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Gennaio 2010

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Articolo di Daniele Trevisani, Copyright 2010, Studio Trevisani

… ogni essere umano possiede dentro di sè una energia che tende alla realizzazione di sè, e – dato un clima psicologico adeguato – questa energia può sprigionarsi e produrre benessere sia personale che per l’intero sistema di appartenenza (famiglia, azienda, squadra).

Oltre al clima psicologico favorevole alla crescita, è importante  la possibilità di non essere soli nel percorso e avere compagni di viaggio (condizione 1). Una condizione ulteriore indispensabile (condizione 2) è sapere dove muoversi, verso dove andare, poter accedere ad un modello o teoria che guidi la crescita.

Con questa duplice attenzione, lo sviluppo personale diventa un fatto perseguibile, non più solo un sogno o un desiderio.

Una persona, un’azienda, un atleta, una squadra, sono organismi in evoluzione che spesso anziché evolvere in-volvono, o implodono, si consumano.

Tutti desideriamo la crescita e il benessere ma a volte ci troviamo di fronte a risultati insufficienti (sul lavoro, o nei rapporti di amicizia, o nel nostro percorso di vita) e a stati d’animo correlati di malessere, sfiducia o calo di autostima.

Dunque, bisogna agire. Ma ancora più interessante – prima di affrontare il come agire – è capire quando nasce il bisogno. Alcune domande provocative:

  • Quali sono i limiti inferiori, i segnali che ci informano del fatto che è ora di cambiare, che qualcosa non va, o che vogliamo essere migliori o anche solo diversi? Dobbiamo aspettare di raggiungerli o possiamo agire prima?
  • Quando prendiamo consapevolezza del bisogno di crescere o evolvere?
  • Da cosa siamo “scottati”, quali esperienze o fatti ci portano a voler evolvere? Quali sono i critical incidents che ci segnalano che è ora di una svolta? Dobbiamo attenderli o possiamo anticiparli?

critical incidents possono essere eventi drammatici o invece di piccola portata, ma comunque significativi, come lo svegliarsi male e non capire perché. Può trattarsi di un accadimento che ci ha riguardato e non riusciamo ad interpretare, non riusciamo a capire cosa sia successo. Possono essere casi di vita come la perdita di un lavoro, o una trattativa andata male, una gara persa, un litigio, una relazione che non va, o anche solo la difficoltà a raggiungere i propri obiettivi quotidiani. Può anche trattarsi di una malattia fisica o sofferenza psicologica. In ogni caso, la vita ci presenta continuamente sfide che non riusciamo a vincere, e alcune di queste fanno male.

Spesso rimanere “scottati” (da un’esperienza o stimolo) è indispensabile per acuire lo stato di bisogno, ma – come dimostrano gli studi sulla fisiologia –  l’organismo degli esseri viventi si abitua anche a stati di sofferenza cronica e finisce per considerarli quasi accettabili. Finisce per conviverci.

La metafora della rana nella pozzanghera, vera o falsa che sia, è comunque suggestiva: leggende metropolitane sostengono che una rana che si tuffi in una pozzanghera surriscaldata dal sole reagisca immediatamente e salti via. La rana scappa dall’ambiente inospitale senza bisogno di complicati ragionamenti. D’estate, una rana che sia nella stessa pozzanghera – la quale progressivamente si surriscalda al sole – non subisce lo shock termico istantaneo e può giungere sino alla morte, poiché – grado dopo grado – il peggioramento ambientale procede, in modo lento e costante, e non si innesca lo shock da reazione.

Non ci interessa la biologia delle rane, se la leggenda sia vera o falsa, e nemmeno se questo sia vero per tutte le rane. Interessa il problema dell’abitudine a vivere al di sotto di uno stato ottimale o della rinuncia a crescere, la rinuncia a credere che sia possibile una via di crescita o (nei casi peggiori) una via di fuga o alternativa ad un vivere oppressivo, intossicato, o semplicemente al di sotto dei propri potenziali.

L’abitudine all’ambiente negativo porta ad uno stato di contaminazione e alla mancanza di uno stimo di reazione adeguato. Si finisce per non sentire più il veleno che circola, l’aria viziata o velenosa.

