compie una analisi accurata della “peste emozionale” intesa come biopatia cronica
dell’organismo, in cui la repressione degli istinti porta alla difficoltà di convivenza sociale,
disagi della personalità, devianze (sadismo e criminalità), movimenti assolutistici
(inquisizione, nazismo). L’individuo appestato emozionalmente “zoppica caratterialmente”,
e tuttavia, secondo Reich,
la peste emozionale è più vicina alla nevrosi del carattere, che a una malattia cardiaca organica, ma
alla lunga può generare il cancro o malattie cardiache. Essa viene alimentata, come la nevrosi del
carattere, da pulsioni secondarie. Essa si distingue dai difetti fisici per il fatto che è una funzione del
carattere e che come tale viene violentemente difesa.
Una delle azioni più importanti di una regia di cambiamento sta nel creare spazi e
condizioni affinché le variazioni proposte non vengano “lette” come attacchi personali
in chi li deve attuare, o come “attacchi al carattere fini a se stessi”, ma come azioni di
liberazione, la scarcerazione da tratti di personalità o di comportamento dannosi alla
persona o al sistema.
La liberazione richiede il riconoscimento di stati patologici la dove prima si vedeva la
normalità, e al contrario la rivalutazione di comportamenti e atteggiamenti prima non
osservati o trascurati. Questo vale anche per il “pensiero dominante” che vige in una
organizzazione in un certo periodo di tempo.
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(C) Dal volume Regie di Cambiamento. Approcci integrati alle risorse umane, allo sviluppo personale e organizzativo, e al coaching. Franco Angeli editore
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