Bene, in certe zone dello spazio-tempo, del vissuto personale, l’aria è ricca di ossigeno, ma in altre, larga parte dell’aria che respiriamo è viziata, e non ce ne rendiamo conto.

In certe aziende, famiglie o gruppi sociali (e persino nazioni), la persona, e la risorsa umana (in termini aziendalistici) assomiglia molto alla rana: può trattarsi di uno stagno visivamente splendido e accogliente, con entrate sontuose e atri luminosi, ma che – vissuto da dentro – diventa una perfida pozza venefica nella quale non si riesce più a “respirare”, e si finisce per soffocare.

Nella vita gli ambienti circostanti mutano ma non sempre con la velocità sufficiente ad innescare lo shock da reazione, e ci si sforza di adattarsi o sopportare. In altre realtà opposte, l’ambiente è invece favorevole e permette all’essere umano di realizzarsi.

Lo sforzo di adattamento produce un adeguamento inferiore, un blocco della tendenza attualizzante: la tendenza ad essere il massimo di ciò che si potrebbe essere, la tendenza a raggiungere i propri potenziali massimi di auto-espressione. Il nostro scopo è invece di perseguire la tendenza autoespressiva ai suoi massimi livelli: la tendenza di ogni essere umano ad essere il massimo di ciò che può essere.

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Articolo di Daniele Trevisani, Copyright 2010, Studio Trevisani


Otttima segnalazione, da parte di Valeria Fabbroni, sulla comunicazione e il punto vendita, shopping experience e le esperienze polisensoriali. Dal link

http://www.mark-up.it/articoli/0,1254,41_ART_3829,00.html?lw=10020;3

temi:

1. Emozioni ed esperienze per accrescere il coinvolgimento attivo dei consumatori
2. Il punto di vendita è un sistema complesso di comunicazione
3. Lo stimolo polisensoriale è sempre più importante


Articolo di Daniele Trevisani, tratto dal volume “Il Potenziale Umano”,

edito da Franco Angeli. Copyright dell’editore e di Studio Trevisani Communication Research. Vietata la riproduzione non autorizzata. E’ consentita la citazione del brano o di sue parti solo con preventiva citazione della fonte e dell’autore.

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Un metodo per non lasciare i sogni nel cassetto …dove ogni piccolo passo conta, ogni micro-conquista apre le porte ad un modo di essere, in azienda e come persone

Cos’è uno Step Praticabile? Nel metodo HPM (Human Performance Modeling), è la primissima azione che puoi concretamente compiere per avvicinarsi ad un obiettivo. Per essere tale, uno step deve essere “praticabile”, fattibile. Esempio: telefonare a tizio per informarsi su una certa questione. Mandare un messaggio ad una persona. Fare una piccola, piccola cosa, nella direzione giusta.

Molto spesso rimaniamo in attesa di qualcuno che “ci dia una spinta”, mentre in realtà se iniziamo ad utilizzare il metodo degli “Step Praticabili” arrivere da soli e molto più in  là.

Sul piano manageriale e della leadership, è importante partire dagli obiettivi, mentre per le azioni di coaching e consulenze in profondità è possibile esplorare anche gli antecedenti (sfondo pulsionale e sfondo aspirazionale).

Per tutti, risulta importante correlare una visione a obiettivi praticabili.

Gli obiettivi si traducono in goal (risultati misurabili), progetti (sequenze di attività) e task (compiti).

Così, per una famiglia:

  • possiamo identificare lo sfondo “volontà di far crescere i figli”, legato all’aspirazione ad essere un buon padre o madre; lo sfondo pulsionale latente è localizzabile nel bisogno umano di trasmettere i propri geni e avere una discendenza che li tramandi;
  • possiamo avere due obiettivi specifici: (1) farli “crescere bene” sul piano fisico, e (2) farli “crescere bene” dal punto di vista psicologico e intellettuale[1];
  • possiamo avviare diversi goal e progetti: (1) far si che il ragazzo/ragazza possano svolgere una attività fisica regolare (progetto sport), (2) curare la loro alimentazione (progetto alimentazione sana). Sul piano psicologico (3) evitare di dare esempi sbagliati, progetto di controllo del proprio comportamento modellante, (4) ascoltare i figli (progetto di ascolto), (5) seguirli e affiancarli nella realizzazione dei compiti scolastici (progetto di tutoring scolastico).

I progetti si traducono in precisi compiti (task), tra cui: portare il bambino/ragazzo alla palestra il lunedì e giovedì dalle 17,30 alle 19, ritagliarsi due serate specifiche e inviolabili dedicate esclusivamente alla famiglia, prendersi una giornata al mese di “uscita a coppia” per stare assieme, e qualsiasi altra attività positiva discendente dalla catena evidenziata.

Sono le azioni, la concretizzazione, che ci diranno se esiste o meno volontà reale e capacità reale di portare un’aspirazione nel piano concreto del fare.

Non deve stupire se il mestiere di genitore sia così difficile, vista la molteplicità di aree di attenzione che chiama in causa. Quello che deve invece stupire è la mancanza di qualsiasi tipo di training per chi deve fare il mestiere di genitore, che non sia l’esempio (spesso sbagliato) offerto da altri genitori o dai propri. Ma questo vale anche per i leader, e i manager, il cui sistema formativo è spesso relegato all’“osserva e copia”, ripetendo gli errori di chi li ha preceduti.

Notiamo subito che la sequenza presenta numerosi momenti di comunicazione, sia tra i genitori che in presenza dei figli, tra cui “decidere quale sport”, “saper ascoltare”, e numerosissime altre situazioni comunicative.

I momenti di comunicazione sono altrettanto frequenti e numerosi nella leadership.

La qualità di questi momenti comunicativi è direttamente correlata alla possibilità di conseguire i risultati desiderati.

Principio 30 – Focalizzazione degli obiettivi e backward planning

La qualità della vita nei gruppi di lavoro e la performance dei gruppi stessi è correlata:

  • al grado con cui le azioni quotidiane e i compiti (task) seguono progetti specifici;
  • al grado con cui i progetti sono ancorati a goal definiti e misurabili;
  • al grado con cui i goal sono ancorati ad un obiettivo;
  • al grado con cui gli obiettivi sono ancorati alle aspirazioni individuali;
  • alla comprensione degli sfondi (sfondo pulsionale e sfondo aspirazionale) che muovono gli obiettivi;
  • alla comprensione dei filtri culturali attivi nel dare propulsione o invece frenare il passaggio dallo sfondo pulsionale all’aspirazionale, e da questo agli obiettivi;
  • alla capacità di ricentrare le energie mentali sulle priorità.

Nelle organizzazioni, il team-leader funge da decisore, coordinatore, comunicatore, e motivatore, esplicitando il raccordo e coordinamento tra le diverse fasi (task, progetti, goal, obiettivi), per ogni membro del team.

Vediamo ora come la catena aspirazioni-obiettivi-goal-progetti-task produca, anche in un’azienda, una molteplicità di attività di comunicazione interna. Realizziamo il seguente esempio:

  1. aspirazione: essere orgoglioso di se come imprenditore e dell’azienda che si è costruita (sfondo pulsionale: bisogno di immortalità, di essere ricordato, di passare all’aldilà con un’immagine di sé positiva);
  2. obiettivo: riqualificare fortemente la propria rete di vendita dal punto di vista strutturale, motivazionale e delle competenze delle risorse umane;
  3. goal: ridisegnare la rete sul territorio, definire una procedura incentivante, migliorare le competenze, in particolare le modalità di intervista del cliente e la capacità di comunicazione e negoziazione;
  4. progetti: progetto esemplificativo 1: “One Area – One Team” in cui viene assegnata la leadership territoriale ad una precisa figura professionale, e si decide quali siano le risorse del suo team; progetto esemplificativo 2: “training in negoziazione avanzata”, in cui i membri del team apprenderanno le tecniche di ascolto strategico del cliente durante la negoziazione, e altri progetti necessari per concretizzare gli obiettivi;
  5. task: definire le date per la formazione, selezionare il responsabile per ogni area, selezionare i membri del team di ogni area, definire la scaletta di incentivazione, selezionare il formatore/consulente per la fase formativa, e altri compiti correlati.

Come abbiamo evidenziato, la capacità di produrre risultati nei gruppi ad alte performance parte dalla qualità nella definizione stessa degli obiettivi e dei goal. Obiettivi e goal imprecisi producono demotivazione e scarsa stima verso chi li formula, e favoriscono la nascita di climi comunicativi dispersivi.

Per quanto concerne gli obiettivi, la loro caratteristica più rilevante è quella di essere ancorati ad un percorso che il soggetto possa comprendere.

Secondo una sequenza classica di management, i goal individuali devono correlarsi a quelli del gruppo di lavoro, e a risalire a quelli del dipartimento o set­tore aziendale, ma anche ai valori, alla visione e alla missione dell’a­zien­da[2].

Una delle capacità delle quali il leader deve impossessarsi è capire come i membri del proprio team vivano i compiti nei quali sono impegnati, in particolare:

  • qual è il vissuto emozionale del soggetto (positivo, negativo) e quali le sue sfumature e motivazioni;
  • qual è il “punto di rottura” del soggetto, la sua resistenza rispetto alla situazione che vive, la sua possibilità pratica di vivere il progetto con motivazione;
  • quanto il collaboratore è pronto a fidarsi del proprio leader in caso di divergenze sulla linea di azione da utilizzare;
  • quanto margine di libertà si intende dare all’individuo, in relazione alle sue esperienze e capacità.

Come insegnano i classici della sociologia dell’organizzazione, la leader­ship si carica di paure e false rappresentazioni, che bisogna apprendere a riconoscere ed evitare.

Abbiamo generalmente un’immagine del tutto falsa dell’azione organizzata. Sopravvalutiamo troppo la razionalità del funzionamento delle organizzazioni. Ciò ci conduce, da un lato, ad ammirare eccessivamente la loro efficacia o perlomeno a credere che sia scontata, dall’altro, a manifestare timori davvero esagerati davanti alla minaccia di oppressione che esse farebbero pesare sugli uomini. I paragoni che ci vengono in mente sono di tipo meccanico. La nozione di organizzazione evoca prima di tutto un insieme di ingranaggi complessi, ma perfettamente congegnati. Questo meccanismo sembra ammirevole finché lo si esamina soltanto dal punto di vista del risultato da ottenere: il prodotto che esce finito dalla catena di montaggio. Esso cambia invece radicalmente di significato se si considera che gli ingranaggi sono costituiti da uomini[1].

Le false rappresentazioni evocate dalla citazione sono quelle dell’or­ga­niz­­zazione come sistema perfetto. Saper vivere in sistemi imperfetti è una conquista e un traguardo.

Un salto di qualità manageriale consiste nell’accettare un margine di imperfezione come fisiologico nella conduzione del gruppo.

Le paure da eliminare sono le “minacce di oppressione” che la leadership comporta: il leader deve apprendere anche a fare i conti con decisioni impopolari, assegnare goal e task che non corrispondono ai desideri del collaboratore, forzare la linea di azione verso la direttrice che ritiene più opportuna alla luce delle sue esperienze, se è vero che esse sono superiori.

Fatto ogni sforzo di condivisione, rimane il dovere di assumersi la responsabilità dell’autorità e dell’imposizione dall’alto quando la condivisione non sia possibile, e dirigere. Il coraggio del leader si misura anche dalla volontà di scegliere e selezionare i propri compagni di squadra.


[1] Crozier, M., Friedberg, E. (1978), L’attore e la sua strategia, in Attore e sistema sociale, Etas Libri, Milano, p. 25. Titolo originale: L’acteur et le système: Les contraintes de l’action collective, Editions de Seuil, Paris (1977).


[1] Questi goal sono misurabili: la misurabilità in sé non è un risultato, ma solo uno strumento per verificare quanto si stiano compiendo progressi verso gli obiettivi.

[2] Gifford, J. (2002), Goal Setting, materiale didattico riservato, University of Miami.

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Articolo di Daniele Trevisani, tratto dal volume “Il Potenziale Umano”, edito da Franco Angeli. Copyright dell’editore e di Studio Trevisani Communication Research. Vietata la riproduzione non autorizzata. E’ consentita la citazione del brano o di sue parti solo con preventiva citazione della fonte e dell’autore.

Daoshi MAA Training Techniques, Necklock. Master Daniele Trevisani, Ferrara Italy, Kickboxing, Muay Thai, MMA

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Ascolto Emotivo Interiore (Auto-Empatia)

© Daniele Trevisani. Tutto il materiale citato in questo articolo è copyright Studio Trevisani, e non può essere utilizzato senza autorizzazione scritta.

Per essere migliori sul piano della gestione emozionale occorre prima di tutto conoscere le proprie emozioni.

  • L’auto-empatia è la capacità di dialogare internamente alla ricerca dei propri stati emotivi, dei propri vissuti, dei blocchi e barriere che impediscono il raggiungimento di obiettivi personali e del benessere manageriale/psicologico.
  • La pratica dell’auto-empatia richiede training adeguato e volontà di non fermarsi alla superficie del proprio stato esistenziale.

Uno degli obiettivi dell’auto-empatia è la capacità di rilevare gli scostamenti tra stati emotivi ideali e stati esperiti nel momento attuale o in altre condizioni di vita. Lo scostamento XY misura l’asse di sviluppo emozionale ricercato.


L’autoempatia viene ottenuta, secondo i principi sviluppati da Studio Trevisani, tramite varie tecniche:

  • Il metodo X-Y: Occorre avviare un dialogo interiore emozionale….es: Vorrei sentirmi così (Y)… ed invece mi sento così…. (X) e decidere di avviare cambiamenti ove troviamo scostamenti importanti.
  • per le emozioni consapevoli: tecniche di profilazione degli stati emotivi – creazione del proprio profilo emotivo tramite strutture di differenziale semantico
  • per le emozioni inconsapevoli, subconscie e inconscie: tecniche di auto-ascolto emozionale corporeo
  • per la rilevazione dei trend e stressor emozionali lo Studio ha sviluppato tecniche di autonarrazione e autodiagnosi che comprendono attività di rilevazione sia quotidiana che settimanale.
  • di grande aiuto per avviare un percorso è la tenuta di un diario personale nel quale appuntare le situazioni critiche dal punto di vista emozionale e le reazioni avute, cercando di identificare esattamente cosa ha provocato le reazioni emozionali, le specifiche frasi, persone, situazioni o luoghi

L’aiuto di un terapeuta o counselor può accelerare notevolmente il processo di autoempatia, soprattutto utilizzando un approccio misto, di tipo sia rogersiano (tecniche di ascolto non direttivo) che tramite metodi direttivi.


© Daniele Trevisani. Tutto il materiale citato in questo articolo è copyright Studio Trevisani, e non può essere utilizzato senza autorizzazione scritta.

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© Daniele Trevisani. Tutto il materiale citato in questo articolo è copyright Studio Trevisani, e non può essere utilizzato senza autorizzazione scritta.

Nuove competenze emotive (mood awareness, mood labeling, mood monitoring, cognitive la­beling)

Bisognerebbe tentare di essere felici, non fosse altro per dare l’esempio.

(Jacques Prévert)

 

Estratto da: Il Potenziale Umano, di Daniele Trevisani

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Le aziende possono creare i migliori prodotti. Ma se chi li vende non è all’altezza, non si venderanno. Questo vale anche per i Manager. Se chi gestisce le persone non riesce a capirne l’animo, avremo aziende spente e demotivate. Nuove competenze di formazione diventano estremamente urgenti…

L’umore è uno degli elementi più esplicitamente correlati alle energie mentali, e dalle forti capacità “contagiose”, in bene e in male.

Un umore è una condizione emotiva di maggiore durata rispetto al­l’emozione istantanea, e meno collegata ad un singolo evento scatenante.

I tipi di personalità sono invece tratti più duraturi che predispongono a tipi di umore specifici. Lottare contro l’eredità umorale appresa è una sfida nobile.

Secondo Thayer, l’umore è un prodotto di due dimensioni, l’energia e la tensione[1]. Gli umori positivi avvengono in zone di energie elevate e stato di calma, mentre ci sentiamo peggio quando siamo in condizione di basse energie fisiche accompagnate a tensione emotiva.

Bassi livelli di energie mentali sono in genere accompagnati da condizioni umorali negative, tristezza, depressione, mentre alti livelli sono accompagnati da stati positivi, dal rilassamento sino alla gioia e all’euforia.

Ciò che ci interessa maggiormente in termini di coaching analitico è il concetto di mood awareness[2], la consapevolezza dello stato umorale, una capacità specifica ed allenabile, composta da mood labeling (saper etichettare lo stato emotivo in corso) e mood monitoring (saper monitorare l’anda­mento del proprio umore, coscientemente, tener traccia delle variazioni).

Il labeling, in particolare, rappresenta il ponte essenziale tra il sentimento interno e la possibilità di comunicarlo.

Comunicare ad altri come ci si sente è importantissimo, ed è tema di cui si occupano molte ricerche, che giungono a inquadrare il concetto di empatia interna[3], o la capacità di capirsi. Questa dipende anche dalla capacità di trovare etichette (verbali) per gli stati cognitivi e per i sentimenti vissuti.

Conoscere i propri stati e non negarli è essenziale, ma poi serve la capacità di descriverli e – soprattutto –  l’occasione fisica, vera, di parlarne a qualcuno che ci ascolti.  Trovare oggi chi sia in grado da farci da contenitore emotivo è qualcosa di estremamente raro, ma non è su questo che mi voglio soffermare ora. Il fattore tecnico è che anche quando questa occasione di ascolto accade, non siamo sufficientemente capaci di esprimere i nostri veri sentimenti con precisione. Di questo ogni coach, leader o psicologo dovrebbe tenere conto.

Più in generale, la capacità di riuscire a dare nome e descrizione ai processi mentali in corso (cognitive labeling skills) permette di crescere psicologicamente.

Infatti, non è per nulla scontato sapere come ci si sente, riuscire a riflettervi sopra analiticamente, o riuscire a comunicarlo, prima che gli umori diventino distruttivi. Molti subiscono lo stato umorale passivamente, o non riescono a condividerlo, o essere ascoltati, e in questo modo non arrivano a scardinare i meccanismi che lo generano, o replicare stati positivi.

Le energie mentali producono specifici stati umorali. Nella fig. 2 vediamo diverse tipologie.

La domanda primaria rispetto allo schema evidenziato è “come ti senti?” L’attività di scavo deve riguardare invece il “perché ti senti così?”

All’interno delle risposte devono essere notati e scoperti i meccanismi di ragionamento che depotenziano e corrodono l’umore, le azioni e stili di vita che avvizziscono la persona, gli stili cognitivi disfunzionali, le aree su cui lavorare, e tutte le azioni invece positive da consolidare e rinforzare.

La psicoenergetica nel metodo HPM si occupa dei fattori psicologici che producono tali stati soggettivi o livelli di umore.

In questo lavoro, non è possibile astenersi dal giudizio, non è possibile evitare di applicare valori e criteri di riferimento personali.

In questo, il coaching differenzia sostanzialmente dalla psicoterapia non direttiva, in quanto arriva a dare giudizi di valore e indicare strade da perseguire.

Note di formazione:

Per essere migliori sul piano della gestione emozionale occorre prima di tutto conoscere le proprie emozioni.

  • L’auto-empatia è la capacità di dialogare internamente alla ricerca dei propri stati emotivi, dei propri vissuti, dei blocchi e barriere che impediscono il raggiungimento di obiettivi personali e del benessere manageriale/psicologico.
  • La pratica dell’auto-empatia richiede training adeguato e volontà di non fermarsi alla superficie del proprio stato esistenziale.

Uno degli obiettivi dell’auto-empatia è la capacità di rilevare gli scostamenti tra stati emotivi ideali e stati esperiti nel momento attuale o in altre condizioni di vita. Lo scostamento XY misura l’asse di sviluppo emozionale ricercato.
L’autoempatia viene ottenuta, secondo i principi sviluppati da Studio Trevisani, tramite varie tecniche:

  • Il metodo X-Y: Occorre avviare un dialogo interiore emozionale….es: Vorrei sentirmi così (Y)… ed invece mi sento così…. (X) e decidere di avviare cambiamenti ove troviamo scostamenti importanti.
  • per le emozioni consapevoli: tecniche di profilazione degli stati emotivi – creazione del proprio profilo emotivo tramite strutture di differenziale semantico
  • per le emozioni inconsapevoli, subconscie e inconscie: tecniche di auto-ascolto emozionale corporeo
  • per la rilevazione dei trend e stressor emozionali lo Studio ha sviluppato tecniche di autonarrazione e autodiagnosi che comprendono attività di rilevazione sia quotidiana che settimanale.
  • di grande aiuto per avviare un percorso è la tenuta di un diario personale nel quale appuntare le situazioni critiche dal punto di vista emozionale e le reazioni avute, cercando di identificare esattamente cosa ha provocato le reazioni emozionali, le specifiche frasi, persone, situazioni o luoghi

L’aiuto di un terapeuta o counselor può accelerare notevolmente il processo di autoempatia, soprattutto utilizzando un approccio misto, di tipo sia rogersiano (tecniche di ascolto non direttivo) che tramite metodi direttivi.


[1] Thayer, R. E. (1989), The biopsychology of mood and arousal, Oxford University Press, New York, NY.

Thayer, R. E. (1996), The origin of everyday moods: Managing energy, tension and stress, Oxford University Press, New York, NY.

Thayer, R. E. (2001), Calm Energy, Oxford University Press, New York, NY.

[2] Woodhouse, S. S., Gelso, C.J. (2008), Volunteer Client Adult Attachment, Memory for In-Session Emotion, and Mood Awareness: An Affect Regulation Perspective, Journal of Counseling Psychology, v. 55, n. 2, pp. 197-208, Apr.

[3] Jackson, E. (1986), Internal Empathy, Cognitive Labeling, and Demonstrated Empathy, Journal of Humanistic Education and Development, v. 24, n. 3, pp. 104-115, Mar.



© Daniele Trevisani. Tutto il materiale citato in questo articolo è copyright Studio Trevisani, e non può essere utilizzato senza autorizzazione scritta.

Comunicazione assertiva emozionale © di Daniele Trevisani, Studio Trevisani

Tutto il materiale citato in questo articolo è copyright Studio Trevisani, e non può essere utilizzato senza autorizzazione scritta.

 Il tempo di reazione emozionale (Emotional Reaction Time, ERT) misura il tempo necessario per trasformare un’emozione in un comportamento reale e pratico.

I soggetti con alti livelli di ERT sono in grado di “prendere provvedimenti adeguati” ogni volta che esperiscono emozioni forti (positive o negative che siano). I provvedimenti positivi sono ad esempio la capacità di capire cosa ha provocato l’emozione positiva e come ripetere tale condizione, mentre i provvedimenti negativi sono le reazioni alle situazioni che ci provocano disagio emozionale e la loro eliminazione o riduzione d’impatto sul nostro vissuto.

Il livello più basso di ERT è la mancanza assoluta di collegamento tra i comportamenti quotidiani e le emozioni vissute, il che provoca una rapida dissoluzione dell’integrità psicologica, l’annullamento del sé e la posticipazione continua di un percorso di crescita personale. Le aree per la formazione e sviluppo della comunicazione assertiva emozionale, sviluppata dallo Studio, sono:

  1. Sviluppo della capacità di identificazione degli stressor emotivi relazionali
  2. Sviluppo della capacità di reagire
  3. Sviluppo della capacità di micro-reazione opposta alla compressione emotiva di lunga durata
  4. Sviluppo delle competenze di Behavioral Action-Line (creazione della linea di azione comportamentale)

Come evidenzia Trevisani (Leadership Emotiva, in pubblicazione): “Devi sviluppare le tue capacità di reagire per ripristinare uno stato emotivo che desideri ed evitare di vivere a lungo all’interno di vissuti emotivamente negativi. Non puoi “vibrare” fuori dal tuo ritmo a lungo, rischi l’annullamento della tua identità, il distacco tra quello che senti interiormente e quello che fai ogni giorno. La vita è troppo preziosa per rischiare di perderne anche solo un singolo attimo. Non è possibile vivere a lungo in una dimensione che non ti appartiene”. “Per essere pienamente efficiente devi reagire. Puoi trovarti in difficoltà nel dare un taglio netto a situazioni e rapporti che non gradisci, o nel far rispettare il tuo ruolo di leader. Ma non deve durare a lungo. Cambiare è possibile”.

Le applicazioni sono forti ed immediate: ad esempio, nella vendita è inutile agire con una “maschera” che non ci appartiene, e conviene assolutamente sviluppare maggiore autenticità e non negare le proprie emozioni. Nella leadership è altrettanto utile evitare di “copiare” modelli stereotipati e cercare una propria modalità di vivere il lavoro, anche se originale e autonoma.

Evita chiunque cerca di mettere uno stampo su di te, di modellarti a suo piacimento nel suo interesse,

distingui chi ti aiuta veramente da chi ti vuole manipolare,

cerca la tua via.

Daniele Trevisani

La comunicazione assertiva e lo sviluppo dell’assertività per la leadership

© Tutto il materiale citato in questo articolo è copyright Studio Trevisani, e non può essere utilizzato senza autorizzazione scritta.

Ogni manager si rapporta quotidianamente con colleghi e collaboratori. Durante questi momenti di interazione possono prevalere la passività, l’aggressività, o l’assertività.

Il comportamento assertivo ha la proprietà di saper mantenere i rapporti all’interno di confini di efficacia, evitando sia i momenti di passività inutile, che i comportamenti di aggressività gratuita e immotivata.

  • L’aggressività non è in genere positiva, ma vi sono situazioni in cui bisogna sapersi imporre, entro i limiti di un comportamento professionale.
  • Qualora predomini il comportamento aggressivo, è importante saper reindirizzare le energie verso comportamenti che provochino minori tensioni e frizioni nei rapporti interpersonali.
  • Qualora predomini il comportamento passivo, è necessario identificare correttamente quali situazioni specifiche provocano disagio e attivare dei percorsi di cambiamento sia cognitivi (ristrutturazione cognitiva) che comportamentali.
  • Il comportamento passivo consiste nel non avere la forza e capacità di reagire agli attacchi o ingiustizie. Non deve essere confuso con la tattica comportamentale consapevole. Decidere attivamente di non reagire o posticipare la reazione per raggiungere un obiettivo è una tattica. Non riuscire a reagire è invece una patologia.
  • La riflessività non è assolutamente sinonimo di passività. La passività è una condizione esistenziale che provoca malessere, una condizione di disagio, subìta e non desiderata. In questo senso la passività è una problematica comportamentale dalle ripercussioni negative sull’immagine di sé e sull’autostima, e persino sulla salute fisica.
  • Lo sviluppo assertivo può essere notevolmente accelerato tramite l’aiuto di un coach professionale, terapeuta o counselor, che aiuti il soggetto ad individuare esattamente le situazioni su cui agire e sbloccare i comportamenti desiderati.
  • Lo sviluppo assertivo inoltre non può essere conseguito tramite “iniezioni miracolistiche”, ma richiede la partecipazione attiva del soggetto, la definizione congiunta (tra cliente e counselor) di un percorso serio e di tappe intermedie praticabili.
  • Le tappe principali di un prototipo di intervento sulla leadership sono:
    • autoanalisi guidata dal counselor
    • rilevazione degli stati di insoddisfazione sui comportamenti attuali e pratiche di comunicazione
    • identificazione dei comportamenti desiderati e modelli di comunicazione desiderati
    • rilevazione dei blocchi psicologici che impediscono l’attuazione dei comportamenti e relazioni
    • ristrutturazione delle concezioni di sè e relazionali sottostanti i comportamenti e la comunicazione
    • fase di disapprendimento (unlearning comportamentale e comunicazionale)
    • test comportamentali di micro-cambiamento quotidiano delle interazioni e comportamenti comunicazionali
    • consolidamento dei cambiamenti
  • Ogni intervento professionale richiede comunque la presenza di counselor o coach esperti in grado di affiancare il destinatario e superare le criticità che emergono in ogni percorso di sviluppo personale.